L’omosessuale irriverente
Emanuela Liverani, L’omosessuale irriverente, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 51, no. 13, giugno 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.5968
1. La Voce di Pasolini
«Io sono stanco di essere così intoccabilmente eccezione, ex lege: va bene, la mia libertà l’ho trovata so qual è e dov’è; lo so, si può dire, dall’età di quindici anni, ma anche prima… Nello sviluppo del mio individuo, della diversità, sono stato precocissimo; e non mi è successo, come a Gide, di gridare d’un tratto “Sono diverso dagli altri” con angosce inaspettate; io l’ho sempre saputo»1.
Così si esprime il giovane Pier Paolo Pasolini nei primi anni del Secondo dopoguerra. Nonostante una dichiarazione così assoluta tante volte prima e dopo di essa Pasolini scopre quanto il suo cammino esistenziale sia complesso. In ogni caso al momento in cui scrive egli sa di essere fuori dalla legge e la cosa non sembra turbarlo, si vanta della propria precocità, scomoda persino Gide per dichiarare il suo stato di libertà. Pasolini già poeta affermato, consapevole del suo talento e avviato a un futuro brillante, non immagina che di lì a poco la sua omosessualità diviene di pubblico dominio.
Quando il 2 novembre 1975 è ucciso, egli è tra i maggiori intellettuali italiani del suo tempo, occupato in nuovi progetti medita di ritirarsi dalla vita pubblica e ha intenzione di trasferirsi nella sua amata Torre di Chia, pensa a nuovi viaggi ed è la voce più intransigente che l’Italia possa ricordare. Non è più il ragazzo di Casarsa e Versuta, nemmeno lo studente di Bologna dove è nato, Pasolini è l’uomo più scandaloso della Nazione, colui la cui vita privata è intrecciata come nessuna al suo lavoro culturale. Egli ha sempre coinvolto sé stesso, le esperienze e persino i dati biografici, per orientarsi nella “terra ostile”2 scelta in quanto autore, eppure complicata dalla sua natura “deviante”, non cedendo alla tentazione di fuggirne.
Prende forma in questo modo l’intellettuale il cui esempio di coraggio, lucidità e pre-visione ispira ancora molti e ciò per almeno due ragioni complessive.
La prima è da ricercare nella necessità di Pasolini di intrecciare un dialogo con i lettori, gli spettatori dei film e dei testi drammaturgici. È la sua profonda sensibilità a farne un uomo cui è impossibile la mediazione, un lungo discorso sviluppatosi negli anni e mai tradito, anzi portato all’estremo in Petrolio in cui, pure nella sua forma incompiuta, ci consegna dei precisi indizi di percorso rivelandone la tipologia, non semplice romanzo ma documento dotato di mappe attraverso cui orientare i suoi interlocutori.
La seconda è la testimonianza della sua intera esistenza, comprese le contraddizioni, preziose per rimanere sull’uomo anziché ravvisarne una perfezione impossibile. La sua coerenza nasce anche da questo continuo lavorio sull’essere con sé e contro di sé che lo conduce con audacia su terreni complessi, come la relazione tra nuovo fascismo e potere su cui spende le proprie forze negli ultimi anni, punto di arrivo di un’analisi iniziata nei Sessanta e ritenuta di grande attualità. Eccone i motivi.
Non minimamente rapportabile a quello del Ventennio, incapace di modificare nel profondo il percorso di culture millenarie3, il fascismo a cui si riferisce Pasolini è quello del capitalismo nella sua versione più aggressiva, omologante, distruttiva che definisce Neocapitalista. Appartiene a questo fascismo il consumismo, tramite il quale si attua una veloce mutazione antropologica mai conosciuta, mentre il superamento delle differenze e della conquista di un tenore di vita accessibile a tutti tramite uno sviluppo accelerato dei beni superflui, penalizza la formazione e la progressione dei beni primari.
Partendo da ciò, Pasolini si pone in aperta polemica con la rappresentazione dell’uomo come destinatario di merce, osserva e vive in prima persona l’azione dei media nel processo di spettacolarizzazione degli avvenimenti, anch’essi trattati come prodotto da vendere al pubblico formandone l’opinione. In questo vortice inarrestabile ognuno diventa vittima di un sistema in cui anche i corpi divengono beni da gestire secondo regole mercantilistiche, e la sessualità diviene, dunque, centrale in un’Italia falsamente liberata dai lacci della vecchia morale. In una società siffatta è necessario sussumere ogni valore umano e culturale eretico, declassandone la forza che sola può provocare un cambiamento radicale, e da cui nasce la sua posizione “ambigua” nei confronti, per esempio, delle campagne sul divorzio, l’aborto e la famosa polemica con gli studenti di Valle Giulia.
