Da ecfrasi a personificazione: la musica in Alberto Savinio e Giorgio Vigolo
Laura Zanini, Da ecfrasi a personificazione: la musica in Alberto Savinio e Giorgio Vigolo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 37, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11670
1. Introduzione
Si apre il sipario, la musica comincia, attrice della rappresentazione; anzi, protagonista, nonché regista e sceneggiatrice. Essa rapisce e travolge, è una forza incontenibile, che possiede e investe chi la ascolta; non è possibile addomesticarla, né provare a contenerla. Non è azzardato definire la musica come il grande tema che emerge nelle opere di critica musicale di Alberto Savinio e Giorgio Vigolo, i quali, tra passione, paura e ammirazione nei confronti di essa, l’hanno esaltata, descritta e indagata.
Con esperienze, formazioni e punti di vista diversi, entrambi hanno scelto in particolare la musica come oggetto della loro produzione, anche se spesso le loro impressioni su di essa divergono radicalmente. Entrambi restano convinti che non sia possibile giungere a una definizione essenzialistica di un’arte in movimento continuo come la musica, chiamata infatti da Savinio «l’Arte Non Mai Conoscibile»:
La sola definizione che si addica alla musica è la Non Mai Conoscibile. E non senza ragione. La non conoscibilità della musica è la ragione della sua forza, il segreto del suo fascino; e se l’uomo cede con tanto piacere alla musica, è soprattutto per il “diverso”, per “l’ignoto” che è in essa […]. Cedere alla musica è un atto di soggezione a quello che non si conosce, e per questo attira1.
Alberto Savinio in Scatola sonora, e Giorgio Vigolo in Mille e una sera all’opera e al concerto, dei loro esercizi critici fanno antologia: in essi è possibile cogliere intimamente i rispettivi aspetti. Emergono dunque differenze, ma talvolta affinità insospettabili, tenendo presente i diversi contesti temporali in cui i due autori agiscono.
Non mancano contraddizioni anche all’interno degli stessi autori: soprattutto in Savinio, che non ama totalmente, né abbandona totalmente la musica; per lui, questa dialettica oppositiva diventa un dramma che attanaglia l’intera vita artistica.
In Vigolo il rapporto con la musica è meno travagliato, connesso a un certo gusto per la classicità e filtrato attraverso una competenza critica che apparentemente non si interroga sull’essenza della musica stessa. Tuttavia, la sensibilità poetica di Vigolo fa da filtro all’esperienza della musica, fino a che, nella Virgilia, emerge il lato sensuale, emotivamente irresistibile, di questa arte.
2. Le raccolte critiche
La loro formazione musicale nasce da due esperienze diverse: Alberto Savinio (1891-1952), pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, fin dall’infanzia fa della musica la sua passione, ma non solo, anche la pittura e la scrittura sono discipline in cui eccelle, nell’aspirazione meravigliosa di trovare un dialogo continuo tra esse.
All’età di dodici anni si diploma in pianoforte e composizione al conservatorio di Atene, prosegue gli studi a Monaco di Baviera con il compositore tedesco Max Reger, e ottiene, anche come compositore, l’ammirazione di personalità quali Apollinaire e Picasso2.
Nel 1915, però, sente la necessità di allontanarsi dalla musica: egli afferma la necessità di sfuggire alle tentazioni provocate dalla “dama sonora”, cioè la musica, che cerca di ammaliarlo3.
Dichiara egli stesso di non voler soggiacere al fascino della musica “dagli effetti deprimenti” cui essa induce «perché la musica stupisce e instupidisce. Perché la musica rende l’uomo schiavo.4»
Nel suo Monumento alla Musica del 1951, Savinio farà convergere queste sensazioni in pittura: una catasta di strumenti musicali si disporranno a formare una figura antropomorfa, che richiama modelli di pittura neoclassica. Tuttavia, la rappresentazione non si limiterà a questa immagine: sullo sfondo emerge un imponente occhio tra le nubi, che accentuerà il carattere di figura misteriosa, ambigua e talvolta spaventosa, della musica, dalla quale conviene allontanarsi per non rimanere sopraffatti5.
