Bibliomanie

Storia dell’Hard Rock
di , numero 33, maggio/agosto 2013, Saggi e Studi,

Come citare questo articolo:
Samantha Alessi, Storia dell’Hard Rock, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 33, no. 5, maggio/agosto 2013



“Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre
che ti vengono a cercare. […]
Arrivano e dopo non sei più uguale”
Giorgio Faletti, “Io Uccido”


Scegliere è la condizione necessaria al fine della concretizzazione di un’idea, un progetto, un desiderio, un sogno. Credo che la parte più difficile della scelta sia quel bivio che immancabilmente si spalanca di fronte a noi; quel bivio che, a volte, ci paralizza perché non possiamo avere la certezza di cosa troveremo e cosa perderemo in entrambe le direzioni, ecco, non lo sappiamo….
Quando è arrivato il momento di scegliere su quale argomento scrivere la mia tesi, la risposta è arrivata in modo spontaneo e naturale, senza titubanza. Volevo parlare di qualcosa che fosse importante per me, e che valesse la pena di essere raccontata. Come non pensare a qualcosa riguardante la musica, da sempre mia più grande passione?
Quello della musica è un mondo immenso. Affascinante per via dei suoi mille volti, magico perché coinvolge la sfera emotiva degli individui come poche altre cose sanno fare. E’ un labirinto dove scegliamo di perderci e di rifugiarci, dove riponiamo i nostri sogni nascosti, dove il nostro mondo prende forma e i nostri ricordi rimangono intatti, immortalati tra le membra delle melodie di quelle canzoni, quelle che erano il sottofondo del presente prima che si trasformasse in ricordo….
Il rapporto tra musica e ascoltatore varia in base agli individui: c’è chi si approccia alla musica in modo superficiale, confinandola al ruolo di semplice rumore di sottofondo; c’è chi si fa rapire dal fascino di questo mondo labirintico… con la grande probabilità di finire per girovagarci dentro per moltissimo tempo, e fare dell’esplorazione di quel labirinto una vera ragione di vita. Mi sono sempre chiesta se ci fosse un qualcosa di soprannaturale nella potenza della musica: è lei che sceglie le persone? O sono le persone che scelgono di amarla?
Ad oggi, non sono ancora riuscita a trovare una risposta. L’unica cosa certa che posso affermare, è che quando il sentimento per la musica diventa amore, la vita cambia. Cambia davvero. Cambia soprattutto se si decide di voler diventare un musicista.
Ed è proprio su questa categoria che voglio soffermarmi: i musicisti. Esseri umani che toccano il sublime e riescono a catturarne l’essenza, imprigionandola nelle melodie. Certo, non tutti i musicisti riescono a creare quest’alchimia e non pochi sono i ciarlatani, purtroppo, anche in questo campo. Voglio però potermi concedere, almeno per una volta, la possibilità di abbandonare le statistiche reali e di soffermarmi solo sul tipo di musicisti che ho citato prima: quelli veri, quelli che hanno fatto la differenza, quelli che hanno creato qualcosa.
La storia che racconterò è proprio quella di un musicista che ha dato un volto nuovo a un genere musicale, sperimentandolo, innovandolo, evolvendolo. Un musicista che ha fatto della musica la sua compagna per la vita, sempre e comunque, anche quando si ritrovò nel letto di un ospedale a causa di una malattia terminale. Un uomo che, grazie alla sua arte, alla sua passione, alla sua morale è riuscito a lasciare un segno nel cuore e nella mente di molte persone.
Il suo nome è Charles Michael Schuldiner. Un musicista a 360 gradi: chitarrista, cantante, compositore, scrittore dei propri testi. Ha trovato la sua dimensione nel volto oscuro del mondo della musica: il Death Metal, sottogenere dell’ Heavy Metal.
È proprio dalla storia dell’ Heavy Metal che partirò: nel Capitolo I introdurrò il genere e le sue caratteristiche, un quadro generale sugli ascoltatori e sulle motivazioni che spingono i giovani ad avvicinarsi a tale genere, le implicazioni sociali, culturali e commerciali. Questo quadro è molto importante al fine di conoscere il background dal quale Schuldiner è partito: avendo tali basi, le innovazioni apportate dal chitarrista si potranno comprendere al meglio.
Nel Capitolo II mi soffermerò inizialmente su una delle diramazioni dell’Heavy Metal: il Thrash Metal – ovvero il ramo che più ha influito sulla nascita del Death Metal – per poi passare direttamente a un’analisi dettagliata della nascita del Death Metal stesso, fino ad arrivare al disco che ha iniziato a definire i suoi standard, Scream Bloody Gore.
Nel Capitolo III vedremo come il Death Metal diventa un genere indipendente, la cui nomenclatura viene presentata dal secondo disco dei Death, Leprosy. In questo lavoro è presente la prima cellula di evoluzione ulteriore del genere: l’approccio sociale del testo di Pull The Plug.
Nei seguenti due capitoli continueremo il viaggio dei Death tra sperimentazione ed evoluzione, attraverso l’analisi musicale e testuale dei seguenti quattro album, fino ad arrivare alla svolta verso l’Heavy Metal progressivo: lo scioglimento dei Death e la formazione dei Control Denied.
L’ultimo capitolo è un tuffo nella vita privata del musicista, con particolare attenzione alla sua attitudine personale – che distrugge ogni pregiudizio legato alla figura del metallaro e del musicista viziato – e alla sua sfortunata lotta contro il cancro.
La musica di Chuck Schuldiner è una di quelle cose che mi è capitata per caso, e che mi ha stravolto la vita. La mia attitudine, il mio modo di percepire il mondo chitarristico e musicale sono cambiate grazie a lui. Ho avuto la prova, sulla mia pelle, di come l’arte è catarsi e di come l’arte ti può cambiare e arrivare in fondo, dove nessuno è mai arrivato… comunque senza mai dimenticare il fatto che Chuck era una persona, e in quanto tale soggetta a problemi e sbagli caratteristici della vita quotidiana.
Questa tesi vuole essere il mio grazie nei suoi confronti, un tributo alla sua carriera musicale e il mio sforzo affinché la sua storia continui ad essere raccontata.