Egli stesso è vittima del consumabile. Confuso spesso con alcuni suoi personaggi, che possiedono la matrice dell’autore ma non sono lui, Pasolini è costretto dentro un cortocircuito narrativo inquietante, complici i media pronti ad amplificare fatti privi di fondamento. Il peccato di Pasolini consiste nella pretesa, negando il concetto paternalista della concessione, di essere riconosciuto pronunciando le proprie idee a suo modo, forzato ad abitare uno spazio sociale minoritario decide di prendere da esso la forza che gli consente di imporsi. È una conquista inarrestabile ma faticosa che suscita l’interesse degli ammiratori e, per inverso, quello dei censori.
I 33 processi subiti da Pasolini lo confermano.
Al di là della tipologia delle accuse, il motivo di tanta attenzione è la sua la libertà cercata con ostinazione e che nasce da un peso più volte malvissuto, la coscienza di una dannazione che lo pone sempre fuori da un colloquio con la maggioranza.
Ha ventisette anni quando affronta il primo processo, sviluppatosi da quello che è noto come lo “scandalo di Ramuscello”, il primo grande evento traumatico che inaugura la “vita nova” di Pasolini. Chiusa la prima e irrimediabile fase, la seconda si apre a Roma ed è vitale almeno fino a fine anni Sessanta, quando se ne inaugura un’altra, quella in cui si colloca l’abiura alla Trilogia della vita4. Sono anni in cui è costretto ad accendere i riflettori sul buio baratro dell’Italia dei primi Settanta, sviluppando nelle sue opere una scelta già compiuta ma non ancora definita, l’adozione dell’allegoria. Da questo momento è essa a caratterizzare la scrittura di Pasolini, quella più adatta a ciò che vuole narrare, chiudendo così la fase del realismo poetico e quella favolistica con cui si è provato nella Trilogia forzando la sua attitudine. Il tema del sesso si lega indissolubilmente al Potere, quello con la p maiuscola: ora i corpi e il corpo della Nazione sono un’unica entità.
Impossibile, dunque, ragionare del rapporto tra l’omosessualità e Pasolini senza tenere conto del suo indagare su e nei Corpi: dalla loro mercificazione alla “falsa tolleranza”, dall’imposizione mass mediatica di uno stile di vita da acquisire a ogni costo, fino al corpo dei corpi, l’Italia.
2. La scoperta dell’omosessualità
Nel 1986 esce edito da Einaudi il primo di due volumi delle Lettere5, un ricco epistolario che Piergiorgio Bellocchio definisce «l’autobiografia involontaria dello scrittore forse più furiosamente autobiografico della letteratura italiana»6. È nelle lettere agli amici conosciuti a Bologna che si evidenzia il difficile viaggio di Pasolini verso l’ammissione della sua omosessualità, ma prima è importante conoscere i protagonisti del suo desiderio.
Secondo quanto scrive Nico Naldini il primo amore di Pasolini è un allievo della sua scuola di Versuta, «un giovinetto bruno con gli occhi sfavillanti, sempre sorridente per timidezza, protetto nella sua innocenza da un Angelo custode in cui crede ciecamente»7, motivo per il quale il rapporto si esaurisce senza raggiungere l’atto carnale.
L’amore per il giovane matura nei luoghi prediletti, quelli della cultura contadina a cui appartiene la famiglia di sua madre; qui avvengono le prime esperienze sentimentali e sessuali, qui vivono da millenni generazioni che abitano un luogo idilliaco in cui l’Eros è incorrotto e innocente. I suoi amori appartengono a questo Eden e ne incarnano le virtù, originando un archetipo sentimentale che ritrova a Roma nelle borgate.
Ma il ragazzo di Versuta non è innocente perché carnalmente non disponibile, lo sono parimenti i ragazzi sessualmente disinibiti. A determinare l’innocenza è l’appartenenza a una cultura priva di sovrastrutture morali e sociali conformiste, all’opposto dei ceti la cui dirittura morale è il fondamento della conservazione di uno status da proteggere pena l’esclusione dai vantaggi di classe.