La descrizione della musica avviene dunque in Savinio tramite la scrittura e la pittura: anzi, l’ambizione dell’autore è «accrescere la portata della “parola” pittorica: per “cantare” la parola pittorica», e per fare sì che «i suoni diventino visibili e l’orecchio veda.6»
In questo modo, l’ecfrasi musicale si traduce in un utilizzo della parola a servizio della musica, dell’arte a servizio della parola: non si troverà mai una parola collocata a sproposito, un colore scelto casualmente, così come ogni nota occupa un suo posto preciso in uno spartito7.
Dal canto suo, Giorgio Vigolo si avvia precocemente, indirizzato dai genitori, alla musica, studiando pianoforte, e proseguendo la propria formazione da autodidatta. Tuttavia, la sua vera vocazione è quella di poeta e letterato. Si forma artisticamente a Roma, poeta prosatore, filologo, studioso e curatore dei sonetti del Belli, traduttore di Hölderlin, non si legò alle correnti artistiche letterarie del periodo, rimanendo fedele a un suo gusto classico, venato da simbolismi ed echi del barocco. Vigolo pubblica i suoi primi interventi sulla “Voce”, che è il contesto culturale nel quale si sviluppa la musicologia del Novecento in Italia. La Virgilia, il suo unico romanzo, inizia a comporsi tra il 1921 e il 1922, ma sarà pubblicato solo nel 1982. Narra, in forma di un memoriale, la storia di un giovane musicologo, giunto a Roma per studiare la musica del Cinquecento, e destinato a scoprire invece la forza vitale e sensuale della musica nella figura di una donna proveniente dal passato.
Sia Savinio che Vigolo raccolgono i loro articoli di critica musicale in antologie, ma la versione finale si discosta dagli articoli originali, poiché essi sono riadattati in funzione della raccolta, rivisitati in base al contesto di pubblicazione. Considerando sempre la vicinanza tra gli articoli scritti e il pubblico cui erano destinati: nel caso di Savinio, un pubblico sicuramente colto e capace di seguirlo nelle sue divagazioni letterario-filosofiche; per Vigolo, un pubblico più elitario, nonché un pubblico di ascoltatori radiofonici8.
Le raccolte seguono due organizzazioni differenti; Vigolo sceglie una struttura semplice, cronologica, che procede dal 3 luglio 1945 all’8 marzo 1966. Savinio, invece, opta per un’organizzazione tematica, anche perché molti testi recano la menzione “non datato”, impedendo una scelta cronologicamente lineare.
La Scatola Sonora di Savinio, un titolo che fa riferimento alla Scatola Magica infantile, proprio a sottolinearne l’istintività giovanile e l’approccio impulsivo e innocente, è la raccolta postuma, scelta antologica di Savinio e Fausto Torrefranca, degli scritti fra gli anni Venti e il secondo dopoguerra (un periodo precedente, dunque, rispetto ai resoconti musicali di Vigolo). In questa raccolta Savinio, in veste di critico musicale, cerca di dare una descrizione e una rappresentazione scritta delle opere a cui assiste; tuttavia, non si limita al solo giudizio critico, ma descrive inventando, sperimentando, divertendo, anche con l’uso dell’ironia e di un’attitudine personale9.
I passi descrittivi sulla musica diventano infatti, in Savinio, occasioni per digressioni e riflessioni, nonché per descrizioni, talvolta pungenti, dei compositori e del pubblico. Qui l’autore manifesta esplicitamente i propri gusti personali, e critica il pubblico quando lo ritiene necessario. Savinio si lascia attirare da ogni dettaglio che accompagni la composizione musicale, dalle descrizioni della sala, alle persone che lo circondano, costellando e arricchendo il discorso con riflessioni personali sulla musica e sulla propria idea di essa:
La musica è un’idea, mai un fatto. La musica è un’aspirazione, un desiderio, una nostalgia. Ed è per questo che è ridotta a arte così fragile, caduca, impura. Onde resta inteso che il musicista praticante sarebbe da considerare un eretico e condannabile come tale, ove non sarebbe più giusto e sbrigativo considerarlo un incosciente 10.
Giorgio Vigolo, invece, nel suo titolo Mille e una sera all’opera e al concerto, si propone in una doppia valenza: da una parte si accredita come un assiduo frequentatore di teatri e di concerti, dall’altra come poeta, rimandando a una tradizione più propriamente letteraria. Vigolo usa una prosa letterariamente colta, puntuale nei particolari degli aspetti del concerto (compositore, esecuzione, pubblico e luogo). Le divagazioni personali sono più contenute rispetto a quelle di Savinio, pur non non totalmente assenti. Talvolta, anzi, Vigolo è pronto a scusarsi, se le sue attitudini emergono nel testo in modo troppo evidente, come in «una confessione di chi scrive.11». Oppure, ancora:
Ci si scusi se, ancora una volta, la cronaca musicale scivola nell’autobiografia 12.
