La corruzione come caduta di sistema: sintomi e risposte
Mirco Dondi, La corruzione come caduta di sistema: sintomi e risposte, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 56, dicembre 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.11178
La storiografia italiana ha, sin dai suoi esordi scientifici, faticato ad integrare tra le sue categorie euristiche il prisma della “corruzione”, malgrado la sua centralità concettuale nella tradizione del pensiero occidentale (basti riferirsi al paradigma aristotelico della “degenerazione evolutiva”)1 e quindi delle scienze umane latamente intese.
Su un altro versante storiografico, influenzato dalla visione gramsciana, la corruzione trovava dignità d’attenzione solo nei rarissimi ed epocali casi in cui la “crisi” riusciva a farsi “organica”, fondendo la recessione economica, la decadenza politica, la delegittimazione istituzionale e la sovversione civile3.
Eppure, in una nazione che ha spesso teso ad auto-riconoscersi con connotati “gattopardeschi” ed in termini di permanente emergenza disfunzionale4, la corruzione – locale o sistemica, puntuale o endemica, esclusivamente finanziaria o di contaminazione plurale – si è dimostrata un agente storico spesso decisivo nella determinazione dei fattori di cambiamento e finanche delle cesure periodizzanti5. La corruzione percepita e pubblicamente denunciata è in grado di sgretolare le dittature come i regimi democratici.
Va in effetti detto come, venute meno le pressioni e le gabbie ideologiche sostenute dalla temperie della guerra fredda, la comunità degli studiosi italiani abbia finalmente preso l’impegno d’iniziare a rischiarare – con rigore metodologico – tali processi e tali relazioni neglette. Non va dimenticato come sia stata la sociologia la disciplina a offrire per prima l’impostazione e i contributi più interessanti6. Il percorso monografico che s’intende qui presentare tenta di fornire un piccolo contributo in questa direzione, focalizzandosi sugli ambienti, i brodi di coltura e le vasche di esercizio (le cosiddette “corruttele”), di alcune emblematiche espressioni della corruzione (concepita nella sua accezione più larga di “necrosi”) nella storia contemporanea d’Italia, senza lesinare alcuni “sguardi allo specchio”, mediati dal mondo transalpino, autentico confratello latino.
A Napoli – scrive Federica Gatti – la caduta della corrotta amministrazione comunale di Achille Lauro, nota per le speculazioni edilizie degli anni Cinquanta, non porta a un governo rigeneratore e a un diverso rispetto del territorio. Continua l’uso della mano pubblica come strumento di consenso, da un lato verso i grandi costruttori, dall’altro con le assunzioni nel Comune al di là di ogni necessità. Un sistema di corruzione policentrico, per sua natura non facilmente arginabile e un con terreno favorevole alla sua riproduzione.
L’uso della spesa pubblica come strumento di consenso diviene ancora più larga pratica di governo in Italia negli anni Ottanta quando il rapporto tra il Debito pubblico e il Prodotto interno lordo arriva quasi a raddoppiare sfiorando il 100% del Pil alla fine del decennio, dopo che nel 1980 era attestato al 55%. Che cosa c’è nell’allargamento smodato della spesa pubblica lo svela nel 1992 la stagione di Mani Pulite qui riproposta nel saggio di Jacopo Quagliani analizzando il successo del quotidiano “L’Indipendente” diretto da Vittorio Feltri che cavalcò, non innocentemente, l’onda di sdegno presente nel Paese. Al di là del cinismo strumentale del direttore, la vicenda mostra come il fenomeno assuma rilievo poiché cresce il riconoscimento morale verso il lavoro dei giudici. Una reazione indignata dell’opinione pubblica che non si era vista sino a quel momento e che contribuisce a spiegare l’effetto deflagrante di quella stagione. Il moto di riprovazione fra l’opinione pubblica si ritrova anche nella nota di Gianni Barbacetto che, all’alba della stagione di Tangentopoli, uscì con un libro anticipatore scritto con Elio Veltri: Milano degli scandali (Roma – Bari, Laterza, 1992). Il contributo qua proposto da Barbacetto sintetizza le tappe di quella stagione smontandone alcuni luoghi comuni, come la mancata volontà del pool di Mani Pulite di indagare sul Partito comunista o come la carcerazione forzata degli arrestati per indurli a confessare. Tangentopoli come la Napoli della speculazione edilizia degli anni Cinquanta e Sessanta hanno in comune la matrice di una corruzione non episodica ma sistemica.