Pasolini si forma tra l’educazione religiosa contadina della madre e quella borghese del padre, una profonda differenza da cui si forma un conflitto fondato, più che sull’accettazione della propria natura sessuale, sul senso di colpa generato dall’appartenenza sociale che si intreccia con le sue aspirazioni. Non riuscendo a sanare il gap tra le due forze che operano sulla sua vita, in Pasolini si genera una dualità che persiste anche in età matura e su cui fonda alcune delle opere maggiori.
È il caso del protagonista di Petrolio, quel Carlo Valletti da cui si generano altri due Carlo – Carlo I e Carlo II – il cui compito è esplorare due percorsi opposti di una stessa vita. In Petrolio Valletti si divide in realtà in tre entità: la prima è quella che origina le altre, quando a inizio romanzo con la visione della sua morte metaforica, questi assiste alla spartizione del suo corpo da parte di due figure, Polis (buono e angelico) e Tetis (infernale), che rivendica come sua proprietà il peso interno al corpo di Valletti. I due nascituri sono identici nell’aspetto fino a quando si riuniscono nel “padre”, o “mammo” se si preferisce, alla conclusione delle uscite notturne di carattere sessuale di Carlo II e Carlo I ha aiutato Valletti a conquistare il potere.
Un grande peso, dunque, è quello di cui Pasolini si carica sin da ragazzo, attorno a cui si aggrovigliano molti sentimenti, eventi, delusioni, autoanalisi. È interessante notare quanto l’intreccio tra vita privata e opere somigli a una personale forma di terapia, un bisogno di condivisione di quel peso troppo complesso da mantenere entro una sfera intima, dando luogo a una figura di lettore/analista a cui chiede ascolto mentre lo accompagna nel profondo della sua pena.
Ed ecco dunque le lettere agli amici di Bologna dove si chiarisce la sofferta accettazione dell’omosessualità, un tormentato viaggio interiore che si svolge con iniziali omissioni, poi con velate dichiarazioni e infine con una apertura mai completamente definita. Si evidenziano due aspetti principali: la paura di essere giudicato e la possibile perdita degli affetti.
È il caso di Silvana Mauri con cui intreccia una profonda relazione che per la donna si trasforma in innamoramento. In una lettera datata 15 agosto 1947 Pasolini tenta di definire con delicatezza i confini del loro rapporto, attento a non ferire i sentimenti dell’amica
«Fin dai miei primi incontri con te avrai capito che dietro la mia amicizia c’era qualcosa di più ma di non molto diverso; una simpatia che era addirittura tenerezza. Ma qualcosa di insuperabile, diciamo pure, di mostruoso si frapponeva fra me e quella mia tenerezza. Ricordati ancora una cosa, Silvana, e poi avrai finalmente capito: rivedi noi due in quel ristorante di Piazza Vittorio, davanti ai “calzoni”, e ricorda il calore con cui ho difeso quella tua amica omosessuale. Non allarmarti, per pietà, Silvana, a questa ultima parola: pensa che la verità non è in essa, ma in me, che infine, malgrado tutto, sono largamente compensato dalla mia joy, dalla mia gioia che è curiosità e amore per la vita»8.
Poi tenta di rassicurarla «tu sei la sola donna verso cui ho provato e provo qualcosa che è molto vicino all’amore, certo un’amicizia eccezionale», ed effettivamente il rapporto tra i due prosegue per tutta la vita.
Tra questa lettera del 1947 e un’altra inviata alla Mauri del 1950, ce n’è una indirizzata a Franco Farolfi, altro amico bolognese, datata settembre 1948
«La mia omosessualità è entrata ormai da vari anni nella mia coscienza e nelle mie abitudini e non è più un Altro dentro di me. Ho dovuto vincerne di scrupoli, di insofferenze e di onestà…ma infine, magari sanguinante e coperto di cicatrici, sono riuscito a sopravvivere salvando capra e cavoli, cioè l’eros e l’onestà»9.
Sembra sia avvenuta una prima risoluzione del conflitto, poi nella seconda lettera alla Mauri del 10 febbraio 1950
«Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori, non c’entrava con me. Me la sono sempre vista accanto come un nemico, non me la sono mai sentita dentro»10.
Cosa è successo nel frattempo?