Vigolo chiarisce spesso che «il compito del critico è dei più penosi, quando si parla non di concerti ma di sconcerti». Nella raccolta, Vigolo tende ad attenuare il proprio giudizio su tali “sconcerti”, e i giudizi corrosivi che tenderebbero a conseguirne13. Egli si definisce come un “medico della musica”, e si rivolge a un lettore generico, dotato tuttavia di cultura musicale elevata, quindi capace di comprendere la lettera delle sue considerazioni14.
Entrambi gli autori si presentano come aspecialisti: ciò concede a Savinio digressioni speculative, e a Vigolo una prosa che rasenta il poetico. La musica per Savinio sfugge tuttavia alle categorizzazioni e alle divagazioni filosofiche; queste non portano mai a risultati definitivi: «l’essenza della musica ci sfugge e sempre ci sfuggirà. Ci sfuggirà perché la musica non è cosa nostra. 15»
Pertanto, non si può dare una definizione finale al problema della musica, poiché tale problema è insolubile. La musica viene definita come un’arte che porta alla follia, e arrendersi ad essa è sintomo di follia. Una follia che si manifesta nei volti, si imprime nello sguardo di chi si è abbandonato alla musica, «nelle cateratte che la musica su di essi ha calato16», e si vendica sugli uomini che cercano una ragione in essa, al punto tale da spingere giù dal palco chi vuole assoggettarla alla propria direzione17.
L’amore – odio nei confronti della musica, base dell’educazione, ma allo stesso tempo forza che rapisce e distrugge l’uomo, non trova una conclusione: nella raccolta si alternano momenti di esaltazione della musica, e altri di sconforto:
La musica è l’elemento essenziale dell’educazione, non può esserci civiltà senza musica 18.
Savinio inoltre nega la possibilità della musica di innovarsi, a causa di un attaccamento al passato, diversamente da quanto accade alla pittura e alla poesia, che evolvono. Pittura e letteratura risvegliano continuamente le facoltà di chi le apprende. L’orecchio del musicista, invece, è sempre più appannato, perde l’abitudine di pensare: «il cervello del musicista non pensa in idee, non pensa in immagini, ma pensa in suoni19». In conclusione, al musicista non è dato di crescere, proprio a causa della sua passione, e di svilupparsi, come all’uomo comune20. Alla musica, secondo Savinio, manca una rivoluzione, rispetto alle innovazioni del cubismo e del surrealismo; alla musica manca, per definizione, la ricerca del nuovo.
Per Vigolo, d’altra parte, la musica è vita, un «respiro profondo, originario, in cui l’essenza più riposta del divino albeggia.21». Vigolo si allontana qui parzialmente dalla visione di Savinio: nella Virgilia, il suo personaggio tende a perdersi nei vicoli di una Roma barocca, e favorisce così l’esaltazione del proprio lato poetico, che erompe liberamente, in modo totalizzante. Vigolo si definisce un pellegrino alla ricerca dei poeti passati, del genio dei secoli del Medioevo, del Rinascimento, del Barocco, che ancora aleggiano a Roma. Da dilettante, si cimenta con schizzi dei luoghi maggiormente amati nella Roma barocca; dotato di un carattere schivo, si chiude in un «guscio screziato di favole e sogni.22»
3. L’ecfrasi della musica
Davanti alla natura incostante, impalpabile e astratta della musica, riuscire a descriverla a parole risulta uno dei più ardui compiti che si assumono entrambi gli autori, che tentano di rappresentarne gli effetti. Essi prediligono certi espedienti per rendere a parole la potenza della musica. Per esempio, l’uso di figure retoriche; nonostante ciò, ogni tentativo di cogliere a parole la sua vera essenza risulta sempre parzialmente appagato.
Tra Savinio e Vigolo permane comunque una sfera di argomenti comuni, risalenti anche al passato, che rievocano la musica e che perdurano nell’immaginario delle associazioni che alla musica stessa vengono accostate23.
