Vita breve di Elsa De’ Giorgi
Stefano Chemelli, Giusy Radicchio, Vita breve di Elsa De’ Giorgi, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 41, no. 1, gennaio/giugno 2016
Elsa Giorgi Alberti, in arte Elsa de’ Giorgi, nasce a Pesaro il 26 gennaio 1914. Il padre Cesio Giorgi Alberti, discendente dai Giorgi Alberti di Bevagna e Camerino, sposa Licinia Ricci, a Bevagna in provincia di Perugia, il 7 ottobre 1906. Elsa è la figlia minore dopo Edgardo, nato il 24 giugno 1907, e Vanna, nata il 12 aprile 1911.
Cesio Giorgi Alberti è chiamato a insegnare presso la cattedra di lettere e storia al Magistero di Firenze. La figlia lo descrive come un uomo gentile, distratto in tutto al di là della cultura. Ma la spensieratezza dell’infanzia subisce un brusco arresto quando Elsa, ancor bambina, prende coscienza dell’insorgere del male oscuro che inizia a offuscare la mente della madre. Ella stessa racconta di aver passato un intero pomeriggio «diffidata da lei a muovermi, minacciata di essere uccisa. Senza astio, diceva, ma per fatalità. Avevo otto anni». Una cura ormonale errata comprometterà definitivamente lo stato di salute della donna.
Un giorno, di ritorno dal liceo “G. Galilei” all’appartamento di via Maggio, dove abita al primo piano con la famiglia, Elsa scopre la fuga della madre. La ritrova il fratello, ma da quel giorno Licinia Giorgi Alberti rimarrà in una casa di cura fino alla morte, sopraggiunta nel dicembre del 1962. Questa tragedia familiare segnerà la vita emotiva di Elsa, rendendola forte e fragile allo stesso tempo.
Conseguita brillantemente la maturità, Elsa si iscrive alla facoltà di Lettere; nello stesso periodo Pietro Salvini, fotografo fiorentino, spedisce sei foto a un concorso di fotogenia bandito dalla Cines. Elsa vince e viene chiamata a Roma da Emilio Cecchi, presidente della Cines.
Nel 1933 Mario Camerini la scrittura per il ruolo di protagonista nel film – ancor oggi celeberrimo non solo fra gli specialisti – “T’amerò sempre”. Elsa non avverte il padre, contrario a questa carriera, dato che è ancora minorenne; il contratto viene firmato sotto la tutela dello zio Lillini, allora proprietario del Teatro Eliseo. Inizia per lei un periodo di lavoro ininterrotto e pur di recitare promette al padre di continuare a studiare. Sempre nel 1933 Elsa interpreta ancora due film: “Ninì Falpalà”, diretto da Amleto Palermi, e “L’impiegata di papà” di Alessandro Blasetti.
L’attrice racconta come d’improvviso «si trovò di fronte alla realtà brutale del cinema, ove la fluidità della recitazione veniva sacrificata dal continuo spezzettamento imposto dalla natura stessa del mezzo». Nasce subito in lei quell’insofferenza verso un metodo di recitazione che la porterà, dopo qualche anno, già diva acclamata (l’unica vera «divazza», la chiamerà la Magnani), a preferire il teatro al cinema.
Il suo ingresso nel mondo cinematografico coincide altresì con quello nel mondo letterario. In un’intervista televisiva ebbe a dire: «Non c’era questa grande differenza, questa separazione, allora, fra cultura e cinema anche perché la cultura si accostava molto al cinema».
Così, negli studi della Cines, conosce Alberto Moravia, Carlo Levi, Mario Soldati – assistente di Camerini – e lo stesso Emilio Cecchi. E anche un amore importante: un primario di ginecologia a Roma, che le fornisce i primi rudimenti del teatro e che la opererà egli stesso alle ovaie, a cavallo fra i trenta e i quarant’anni.
Risale a questi primi anni romani l’incontro con Anna Magnani, alla quale Elsa rimarrà legata per la vita da profonda amicizia. Alla fedele amica l’Elsa scrittrice dedicherà l’intero capitolo nove di Ho visto partire il tuo treno: «[…] difficile è spiegare oggi cosa rappresentasse allora, nel grigiore regolato cui il fascismo obbligava. Il lessico di Anna investiva trasecolante, sgorgante com’era da quella testa di medusa, dalla sua risata di cavallo, dal busto minaccioso: era la libertà e assunse ai miei occhi di liceale il tripudio di una festa plautina».
Già adolescente la de’ Giorgi rivela il suo carattere naturaliter tenace, dimostrandosi subito, fra l’altro, intransigente e poco disposta a cedere a imposizioni di ogni genere. Nel primo film diretto, come testé ricordato, da Mario Camerini, si era ostinata a non piangere, violando così quanto richiesto da una scena decisiva. Lo stesso Camerini aveva, fatto insolito, perso la pazienza, arrivando a pizzicarle un piede. Irritata e delusa, era ormai decisa a tornarsene a Firenze, quando lo stesso Emilio Cecchi la incoraggiò a restare, «sottraendola quando poteva all’ambiente del cinema, facendola conoscere ai suoi figli, Ditta, Susi e Dario e affidandola alla moglie, Leonetta Cecchi Pieraccini».