Nel 1950 Pasolini si trova a Roma dopo essere fuggito dal Friuli con la madre Susanna Colussi. Il motivo è il già citato scandalo da cui si origina il primo processo.
Una sera di settembre durante una festa di fine estate nei dintorni di Ramuscello, Pasolini conosce tre ragazzi con cui si apparta. Come scrive Naldini «quella notte Pier Paolo torna a casa felice, ma di una felicità troppo piana, ingenua, priva delle necessarie scaramanzie, o, come sarebbe opportuno, di misure prudenziali»11. Nessuno ha assistito all’avventura notturna ma qualcuno ne viene a conoscenza e denuncia Pasolini, l’accusa è di corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico. Secondo Naldini alla notizia delle indiscrezioni gli avversari politici di Pasolini (ricordiamo che all’epoca milita nel Pci) approfittano dell’occasione per costringerlo a interrompere l’attività politica, quindi par di capire che quel “qualcuno” sia uno di loro o che agisce per loro.
Il caso Ramuscello e quello assurdo del Circeo, in cui lo si accusa persino di rapina a mano armata, a differenza di quelli derivati dalla sua attività artistica in cui a operare è la censura12, aiutano a comprendere meglio quanto Pasolini sia indesiderato alla morale del tempo, a cui però si deve aggiungere un altro elemento tutt’altro che secondario, Pasolini è una figura pubblica. L’interesse costante nei suoi confronti è, dunque, sempre un atto politico.
A questo punto si può comprendere lo stato d’animo di Pasolini quando scrive la lettera alla Mauri. Egli assume la posizione di chi lo accusa definendo la sua omosessualità un “peccato”, comprende che gli è preclusa quella vita tranquilla a cui aspira per conquistare uno spazio entro la classe culturale. Il suo timore più grande è che il “nemico” in lui continui a operare in senso contrario al raggiungimento del suo scopo.
A seguito del processo il Pci friulano gli revoca la tessera ma lo comunica per mezzo stampa. Un altro campanello di allarme, la gogna mediatica. La Segreteria Nazionale del partito non si cura di prendere le distanze da una decisione locale. La questione del rapporto tra il Pci e Pasolini, che continua a dichiararsi comunque comunista e marxista, non si esaurisce in poche parole ma si può dire che dal 1948, con la vittoria alle elezioni della Dc, l’Italia eredita la linea del partito e il suo perbenismo; il Pci accoglie questa morale su cui crea la figura del comunista perfetto, opposto all’uomo diabolico raffigurato dalla propaganda democristiana, quindi non meraviglia la mancanza di intervento su un fatto locale la cui accusa a un proprio militante comporta grande imbarazzo. Pasolini, dunque, sperimenta presto quanto la sua vita sessuale possa essere usata per emarginarlo.
Quando anni dopo scrive di Aldo Braibanti sostiene che il vero delitto dell’intellettuale sia da ricercare nel rifiuto dell’autorità. Pasolini lo descrive come un uomo mite «nel senso più puro del termine» dalla cui solitudine nasce la sua debolezza e da essa la sua autorità che definisce «la più pericolosa di tutte», diversa però dalla «[…] autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe provenuta naturalmente, solo se egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale […]»13.
È interessante notare quanto la non appartenenza di Braibanti, poeta dell’avanguardia e intellettuale tra i maggiori del Novecento, diventi il facile terreno di una vicenda che anche in questo caso si basa sul nulla, non esiste plagio ma una relazione omosessuale tra consenzienti, e nonostante molti intellettuali, compreso Pasolini, firmino una petizione in suo favore, Braibanti è condannato. Entrambi omosessuali, i due reagiscono in modo opposto alla ferocia dei benpensanti. Le foto del processo a Braibanti mostrano un uomo incapace di reagire e individuare un appoggio. L’autorità di Pasolini è, invece, quella coltivata dentro il sistema rifiutato da Braibanti e da cui egli continua a rivendicare il diritto di parola proprio grazie all’omosessualità vissuta quale strumento di conoscenza, per questo i tentativi di spezzare la sua volontà di resistenza non riescono a zittirlo. Egli da una posizione di minoranza attraversa i luoghi della maggioranza e sfrutta, più o meno consapevolmente, l’arma che lo penalizza di più, la sua popolarità. Scrive per gli stessi giornali che condanna, appare in televisione nonostante ne denunci l’unidirezionalità del mezzo, è presente ovunque sia possibile per dichiarare con fermezza il suo disgusto per il compimento di quello che definisce genocidio culturale.