Acqua, fuoco, terra, ma anche luce e natura sono elementi spesso associati alla musica, cui gli autori attingono per cercare di descrivere un’arte che avvolge gli ascoltatori pur non manifestandosi; della musica si percepiscono gli effetti totalizzanti, ma la parola riuscirà sempre inefficace a causa della sua natura sfuggente. Le immagini colte dal mondo circostante sono funzionali ad avvicinare e a risvegliare l’interesse del pubblico, che può far affidamento ai propri ricordi e alle proprie percezioni.
L’acqua, in particolare, è l’immagine che più facilmente si associa alla musica e ne evoca la natura liquida, corrente, inafferrabile; secondo Savinio proprio l’etimologia della parola musica risale dal greco moys, acqua. Di conseguenza questa associazione coinvolge anche l’aspetto sonoro dell’acqua che scorre; in modo assolutamente naturale e automatico l’ascoltatore accosta il suono dell’acqua che fluisce regolare o irregolare, alla musica. Infatti, Savinio non esita a parlare della musica come «fiume sonoro», cui spesso fa riferimento per evidenziare la musicalità dell’interpretazione:
più che a torrentelli vivi all’inizio della primavera, somigliano a letti dei torrentelli stessi prosciugati dall’estate 24.
Vigolo riprende questa lunga tradizione della musicalità dell’acqua, fino a renderla addirittura portatrice di memorie e suoni del passato. L’acqua diviene elemento vitale ed eterno anche nella Virgilia, dove emerge proprio questo aspetto in relazione con la città di Roma. La città, infatti, risuona di musiche del proprio lontano splendore, dove i corsi d’acqua riecheggiano continuamente; a un orecchio attento, questi suoni rievocano l’antico:
Quest’acquedotto taciturno e scuro porta non solo l’acqua; per la Via Aurelia esso porta la musica di Roma 25.
Tuttavia, la musica non si limita a sollecitare885 solo il senso dell’udito, bensì investe prepotentemente anche gli altri sensi; per tale motivo le metafore della musica utilizzate dai due critici spaziano attingendo al repertorio che riguarda la vista, l’olfatto, il tatto.
[La musica di Musorgskij] penetra in noi, non che attraverso le orecchie, ma anche attraverso gli occhi pure, e le narici e i pori della pelle 26.
L’uso delle figure retoriche associate alla musica, in particolare della metafora, della similitudine e della sinestesia, apre dunque la strada a un ventaglio di soluzioni stimolanti per la resa di questa «estranea cosa. 27»
In particolare, la sinestesia assume l’importante funzione di trasferire il significato da un dominio sensoriale all’altro, rivelandosi quindi particolarmente funzionale per i due autori come ponte tra i nostri sensi, nell’ obiettivo di assoggettarli tutti alla forza assoluta della musica.
Sia in Savinio che in Vigolo la fusione tra i sensi viene resa in modo più o meno esplicito, come in un passo di Mille e una sera, in cui Vigolo dichiara come la musica venga assimilata dalla nostra retina acustica:
agli azzurri perlacei, gli argenti rugiadosi, agli indachi della interpretazione di Karajan, così intensamente assorbiti dalla nostra retina acustica nelle precedenti recite del Don Giovanni, succedeva ora i vermiglio, gli scarlatti, le vampe del rogo. E che vampe! 28.
In questo caso, si comprende come, nell’immaginario dei due autori, colori, vista e suoni vengano costantemente associati: la vista, paradossalmente, diviene il senso privilegiato per la descrizione della sensazione sonora, in quanto istantanea rispetto agli altri sensi, che richiedono invece una successione di impressioni momentanee.
Per esempio, la musica spesso viene accostata all’immagine di metalli e pietre preziose: oro, diamanti, argento, cristallo, che restituiscono la brillantezza e la lucentezza della musica; in un passo dedicato a Carl Maria von Weber per esempio, Vigolo fa riferimento al taglio di un diamante, che essendo mirabilmente sfaccettato, brilla alle varie gradazioni di suono 29.
Inoltre, non mancano metafore riferite alla sfera del gusto, con alcuni riferimenti gastronomici, semplici per il pubblico dei lettori. La musica tolemaica, per esempio, per la sua insufficienza rispetto alle necessità contemporanee, secondo Savinio «non può riempire pienamente il nostro stomaco musicale» e se un contemporaneo rimane esclusivamente ancorato alla musica tradizionale, nelle sue parole, «vuol dire che c’è una disfunzione gastrica 30.»
