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Nuove fonti di innovazione tecnologica per la ‘Ndrangheta: la moneta elettronica
di , numero 55, giugno 2023, Note e Riflessioni, DOI

Nuove fonti di innovazione tecnologica per la ‘Ndrangheta: la moneta elettronica
Come citare questo articolo:
Marica Barbaritano, Nuove fonti di innovazione tecnologica per la ‘Ndrangheta: la moneta elettronica, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 55, no. 21, giugno 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.10725

Negli ultimi anni si sta assistendo ad un cambio di rotta del potere della ‘Ndrangheta: la figura tradizionale del mafioso coinvolto in sparatorie e altri reati legati al mondo fisico si sta dissolvendo pian piano. Oggi, infatti, il mafioso è sempre più impegnato in altro genere di attività, specialmente quelle relative a questioni economiche e sociali. Non è un caso che il numero degli attentati di mafia sia diminuito a scapito di un aumento di transazioni relative ad investimenti via web; ed è proprio per questi motivi che il mafioso è sempre più “costretto” ad avere a che fare con l’economia e l’informatica.
Negli ultimi mesi, il rapporto tra ‘ndrangheta e criptovalute è diventato un argomento di intensa discussione1. Oltre ad essere stata definita come una delle più potenti organizzazioni criminali nel mondo, la ‘Ndrangheta è stata accusata anche di aver riciclato miliardi di euro grazie all’aiuto delle criptovalute. D’altronde, non può essere considerata una novità il fatto che la ‘Ndrangheta è disposta allo sfruttamento di qualsiasi opportunità per perseguire il successo delle proprie attività criminali ed il mondo delle criptovalute – o più in generale della moneta elettronica – non fa eccezione.
Poiché le valute virtuali sono delle rappresentazioni digitali di valore utilizzate come mezzo di pagamento per l’acquisto di beni e servizi su base volontaria, esse non costituiscono moneta legale, né sono assimilabili alla moneta elettronica, in quanto non emesse da Banche Centrali o da autorità pubbliche. Di agevole trasferibilità, conservazione e negoziazione elettronica, le monete virtuali facilitano lo scambio di ricchezze tra soggetti che possono operare in Stati diversi, inclusi quelli che non assicurano un’efficace cooperazione giudiziaria o che presentano delle lacune in tema di normativa antiriciclaggio. Detto in altri termini, la ‘Ndrangheta sta iniziando a perseguire una filosofia incentrata sul decentramento. Molto spesso, gli accordi vengono stipulati tramite le chat di Telegram, in quanto non rintracciabili, e grazie all’utilizzo di tanti prestanome disposti ad investire poche migliaia di euro per poi convertirli in dollari o euro a seconda di dove si vuole riciclare il denaro.
Grazie al suo anonimato, il Bitcoin è diventata una delle valute predilette dalla ‘Ndrangheta: essa, infatti, consente di condurre transazioni senza doversi preoccupare di essere rintracciati dalle Forze dell’Ordine. Come riportato da Gratteri in una recente intervista, «Più volte in alcune indagini2 abbiamo visto gli ‘ndranghetisti, soprattutto i trafficati di cocaina, dire ai colombiani “vi paghiamo con bitcoin». Risale, infatti, al lontano aprile 2019 la prima traccia dell’utilizzo dei Bitcoin da parte di alcuni clan della Locride per il pagamento di alcune partite di cocaina provenienti dal Brasile. Tuttavia, l’affare sarebbe saltato in quanto i narcotrafficanti brasiliani non erano ancora dotati delle competenze per poter gestire questa transazione.
Utilizzando i Bitcoin, la ‘Ndrangheta sta diventando sempre più sofisticata nell’utilizzo delle criptovalute, diventando così ancora più pericolosa e redditizia rispetto al passato: secondo una recente analisi condotta dal CESI3, in alcuni paesi, tra cui Brasile, Costa Rica, Repubblica Dominicana e Venezuela, sono state individuate delle vere e proprie strutture operative costruite dalle ‘ndrine per gestire al meglio l’approvvigionamento della cocaina. Ma non solo: la ‘Ndrangheta utilizza i Bitcoin anche per il riciclaggio di denaro trasferendo piccole somme di denaro attraverso bancomat virtuali.
Per il CESI, la dimestichezza dell’organizzazione mafiosa in questo settore è tale da aver già superato l’utilizzo dei Bitcoin, sperimentando così l’utilizzo di altre criptovalute, tra cui Monero. Basato sulla blockchain, questo innovativo sistema di pagamento virtuale inaugurato nel 2014 fornisce un minor numero di informazioni pubbliche rispetto ai Bitcoin. Secondo la relazione dell’Unità di informazione di Bankitalia,4 nel 2017 sono state registrate oltre 200 segnalazioni sospette riferite all’utilizzo di criptovalute dietro le quali in alcuni casi si celavano diverse attività illecite che hanno innescato attività investigative rilevanti tra cui: estorsioni online, truffe, schemi piramidali, utilizzo di fondi pubblici e paradisi fiscali.
Tale dimestichezza è stata confermata anche dalla maxioperazione “European ‘ndrangheta connection”5, detta anche “Pollino” del dicembre 2018 che portato all’arresto di oltre 90 persone implicate in traffici internazionali di stupefacenti e riciclaggio tra Italia, Belgio, Brasile e Paesi Bassi.