3. La corruzione dei corpi e Comizi d’amore
Gli anni 60 si inaugurano in Italia con il boom economico, il periodo economicamente più ricco nella storia della Nazione. Coloro che sino a quel momento sono tagliati fuori da un possibile riscatto sociale accolgono con speranza la distribuzione della ricchezza e una conseguente maggiore mobilità sociale. L’Italia non è pronta, vive grandi arretratezze culturali, civili, economiche. Il benessere improvviso percorre la Penisola in modo trasversale, in molti vi partecipano secondo le proprie possibilità generando una smania di possesso in coloro che invece non accedono nemmeno ai beni essenziali.
Il consumo pretende una maggiore permissività dei costumi per allargare la platea dei partecipanti. Il focus si concentra sui giovani e sulla nuova coppia liberata formalmente dal vecchio modello, ciò provoca la trasformazione della famiglia e del suo ruolo affinché si formi la società del futuro. Il cambiamento si mostra da subito nell’aspetto più esteriore promuovendo un modello egemonico con i suoi riti da ripetere in uguale forma: oggetti, abiti, desideri, aspirazioni, un diverso linguaggio corporeo a cui si affianca quello della lingua parlata semplificata da slogan e da un pensiero precostituito. L’apertura a una maggiore permissività sessuale rimane interna alla coppia eterosessuale, ponendo drammaticamente fuori da ogni dibattito l’omosessualità e quindi l’autenticità del cambiamento. Avendo il sesso per Pasolini carattere politico decide di svolgere un’indagine con il mezzo a lui ormai più congeniale, il cinema. Il risultato è il film inchiesta Comizi d’amore.
Pasolini percorre l’intera Penisola intervistando contadini, operai, borghesi, studenti, ma anche personaggi della cultura tra cui Alberto Moravia, lo psicanalista Cesare Musatti, il poeta Giuseppe Ungaretti. Concluse le riprese, in fase di montaggio sceglie la scena con cui aprire il film, proponendo una sorta di totale su una natura intatta da cui successivamente è costretto ad allontanarsi per stringere lo sguardo su il suo contrario. I protagonisti sono dei bambini napoletani, curiosi ed eccitati, che appartengono a una comunità in estinzione, e il loro modo di esprimersi ne è una testimonianza più forte delle immagini, tra queste una descrizione della nascita che permette di cogliere gli ultimi bagliori di un racconto poetico sul mistero della vita, «‘O fiore…o’ fiore…vene ‘a lavatricia dint’ alla borsa tene nu fiore.» Che sia un bambino a illustrarla in un modo così affascinante non ne cambia l’importanza, egli è figlio del suo popolo, un adulto gli ha fornito questa versione.
Pasolini apre il film con la poesia prima che la trama si complichi trasformandosi in un dramma fosco. Vi ritorna solo con l’intervista a Ungaretti, poetica non solo perché egli è poeta ma perché essendo tale conserva una purezza di sguardo sul mondo
«Tutti gli uomini sono a loro modo anormali, tutti gli uomini sono in un certo senso in contrasto con la natura. E questo sino dal primo momento con l’atto di civiltà […] che è un atto di prepotenza umana sulla natura, è un atto contro natura […] Sono un poeta e quindi incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia»
Le leggi della poesia vs le leggi della prosa tecnica, ossia la lingua del manuale comportamentale con cui si attivano in automatico le regole funzionali alla macchina conservatrice, ora combinata al nuovo corso. Eppure c’è una parte d’Italia da sempre separata dal resto, con altre regole basate su un’economia di sussistenza e su un senso della religione sviluppatosi entro tradizioni tutt’altro che clericali. È l’Italia di cui si stanno occupando gli antropologi come Ernesto De Martino e Alberto M. Cirese, che convive in maniera orizzontale con quella dominante di tipo verticale. Ma ora la verticalizzazione riesce a penetrare laddove prima non riusciva e Pasolini lo descrive, in una lettera pubblica a Italo Calvino14 del 1974, aggiungendo una nota interessante, individuando cioè tre mondi – contadino, sottoproletario e operaio – legati tra loro da una simile tipologia di civiltà di carattere transnazionale. Dal momento che l’Italia accetta e promuove un modello culturale e sociale di egemonia globale, ogni spazio intimo, un tempo salvato dalle differenze, ne è colonizzato condizionandone in tal modo i comportamenti, le lingue, le tradizioni.