CAPITOLO I
NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA MUSICA METAL
UNA BREVE STORIA

1.1. Le radici: il Proto Metal tra Inghilterra e America

Le origini dell’Heavy Metal sono da rintracciare nel blues americano1: la scala pentatonica blues2, sincope costante3 e voce profonda ed emozionale, furono i tratti distintivi che influenzarono poi la musica rock. Difatti in Inghilterra, negli anni cinquanta, nacque il movimento definito “British Blues”: gruppi come Cream, Kinks, Who, Yardbirds e Jeff Beck Group4 fecero uso delle classiche strutture blues, evolvendole, specialmente a livello chitarristico. Infatti, la chitarra assunse una posizione di maggior rilievo, le ritmiche divennero più veloci e dinamiche e divenne frequente l’introduzione degli assoli e dei power chord5. Quest’evoluzione musicale influenzò anche gruppi americani come Blue Cheer, Iron Butterfly, The Amboy Dukes e Steppenwolf che, assieme alle band inglesi sopracitate, vennero definiti “gruppi Proto-Metal”.
Furono gli anni settanta il periodo di svolta: l’Hard Rock, pur mantenendo il suo legame con il blues, se ne distacca diventando un genere a sé grazie a dischi come In Rock dei Deep Purple(1970), Paranoid dei Black Sabbath (1970), Led Zeppelin III dei Led Zeppelin (1970), High Voltage degli AC/DC (1974). Il passaggio dall’ Hard Rock all’ Heavy Metal è essenzialmente in termini di estremità, sia nelle liriche ma soprattutto a livello musicale: ciò è stato possibile grazie all’evoluzione tecnologica degli strumenti elettrici e dell’amplificazione6: ad esempio, la batteria blues (solitamente costituita da cassa, rullante, tom e uno o due piatti) lascia il posto alla batteria rock, costituita da doppia grancassa, doppio pedale, due o più tom e diversi piatti. Questi elementi rendevano possibile la produzione di un suono più aggressivo e violento.
Il termine Heavy Metal riferito alla musica risale alla stampa statunitense nei primi anni settanta7. Gli Steppenwolf (band canadese/statunitense) furono i primi ad utilizzare questo termine, nel loro brano “Born to Be Wild”8 che contiene la frase “heavy metal thunder”, riferita al rombo delle Harley Davidson. Tuttavia, il termine Heavy Metal negli anni settanta veniva usato per indicare l’ Hard Rock più duro e non un genere preciso9.
Fu alla fine degli anni settanta, con l’esplosione della NWOBHM (acronimo di New Wave of British Heavy Metal10) in Inghilterra che l’ Heavy Metal diventò un genere a sé stante11: i gruppi iniziarono ad allontanarsi dai canoni prettamente hard rock/blueseggianti (pur mantenendone le radici) che caratterizzavano le band precedenti. Tra le innovazioni principali, troviamo l’uso di tematiche epiche nelle liriche e nelle melodie, di un sound più maturo e definito e specialmente di un uso più consapevole della distorsione della chitarra. Quest’ultimo è stato fondamentale per la nascita, qualche anno dopo, del metal estremo: mentre negli anni cinquanta la distorsione della chitarra amplificata era considerata un fattore negativo12, i chitarristi della NWOBHM, sperimentarono nuovi tipi di distorsione al fine di ottenere sonorità più aggressive e ruvide, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche dell’amplificazione ad opera delle case produttrici Fender (Stati Uniti) e Marshall (Inghilterra).
Alcuni dei gruppi principali di questo movimento furono Iron Maiden, Motorhead, Venom, Judas Priest, Angel Witch, Raven, Saxon e Grim Reaper.
Elemento costitutivo di questo genere musicale è, inoltre, la scelta e l’uso delle liriche: le tematiche spaziano dall’occulto alla religione, ribellione, astio verso la società e gli stereotipi da essa imposti, politica a volte si parla anche di sentimenti, ma sempre in una maniera piuttosto particolare ed eccentrica. Il carattere oltraggioso delle liriche è stato uno dei motivi per cui questo genere musicale è stato spesso etichettato, definito pericoloso, additato. Analizzeremo questo aspetto più avanti. Da non sottovalutare poi è l’aspetto visivo, strettamente correlato alla musica: i musicisti Heavy Metal vestono spesso indumenti in pelle, jeans e accessori borchiati; le esibizioni dal vivo delle band sono spesso accompagnate da coreografie e scenografie che richiamano il contenuto dei testi.
Il dinamismo dell’Heavy Metal rende questo genere di difficile categorizzazione: le contaminazioni provenienti da altri generi musicali, dalla letteratura, dal cinema hanno causato, a partire dagli anni ’80, la nascita di numerosi sottogeneri che, pur mantenendo alcune caratteristiche del genere principale, si sono spinti in diverse direzioni creando continuamente qualcosa di nuovo: nacquero e si evolsero nuovi sottogeneri13 quali Speed Metal, Thrash Metal, Black Metal, Death Metal e metal commerciale.
Nella foto: Judas Priest sul palco, alla fine del concerto tenutosi all’ Hinsense Arena di Melbourne del 2008. Loro sono stati uno dei primi gruppi a determinare il dresscode Heavy Metal: indumenti di pelle, borchie e anfibi; sono inoltre uno dei primi gruppi ad aver usato degli elementi “teatrali” nei loro concerti, come motociclette, tridenti e altari. Sono inoltre definiti “Defenders of the Faith” (ovvero “difensori della fede”) in quanto, a distanza di oltre 30 anni, mantengono ancora l’estetica e l’attitudine degli inizi.

