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Scenari del futuro, utopie e distopie nella fantascienza
di , numero 54, dicembre 2022, Note e Riflessioni, DOI

Scenari del futuro, utopie e distopie nella fantascienza
Come citare questo articolo:
Marco Mogetta, Scenari del futuro, utopie e distopie nella fantascienza, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 54, no. 11, dicembre 2022, doi:10.48276/issn.2280-8833.10132

La fantascienza è quel genere che, partendo dall’analisi della contemporaneità, ha sempre cercato di immaginare il mondo del futuro nelle sue innumerevoli sfumature. Quali saranno i sogni del domani? E le aspirazioni, i progressi sociali, quelli tecnologici? Ma più di ogni altra cosa la fantascienza si è dedicata a immaginare le società vissute dai prossimi umani, e i conseguenti problemi che verranno, giungendo spesso a inquietanti visioni.
Crisi di ogni genere, devastazioni, invasioni e, in particolare, scenari politici inquietanti la fanno da padroni. Scovare un’opera di fantascienza animata da una visione positiva del futuro è molto difficile, come se, a ogni tentativo di scrutare nella sfera di cristallo della fantasia, ci si sia trovati di fronte a un ineluttabile scenario nero, anche per “esigenze di copione”.
Si comincia a parlare di fantascienza all’inizio del Novecento, secolo tumultuoso, più volte scosso da avvenimenti epocali e da trasformazioni radicali e velocissime, che hanno attraversato ogni ambito della società umana.
Ogni decennio è stato caratterizzato da rivoluzioni, sociali e industriali, grandi e piccole, che hanno trasformato più volte e radicalmente l’approccio della specie umana alla realtà. Il progressivo venire meno del conforto della religione ha probabilmente contribuito a rendere sempre più angusto il modo di pensare al futuro. In occidente, dove la fantascienza ha prosperato enormemente durante il secolo scorso, la fiducia nella scienza e nel progresso, il rafforzarsi delle democrazie, l’instaurarsi di diritti sempre più diffusi, avrebbero potuto sostenere il genere umano nella sfida verso l’immaginazione di un futuro migliore. Invece non è stato così.
Prima della fantascienza queste speculazioni erano per lo più limitate agli ambienti filosofici e, in particolare, alla nascita del concetto di Utopia, visto come obiettivo impossibile a cui ambire, ma necessario come orizzonte degli eventi a cui anelare per il miglioramento delle condizioni di vita della società umana.
Platone prima, e Tommaso Moro, Bacone e Campanella dopo, hanno cercato di immaginare la forma di uno Stato perfetto, di una società migliore a cui ambire, non come proposta di intrattenimento per un pubblico, ma come modello da raggiungere, immaginato e plasmato tramite l’influenza delle rispettive esperienze personali anche se, nella radice semantica del termine stesso, la parola utopia presenta una potenziale doppia interpretazione. Potendo essere intesa sia come il luogo del bene che come il luogo che non esiste, l’utopia sembra voler ambiguamente sottintendere la sua impossibile realizzazione, e quindi la sua irraggiungibilità.
Le ragioni di questo destino impossibile vanno però ricercate in scelte precise degli esseri umani e non in fattori imponderabili o sovrannaturali. Scelte che, per paura, opportunismo, egoismo o incapacità, tendono a plasmare la società in maniera distorta, dando vita, secondo il punto di vista dei critici liberali, a modelli totalitaristici in cui l’uomo finisce vittima del lato tetro dell’utopia stessa, portando così alla nascita della distopia.
Comunemente si tende a considerare la distopia come il contrario dell’utopia ma, per la citata natura ambigua semantica del termine, questo dovrebbe corrispondere alla realtà, alla concretezza. La distopia è invece la descrizione di una società futura negativa, in cui la vita viene condizionata da esperienze terribili, i diritti sono negati e il potere è retto da un ristretto numero di persone per lo più malvage o disinteressate al bene comune.