Le differenze riscontrate durante le interviste di Comizi d’amore nascono, quindi, dalla presenza di due nazioni che non comunicano, una che si impone dall’alto dimentica della propria storia, l’altra è invece il residuo di quella prodotta da antiche civiltà, motivo per il quale i due mondi reagiscono diversamente alle domande di Pasolini. L’evidenza di quanto poco si stia radicando negli italiani quella apertura sessuale narrata dai media è riscontrabile nell’italiano urbanizzato, istruito e piccolo/medio borghese che risponde con veemenza alle domande sull’omosessualità, ma anche nei loro giovani studenti che appaiono confusi e poco disinvolti. Lo scandalo che provoca l’omosessualità nei suoi interlocutori è ben spiegato dal colloquio tra Pasolini, Moravia e Musatti, sempre all’interno del film, in cui emerge un dato psicologico importante per analizzare i comportamenti conformisti. Moravia usa il termine «paura primitiva» di perdita di personalità, Musatti approfondisce parlando di funzione conservatrice delle istituzioni che impongono il rifiuto dell’ammissione dei propri impulsi, ma è Moravia a definire in sintesi la questione
«una credenza che sia stata conquistata con l’uso della ragione e con un esatto esame della realtà, è abbastanza elastica per non scandalizzarsi mai, se invece una credenza è ricevuta senza un’analisi delle ragioni per cui è stata ricevuta, accettata per tradizione, per pigrizia o per educazione passiva, è un conformismo».
La sintesi tra consumo e disuso della ragione diviene un terreno su cui molti scrittori riflettono facendone il loro tema di elezione. Uno di essi è James Graham Ballard di cui è celebre questo passaggio della Postfazione di un libro di meritato successo
«Il matrimonio tra ragione e incubo che ha dominato il XX secolo ha generato un mondo sempre più ambiguo. Il paesaggio delle comunicazioni è attraversato dagli spettri di sinistre tecnologie e dai sogni che il denaro può comprare. Sistemi d’armi termonucleari e pubblicità televisive di bibite coesistono in un mondo sovrailluminato che ubbidisce alla pubblicità e agli pseudo eventi, alla scienza e alla pornografia. Alle nostre vite presiedono i due grandi leitmotiv gemelli del ventesimo secolo: sesso e paranoia. […] Voyeurismo, disgusto di sé, la base infantile dei nostri sogni e dei nostri desideri – questi mali della psiche sono ora culminati nella perdita più atroce del secolo: la morte del sentimento»15.
L’idea ballardiana della perdita del sentimento attraverso l’induzione di desideri resi necessari e possibili solo con l’acquisto, e il cui terreno di elezione è il sesso, è il risultato del passaggio dal prodotto al corpo consumabile. Ballard non è Pasolini e viceversa, ma entrambi collocano la loro riflessione sullo stesso terreno con estrema lucidità. Se Ballard inserisce tali analisi nel romanzo di fantascienza (un genere che ha offerto tra le migliori narrazioni in tal senso), a Pasolini, scrittore diverso per generazione e formazione, non basta pronunciare cosa accade, egli deve individuare la radice politica dei responsabili, raccontare della sorgente del male e quindi, spinto oltre ogni preservazione di sé, pronuncia le sue dure accuse al Potere.
4. Il corpo della nazione
L’eterna lotta tra Eros e Thanatos si accresce con il peso delle esperienze personali. I luoghi e le persone, i ragazzi e l’amore, il balsamo per ogni sofferenza non è più, di quel mondo rimangono gli amici e collaboratori che continuano a rimanergli fedeli compagni di viaggio. La sofferenza più grande è rivolta però all’Italia su cui non coltiva più speranze e da cui si sente tradito, un amore mal corrisposto eppure cercato con l’ossessione dell’innamorato quando pensa di riconoscere un gesto di corrispondenza. Pasolini si rabbuia, perde il sorriso, appare trasformato in una maschera attanagliata dal terrore di una visione: il Potere ha vinto ogni cautela, nessun velo scintillante di ricchezza può più nascondere, per chi vuole vedere, l’avvenuta manipolazione dei corpi degli italiani. E allora è il corpo della Nazione, che tutti contiene, il protagonista delle ultime due opere su cui lavora senza risparmiarsi.
