Bibliomanie

Sul femminicidio. Cause e possibili rimedi
di , numero 34, settembre/dicembre2013, Note e Riflessioni,

Come citare questo articolo:
Giovanni Ghiselli, Sul femminicidio. Cause e possibili rimedi, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 34, no. 13, settembre/dicembre2013

Continua a gocciare sulle nostre coscienze lo stillicidio del sangue uscito fuori dal corpo di donne uccise da uomini che non sopportano di essere lasciati. Invece di limitarsi a lamenti come quelli di Arianna abbandonata da Teseo, o a querimonie simili al piagnucolare di Orfeo che, non senza colpa, ha perso Euridice, costoro infieriscono sul corpo delle ex compagne facendone scempio.
Tali orrendi misfatti, che si ripetono pressoché ogni giorno, vengono puntualmente, giustamente e quasi unanimemente esecrati dalla stampa. Ma sinora non sono stati fermati, né ridotti di numero, di frequenza, e, anzi, sono in aumento.
Provo allora ad indicare una modesta spiegazione delle cause e una men che modesta proposta di rimedio.
Tuttavia ne potrebbero ricavare, forse, qualche suggerimento le donne in pericolo e perfino gli uomini tentati di por termine al loro tormento amoroso, al loro avvilimento, addirittura al loro essere uomini, perpetrando un crimine brutale, da bestie feroci. Ho scritto “bestie” non come slogan, e “feroci” non quale epiteto ingiurioso suggerito dall’ira che pure mi detta queste parole, a loro volta non miti. Difficile est tragoediam non scribere.
Gli assassini delle donne rinunciano all’identità di uomini per non sentirsi dei reietti, dei falliti, dei valutati quali “nessuno”.
Il fatto è che l’amore per una persona, se viene contraccambiato, è una conquista di identità. Pensa, lettore, al protagonista de Il grande Gatsby. Daisy per lui era la conferma necessaria dell’ingresso sognato, desiderato con tutto il suo essere, nel mondo dei ricchi.
Un mondo non bello, né buono, bensì spietato, corrotto, indifferente ai sentimenti, un globo sensibile solo al denaro, che però attirava le brame di quest’uomo, frustrato fin da bambino.
Oppure pensiamo a Medea, che, figlia del re della Colchide, lascia la patria, rinuncia al suo rango, tradisce la famiglia di origine, per diventare la sposa di Giasone, la madre dei suoi figli, poi viene scartata, posposta a un’altra, una principessa greca, assai più conveniente per quell’uomo pragmatico.
Allora la donna arcaica, la barbara abbandonata, non sopporta di perdere questa seconda identità, scelta in cambio della prima: un cambio sbagliato. Medea non tollera il proprio errore, non perdona chi l’ha ingannata, e non prova compassione per nessuno, nemmeno per se stessa. Quindi ammazza i bambini avuti da Giasone.
Non c’è cosa più amara, probabilmente, della perdita di un’identità cercata con tutte le forze e temporaneamente raggiunta. Non esiste forse dolore più grande. Allora è necessario, fra il resto, inserire l’educazione amorosa, la paideia dei sentimenti nei programmi educativi, poiché in questo campo l’analfabetismo è molto diffuso, assai più che in quello linguistico.
Non pochi sono i testi letterari che possono fornire idee a un magister amoris. Penso a Ovidio, il quale indica l’ozio tra le cause della smania erotica: Quaeritis Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat (Remedia amoris, vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.
Sappiamo tutti come finirono l’adultero Egisto, l’adultera Clitennestra e Agamennone, il marito tradito. Questo fu ucciso dai due amanti che, a loro volta, vennero ammazzati da Oreste, il figlio di Clitennestra vendicatore del padre.
L’inattività dunque può essere una pessima consigliera. Ora del resto l’ozio il più delle volte non è una scelta, poiché tante persone perdono il lavoro con lo stipendio e spesso, con questi, anche l’equilibrio mentale.
Un’altra causa di squilibrio può essere la clausura in solitudine. La Medea di Euripide, prima di ammazzare i bambini, lamenta la condizione della donna, e pone tra le penalizzazioni più gravi del suo sesso quella della reclusione solitaria in casa: “Un uomo poi, quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,/uscito fuori, depone la noia dal cuore/volgendosi a un amico o ad un coetaneo;/per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona”. Contare su una sola persona dunque è sbagliato.
Giovanni Boccaccio, che conosceva bene il poeta dell’Ars amatoria, il magister Naso, sostiene che gli uomini hanno molte possibilità di alleviare “malinconia o gravezza di pensieri… che a loro, volendo essi, non manca l’andare attorno, udire e vedere molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare o mercatare”, tutte attività con le quali possono trarre l’animo a sé “e dal noioso pensiero rimuoverlo”.
Le donne invece, il più delle volte, sono confinate in casa, e allora sarà conveniente, a parer suo, donare il conforto delle sue cento novelle o favole o parabole “più alle vaghe donne che agli uomini”, in quanto “esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascoste” e “oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano, e quasi oziose sedendosi… seco rivolgono diversi pensieri, li quali non è possibile che sieno sempre allegri”.
Ma qui si parla tuttavia di donne. Noi ora cerchiamo invece le cause della depressione e della follia omicida dei maschi. Abbiamo indicato alcuni fattori che possono scatenare la pazzia criminale: l’orrore della perdita d’identità e il non avere niente da fare, la solitudine imposta, nessun altro interesse che la relazione simbiotica con un’altra persona.

