S.S. Van Dine
Edoardo Ripari, S.S. Van Dine, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 23, no. 2, ottobre/dicembre 2010
I romanzi polizieschi di Willard Huntington Wright (in arte S.S. Van Dine, Chattersville, Virginia, 15 ottobre 1888 – New York, 11 aprile 1939), appartengono a pieno titolo alla “Golden Age” della detective story (1920-1940), e in particolar modo al cosiddetto whodunnit (“giallo deduttivo”), il cui capostipite, ovviamente, è l’immortale Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle (Vance, Poirot, Miss Marple, Nero Wolf, sono tutti eredi del grande deduttore inglese): un investigatore (professionista o dilettante), conduce indagini su un delitto avvenuto in circostanze misteriose e inspiegabili (un inquietudine soprannaturale sembra anzi percorrere le oscure vicende narrate), generalmente in un ambiente chiuso, e lo scrittore, che racconta la vicenda dal punto di vista di testimoni del tutto incapaci di sbrogliare l’intricato filo della matassa, affida al suo “eroe” il compito di ricostruire, attraverso percorsi logici e deduttivi alquanto rigorosi, l’esatto e imprevisto svolgimento dei fatti
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