La prima è un film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, che vuole perfetto. Il pretesto narrativo è la Repubblica di Salò, il vero protagonista è però il Potere nella sua forma estrema, infernale. Pasolini è impegnato nella lavorazione del film quando rilascia a Gideon Bachmann una conversazione in cui motiva la scelta dell’allegoria
«Quando un film è un’allegoria, deve esser per forza fatto così, perché ogni cosa che fai è significativa e non può essere un’altra. […] In Salò, siccome c’è una dovizia di rapporti sessuali, il sesso ha una funzione metaforica. Quindi se il film non è una favola, perlomeno è una grande metafora, almeno nelle intenzioni. Questa volta il sesso è la metafora del rapporto tra potere e chi è sottoposto al potere. La mercificazione è la trasformazione del corpo in cosa. Il sesso è la metafora di questo […] Il potere repubblichino è una metafora del potere. Tutti i dati esteriori, il linguaggio e il comportamento, si ispirano a quel tipo di repressione: disciplina, ordine, sottomissione assoluta e potere assoluto»16.
In Salò Pasolini parte dal Marchese de Sade ma è a Dante che guarda per la sua struttura, a cui fa riferimento de Sade stesso tra l’altro, per cui il film è suddiviso in un Antinferno e in gironi: il Girone delle Manie, il Girone della Merda, il Girone del Sangue.
In questo contesto non vi è più spazio per una seppur minima rappresentazione ludica del sesso perché «Il rapporto sessuale è un linguaggio […] Il linguaggio o sistema di segni del sesso è cambiato in Italia in pochi anni, radicalmente. […] Il sesso oggi è la soddisfazione di un obbligo sociale, non un piacere contro gli obblighi sociali»17.
Se il potere ritratto è totale e decadente, e lo è sempre quando non si reagisce ribellandosi, nemmeno le giovani vittime delle violenze sono esenti da una colpa, accettare la sottomissione senza trovare la forza di reagire per superarne il condizionamento. L’ultimo sguardo cinematografico di Pasolini è guidato da un orrore al massimo livello, superiore alla amara constatazione a cui è giunto anni prima con un epigramma che si conclude con una frase terribile «È solo perché sei cattolica, non puoi pensare / che il tuo male è tutto il male: colpa di ogni male. / Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo»18, così simile a un verso del Purgatorio de La Commedia «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!»19. Pasolini l’esiliato, apolide già da ragazzo, in Dante trova spesso il suo punto di riferimento quando il narrare si fa particolarmente doloroso (ne è un esempio La Divina Mimesis iniziato nel 1963 e pubblicato postumo).
La seconda opera è il già citato romanzo su cui lavora da tempo e che rimane incompiuto, Petrolio. Anche qui Dante è fonte di ispirazione. L’Appunto 71 inaugura le Visioni di Valletti ripartite in 15 gironi e 5 bolge. Il protagonista è il brutto venticinquenne Merda che, durante il lungo percorso su cui si aprono le visioni, rimane abbracciato alla ragazza Cinzia nonostante il dolore al braccio si faccia via via sempre più intollerabile, a suggerire già nella postura la costrizione a un modello comportamentale imposto dalla nuova società. La descrizione dei gironi e delle bolge è forse la migliore espressione dell’analisi di Pasolini sulla società contemporanea. Il doppio, che in Petrolio è centrale, qui è ripetuto nella costruzione di scene attraversate da un materiale metallico trasparente dove si possono vedere contemporaneamente due aspetti di uno stesso luogo, il prima e l’umanità che lo caratterizza e il dopo che ne ha modificato radicalmente l’aspetto e il sentimento. Nelle bolge avviene lo stesso, stavolta i doppi sono caratterizzati da un fuori e un dentro dei giovani uomini che ne sono protagonisti: come appaiono rendono visibile il cambiamento di abiti e comportamenti, come sono dentro è una lettura diabolica della loro natura. In questo nuovo mondo dove la coppia eterosessuale è ritratta come obbligo, questi ragazzi guardano all’omosessualità in modo opposto al passato, come sintetizza questo passaggio riferito alla statuetta/oracolo del nuovo Verbo: «la frase che egli sta pronunciando è: «Che, ce sta qualcuno che va ancora co ‘i froci?». Il tono è sarcastico, trionfalistico, pieno di odio, […] Il Verbo predicato dal Modello del IV Girone è (dicono gli Dei) il Verbo dell’Abiura»20. Nelle Visioni il legame tra potere consumistico e nuovo fascismo è dichiarato, questi giovani non conservano più traccia della cultura che li rendeva innocenti e aperti ai molteplici aspetti della vita.