Tuttavia, sia per la difficoltà nel comprendere il fenomeno che a causa della sua continua evoluzione, le Autorità Pubbliche ancora faticano ad individuare delle modalità ottimali di regolamentazione della blockchain. In aggiunta, attualmente, non esiste un regolamento in grado di ostacolare il riciclaggio delle cosche mafiose tramite i Bitcoin: l’Europa resta ancora molto arretrata nel contrasto alle nuove mafie.
Nel 2017 la Commissione Europea pubblicò un documento relativo alla valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo condotta a livello sovranazionale, in cui emergeva un rischio significativo legato all’utilizzo delle monete virtuali. Sulla base di tale documento, nel 2018 venne emanata la Quinta Direttiva dell’Unione Europea in materia di antiriciclaggio che mirava, tra le altre cose, al contenimento dei rischi connessi all’utilizzo delle carte prepagate e delle monete virtuali. A tal proposito, è doveroso menzionare il provvedimento introdotto nel 2018 dalla Finma, l’autorità svizzera che controlla i mercati, che ha introdotto l’obbligo dell’utilizzo della procedura KYC (Know Your Customer) per l’acquisto dei Bitcoin, con l’obiettivo di creare una rete specializzata a livello globale.
Più recentemente, nel 2022, Basilea è stata terreno di incontro tra l’Europol e la DIA per la creazione di una rete internazionale di esperti impegnati nel contrasto al riciclaggio mediante l’uso della moneta virtuale, che fa seguito alla Conferenza Globale sulle Valute Virtuali tenutasi nel 2017 in Qatar. Un impegno fondamentale non solo di contrasto alle mafie, ma anche del terrorismo internazionale che, purtroppo, riesce a finanziarsi tramite finte organizzazioni non lucrative.
Tutte queste considerazioni aprono un altro fronte: quello dell’attivazione delle procedure dei Non Fungible Token (o Nft) espressione che, tradotta in italiano, significa “gettone non replicabile”. Il valore aggiunto di questo nuovo prodotto virtuale risiede nella sua creazione in rete con l’obiettivo di identificarlo in maniera univoca e non modificabile e, quindi, consentire al proprietario di godere dei vantaggi legati alla certificazione della sua unicità. Diversamente dalle criptovalute che possono essere considerate mezzi di pagamento digitali fungibili, una Nft è un bene non replicabile: la sua unicità rappresenta la “chiave del successo”.
La comunità finanziaria e le principali riviste specializzate in materia di Tecnofinanza stanno rivolgendo particolare attenzione verso le tematiche relative agli investimenti in Nft, le cui dimensioni hanno visto una rapida crescita nel 2021, come riportato da “Nft Report 2020”6: il mercato dei Nft ha superato il volume d’affari dei 250 milioni di dollari grazie alla vendita di articoli di lusso, moda e sport. Parallelamente, sta emergendo una nuova problematica legata all’e-commerce degli Nft, in quanto legato ad un registro digitale in cui vengono memorizzati i dati e le relative transazioni, senza alcuna possibilità di alterazione e/o eliminazione. Secondo gli investigatori della Dia, questo processo ben si presta a fenomeni che spaziano dal riciclaggio alla contraffazione, in quanto lo sviluppo esponenziale degli Nft non è controllato da alcuna regolamentazione settoriale. Inoltre, proprio sul fronte della lotta al riciclaggio è molto probabile che le procedure di commercio e realizzazione degli Nft possano essere finalizzate all’eliminazione di ogni traccia di origine illecita dei capitali grazie allo spostamento in un mercato non regolamentato.
Ancora non c’è un’adeguata percezione di questo nuovo step della ‘ndrangheta: una maggior comprensione e sensibilizzazione della problematica da parte delle Autorità Pubbliche è auspicabile per l’introduzione di nuove riforme atte a contrastare questa nuova frontiera d’azione della ‘Ndrangheta. Purtroppo, in alcuni Paesi del Centro e del Nord Europa, gli Stati sono ancora restii in tal senso: in questi Paesi è forte la convinzione che la mafia non esista, in quanto non ci sono attentanti ma solo vendita di sostanze stupefacenti, alcune delle quali legali. Ma le mafie, purtroppo, sono intelligenti e furbe, e hanno capito che non bisogna ripetere gli errori del passato ma bensì individuare e sfruttare nuove tecnologie. Riusciranno a mettere le mani anche nel mondo dei social network?

Note

  1. Sicurella, S. (2022). Le mafie italiane nel cyberspazio: nuova frontiera o terreno di sperimentazione? Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, 16.
  2. Gratteri, N. (2022) ‘Ndrangheta, l’offensiva dello Stato. Il coraggio “contagioso” del Giudice Gratteri. RAI.
  3. CESI (2020). L’uso delle Criptovalute nelle attività internazionali della ‘Ndrangheta.
  4. Banca d’Italia (2017). Relazione annuale sul 2017.
  5. European ‘Ndrangheta Connection.
  6. NonFungible Corporation, (2020). Non-fungible Tokens Yearly Report.

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