Se i filosofi citati e gli intellettuali del passato, malgrado i limiti culturali, sociali e tecnologici del loro tempo, avevano come bussola una moralità sempre più irrintracciabile nella società moderna e contemporanea, oggi gli autori si confrontano col mercato, con il bisogno dover vendere intrattenimento, finendo spesso irretiti nelle maglie dei blockbuster o nelle formule di sicuro successo, smarrendo così l’impulso necessario a far progredire la speculazione, avvitandosi progressivamente sempre più intorno a schemi già ampiamente abusati. Ma non è sempre stato così. Sin dagli inizi della storia del cinema, quando il “meraviglioso” ha saputo imprimere il suo marchio sul meno forbito ambito del grande schermo, visto che in letteratura la fantascienza avrebbe avuto bisogno di molto più tempo per superare certi atavici pregiudizi, è stato possibile riscontrare tentativi di immaginare il futuro dell’umanità, andando a comporre un percorso che, da Fritz Lang ai nostri giorni, ha cercato di ammonirci, metterci in guardia, prepararci al peggio.
Oggi la narrativa e il cinema occidentali, quelli che per quasi un secolo hanno avuto il vantaggio dell’iniziativa, hanno un po’ smarrito il loro primato nell’esplorazione dei mondi possibili della fantascienza, lasciando l’iniziativa a mercati più giovani come quelli asiatici, che hanno il merito di cercare nuove strade, soprattutto viste le condizioni non completamente democratiche in cui si trovano a vivere. La stessa rivoluzione della distribuzione digitale ha sancito, col boom delle serie televisive, un nuovo mondo in cui sperimentare, che ha portato a risultati dal successo planetario come Black Mirror, serie che ha avuto un incredibile successo, forse perché percepita poco fantascientifica dal grande pubblico. Uno dei temi ricorrenti della serie sta nell’infelicità indotta nell’uomo da una tecnologia ritenuta responsabile del nostro malessere, quando in realtà è l’uso sbagliato che ne viene fatto a esserne la causa.

Tuttavia un intero secolo di sforzi e tentativi ha sicuramente portato all’elaborazione di un ampio ventaglio di prospettive, quasi sempre tendenti al distopico, che oggi potrebbero essere consultate come una cartina utile a orientarci alla ricerca di un futuro migliore, ma che vengono per lo più ignorate o sottovalutate, portando la nostra contemporaneità verso il perseguimento di obiettivi oscuri.
Durante l’arco del Novecento la tensione speculativa verso l’immaginazione della società del futuro, tramite l’affermarsi del razionalismo scientifico, del positivismo e dello sviluppo delle citate forme di intrattenimento, ha portato a un passaggio di consegne del testimone della visione utopistica e distopica che dai filosofi e dagli intellettuali ha quindi raggiunto quasi contemporaneamente, scrittori, sceneggiatori e registi.
Questi hanno iniziato a immaginare il futuro partendo ovviamente dal loro presente, portando alla nascita della fantascienza vera e propria. Oggi la fiducia nel progresso, nell’integrità degli uomini e nel futuro stesso, ha ormai perduto buona parte della sua inerzia, portando all’affermarsi di scenari in cui l’uomo è costretto, prima ancora che a ribellarsi, a prendere coscienza dell’inganno in cui è finito. E che non sempre sembra sempre essere evidente agli occhi dei più. La manipolazione delle informazioni nell’epoca dei social ne è ahinoi la dimostrazione tangibile, con ingerenze e manipolazioni sempre più velenose e ficcanti nella formazione dell’opinione pubblica, con tutte le conseguenze del caso.
I grandi temi su cui è stato scritto e girato hanno a che fare con la società, il potere, la famiglia, il lavoro, la mancanza di risorse, il controllo dei piaceri, delle nascite, degli hobby, dei rapporti sentimentali, fino a chinare verso i problemi climatici, la repressione del crimine, il rapporto con macchine e intelligenze artificiali. Per ogni epoca e ogni tecnologia, un ordine di distopia differente.
Ma andiamo con ordine.