1.2. La seduzione della ribellione, l’antidoto contro la frustrazione: i giovani e il rock

Tra i consumi culturali del mondo giovanile, la musica assume un ruolo fondamentale, in quanto contribuisce alla formazione dell’identità culturale a livello individuale e collettivo14: studiando l’approccio dei giovani alla musica, è quindi possibile cogliere buona parte delle dinamiche socio-relazionali del mondo giovanile.
Secondo J. Sloboda, “il motivo per cui la maggior parte di noi prende parte ad attività musicali componendo, eseguendo o semplicemente ascoltando, è dato dal fatto che la musica è capace di suscitare in noi stessi delle emozioni profonde e significative”15. Dunque, la musica è qualcosa di totalizzante; è passione e coinvolgimento, è come un antidoto che i giovani usano per ripararsi dal mondo esterno. Tra le tante forme del mondo musicale, il rock16 è stato definito “ espressione strettamente legata all’evoluzione esistenziale e politica della figura del giovane ”17. Il rock, con la sua filosofia di libertà, immediatezza e spregiudicatezza incarna la gioventù nella sua parte più viva e pura, fatta di ribellione, errori, tentativi, scoperte e divertimento. Perché il rock fa la differenza? Perché molti giovani prediligono il rock alla musica colta? Poniamo come esempio un concerto di chitarra classica. La location è un auditorium, teatro o sala; bisogna arrivare puntuali, possibilmente vestiti in modo elegante ed assistere al concerto seduti. Il chitarrista – vestito ovviamente in modo elegante – sale sul palco, posiziona il suo strumento, sistema la partitura sul leggio, annuncia il brano e inizia a suonare. Non c’è interazione con il pubblico, che deve assistere in silenzio e battere le mani alla fine di ogni brano. In un concerto rock la scelta della location è molto più vasta (pub, centro sociale, arena…), il ritardo è tollerato, la scelta sul vestiario è liberissima; si assiste al concerto in piedi ed è permesso consumare bevande, c’è grande interazione tra la band e il pubblico – che è libero di esprimere la sua euforia, anche gridando. Le band sul palco seguono una scaletta, ma possono anche decidere di improvvisare e/o di ripetere un brano su richiesta del pubblico. Tutta questa libertà ed euforia è chiaramente seducente per i giovani, a dispetto del mondo elegante e controllato della musica classica. È proprio sui giovani che sono incentrati gran parte degli studi sull’ Heavy Metal, che più avanti analizzerò.
L’ Heavy Metal è una subcultura. In quanto tale, all’interno di essa ci sono codici comportamentali, estetici e attitudinali che, generalmente, definiscono le persone che ne fanno parte. Tali elementi sono oggetto di dibattito continuo tra i fan, i musicisti, i critici: qual è la causa dell’ Heavy Metal? Cosa è Heavy Metal? Cosa non lo è? Cosa era, e come si è evoluto? Come dovrebbe comportarsi un vero fan? La risposta, ovviamente, non può essere una, considerando il fatto che le sottoculture sono il prodotto di un determinato momento storico. Alcune muoiono e altre sopravvivono, e questa sopravvivenza le porta a confrontarsi con il nuovo contesto sociopolitico, quindi la contaminazione con nuovi elementi e la trasformazione di determinati canoni potrebbe anche essere interpretata come un processo naturale. Una moltitudine di sfaccettature caratterizza le varie teorie; qui di seguito ne ho analizzate alcune.
I fan dell’ Heavy Metal vengono definiti metallari. Lo stereotipo del metallaro è che sia maschio18, bianco e in un’età compresa tra i 12 e i 22 anni19; probabilmente appartenente alla classe operaia o comunque ai ceti più bassi. Secondo alcuni studi demografici, negli anni ’80 erano proprio le zone meno industrializzate dell’ Inghilterra e dell’ America a contenere il numero più alto di fan dell’ Heavy Metal20: la frustrazione della classe operaia giovanile è stato definito uno degli elementi cruciali per la nascita dell’interesse verso questo genere musicale.
Il primo studio accademico sui consumatori dell’ Heavy Metal fu Characterizing Rock Culture: The Case of Heavy Metal, pubblicato nel 1983 da Will Straw21. Secondo l’autore, l’ Heavy Metal non era una sottocultura ma piuttosto un movimento architettato dalle case discografiche, che erano state sapienti nel raggirare i giovani, facendo credere ad essi che quella musica fosse alternativa e contro il sistema. Tuttavia, fu chiaro che questo studio basava le sue tesi su dei pregiudizi, in quanto la storia documentata delle band e dei movimenti autonomi (fanzines e scena underground autogestita su tutti) dimostra che le case discografiche si accorsero della fama dell’ Heavy Metal solo dopo, quando il movimento era già consolidato.
Di opinione totalmente opposta era invece L.M. Harrison, che nel suo studio Factory Music: How the Industrial Geography and Working Class Environment of Post War Birmingham Fostered the Birth of Heavy Metal descrive l’ Heavy Metal come soluzione alla frustrazione generata dalla condizione della classe lavorativa giovanile22. Inoltre, l’aggressività presente nell’ Heavy Metal è interpretata come espressione di rabbia contro il sistema, non solo da parte dei musicisti ma di un intero segmento della classe lavorativa britannica23.
Sulla stessa linea d’opinione di Harrison troviamo Robert Walser, un critico che descrive l’ Heavy Metal come risposta alle condizioni sociali dell’ era post-industriale. Esso basa la sua teoria sul fatto che la gioventù americana fu duramente colpita dalle avversità durante gli anni ’80, ovvero lo stesso periodo in cui l’ Heavy Metal ebbe uno dei suoi picchi di maggiore popolarità e diffusione24.
Secondo la giornalista e sociologa Donna Gaines, i forti principi anti borghesi dell’ Heavy Metal, la sua iconografia di potenza e il forte senso di comunanza fra i fans crea un’empatia tale che i fans si sentono parte di una famiglia con cui possono condividere le loro esperienze25. Una famiglia-comunità giovane.