Salò e Petrolio nascono e si scambiano informazioni dentro l’ultima fase del lavoro del loro autore, il cui sviluppo è purtroppo impossibile da verificare. Il Pasolini doppiamente deviante, in quanto omosessuale e come voce critica, e imprudente, fa gioco ai suoi nemici, è un cattivo esempio da ogni punto di vista, un uomo fastidioso, testardo. Nelle ore che succedono la scoperta del suo corpo martoriato è nella sua vita sessuale notturna che si indaga, così anche nell’ultimo atto della sua vita di nuovo e per l’ultima volta Pasolini, la vittima, è oggetto di giudizio.
Note
- Pier Paolo Pasolini, Dai ‘Quaderni rossi’, in Romanzi e racconti vol. I, Arnoldo Mondadori Editore, I Meridiani, Milano, 1998, pp.156-157.
- Pier Paolo Pasolini, Il cinema impopolare, in Empirismo eretico, Garzanti, S.L., 1995 [1^ ed. 1972], p. 270.
- Illuminante in questo senso, la partecipazione di Pasolini in Pasolini e…”la forma della città”, una puntata del programma Rai Io e… di Anna Zanoli, regia di Paolo Brunatto del 1974. Tramite l’assetto urbanistico e architettonico di Orte e Sabaudia, Pasolini riesce a dare una visione chiara alle sue affermazioni.
- Pier Paolo Pasolini, Abiura dalla Trilogia della vita, in Saggi sulla politica e sulla società, Arnoldo Mondadori Editore, I Meridiani, Milano, 1999, p. 600.
- Pier Paolo Pasolini, Lettere, in Nico Naldini (a cura di), I vol. 1940-54, II vol. 1955-75, Einaudi, Torino, 1986 /1988.
- Piergiorgio Bellocchio, L’autobiografia involontaria di Pasolini, in Dalla parte del torto, Einaudi, Torino, 1989, p. 147.
- Nico Naldini (a cura di), Cronologia, in Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. LX.
- Pier Paolo Pasolini, Lettere, Nico Naldini (a cura di), I vol. 1940-54, cit., pp.313-316.
- Ivi, pp. 341-342.
- Ivi, pp.389-390.
- Nico Naldini (a cura di), Cronologia, cit., p. LXX.
- La censura cinematografica, tra i motivi principali di alcuni processi a Pasolini e/o i produttori e distributori, non porta automaticamente a un processo. Essa tramite una Commissione ministeriale verifica se un’opera può uscire nelle sale o se può essere vietata ai minori di 14 o 18 anni. I processi intentati a Pasolini in questi casi nascono da una denuncia (partita da procure, associazioni, singoli spettatori) e dal conseguente iter della magistratura che può decidere persino se far ritirare un film dalle sale. Dal 5 aprile 2021 il compito preventivo di esame delle opere cinematografiche è decaduto.
- Pier Paolo Pasolini, Il caos, Gian Carlo Ferretti (a cura di), Editori Riuniti, Roma, 1995, p. 35.
- Pier Paolo Pasolini, Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino, in Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 318.
- James Graham Ballard, Postfazione, in Crash!, Feltrinelli, Milano, 1974.
- Pier Paolo Pasolini, Gideon Bachmann (conversazioni con), Pier Paolo Pasolini. Polemica Politica Potere, in Riccardo Costantini (a cura di), Chiarelettere, Milano, 2015, pp. 117-120.
- Pier Paolo Pasolini, Appendice a «Salò», in Pasolini per il cinema, vol. II, Arnoldo Mondadori, I Meridiani, Milano, 2001, pp. 2064/65.
- Pier Paolo Pasolini, XV Alla mia nazione, in Pasolini tutte le poesie, vol. I, Arnoldo Mondadori, I Meridiani, Milano, 2015 [1^ ed. 2003], p. 1027.
- Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio Canto VI (vv. 75-78), Principato Editore, Milano, 1963, pp. 65-66.
- Pier Paolo Pasolini, Petrolio, cit., p. 342.
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