Anche in Vigolo si ritrova questa associazione legata alla gastronomia, come in un passo di Mille e una sera all’opera e al concerto dove, commentando la Traviata di Giuseppe Verdi, ricorda la sensazione dello «champagne della Traviata» proprio a definirne il carattere frizzante e raffinato 31.
Un esempio tratto da Savinio rivela come non sia raro che la musica assuma le sembianze di un ambiente che accoglie chi la ascolta; in svariate parti delle opere, infatti, ritorna l’immagine del giardino, luogo dove la natura fiorisce e la vita cresce.
Se la musica non fosse quel nulla che è ma un giardino Mozart sarebbe il fiore più bello, più odoroso, più naturale32.
Anche in Vigolo la musica è un dolce giardino dove la natura colora l’ambiente, e profuma. Basti pensare a questo luogo come spazio in cui i sensi si mescolano: vista, olfatto, gusto. Ogni angolo del locus amoenus è una scoperta, così come ogni nota della sinfonia si somma in una sintesi perfetta di suoni.
Un rivolo di questo miele, dei cipressi in cui i giardini d’infanzia e l’elegia dei cimiteri si confondono 33.
L’anima poetica di Vigolo affiora in queste metafore sulla musica, come se ci si trovasse immersi fisicamente in un verde giardino solitario.
Tra le sue arie, i suoi duetti e i terzetti come un giardino34.
Talvolta al posto del giardino, luogo di vita, si può trovare l’immagine del cimitero come spazio di morte, a sottolineare per contrapposizione la funzione vitale della musica, che porta la vita anche dove sembra essersi conclusa.
Come una pioggerellina di novembre su un cimitero di crisantemi freschi: e filtra fra la pioggia anche un raggio di sole da estate dei morti con il dialogo del corno inglese e dell’oboe in dolce tubare di colombi su per le tombe dei poveri innocenti35.
4. La musica si fa persona
La musica possiede un’energia tale, che non solo investe tutti i sensi, ma diventa viva; gli autori esprimono al meglio questo concetto tramite l’uso della personificazione.
In tale modo si stabilisce un collegamento tra l’impressione sonora e alcuni atteggiamenti tipicamente umani, o anche animaleschi; come quando in Savinio gli strumenti «cominciano non tanto a sonare, quanto a chiocciare, a starnazzare, a gargarizzarsi» come animali in un pollaio: con tale espediente Savinio si concede forti e ironiche critiche 36.
La musica in Savinio è umanizzata. Essa è protagonista attiva sul palcoscenico, diventa personificazione; non è passiva creazione dell’essere umano, ma influenza direttamente chi la ascolta, chi cerca di addomesticarla.
Savinio la vede come potenza viva e questo è evidente in un famoso passo della raccolta, Musica Estranea, dove il critico, al teatro Adriano di Roma durante una rappresentazione di Brahms, descrive la sorprendente caduta del direttore d’orchestra Franco Ferrara. Nonostante le varie ipotesi sulla causa dell’accaduto, egli solo sa la verità, anche se non la dichiara apertamente:
E non dissi neppure quello che io solo sapevo e io solo avevo veduto, ossia la Musica apparsa sul podio come un’ombra lunga, che afferra con le mani adunche il giovane direttore per il collo e lo butta giù dal podio. Dopo che la Vampira se ne andò invisibile in mezzo all’orchestra in tumulto, tirandosi giù le maniche della vestaglia 37.
Questa descrizione della musica, Vampira che con la sua vestaglia si aggira nella sala, a metà tra l’umoristico e l’inquietante, si collega alla visione di Savinio della musica come una straniera tra di noi, come un’intrusa. Si ritrova questo atteggiamento anche in Vigolo, per il quale la musica si personifica: il riferimento è ovviamente alla Virgilia, che fa innamorare il protagonista e gli toglie il sonno. Nella Virgilia la musica di Roma riecheggia il passato della Città Eterna, ma non solo: «le dà respiro e fa battere il cuore alla storia. 38»
La musica che ascolta il protagonista gli appare in sogno di notte sotto forma di donna del passato. Egli avverte la figura femminile attraverso la musica: a partire dai suoni che percepisce, si innamora della sua stessa fantasia, in un amore che non diminuisce, ma si alimenta giorno dopo giorno.