Già nel 1906 Yambo, autore e illustratore italiano ispirato dalle stelle, aveva immaginato nel suo romanzo Gli esploratori dell’infinito, un viaggio dall’afelio al perielio dell’allora conosciuto sistema solare. Il protagonista della storia, un anziano editore disgustato dal genere umano, decide di fuggire su Cupido, un bolide disabitato incagliato nella nostra atmosfera, dove realizzare il sogno una società perfetta di cui lui sarà unico esponente. Unica eccezione nei suoi piani è la presenza di un giovane accompagnatore, data la sua età non più verde. L’editore pensa di colonizzare il bolide deserto per mettersi al riparo dal resto del genere umano. I due però trovano il planetoide occupato da una banda di delinquenti e, a causa di un incidente, Cupido viene risparato nel cosmo. Durante il viaggio il progetto di vivere in una società priva dei vizi umani fallisce miseramente, condannando il protagonista a girovagare per il cosmo senza poter raggiungere l’agognata società perfetta.
Venti anni dopo vede la luce Metropolis di Fritz Lang, capolavoro del cinema muto espressionista e manifesto di quello fantascientifico di ogni tempo. In questa opera del 1927, ambientata nel 2026, si racconta la storia di un’immensa città, in cui il benessere dei cittadini della parte superiore dipende dallo sfruttamento di quelli condannati a vivere nei bassifondi, impiegati come manodopera necessaria per il funzionamento del complesso apparato tecnologico che sostiene la città stessa, la sinistra macchina M.
L’incontro tra Freder, figlio del più importante industriale della città, e la bella Maria, profetessa della rivoluzione delle masse, dà inizio agli eventi che porteranno tutto al cambiamento. Concepito come uno dei primi kolossal, messo in scena come un’opera lirica in tre parti e accolto da critiche iniziali non entusiasmanti, Metropolis è poi stato nel corso del tempo rivalutato ed è oggi considerato un monumento della storia del cinema. Otre alle innumerevoli citazioni che lo hanno trasposto nel tempo, vale la pena sottolineare come la visione luddista del film, la denuncia sociale che fa da spina dorsale e il finale in cui padroni e operai trovano infine un accordo, rendono questo film uno dei pochi utopici della storia del cinema di fantascienza, anche se il finale che l’autore avrebbe voluto girare avrebbe visto i due innamorati fuggire nello spazio lasciandosi alle spalle la città in rovina.
Ben radicato nell’immaginario collettivo è sicuramente l’opera di George Orwell che, con 1984, ha immaginato una delle distopie per eccellenza, oggi ampiamente superata dalla realtà, la dittatura del Grande Fratello. Nel suo romanzo del 1948 Orwell ci parla di un mondo in cui la Terra è dominata da tre grandi superpotenze, in perenne lotta tra loro. L’obiettivo unico è il mantenimento dello status quo, ossia il controllo su ogni elemento della società tramite televisori dotati di telecamere, in grado di registrare qualsiasi forma di scelta, comportamento o pensiero indipendente. Tutto viene controllato dal Partito, al cui vertice è posto il Grande Fratello, un’entità dall’incerta natura. In questo mondo Winston Smith, impiegato incaricato di modificare testi storici e articoli di giornale con l’obiettivo di far coincidere tutto con la versione governativa ufficiale, supera non senza difficoltà le diffidenze verso Julia, una donna del partito che le manifesta il suo amore. I due intraprendono una storia passionale grazie al supporto di un antiquario che gli offre un’alcova nel quartiere dei prolet, la bassa manovalanza poco controllata dal potere perché ritenuta inoffensiva in quanto fondamentalmente ignorante. Il loro tentativo di dare inizio a una rivolta viene però frustrato dal tradimento di un loro superiore. I due vengono quindi divisi e condannati a una terribile forma di ricondizionamento. Winston resiste ai primi due tentativi, ma nulla può quando, condotto nella terribile camera 101, viene messo di fronte alla sua più grande paura. Sconfitto fin nei più intimi meandri della sua psiche, Winston viene liberato un anno dopo, ricondizionato per amare incondizionatamente il Grande Fratello. Incontrando per caso Julia, i due si confessano di essersi infine traditi, mentre sullo sfondo la guerra prosegue in tutto il mondo. Qui i confini della distopia sono tra i più tetri in assoluto e, anche se l’evoluzione tecnologica ci ha infine fatto accettare la possibilità di essere circondati da apparecchi in grado di spiarci in qualsiasi situazione, sembra che il disagio sia ormai del tutto superato, portandoci ad accettare di vivere in un mondo in cui quasi ogni strumento ha una telecamera o un microfono, perfino gli apparecchi per pulire la casa o cucinare. Quello che ancora non si è concretizzato, è il controllo del nostro pensiero, anche se nemmeno questo è più un orizzonte fantascientifico.