1.2.1. Estetica e luoghi di ritrovo

Il primo segnale che ci permette di riconoscere – senza avere nessuna interazione verbale – un metallaro è il suo vestiario. Solitamente, il nero è il colore predominante; jeans, borchie e gilet di pelle sono gli elementi più usati. Per gli uomini, inoltre, i capelli lunghi sono un simbolo di appartenenza alla “fede”. C’è da considerare però che ogni sottogenere dell’ Heavy Metal ha un suo dresscode specifico, per cui il thrasher si riconoscerà dal blackster, il glamster si riconoscerà dal power metaller e via dicendo.
L’estetica è un argomento molto dibattuto26:Da una parte, ci sono i sostenitori della tesi per cui “se non hai il coraggio di vestirti da metallaro, vuol dire che non sei metallaro”: l’estetica metallara è contro la moda ed è spesso rifiutata socialmente. Per cui vestirsi in un certo modo diventa una protesta che non è scindibile dalla protesta musicale.
Sulla sponda opposta vi è la teoria che vede la cultura musicale al centro dell’identità del metallaro: un appassionato non ha bisogno di ostentare con l’estetica l’appartenenza alla fede Heavy Metal, ma lo deve fare piuttosto attraverso la creazione di una cultura attiva (e quindi la conoscenza della storia del genere) e il supporto alla scena musicale, comprando dischi e andando ai concerti. Punto in comune di queste due teorie è quello dei concerti, che rappresentano per i metallari il luogo di ritrovo per eccellenza. Inizialmente, i concerti avevano luogo in piccole location quali centri sociali e pub. Erano location che potevano contenere un centinaio di persone al massimo, nel migliore dei casi. I palchi erano piccoli e la qualità audio non era quasi mai eccellente. Quando la domanda iniziò ad essere più alta fu chiaro che c’era bisogno di spazi più ampi, che potessero ospitare più fan e offrire ad essi performances qualitativamente superiori, sia a livello audio che a livello scenico: si avvertiva il forte bisogno di avere un Woodstock per l’Heavy Metal.
Il primo, grande evento che diventerà un simbolo per i metallari fu il Monsters of Rock di Donington27. Fu qualcosa di colossale, mai visto prima: il primo, vero festival dedicato solamente all’Heavy Metal. Questo festival venne organizzato da Paul Loadsby, manager dei Rainbow, che furono uno degli headliner della prima edizione del festival. Oltre a loro, si esibirono Judas Priest, Saxon, Scorpions, April Wine, Riot e Touch. Il festival fu un successo: gli spettatori erano ben 35,00028. Disse al riguardo l’organizzatore: “Questo festival è stato un successo, ma devo ammettere di aver avuto paura: è unico nel suo genere, è stato un gran rischio organizzarlo”29. Sicuramente ne valse la pena di rischiare: il Monsters of Rock di Donington diventò la mecca del metallo, l’evento atteso impazientemente di anno in anno, dove metallari non solo britannici ma di tutto il mondo si riunivano in nome dell’ Heavy Metal. Basti pensare che nella quinta edizione (1985) gli spettatori erano ben 50,00030: il Monsters of Rock era diventato un’istituzione.
Negli Stati Uniti il primo festival a dare spazio all’ Heavy Metal fu l’ US Festival del 1984, organizzato da Steve Wosniak31. A differenza del Monsters of Rock, questo festival non era esclusivamente dedicato all’Heavy Metal. Durò 4 giorni, ogni giornata era dedicata a un genere diverso: New Wave Day, Heavy Metal Day, Rock Day e Country Day. La fama riscossa durante l’ Heavy Metal day fu tale che questo festival è considerato un simbolo della crescita di interesse verso l’Heavy Metal in America.
Fu negli anni ’90 che il rito di partecipare ai festival divenne talmente tanto diffuso tra i fan, che vennero organizzati diversi nuovi festival sparsi prevalentemente in Europa ma anche in America. Tra i più famosi: Wacken Open Air (Germania), Reading (UK), Ozzfest (USA).