Anche Roberto Tesei affronta lo snodo del 1992 partendo dal dibattito sulla questione morale, lanciata nel luglio 1981 da Enrico Berlinguer in una intervista a Eugenio Scalfari. La formula non è nuova e nel 1895 il deputato dell’estrema sinistra pre-giolittiana Felice Cavallotti aveva usato questo titolo per denunciare le malefatte di Francesco Crispi (Per la storia: la questione morale su Francesco Crispi, Milano, Aliprandi, 1895) Quanto al contesto palermitano degli anni Ottanta, indignazione morale e lotta alle infiltrazioni mafiose danno vita alla primavera palermitana inaugurata dalla nuova giunta comunale guidata dal sindaco Leoluca Orlando. Curiosamente l’evocazione cavallottiana attraversa da vicino la stessa stagione di Tangentopoli. Nel 1993 viene ripubblicata Lettera agli onesti di tutti i partiti (Quid, Santa Marinella), con il quale il leader della sinistra estrema concludeva la sua campagna contro Francesco Crispi.
Rimanda ancora all’eco del 1992 l’articolo di Lorenzo Longhi e Alberto Molinari sullo scandalo di Calciopoli – nel nome vi è un chiaro riferimento a Tangentopoli – scoppiato nella primavera del 2006 come sviluppo di una prima indagine avviata nel 2005 sul doping sportivo. La rete di corruzione che emerge investe i dirigenti della Juventus – la squadra più titolata e con il maggior numero di tifosi – estendendosi a raggiera al governo nazionale del calcio, agli arbitri, senza risparmiare una parte dei media, anch’essi inseriti nella recita della grande truffa sportiva di cui uno dei principali architetti è stato il direttore sportivo della Juventus Luciano Moggi. Se Tangentopoli segna una caduta di sistema (la fine dei partiti che avevano dato origine alla Repubblica), Calciopoli lo è solo in parte, per quanto cambino i vertici del calcio. I due fenomeni si accomunano per l’esito parziale della spinta rigeneratrice e per il non trascurabile ruolo dei media nel determinare le prime fasi dell’inchiesta.
Un improprio ricorso alla morale sembra delinearsi come una traccia sottostante alla fine del terrorismo rosso e specialmente dell’esperienza brigatista. Esther Guiducci mette in luce, soprattutto attraverso le parole degli stessi brigatisti, come l’ondata di pentimento dei terroristi, ammantata da un’analisi sociale e da un ravvedimento etico, sia molto più spesso uno scambio mercantilistico tra l’offerta di clemenza dello Stato e la pienezza delle confessioni dei brigatisti. In campo letterario un affresco sulla degradazione dei costumi la offre, per originalità di approccio, Wabiy Salawu che prende in esame il romanzo di Emile Zola Nanà mettendone in mostra l’intento sociale dell’autore che sceglie di rappresentare attraverso il corpo di una donna il clima di decadenza del Secondo impero. Ascesa sociale e mercimonio contraddistinguono la spregiudicatezza di questa donna la cui forza dissolutrice si estende al patrimonio dei suoi amanti. La rilettura che ne propone Wabiy Salawu si incentra sui simboli che l’autore costruisce, senza trascurare naturalmente il contributo della critica zoliana e la lettura del contesto storico di fine Ottocento. Nella sezione “Note e riflessioni” a utile corredo dell’impianto interpretativo proposto da Salawu, si segnala l’approfondimento filosofico di Eva Rizzuti che indaga l’universo simbolico e semantico della corruzione in un percorso che va dai classici greci passando per Dante, il buddismo esoterico, Mircea Eliade.