Prima di Orwell ci aveva pensato Aldous Huxley a gettare l’umanità in un futuro assai tetro col suo romanzo Il mondo nuovo, scritto nel 1937 in cui lo scrittore pacifista si era spinto a immaginare il controllo della razza umana fin dal concepimento. Nel 2540, più comunemente indicato come l’anno di Ford 632, il mondo è stato scosso da un epocale conflitto mondiale, dalle cui ceneri è sorta la società della produzione in serie. In questo nuovo mondo lo studio della storia è malvisto in quanto inutile, i rapporti sentimentali sono ritenuti dannosi e surrogati da una sessualità estrema, promossa fin dai primi anni di vita. Perfino la riproduzione avviene in catena di montaggio, con gli embrioni che vengono sviluppati in vitro a seconda dei piani del potere. In questo modo i governanti avranno il pieno controllo di tutti gli umani che nasceranno in quanto, tramite la manipolazione in vitro (non genetica in quanto non era ancora stato scoperto il DNA), nessuno avrà gli strumenti cognitivi per rendersi conto di essere null’altro che un prodotto. L’organizzazione in caste, stabilita ancora prima che alla nascita, impedirà la formazione di rimostranze da parte delle classi destinate ai lavori più umili, anche grazie ai prolungati utilizzi del soma, eccitante droga di Stato capace di far provare anche la totale astrazione dalla realtà. Quando a Bernard Max, appartenente alla casta Alfa, viene concessa l’opportunità di visitare la Riserva di Selvaggi situata nel Nuovo Messico, questo si imbatte nella vecchia compagna di un suo superiore. Molti anni prima questo aveva effettuato lo stesso viaggio e aveva abbandonato la donna temendo le conseguenze dell’averla messa incinta. Dopo aver ricondotto la donna e suo figlio alla civiltà, Max li usa per poter ricattare il suo superiore. Qui entra in gioco il punto di vista di John, figlio nato e cresciuto nella riserva come libero da condizionamenti, e perfino istruito tramite libri scampati alla damnatio memoriae del Mondo Nuovo, tra cui alcune opere di Shakespeare. John comprende come la perfetta società umana scaturita dalle scelte del passato non sia altro che un imbroglio in cui nessuno ha libertà di scelta e, incapace di sopportarne le regole, sceglie infine di suicidarsi. In questo romanzo ci avviciniamo moltissimo alla concretizzazione di un’utopia positiva, un mondo senza conflitti, malattie o infelicità, ma il prezzo da pagare è altissimo e, agli occhi di un uomo semplice e libero, questo mondo perfetto si rivela per quello che è, una delle peggiori distopie mai immaginate.
Col passare degli anni, e l’aumentare della consapevolezza relativa ai perigliosi fiordi su cui l’uomo scruta il domani nella seconda metà del Novecento, le onde del pessimismo diventano sempre più forti. La fine della Seconda Guerra Mondiale e la spada di Damocle dell’olocausto atomico spingono gli autori a non vedere che buio all’orizzonte.
Ne Il signore delle mosche, celebre romanzo d’esordio del Premio Nobel inglese William Golding, si tende a immaginare l’impossibilità dell’uomo, a qualunque livello, di superare l’impulso ancestrale della violenza.
Il romanzo esce nel 1954, e immagina il tentativo fallimentare di un gruppo di ragazzi dispersi su un’isola deserta durante un non identificato conflitto nucleare, di autogovernarsi in una società priva di adulti. È infatti la violenza dei più forti ad assumere quasi subito il controllo, prevaricando i più deboli e spezzando le regole di convivenza civile. La conchiglia che dà diritto di parola durante i raduni viene frantumata, gli occhiali del ragazzo miope sottratti per accendere il fuoco, infine la morte dei propri simili è portata dai cacciatori, poco prima dell’arrivo degli adulti salvatori, sgomenti di fronte alla regressione dei ragazzi. Tutto ruota intorno alla poetica dell’autore, secondo il quale “Gli umani producono il male come le api producono il miele”.