1.3. L’impatto culturale e sociale

Dal momento in cui il termine Heavy Metal iniziò ad essere utilizzato in relazione alla musica, esso non venne percepito solo come la descrizione fine a se stessa di quel dato genere musicale. Diventò come una sorta di “etichetta culturale” che ingloba non solo l’aspetto musicale, ma anche quello attitudinale e culturale, in modo imprescindibile.
L’ Heavy Metal comprende una serie di caratteristiche musicali, pratiche sociali, significati culturali, ognuno dei quali gira intorno a concetti, immagini ed esperienze di potenza32. Poniamo l’attenzione sul significato letterale del termine “Heavy Metal”: “Heavy”à “duro, pesante” e “Metal” à “Metallo”. Entrambi i termini evocano potenza33.
“Mi hanno chiesto di provare a descrivere cosa sia l’ Heavy Metal. Innanzitutto, l’ Heavy Metal è potenza….” – Rob Halford, frontman dei Judas Priest34.
Il concetto di potenza a cui il genere musicale e i suoi ascoltatori fanno riferimento è costituito da una moltitudine di sfaccettature, anche metaforiche, che spesso si intrecciano con i significati di forza e passione. Eccone alcune:

· la potenza della distorsione delle chitarre, del volume degli strumenti in generale;
· l’adrenalina scaturita dai concerti: gli spettatori vi partecipano attivamente, e specialmente nelle prime file si possono osservare persone che pogano, fanno headbanging e stage diving35;
· la potenza delle passione per questo genere musicale, che per molti ascoltatori rappresenta una via di fuga dalla realtà e che per i musicisti rappresenta realizzazione personale;
· la potenza delle immagini e delle liriche: per molte persone, la visione di immagini cruente (come quelle delle copertine di alcuni dischi) o l’ascoltare testi aggressivi è un metodo “sano” per sfogare la propria rabbia.

Anche i nomi scelti da molte bands evocano il concetto di “potenza” in molti modi diversi36: potenza elettrica e meccanica (Tesla, AC/DC, Motorhead), animali pericolosi (Ratt, Scorpions), persone sgradevoli o pericolose (Twisted Sisters, Quiet Riot) oppure oggetti pericolosi (Iron Maiden). I nomi possono anche invocare il potere della blasfemia e del misticismo (Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Judas Priest) o anche trasgredire con un nome che è l’esatto opposto della potenza (Cinderella, Kiss).
L’immaginario estroso ed aggressivo che caratterizza il mondo dell’ Heavy Metal è accettato, voluto e capito a fondo dai suoi “seguaci”, ma non si può dire lo stesso per tutti gli altri. L’equazione secondo la quale ascoltare Metal significherebbe essere persone disturbate, sataniste o violente è stata spesso motivo di discussione, controversia e oggetto di studi sociologici; tuttavia nessun risultato ha dimostrato scientificamente che l’ Heavy Metal costituisce, da solo, elemento nocivo o di disturbo psicologico per l’individuo37. In una società moderna come la nostra, dove viene proclamata la libertà di pensiero e di culto, non ci si dovrebbe stupire se alcuni amano intrattenersi in modo differente da altri, se questa differenza è solo in termini artistici e non comporta danni. Il periodo in cui bisogna necessariamente trovare un capro espiatorio a cui attribuire le colpe38, anziché svelare e affrontare i veri problemi, dovrebbe esser passato. Ma a quanto pare, non è così. Basti pensare all’esemplare caso della fondazione della PMRC (acronimo di Parents Music Resource Center, ovvero “Centro d’ Informazione Musicale per i Genitori” ).
Nata in America nel 1985, il PMRC è un’associazione fondata da Tipper Gore (moglie dell’allora Rappresentante al Congresso degli Stati Uniti, Al Gore) allo scopo di analizzare e valutare dal punto di vista educativo e morale il contenuto dei prodotti discografici. Il PMRC si rivolse contro la RIAA (acronimo di Recording Industry Association of America) accusandola di esporre, con certi suoi prodotti, la gioventù americana a “sesso, violenze, glorificazione di droghe e alcol”39. La soluzione proposta dal PMRC era quella di applicare ai dischi rock degli adesivi che segnalassero il contenuto offensivo degli stessi, al fine di informare i genitori dei minori che quei prodotti non sono adatti ai propri figli40.
Questo tentativo tempestivo di censura causò polemiche molto accese tra i consumatori e soprattutto tra gli artisti, che si videro privati della loro libertà artistica. Nacquero quindi feroci polemiche e controversie che confluirono nella decisione di stabilire un’audizione al Senato degli Stati Uniti, dove Dee Snider41, John Denver42 e Frank Zappa43 presenziarono contro il PMRC.
L’audizione si svolse il 19 settembre 1985 a Washington44. Tuttavia, l’ 1 novembre 1985 la RIAA decise di acconsentire all’applicazione dell’ adesivo sui dischi, che riportava la dicitura “Parental Advisory Explicit Content”. Esso fu ulteriore argomento di protesta da parte degli artisti, che non esitarono a scagliarsi contro questa scelta attraverso la protagonista della condanna, ovvero la loro stessa musica. Le canzoni Censorshit dei Ramones, Ode to Tipper Gore dei Warrant, Starting Up a Posse degli Anthrax e Hook in Mouth dei Megadeth sono tutte accomunate dallo stesso tema: la rabbia e l’indignazione verso l’ingiusto tentativo di rendere mettere dei limiti al genere che, per antonomasia, ha fatto della libertà la sua più grande bandiera: il rock.
Durante gli anni novanta il PMRC – che cambiò il suo nome in Partners Music Resource Center – mantenne inizialmente la sua attività, ma dopo qualche anno finì per sciogliersi completamente. A seguito dello scioglimento, Tipper Gore dichiarò che la censura non rappresenta una vera soluzione; tuttavia sentiva che fosse necessario che i genitori fossero consapevoli e responsabili del materiale che i loro figli utilizzavano45.

