Bibliomanie

Europa aveva paura
di , numero 41, gennaio/giugno 2016, Letture e Recensioni,

Come citare questo articolo:
Magda Indiveri, Europa aveva paura, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 41, no. 10, gennaio/giugno 2016

Europa aveva paura.
Sembravano passati secoli, da quando spensierata giocava sulla riva del mare. E davvero era senza pensieri, allora, dolce ridente, a intrecciare corone di rose e di viole con le compagne, a raccontare e ascoltare, a fissare quella distesa d’acqua salata che di sera si faceva colore del vino; e c’erano solo storie, allora, niente filosofia.
Quel mare la proteggeva, era come il bordo di un vestito, la cimosa di un tappeto.
Altre cugine, la solenne Asia ad esempio, vantavano antichità ed esperienza. Lei si sentiva piccola e giovane sempre, leggera che quasi il vento la portava in volo, piena di colori e di umori.
“Europa!” – la chiamavano a sera dalla reggia. Perché lei sarebbe stata regina. Ma le interessavano infinitamente di più i battelli che portavano porpora, l’eco fragoroso di armi lontane, i canti.
Non voleva mai ritirarsi nelle sue stanze, in quegli anni felici. Aspettava la notte per incontrare sua sorella, la Luna dal bianco viso, a lei affine. Qualcuno ridendo le aveva raccontato che il suo nome significava “dalla larga faccia”; e chi più della Luna, quando era piena, poteva dire di assomigliarle?
Ma era anche l’ombra che l’attirava, l’oscurità. Forse aveva colto nel segno quell’altro indovino, l’ orientale, che dopo averla guardata – lei ancora fanciulla – si era scurito in volto, e le aveva detto che il suo regno era il luogo in cui il sole si coricava, l’occidente, l’ombra.
Europa non se n’era rammaricata, proprio perché la notte le dava quiete. Il mare diventava una pianura scura e immobile, quasi da poterlo attraversare camminando sulle punte, senza bisogno di barche. Il mare di notte diventava un ponte, e i bordi erano nastri che portavano ovunque. Europa si sdraiava sulla riva e sognava di galleggiare, di farsi lei stessa ampio ponte dove corressero popoli, merci, idee, per una festa infinita.

Quell’epoca era finita.
Adesso Europa passava il suo tempo chiusa nelle sue stanze; le giornate erano un tentativo vano di riposo, dopo le battaglie notturne. Qualcuno la visitava, ogni notte, ma non era piacevole.
Fantasmi incomprensibili entravano nella sua camera e nella sua mente, luridi uomini scuri e stracciati che gridavano aiuto prima di cadere in acqua, cadaveri affogati di bambini sul bagnasciuga, armate a cavallo con armi scoppiettanti, navi piene di polvere infiammante.
Acqua, e fuoco. Muri invalicabili. Fili di spine. Peste e orrende ferite. Ancora, forni che mandavano un fumo grigiastro. Uomini con strane divise, croci in campo bianco, tute grigioverdi, abiti neri, bandiere. Libri in cenere.
Quel regno dell’occidente profetizzato dall’indovino era forse un regno di morte? si chiedeva Europa senza forze, quando le visioni si affievolivano. E perché mai avevano dato il nome di Euro- una parte del suo nome – al vento del mezzogiorno, il vento caldo e affannato, il vento che brucia?
Allora era un inganno, che proprio Omero il grande l’avesse nominata, nel suo Inno ad Apollo!

Ogni notte fantasmi sempre più dolorosi. Vedeva torri di libri meravigliosi, manoscritti miniati e poi caratteri a stampa, e poi giornali pieni di fotografie. Ma tutto questo improvvisamente bruciava in roghi altissimi. Vedeva templi che si trasformavano in cattedrali e piazze che si gremivano di folla, ma alla fine del sogno restavano macerie.
Poi ai sogni subentrò una voce.
Era cantilenante, cadenzata, e sembrava venire dal mare.
Le diceva il suo destino. Le cantava di un dio che l’aveva notata, e che presto l’avrebbe portata via. Le descriveva il suo aspetto, un corpo di animale possente, il colore era quello lunare, il suo preferito. E che doveva aspettarlo.
Così Europa cominciò ad uscire di nuovo, aveva ancora paura, ma giorno per giorno quella voce la incoraggiava, era una via da imboccare, cos’altro è in fondo un destino? Un percorso, un nastro, una voce che si fa strada. E lei sarebbe stata regina, gliel’avevano assicurato. Forse anche lei sarebbe diventata la vecchia Europa, venerata da tutti. Forse unirsi a quel dio, il bianchissimo toro, sarebbe stata la via per ottenerlo. Accettare l’inaudito, rendere familiare lo straniero. Mescolarsi, la luna col sole. Le parve che quella fosse la soluzione per dare senso alle visioni, per dare forma al destino.

Sulla riva del mare Europa aveva paura, ma anche uno sguardo pieno di futuro. Oltre il mare, terre da popolare.
Il dio che la rapì sotto forma di toro non sapeva che Europa regina dell’occidente, bello sguardo e viso ampio, lo stava aspettando.

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