Il padre tenta inutilmente di dissuadere Elsa dal proposito di continuare una carriera che la allontana dagli studi e dalla famiglia. Lo stesso fratello Edgardo, che aveva sposato una compagna di studi rumena ed era lontano, disapprova la scelta della sorella. Nel frattempo, il cognome Giorgio Alberti viene modificato nel più breve de’ Giorgi. Nonostante le difficoltà e la giovane età, Elsa è più che mai decisa ad andare avanti, anche se il primo anno a Roma si rivela molto duro da affrontare. Nel 1934 interpreta come protagonista il film “Teresa Confalonieri” di Guido Brignone e “La signora Paradiso” di Enrico Guazzoni. Amleto Palermi la dirige ancora nel film “Porto” e ne “L’eredità dello zio buonanima”: dalla colonna sonora del film nasce il successo della canzone “Portami tante rose”. «Era tanto in voga ed era tanto legata a me, al mio viso, che col successo che avevo allora, non potevo entrare in un locale, senza che me la suonassero».
Nel 1936 gira il film “Ma non è una cosa seria”, tratto dall’omonima commedia di Luigi Pirandello e diretto da Mario Camerini.
Cesio Giorgio Alberti, ormai convinto della serietà delle intenzioni della figlia, assume una governante che la aiuti. Inoltre, per stare vicino a Elsa, il padre si reca spesso a Roma accompagnato dalla figlia maggiore, Vanna, ma il 19 novembre del 1936, durante uno di questi suoi soggiorni, muore all’improvviso. Per Elsa è un dolore fortissimo e Vanna si trasferisce a Roma, spostando in una clinica romana la madre, bisognosa di cure continue.
A questo punto la carriera cinematografica di Elsa è ormai consolidata: il lavoro continua incessante e la giovane attrice è riconosciuta ed amata dal pubblico. Nel 1938 interpreta la marchesina Lucia nel film “La mazurka di papà”, di Oreste Biancoli, e recita ne “La sposa dei Re” di Duilio Coletti. Nel 1939 recita ne “La voce senza volto” di Gennaro Righelli, “La grande luce” di Carlo Campogalliani, “Due milioni per un sorriso” di Carlo Borghesio e Mario Soldati; ancora, interpreta Annetta nel “Fornaretto di Venezia”, diretto da Duilio Colletti.
Il 1940 la vede interprete del personaggio di Isabella in “Capitan Fracassa”, film diretto sempre da Duilio Coletti; Elsa tuttavia è delusa dall’ambiente del cinema, ove recita perlopiù in film in costume e d’avventura, poco adatti alla sua personalità. Con una drastica scelta, entra nella compagnia teatrale di Andreina Pagnani. Per l’attrice inizia un triennio d’intenso impegno sul palcoscenico, che le consente di approfondire gli studi teatrali e la conoscenza di Renato Simoni, critico teatrale e firma prestigiosa del «Corriere della Sera».
«Perciò da oltre due anni studiavo privatamente coi maggiori maestri di teatro, gli stessi che Silvio D’Amico aveva scelto per la sua Accademia d’arte drammatica, dalla Nera Grossi Carini e poi Wanda Capodaglio per la dizione a Sharoff. Questi era stato in Italia dalla Russia di Tatiana Pavlova […]».
Nonostante l’impegno teatrale nella Compagnia di Andreina Pagnani e Renzo Ricci, la de’Giorgi continua in parallelo il suo lavoro di attrice cinematografica e, nel 1941, interpreta Dianora in un fortunato film di Duilio Coletti: “La maschera di Cesare Borgia”. Il film era in lavorazione presso gli studi di Cinecittà quando venne trasmesso per radio il discorso di Mussolini che annunciava la dichiarazione dell’entrata in guerra dell’Italia. Elsa de’Giorgi racconterà poi, in una straordinaria prova memorialistica, lo sgomento di quella giornata ne “I coetanei”.
La conoscenza di Renato Simoni vira in una sincera amicizia, come testimonia il corposo carteggio conservato, insieme con altre carte della scrittrice, presso l’Archivio del Novecento, grazie alla donazione dell’amico Elio Pecora, poeta e homme de lettres di fama internazionale che ebbe la ventura e il privilegio di frequentare la de’ Giorgi dal 1970 al 1997.
La corrispondenza, iniziata nel mese di settembre del 1941, si prolungherà fino al 1952, anno della morte di Simoni.