Ancora di ambiente francese, ma spostandosi agli anni Cinquanta del Novecento, Federico Dionisi studia la gioventù transalpina di fronte alla guerra di Algeria, il suo largo rifiuto a partecipare a un conflitto che mostra la degradazione dei valori costitutivi di una nazione di fronte a una mai sopita ambizione di grandezza. La guerra di Algeria diventa l’inattesa cartina di tornasole delle contraddizioni di una nazione che non esita a far crollare un’istituzione come la Terza Repubblica, o ancora, in assenza di riscontri decisivi, che punta a minare l’ordinamento democratico appena ricostituito con l’istituzione della quarta Repubblica. In questa vicenda non c’è soltanto un sopravvissuto ruolo di potenza coloniale, un nazionalismo fuori dal tempo, ma la crisi algerina mette in discussione gli stessi valori della sinistra socialista e comunista che si rivela ambigua di fronte al manifestarsi della crisi e ritrova una sua linea soltanto quando quella guerra è ormai irrimediabilmente compromessa: una presa di coscienza tardiva, si potrebbe dire.
Fuori dal tema della corruzione, ma di indubbio interesse il saggio di Flavio Ferri sulla strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974, una ferita sempre aperta) incentrato sulla costruzione della memoria collettiva attraverso l’analisi dei monumenti dedicati alla strage.
Ancora a parte, rispetto al tema monografico si segnala il saggio di Francesco Pellegrini che mette in relazione il nazionalista Luigi Federzoni – ministro e figura eminente nell’Italia fascista – con il suo ambiente di formazione sul quale agisce la forte impronta lasciata dal padre Giovanni, dantista e allievo di Giosuè Carducci. Non a caso il saggio si intitola I Federzoni tra politica e cultura. L’originalità di questo contributo sta, oltre che nell’inedito taglio politico – culturale, nel corpo documentale grazie accesso al fondo familiare Federzoni solo parzialmente confluito all’Archivio centrale dello Stato.
Note
- Cfr. Aristotle’s De generatione et corruptione, Oxford, Oxford University Press, 2020.
- «Non appartiene allo storico soffermarsi sugli incidenti dei cosiddetti “scandali bancari” e sulle indagini delle responsabilità e delle colpe, materia prediletta dei moralisti a buon mercato», in Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1973 [1° ed. 1928], p. 245; si veda anche: Benedetto Croce, La Storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1938.
- Alessandro Pizzorno, Sul metodo di Gramsci: dalla storiografia alla scienza politica, in P. Rossi (a cura di), Gramsci e la cultura contemporanea, Roma, Editori Riuniti, 1969; Hugues Portelli, Gramsci et le bloc historique, Paris, Presses Universitaires de France, 1972, trad. it. Gramsci e il blocco storico, Roma-Bari, Laterza, 1973.
- John Dickie, John Foot and Frank M. Snowden (a cura di), Disastro! Disasters in Italy since 1860: culture, politcs, society, New York, Palgrave, 2002; Guido Crainz, Il Paese mancato, Roma, Donzelli, 2003.
- Donatella Della Porta, Alberto Vannucci, La corruzione come sistema: meccanismi, dinamiche, attori, Bologna, Il Mulino, 2021; Giorgio Galli, La stagnazione d’Italia: dalla ricostruzione alla corruzione in dieci nodi della storia italiana dal 1945 al 2019, Sesto San Giovanni, Oaks, 2019; Isaia Sales, Simona Melorio, Storia dell’Italia corrotta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019; Sergio Turone, Politica ladra. Storia della corruzione in Italia, 1861-1992 , Roma-Bari, Laterza, 1992; Carlo Tullio-Altan, Populismo e trasformismo: saggio sulle ideologie politiche italiane, Milano, Feltrinelli, 1989.
- Fra questi va senz’altro ricordato: Luigi Graziano, Clientelismo e sistema politico, Milano Angeli, 1984; Franco Cazzola, Della corruzione, Bologna, Il Mulino, 1988; di interesse rispetto al tema di Mani Pulite: Franco Cazzola, Massimo Morisi, Magistratura e classe politica, in “Sociologia del diritto”, n 1, 1995; Donatella della Porta, Lo scambio occulto , Bologna, Il Mulino, 1992. Interessante anche il contributo giuridico di Vito Marino Cafera, Il sistema della corruzione. Le ragioni, i soggetti, i luoghi, Roma-Bari, Laterza, 1992.
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