Pochi anni dopo, nel 1962, anche Anthony Burgess affonda la enna nel calamaio della distopia, sfornando Arancia Meccanica nel 1962 e Il seme inquieto nel 1964. Nel primo libro, reso immortale dalla trasposizione cinematografica firmata da Kubrick, l’autore immagina una società in cui l’estrema e diffusa violenza viene combattuta attraverso programmi di ricondizionamento mentale, che impediscono alle persone sottoposte al trattamento di usare qualsiasi forma di violenza. Alex, il protagonista, dopo una vita di crimini giustificati solo dalla sua pura malvagità, viene arrestato e, in cambio di uno sconto di pena accetta di fare da cavia per la Cura Ludovico. Attraverso essa Alex diviene incapace di difendersi e autodeterminarsi, perché qualunque forma di violenza gli provoca devastanti attacchi di nausea che lo rendono totalmente innocuo. Dopo essere stato vittima di una lunga serie di contrappassi, il ragazzo tenta il suicidio, screditando il governo e i suoi metodi brutali, costringendo così il potere a rimediare per salvare la faccia. Il finale del romanzo, diverso da quello del film, mostra un Alex desideroso di una vita migliore e di una famiglia, disinteressato ormai alla violenza, che però vede come una marea inarrestabile, destinata a salire sempre di più negli anni a venire.
Perfino più attuale ma assai meno noto è il Seme inquieto, in cui Burgess immagina una società che, per risolvere il problema della sovrappopolazione, dapprima incoraggia l’omosessualità, per poi sfruttare lo spauracchio di un falso conflitto tramite cui trasformare i caduti in derrate alimentari. Il cannibalismo come soluzione al problema dell’esaurimento delle risorse naturali viene portato al cinema da Richard Fleischer nel 1973 con 2022 – I sopravvissuti, pellicola leggendaria interpretata da Charlton Heston. Ispirata al romanzo del 1966 Largo! Largo! ma differente nello sviluppo, questo film immagina lo Stato fornitore unico di derrate alimentari, il cosiddetto soylent, un derivato edibile del plancton marino. Quando dopo una serie di indagini il detective Thorn scopre che il plancton è estinto da decenni, svela il terribile incubo in cui vivono da svegli tutti gli umani inconsapevoli: il soylent è realizzato coi cadaveri. Indimenticabile la sequenza di suicidio volontario da parte dell’anziano Roth che, stanco di un mondo ormai al collasso, sceglie l’eutanasia nel Tempio. Durante gli ultimi attimi di vita di fronte a lui vengono proiettate immagini della natura di un tempo, tramonti, foreste, animali, tutto ciò che lui è ancora in grado di ricordare, e che il più giovane protagonista non ha mai visto. Commossi entrambi di fronte alla bellezza perduta del mondo di un tempo, Thorn chiede all’anziano amico chi abbia potuto permettere che tutto quello andasse perduto, lui risponde con un amarissimo noi.
Nel 1953 Ray Bradbury pubblica Fahrenheit 451, uno dei capolavori distopici per eccellenza, poi adattato al cinema da Truffaut, in cui la lettura e il possesso dei libri sono proibiti dallo Stato in quanto sovversivi. Per arginare il pericolo legato ai libri è impiegato il corpo dei pompieri, autorizzati a dare fuoco a ogni testo scovato, oltre che alle case dei lettori criminali. Guy Montag, pompiere integerrimo, inizia a dubitare della sua missione di fronte al sacrificio di alcune persone, pronte a tutto per difendere i testi e il loro contenuto. Inizia quindi a leggere, scoprendo di non poterne fare a meno. Viene però presto tradito e perseguito, fino a trovare riparo in una confraternita in cui ogni membro impara a memoria il contenuto di un libro per poterlo salvaguardare dalla distruzione e tramandare verso epoche future, nella speranza che possano essere più illuminate. Qui è la cultura ad essere al centro della riflessione negativa sul futuro, coi libri da perseguitare in quanto sorgenti di pensiero indipendente.