1.4. La musica come prodotto: mercato musicale, major e autoproduzione

Le innovazioni tecnologiche quali la radio e la diffusione di supporti per l’ascolto (33 giri e 45 giri) furono di fondamentale importanza per l’affermazione della musica come “prodotto”. Negli Stati Uniti il mercato musicale era oligopolistico: nel 1938 tre quarti dei dischi venduti erano prodotti da RCA e Decca, e i rimanenti dall’ American Record Company46.
La musica era diventata merce a tutti gli effetti, un prodotto da vendere; era quindi destinato alle masse, e per questo venne definita “musica pop47”. I maggiori fruitori di questo prodotto erano i giovani, era quindi sul loro gusto che veniva creato il prodotto. Tuttavia, a causa della loro indipendenza economica (la maggior parte di loro dipendeva economicamente dalle famiglie) essi venivano considerati “oggetti passivi”48, per cui le pubblicità erano mirate verso i genitori che, avendo potere economico, potevano decidere cosa comprare per i loro figli. Questa situazione cambia negli anni ’80: tra i giovani si registrò un incremento della libertà economica grazie all’avvento dei lavori part time, e i rapporti tra genitori e figli iniziarono a cambiare49. La libertà economica (seppur minima) genera libertà di scelta, e fu qui che i giovani, da soggetti passivi diventarono consumatori attivi: dunque le regole di mercato devono cambiare nuovamente e adattarsi a questo standard.
Momento di svolta importantissimo fu il 1982: con l’affermazione del CD i profitti delle case discografiche crebbero enormemente. Basti pensare che, in America, in un ventennio le vendite crebbero di 14.6 miliardi di dollari entro il 199950.
La musica prodotta e venduta dalle major (ovvero le grandi etichette) aveva, nella maggior parte dei casi, un gran difetto: quella di essere “usa e getta”. Ovvero musica semplice e banale, ripetitiva, che mirava quasi unicamente al soddisfacimento immediato dell’ascoltatore. Questi limiti erano imposti dal carattere meramente economico che la produzione musicale di massa aveva assunto. Ciò causava anche un limite alla libertà artistica: i musicisti non potevano esprimersi liberamente, ma dovevano sottostare alle leggi di mercato e, soprattutto, alle regole imposte dalla casa discografica.
Le major si interessarono anche a dischi rock, producendone alcuni di grande successo: basti pensare a Led Zeppelin IV51 dei Led Zeppelin e Back in Black52 degli AC/DC, che venderono rispettivamente 3753 e 5054 milioni di copie nel mondo. Comunque, c’è da dire che quel tipo di rock ha un’orecchiabilità che rende tali dischi appetibili anche per chi non ascolta solo rock.
La scena pop americana negli anni ’80 fu dominata prevalentemente da due artisti che ebbero successo planetario ed entrarono così nella storia del pop mondiale: Michael Jackson e Madonna. Definiti “Il Re e la Regina del Pop”, registrarono vendite esorbitanti: Thriller55 di Michael Jackson ad oggi conta oltre 115 milioni di copie vendute nel mondo56 e Like a Virgin57 di Madonna in un solo anno vendette 4.5 milioni di copie negli Stati Uniti e 2.5 milioni di copie nel mondo58.
Nella foto: la copertina del sopracitato Back in Black. E’ il primo disco con Brian Johnson alla voce. E’ dedicato alla memoria del precedente cantante, Bon Scott, morto a soli 33 anni.
In un simile contesto musicale sembrava non esserci spazio per l’ Heavy Metal, che era ancora un genere seguito da pochi rispetto alla massa pop; era quindi sconveniente per le grandi major investire dei soldi per un pubblico di nicchia. Era inoltre impossibile conciliare l’attitudine Heavy Metal con quella del pop: a differenza del rock, l’ Heavy Metal era più estremo e di sicuro non avrebbe riscontrato elogi tra la massa, abituata ad ascoltare ben altro tipo di musica. L’ Heavy Metal era, infatti, un mondo attitudinalmente e musicalmente ben lontano dal patinato mondo pop dove l’attenzione era spesso incentrata sul personaggio (e ovviamente sui gossip legati alla sua vita privata) quasi più che sulla sua musica – che assumeva un aspetto quasi di secondo piano.I musicisti Heavy Metal non erano artisti di professione che vivevano della loro arte (e immagine). Inoltre, il loro rifiuto di scendere a compromessi sulla loro musica rendeva difficile la collaborazione con una grande etichetta: ai musicisti Heavy Metal non importava scalare le classifiche. La loro intenzione primaria era quella di comunicare e gridare contro la società e per farlo dovevano essere liberi da ogni tipo di imposizione.
Inizialmente – e fin quando non capirono che anche l’ Heavy Metal poteva essere venduto ad un certo tipo di massa – le major non si interessarono a produrre dischi di questo genere. Per cui i musicisti dovettero trovare un’altra via per produrre e diffondere la propria musica: il D.I.Y. Acronimo di Do It Yourself (ovvero Fattelo da solo) il D.I.Y. è un’etica derivata dalla cultura punk59 che pone l’autoproduzione come ribellione al sistema capitalistico: autoproducendo con i propri mezzi abbigliamento, dischi, giornali e libri l’informazione e la musica potevano circolare liberamente e, soprattutto, potevano essere alla portata di tutti; così tantissime persone furono ispirate a creare musica, arte, film, abbigliamento e scritti accomunati dalla libertà di pensiero, dalla ribellione e dall’ impegno per cambiare il mondo60. Quest’ etica venne ripresa e riadattata nella scena musicale Heavy Metal: i musicisti non si occupavano solo del lato compositivo ma anche della produzione e diffusione della propria musica. I principali canali di diffusione erano le fanzine61 e il tape trading62; in seguito iniziarono a nascere anche delle piccole etichette indipendenti che si occupavano di distribuire la musica dei gruppi underground63.

