Ultime tesserucole poietiche. Verso una terapia che cura dentro?
Davide Monda, Ultime tesserucole poietiche. Verso una terapia che cura dentro?, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 44, no. 14, luglio/dicembre 2017
1. Pensando alle Duinesi fra i binari
Ferace il dubbio, fiocina il pensiero
Ricorrente nel mare di fatiche
Avvinghiate a un groviglio di parole.
Non rimane più il tempo del buon dialogo,
Ché treni e aerei partono scansandoti,
Anche se hai dato il cuore per partire.
Meretrice malata è l’informatica:
Anche se qui disegna arcobaleni,
Nasconde il vuoto truce dei cervelli.
Chi narrerà ai bambini di domani
Il marciume violento dei legami,
Necessari nei fradici passaggi?
Ed il colloquio avaro delle cose
Lampeggia dentro i vortici del Tartaro
Letale, e tutto quanto appare fosco
In un turbine di nuova ipocrisia.
2. In tempi scialbi d’ombra e aridità
Fetida l’aria odierna, miserabile
Rispetto a quanto cristallino ai padri,
Adamantini e schietti, risultava.
Nulla nel caos presente dell’essenza
Che ha dato vita vera al nostro esserci,
E il mondo si prosterna al dio vaccino,
Seguitando a evitare un umanesimo
Costante e bene armato senza il quale
Oggi saremmo vento in un deserto.
Bene assoluto è ritrovare spesso
Egregi e franchi amici che difendono
Non solo un lavorìo, ma la sostanza
Offesa di saperi che ci curano,
Zetètico passaggio imprescindibile,
Zoccolo franto da un oblio colpevole,
Ostile a ogni scandaglio rigoroso.
3. Ad un’amica che setaccia il Senso
Le Scritture che additi provo a viverle
Un giorno dopo l’altro, senza fine,
Augurandomi sempre di elevare
Nei luoghi disegnati dal contesto
Ai fini di una piena educazione.
Buono è irrigare il tempo dei lavori
Rilucenti di senso, anima, Spirito…
Un mondo zoppo e ignoto oggi abitiamo:
Neve freschissima o fango bruciato?
E restano i doveri e le certezze
Tendenziali nell’aspra, algida sfida.
Tutto sembra crollare, anche i pilastri;
Invece il Cosmo resterà – oltre il dire.
4. Acrosticuzzo steso in una scuola
Le urgenze sode di un’aspra didassi,
Urente quanto forse malintesa,
Ammalano talvolta i più bei fiori,
Nati da fonti dolci e cristalline,
Animati da sensi trascendenti.
Bisogna dire ancora come sai
Ridipingere in classe e più nei cuori
Universi pensosi e senza fine?
Nessuna vita vera resterà
Ed alimenterà le menti armoniche,
Togliendoci le arti che sentiamo,
Tradendo un magistero quasi sacro –
Invisibile dono che affratella.
5. Fanta-sonetto nato in ospedale
Ma l’oceano di lacrime che emerge
dal chiacchiericcio nudo e incontrollato
da dove è sorto? Chi mai l’ha portato?
E c’è sempre un’angoscia che non terge.
Ma non sarà il travaglio che si aderge
dentro un cuore ingiallito e stropicciato
oltre le proprie rive e lo steccato
bigio che l’acqua d’oggi non più asperge?
E se ne vanno lesti cieli e venti
dalle paludi del cammino strano
che sa lasciare affranti, quasi spenti.
E abbandonano i mali che, roventi,
la vecchia storia, macellando invano,
ben pensava d’infliggere ai viventi.
6. Fra i rivoli di un’emergenza liquida
E senti spesso che il sublime è infranto
e quanto custodito in luoghi nobili
rovinato, stravolto, ormai alla fine,
ché una falce improvvisa detta legge.
Ma quale legge è mai se ignora il dritto?
E muoiono così bambini sani,
magari nel buon seno delle madri.
E intanto molto tace oppur si nega.
Allora che insegnare, per esempio?
La gran sagacia dei saperi odierni
mira – naturalmente – a darci tutto,
perché Bellezza è in tutto ciò ch’è Luce…
Bando dunque allo Spes ultima Dea –
immagine gaglioffa di potenti?
Soltanto Iddio potrà forse salvarci,
ma a patto che perdoni odio e catastrofi.
7. Confessione strappata da un curioso
La parola che dura dura male,
quando il silenzio piomba sul pensiero
debole che ha fondato un vasto impero
tra le nubi, che fanno il proprio gioco.
Ma il giorno è quanto scruti: che vuoi fare?
Se a dominare sono porci e fiere,
vedremo presto il cosmo in pattumiere
e infranti i capitelli e anche le giare.
Poco mi resta di tempi migliori:
colline fredde e libertà furiose
con un rispetto franco e senza pose,
col secco stile dei veri signori.
Gente permane fra i sentieri onesti:
specie chi canta ha l’anima avvezzata
a vivere nel magma che qui conta,
nell’attesa di giorni ancor più mesti.
8. Frammento atrabiliare sui bilanci
Già un anno è ormai passato, ma stavolta
Il suo ritmo costante è apparso acido
Ora per il respiro, ora per altro,
Rendendo molte foci una palude
Dannata da impreviste bestie oscure.
Andrà meglio domani! – si ripete.
Nessuno più ci crede, eppure annuisce
Anche per tutelare quanto resta.
C’è un sole buono in questo guazzabuglio
Emetico che svena tanta gente?
Veder chiaro e distinto forse nuoce
E ti avverte talora che sarai
Nel terriccio in un attimo, magari
In un bel dì virtuale e con amici
Nobili, degni e forse meritati.
I modi appaion questi: quale scampo?
Ma l’ardente bellezza del creato
O delle scienze – e tutto, il Tutto, è uno –
Nullifica ogni bruma di sgomento,
Dicendo quel che sei e diverrai,
Aprendo porte immani di speranza.
9. Ora che la tua voce è naufragata
Mai dimenticherò la fresca gioia,
Animoso segreto di colloqui
Ricolmi di saperi imprevedibili,
Che il profluvio del mio largo parlare
Estendeva al di là di rotte stabili.
Le estati senza estate e i lunghi inverni
Laboriosi saranno solamente
Oggetto d’ineffabili memorie?
Pensando all’impensabile, do vita
E sensi all’implacata limpidezza
Creativa ben celata nei gran boschi
Che la tua fonda Umbria ci ha dischiuso?
Ha ragione chi ride ancor di noi,
Inesausti fautori di arti nuove?
Oltre tanti deserti, oltre i miei laghi,
Le tue linee sottili adagio insegnano,
In barba al parlottare e a dicerie.
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