Come argine alla violenza inarrestabile sono stati immaginati scenari carcerari abominevoli, nella visione di abbandonare i criminali al loro destino, senza alcuna possibilità di recupero. Nel 1981 esce al cinema 1999 Fuga da New York di Carpenter, dove una porzione di città grande come Manhattan viene usata come immensa prigione senza sbarre o secondini, in cui sbattere i delinquenti per dimenticarsene. Nel 1992 è il turno di 2013 La Fortezza di Stuart Gordon, in cui il carcere è sotterraneo e gestito senza alcuna umanità. Il protagonista vi viene deportato in quanto ha tentato di avere più di un figlio, contravvenendo così al regime del figlio unico del mondo in questione. Ancora una volta torna in campo la sovrappopolazione e un disumano controllo delle nascite.
Con l’avvento dei computer e il loro esponenziale aumento di prestazioni, l’uomo ha iniziato a immaginare la nostra specie a contatto con una forma di vita artificiale superiore che, come un Pinocchio ribelle, finisce quasi sempre per metterci sotto il suo controllo. Dallo Skynet di Terminator, che ci vuole tutti morti allo sfruttamento della nostra energia vitale in Matrix da parte delle macchine, dai dispetti di Hal 9000 in 2001 Odissea nello Spazio a quelli dell’androide Ash in Alien, fino ai sentimenti sviluppato dall’androide domestico acquistato da Alberto Sordi in Io e Caterina, il rapporto con le intelligenze artificiali ci vede quasi sempre nel ruolo di vittima sacrificale, virus da sterminare, sciocca creatura da guidare. L’ambizione di affiancarci strumenti capaci di portarci in un futuro di prosperità viene quindi stroncato dalla rivolta degli strumenti. Ne La fuga di Logan si immagina un futuro in cui, a causa di un conflitto che ha reso il mondo inabitabile, gli umani possono vivere per trenta anni sotto un’immensa cupola. Allo scadere del tempo il super computer che gestisce ogni aspetto della vita convoca le persone al Carousel, un evento nel quale gli umani alla fine del loro ciclo vitale vengono rinnovati per ricominciare da capo. La verità che verrà scoperta dal sorvegliante Logan 5 però è ben diversa. Il mondo fuori dalla cupola è infatti tornato abitabile e la presenza di un fuggiasco divenuto anziano ne è la prova. Anche nel meraviglioso Wall-e, film di animazione della Pixar si immagina ciò che resta del genere umano a vagare nello spazio per un’infinita crociera stellare, in attesa che le condizioni di una Terra ormai consumata ritornino compatibili con la vita. Solo l’intervento di due piccoli robot permette agli umani di scoprire di essere in realtà prigionieri inconsapevoli del programma di un computer deciso a non comunicare la verità che lo renderebbe ormai superato. L’unico solido argine al dominio delle macchine ci è stato lasciato da Isaac Asimov, massimo scrittore di fantascienza di tutti i tempi e autore delle famose Leggi della Robotica. Le tre leggi principali regolano il rapporto tra robot e umani, mentre la quarta, nota come Legge Zero, tutela il rapporto tra i robot e l’umanità. Lo scopo delle leggi è permettere alle macchine di collaborare in maniera fruttuosa e rispettosa con i creatori, così come la quarta consente alle stesse di aggirare le prime tre se ne va della prosperità o della sopravvivenza della razza umana. Forte delle sue leggi, Asimov pensava che le macchine avrebbero potuto sostenerci nel coordinare il nostro sviluppo meglio di come facciamo da soli, come del resto ben esplica nel suo romanzo Neanche gli Dei, vincitore dei premi Hugo e Nebula nel 1972. In questo romanzo, considerato da Asimov stesso il suo prodotto migliore, l’autore immagina una storia multidimensionale. Nel nostro universo l’umanità sembrerebbe avere risolto ogni problema grazie alla scoperta di una fonte infinita di energia ottenuta tramite uno scambio di particelle atomiche tra il nostro universo e uno parallelo. Quando uno scienziato si rende conto che questo scambio sta stravolgendo la struttura del nostro universo, nessuno sembra disposto a dargli retta. Nell’altro universo del resto, gli alieni perfettamente consapevoli della situazione scelgono di non avvisarci, prima perché restii a credere che il messaggio verrebbe compreso, e poi per egoismo. Solo nella terza parte il problema verrà risolto coinvolgendo un terzo universo nel processo, un cosmo primordiale con leggi fisiche ancora in formazione e totalmente privo di vita. Il senso del titolo è che contro la stupidità degli uomini neanche gli dei possono nulla. Qui andiamo molto vicino al raggiungimento dell’utopia, ma per raggiungerla è stato necessario rischiare di distruggere il nostro universo per poi coinvolgerlo in un rapporto a tre con un uovo cosmico e un altro universo.