Note

  1. David Hatch, Stephen Millward, From Blues to Rock: an Analytical History of Pop Music, Manchester, Manchester University Press, 1987, p. 105
  2. La scala blues è una scala musicale esafonica che si ottiene aggiungendo un cromatismo tra il terzo e il quarto grado di una scala pentatonica minore.
  3. La sincope in musica è lo spostamento dell’accento ritmico dal tempo forte al tempo debole.
  4. Heavy Metal.
  5. Secondo le regole dell’armonia un accordo, per potersi definire tale, deve essere costituito da almeno tre note diverse. Power Chords sono degli accordi anomali, poiché costituiti da sole due note: il primo ed il quinto grado (cioè la prima e la quinta nota) di una determinata scala. Cfr. Andrea Massimo, Didattica-Powerchords.
  6. La nascita del rock.
  7. Robert Walser, Running with the Devil: power, gender, and madness in heavy metal music, Middletown, Wesleyan University Press, 1993, pp 8-10.
  8. Ivi, pp. 8-10.
  9. Ivi, p. 7.
  10. Il termine “New Wave of British Heavy Metal” fu utilizzato per la prima volta il 19 maggio del 1979 dal giornalista Geoff Barton, in una recensione redatta per il giornale Sounds.
  11. Robert Walser, Running with the Devil: power, gender, and madness in heavy metal music, cit., p. 11.
  12. Nelle chitarre classiche e acustiche il suono viene generato attraverso la vibrazione delle corde e viene amplificato dalla cassa armonica. La chitarra elettrica non ha la cassa di risonanza: il suono viene prodotto attraverso la vibrazione delle corde, che viene rilevata da uno o pickup (dispositivi elettrici posizionati nel corpo della chitarra) e inviato all’amplificatore acustico collegato alla chitarra, che renderà udibile il suono. Negli anni ‘50 gli amplificatori non avevano una distorsione preimpostata, ma grazie alla sperimentazione di alcuni chitarristi, si scoprì che si poteva ottenere un suono molto “metallico” alzando al massimo il volume dell’amplificatore. Ciò causava la saturazione delle valvole del finale di potenza (ovvero il circuito elettronico che amplifica il segnale) e per questo veniva definito “negativo”, considerando anche il fatto che era impossibile controllare il volume finale e quindi il suono era molto confuso.
  13. Paul. D. Greene, Thomas Porcello, Wired for sound: engineering and technologies in sonic cultures, Middleton, Wesleyan University Press, 2005, p. 186.
  14. Giovannella Greco, Rosario Ponziano, Musica è comunicazione: l’esperienza della musica e della comunicazione, Milano, Franco Angeli Edizioni, 2007, p. 118.
  15. John A. Sloboda, La mente musicale. Psicologia cognitiva della musica, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 23.
  16. Spesso viene usato il termine “rock” per indicare la grande famiglia di cui esso è il capostipite; quindi anche l’Heavy Metal. Frequentemente – e spesso erroneamente – il termine rock viene usato anche come sinonimo di metal; ciò è giusto se si considerano le radici, ma anche sbagliato perché col tempo il metal si è diversificato talmente tanto dal genere madre che la sua storia e le sue caratteristiche sono diventate indipendenti.
  17. G. Greco, R. Ponziano, Musica è comunicazione, cit., p. 118.
  18. La scena Heavy Metal è composta per la maggioranza da uomini; le donne sono presenti, ma in modo numericamente assai inferiore. La ragione di ciò è probabilmente da rintracciarsi innanzitutto nell’iniziale immagine di virilità e potenza maschile che inneggiava nell’immaginario e nelle liriche Heavy Metal; ma è anche e soprattutto una questione culturale di eguaglianza di genere e pregiudizi sulle donne – tema troppo ampio per poterlo trattare in questa sede. Il dibattito sul perché ci siano meno ascoltatrici e musiciste donne è aperto e spesso infuocato.
  19. Deena Weinstein, Heavy Metal: the music and its culture, Boston, Da Capo Press, 2000, p. 99.
  20. Michelle Phillipov, Death Metal and Music Criticism: Analysis at the Limits, Plymouth, Lexington Books, 2012, p. 54.
  21. Ibidem.
  22. M. Phillipov, Death Metal and Music Criticism, cit., p. 55.
  23. Ibidem.
  24. R. Walser, Running with the Devil, cit., p. 161.
  25. Donna Gaines, Teenage Wasteland: Suburbia’s Dead End Kids, Chicago, University Of Chicago Press, 1998, p. 254 [1^ ed. 1990]
  26. Luca Signorelli, Heavy Metal: i classici, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 2000, p. 10.
  27. Riccardo Bertoncelli, Storia Leggendaria della Musica Rock, Firenze, Giunti Editore, 2010 [ 1^ ed. 2000], p. 171.
  28. Monsters of Rock.
  29. The Birth of Monsters.
  30. Ibidem.
  31. D. Weinstein, Heavy Metal, cit., p. 292.
  32. R. Walser, Running with the Devil, cit., p. 2
  33. Ivi, p. 1.
  34. Philip Bashe, Heavy Metal Thunder: The Music, The History, Its Heroes, New York, Doubleday, 1985, p. 8