Passiamo ora a qualche pur modesta proposta di prevenzione. Inutile andare ad applaudire le assassinate dentro le bare; a me pare anche un’idiozia, e quasi uno sberleffo ai cadaveri di quelle persone che non sono state protette da vive: bisognerebbe prevenire questi femminicidi con l’educazione dei bambini e degli adolescenti – maschi e femmine, s’intende – e con la prevenzione: al primo segno, direi al primo accenno di violenza, anche solo verbale, il minacciante deve essere redarguito e minacciato a sua volta. Al secondo segno, è necessario un allontanamento forzoso dalla donna, al terzo, la galera – mesi o anni di galera.
Prima ci sarà l’osservare, poi l’ammonire e il minacciare, quindi il punire. Così l’Areopago, secondo Isocrate, teneva a freno i cittadini e impediva la condotta disordinata.
Trovo citate alcune parole di Nancy, figlia di Antonella Russo, la quarantottenne ammazzata dal marito ad Avola: “Le istituzioni sono state sorde. Mia mamma ha lottato per vivere, ha denunciato ai carabinieri quello che stava subendo, ma il suo grido d’aiuto è rimasto inascoltato”.
E il figlio Marco: “Le denunce sono state almeno tre nell’ultimo mese e decine di segnalazioni negli anni. Se le istituzioni avessero preso un provvedimento, questa tragedia sarebbe stata evitata. La colpa è delle forze dell’ordine che non sono intervenute”.
Alcuni parlano di complicità delle donne nel prendersi certi uomini, nel subire le loro vessazioni. Questi ragazzi siciliani, della zona più grecizzata della splendida e calunniatissima isola, non più mafiosa di altre zone abitate da noi italiani , denunciano con forza e chiarezza la complicità o, almeno, l’inefficienza delle istituzioni.
In conclusione: meno applausi alle bare, meno canti in chiesa, e maggior cura dell’educazione, maggiore attenzione e tempestivo seguito alle denunce.
Nella cattedrale di Pergola, nel pesarese, al funerale della trentunenne Lucia Bellucci, cantavano: “E miracolosamente non ho smesso di sognare”.
È invece ora di smettere di sognare, di lamentarsi, di chiacchierare: è tempo di prendere provvedimenti per non andare ad applaudire altre bare di donne ammazzate da uomini che hanno perso la loro identità di uomini umani.

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