Nel 1985 la ricerca di nuove forme di distopia porta Terry Gilliam a dirigere Brazil, uno dei film culto degli anni Ottanta, considerato tra i più inquietanti per aderenza alla nostra realtà nello scenario immaginato. Nella società di questo futuro è la burocrazia ad avere assunto il controllo di ogni aspetto della vita. Sam, il protagonista, è un semplice funzionario statale, che si trova a battersi per amore contro un sistema paradossale e iniquo. Al suo fianco apparirà Tuttle, un tecnico riparatore dei condizionatori contrario ai protocolli, visto dallo Stato come un pericoloso sovversivo. Durante una delle sue mansioni, Sam si imbatte in una donna vista nei suoi sogni, di cui si innamora, per la quale decide di opporsi al sistema. In una società schiava delle apparenze e quasi totalmente privata dei suoi sogni, Sam e Tuttle verranno però inesorabilmente sconfitti, in uno dei finali più amari di questo genere, che ricorda molto il romanzo di Orwell a cui il regista si era ispirato al punto da voler inizialmente intitolare l’opera 1984 e ½ , in un ossequio doppio rivolto anche a Federico Fellini.
Oggi la spinta propulsiva a immaginare scenari e soluzioni per migliorare la qualità della vita in un domani dai contorni tetri, su cui l’umanità ha avuto oltre un secolo per meditare, è appannaggio della futurologia. Questa nuova materia di studio accademica ha come obiettivo la riflessione sui possibili scenari futuri, alla ricerca di quelli migliori, sostenibili o preferibili, senza esigenze narrative o di pubblico a cui badare.
Al cinema e in letteratura il genere fantascientifico risente del non essere riuscito per tempo a immaginare la rivoluzione che internet avrebbe portato in tutti i campi della nostra specie, e che sta riscrivendo, da un punto di vista antropologico, moltissimi aspetti dei nostri stili di vita quotidiani, a una velocità così elevata da rendere difficile mettere a fuoco per tempo le conseguenze.
Volendo provare a tirare delle conclusioni, potremmo dire che dopo un secolo di esperimenti filmici e letterari l’uomo non abbia mostrato fiducia nel futuro per colpa della sua natura violenta ed egoista, che ha reso gli autori incapaci di immaginare un mondo più giusto e accogliente tramite il superamento dei suddetti limiti. Gli stessi che rendevano impossibile la realizzazione del modello utopico filosofico e che oggi impediscono il raggiungimento di un necessario e fondamentale passo avanti dell’umanità verso una nuova era di prosperità, mettendo così a rischio la sopravvivenza stessa della nostra specie. Questi limiti sono tutti perfettamente umani, e potrebbero essere superati, anche in considerazione delle potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione, se solo ce ne fosse la volontà. Purtroppo la storia dell’umanità ci ha più volte dimostrato che a trionfare è sempre il radicale egoismo che si cela dietro gli interessi personali o macroscopici della nostra specie, incapace in un intero secolo di speculazione di sognare un mondo migliore per tutti.
Nemmeno l’amore sembra riuscire a metterci in condizione di sognare un epilogo da felici e contenti, in quanto l’unico modo per avvicinarsi alla realizzazione di una vera utopia parrebbe dipendere dalla rinuncia parziale o totale di ogni forma di libero arbitrio e dei sentimenti.
Non ci resta quindi che sperare nello sforzo speculativo degli autori del futuro, per poter almeno sperare di potersi un giorno rifugiare in un mondo ideale, almeno sullo schermo o tra le pagine di un libro, cui anelare per un futuro migliore nella realtà.

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