La Virgilia che il protagonista sogna è vissuta nel Rinascimento romano. Tuttavia, grazie alla musica scritta per lei, egli respira l’aria che ella respirò e la sensualità e sensorialità di quella lontana figura femminile. La melodia che risuona è viva e, come la donna stessa, «piange, singhiozza ed implora: per pacificarsi poi in zone d’estasi quasi d’eliso. 39». Così, la musica diventa forza che restituisce il respiro alla donna; riporta il passato in vita nel presente: la statua di bronzo della Virgilia torna carne:
Vinta dal sottile incanto della musica, la Morte restituiva ai nostri occhi la sua preda radiosa 40.
Così, per Vigolo la musica incarna l’arte immortale, che non si sgretola con il tempo, come invece accade alle statue e ai dipinti. La musica si può vedere, descrivere e dipingere: Savinio e Vigolo ambiscono a farlo, ognuno secondo le proprie modalità, pur essendo consapevoli che i loro tentativi rimarranno vani, nell’intenzione di afferrare una forza per propria natura sfuggente.
La musica sfugge a ogni definizione, e la parola non è sufficiente per descriverla. Le ecfrasi musicali costituiscono tentativi di costruire un’immagine visiva, di rendere palpabile, assorbibile la musica attraverso i cinque sensi. Entrambi, Savinio e Vigolo, sottraggono la musica alla retorica verbale, cercando di renderne in parole l’energia vitale.
Note
- Alberto Savinio, Scatola sonora, Il Saggiatore, Milano, 2017, [1 ed. 1955], p. 31.
- Mila De Santis, La critica come invenzione, in Ibidem, pp. 547-551.
- Ibidem, pp. 7-15.
- Ibidem, p. 31.
- CHRISTIE’S , Alberto Savinio (1891-1952) Monumento città e musica, 2012, visto il 9 settembre 2023.
- M. De Santis, Una lunga variazione. La musica nella prosa di Alberto Savinio, cit., p. 165.
- Ibidem, p. 167.
- Sarah Decombel, Lo scrittore come critico musicale: Barilli, Bontempelli, Savinio e Vigolo, Tesi di dottorato, 2012, pp. 74-76.
- Ibidem, p. 67.
- A. Savinio. Scatola sonora, cit., p. 26.
- Giorgio Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, Sansoni, Milano, 1971, p. 631.
- Ibidem, cit., p. 306.
- S. Decombel, Lo scrittore come critico musicale: Barilli, Bontempelli, Savinio e Vigolo, cit., p. 80.
- G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 276.
- A. Savinio, Scatola sonora, cit., p. 30.
- Ibidem, p. 32: «Dove va la musica? Dove vanno i suoni che passano su noi come nembi in tempesta? Non lo domate ai musici: non ve lo diranno, non ve lo sapranno dire. Perché non ve lo sapranno dire, lo leggerete nei lori torbidi occhi, velati dalle cateratte che la musica su essi ha calato.»
- Ibidem, pp. 26-33.
- Ibidem, p. 19.
- Ibidem, p. 564.
- Ibidem, p. 3.
- S. Decombel, Lo scrittore come critico musicale: Barilli, Bontempelli, Savinio e Vigolo, cit., p. 174.
- Andrea Gialloreto, “In questo mio guscio di favole”. Giorgio Vigolo e il suo tempo, Prospero editore, 2018.
- S. Decombel, Lo scrittore come critico musicale: Barilli, Bontempelli, Savinio e Vigolo, cit., p. 143-186.
- Savinio, Scatola sonora, cit., p. 209.
- Giorgio Vigolo, Roma fantastica, Bompiani, Milano, 2013, p. 45.
- A. Savinio, Scatola sonora, cit., p. 168.
- Ibidem, p. 547.
- G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 223.
- Ibidem, p. 142.
- A. Savinio, Scatola sonora, cit., p.193.
- G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p.716.
- A. Savinio, Scatola sonora, cit., p. 249.
- G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 131.
- Ibidem, p. 306, Vigolo usa l’immagine del giardino, sempre associato alla musica di Mozart.
- G. Vigolo, Mille e una sera all’opera e al concerto, cit., p. 130.
- A. Savinio, Scatola Sonora, cit., p. 181.
- Ibidem, p. 29.
- G. Vigolo, Roma fantastica, cit., p. 22.
- Ibidem, p. 97.
- Ibidem, p. 101.
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