  35. Pogare: spingersi e strattonarsi a vicenda; Headbanging: roteare la testa a ritmo di musica; Stage Diving: salire sul palco e lanciarsi tra la folla. Queste attività vengono spesso simpaticamente definite “Lo sport dei metallari”. Spesso vengono praticate solo con fine “estetico” (e quindi mimate) , ma in altri casi possono essere anche pericolose.
  36. R.Walser, Running with the Devil, cit., p 2.
  37. Solitamente, gli ascoltatori di Heavy Metal iniziano ad appassionarsi a questo genere durante il periodo adolescenziale che, come tutti sappiamo, è una fase molto delicata in cui l’individuo forma la propria personalità. Durante questo delicato percorso può capitare che, per problemi dovuti alla famiglia o al rapporto con gli altri, l’individuo sviluppi repulsione, risentimento, disagio, comportamenti violenti. La musica può fare da contorno a tutto ciò, ma non è la causa. Spesso le cause di questi disagi sono traumi infantili, problemi familiari e/o relazionali, per cui sarebbe più opportuno porre attenzione a queste problematiche. Emblematico è, piuttosto, il fatto che i benefici che gli ascoltatori traggono dall’ascoltare Heavy Metal (primo su tutti: sfogo della rabbia) rimangano quasi sempre nell’ombra (molti ascoltatori e musicisti si ritengono “felici grazie all’ Heavy Metal”). Il dubbio di fondo è quindi se il vero problema non sia piuttosto quello di accettare una forma d’arte diversa dalla tradizionale concezione di “arte” impiantata negli schemi della morale odierna.
  38. È successo spesso che i media usassero l’ Heavy Metal come capro espiatorio, specialmente in fatti di cronaca dove giovani disagiati erano i protagonisti, sottolineando che il motivo del loro disagio fosse appunto l’ Heavy Metal.
  39. R. Bertoncelli, Storia Leggendaria della Musica Rock, cit., p. 172.
  40. Ibidem.
  41. Cantante dei Twisted Sisters, importante band Heavy Metal.
  42. Cantautore e musicista folk rock.
  43. Chitarrista, compositore, arrangiatore, cantante, direttore d’orchestra, produttore discografico, regista, sceneggiatore, attore, produttore cinematografico e polistrumentista statunitense. Fu un’icona rock molto controversa e provocativa.
  44. R. Bertoncelli, Storia Leggendaria della Musica Rock, cit., p. 17.
  45. Robert Siegel, Tipper Gore and Family Values.
  46. Simon Frith, Il rock e finito: miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop, Torino, EDT, 1990 [1^ ed. 1988] p. 20.
  47. “Pop” è l’abbreviazione di “popular”.
  48. Massimo Scialò, I segreti del rock. Dietro le quinte dell’industria discografica: la promozione, la distribuzione, lo sfruttamento del mito, Roma, Gremes Editore, 2003, p. 63.
  49. Ibidem.
  50. Geoffrey. P. Hull, Thomas W. Hutchison, Richard Strasser. The Music Business and Recording Industry: Delivering Music in the 21st Century, New York, Routledge, 2011 [1^ ed. 1998], p. 31
  51. Prodotto dall’etichetta americana Atlantic Records, uscito nel 1978.
  52. Prodotto dall’etichetta Atco Records (sottoetichetta dell’ Atlantic Records) , uscito nel 1980.
  53. Barry Miles, The British Invasion. The Music, the Time, the Era, New York, Sterling, 2009, p. 269.
  54. Phil Sutcliffe, AC/DC: High-Voltage Rock ‘n’ Roll: The Ultimate Illustrated History, Minneapolis, Vojauger press, 2010, p. 102.
  55. Rilasciato nel 1982 dalla Epic, sottoetichetta della Sony Music Entertainment.
  56. Michael Jackson: More Than A Musician
  57. Rilasciato nel 1984 dall’ etichetta americana Warner Bros.
  58. Douglas Kellner. Media Culture. Cultural studies, identity and politics between the modern and postmodern, New York, Routledge, 1995, p. 275.
  59. Il punk è un movimento musicale e culturale nato tra Inghilterra e America a metà degli anni ’70.
  60. Sharon M. Hannon. Punks: A Guide to an American Subculture, Santa Barbara, Greenwood Press, 2010, p. 2.
  61. Le fanzines erano riviste autoprodotte dove si discutevano musica e idee. Solitamente non avevano un’uscita fissa ed erano semplicemente dei fogli fotocopiati in bianco e nero. I “giornalisti” erano volontari.
  62. Il tape trading è un metodo non autorizzato di distribuzione di audiocassette e merchandising autoprodotto di band musicali prevalentemente appartenenti al punk, hardcore e metal estremo. Venne praticato negli anni ottanta e fino a metà degli anni novanta. Grazie ad esso era possibile creare un network di appassionati che si scambiavano continuamente materiale di bands provenienti da ogni parte del mondo. La sua pratica cessò quasi definitivamente con l’avvento di internet.
  63. La traduzione letterale di “underground” è “sottosuolo” e si riferisce appunto alla scena musicale (e culturale) che giace nel “sottosuolo”, in antitesi alla scena musicale di massa, “overground” o “mainstream”. Questo termine indica il circuito di bands senza contratto ( o al limite, bands che hanno contratti con piccole etichette indipendenti).

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