Nel mese di dicembre recita al Teatro Odeon di Milano nel dramma “Il piccolo Santo” di Roberto Bracco. Risale a quegli anni un bell’articolo che Adolfo Franci le dedicherà sul «Corriere della sera» intitolato “Platone tra le scatole del trucco”, un ironico ritratto che la vede giocare a scopone con Paolo Monelli, Mario Molesini (grande maestro di dizione) e lo stesso Franci, che la inquadra con efficacia bizzosa ma veritiera.
Nei primi mesi del 1942 è a Torino per girare, negli studi FERT, il film “Tentazione” con i registi Hans Hinrich e Aldo Frosi: « […] il regista è un tedesco rude, non troppo simpatico, […] ma esperto intelligente e molto deciso. È molto contento di me e sostiene che ho un ottimo temperamento comico, tendente ad un lieve grottesco. Puoi immaginare il mio stupore! In tutti i miei film ho passato tutto il tempo a versare fiumi di lacrime».
In seguito è diretta da Luigi Zampa nel film “Fra’ Diavolo”.
A proposito di questo lavoro, confidandosi con Simoni, afferma che il film «pur essendo buono nel complesso, ha quel carattere di piatta banalità che caratterizza la maggior parte dei nostri film», ribadendo la sua delusione per le pellicole che interpreta.
Per il teatro recita nello “Sly” di Giovacchino Forzano ed è una piccante Annette in “Francillon” di Alexandre Dumas figlio. Al “Teatro Margherita” di Genova si esibisce nei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello. Nel mese di ottobre, in una Milano bombardata dalle forze inglesi, al teatro Odeon interpreta con successo Desdemona nell’“Otello”, accanto a Renzo Ricci: «Un allarme seguito da un bombardamento ci fece ritrovare in un rifugio: Ricci, il viso annerito di Otello, e io col manto scarlatto di Desdemona […]».
Nel 1943 Renato Simoni dirige il film “Sant’Elena, piccola isola”. Elsa de’ Giorgi interpreta Betsy Balcombe, la giovane ragazza inglese che, a Sant’Elena, stringe con Napoleone una singolare amicizia. La figura di Napoleone è interpretata da Ruggero Ruggeri.
Per la stagione teatrale del 1943, nel mese di febbraio, con la Compagnia Renzo Ricci – Eva Magni, recita in “Amarsi così” e poi nel “Lorenzaccio” di Alfred de Musset, al Teatro della Pergola di Firenze. A maggio interpreta Ofelia nell’“Amleto” e al “Teatro del Corso” di Bologna. Nei mesi di giugno e luglio entra nella compagnia di Tullio Carminati.
Nel luglio 1943 Luigi Chiarini gira il film “La locandiera” fra il centro sperimentale di Roma e gli studi di Venezia. Ella interpreta Ortensia, un’attrice della Compagnia dei comici.
L’8 settembre, dopo l’armistizio, le truppe tedesche occupano la città di Roma, ma l’attività teatrale dell’attrice continua nei teatri stabili della città; nella casa di via Fauro, salotto frequentato da artisti e letterati, accoglie amici e rifugiati antifascisti, rischiando anche la vita.
Con l’arrivo degli americani a Roma, il 4 giugno del 1944, si ricostituiscono le Compagnie di giro, che riprendono gli spettacoli nelle città del sud liberato dai tedeschi. Il lavoro dell’attrice continua frenetico fra teatro e cinema. Qualche anno più tardi, ne “I coetanei”, la de’ Giorgi consegnerà una lucida cronaca di quei mesi e dei personaggi che vissero con lei.
Il 21 giugno del 1945, dopo la Liberazione, si insedia a Roma il Governo Parri. Sottosegretario di Belle Arti e Spettacolo è designato Carlo Lodovico Ragghianti, che giunge a Roma con il conte Sandrino Bonacossi, eroe partigiano della Resistenza fiorentina. Tramite l’amicizia con Massimo Bontempelli e Paola Masino, il conte Bonacossi conosce Elsa.
Ancora per il cinema, nel 1946 la Nostra recita nel film “Il tiranno di Padova” diretto da Max Neufeld, un film che lei considera «tronfio e inutile», girato negli studi di Venezia dopo una tournée teatrale durata tre mesi e l’incontro con un Simoni amareggiato per l’allontanamento dal «Corriere». Le tremende esperienze degli anni di guerra, l’occupazione tedesca, gli estenuanti sforzi teatrali in giro per l’Italia determinano in lei una forte disillusione e un lento distacco dal milieu teatrale. Nel 1947 gira “Manù il contrabbandiere”, film di Lucio De Caro.
Intanto i sentimenti di stima e amicizia fra Elsa e Sandrino sono divenuti amore, coronato dalle nozze, celebrate a Roma il 31 luglio del 1948 nella chiesa di Santa Maria della Pace, non lontana da Piazza Navona.
Sandrino Contini Bonacossi è coerede e curatore della collezione d’arte di famiglia, stimata d’immenso valore. Sono testimoni alle nozze, Maria Bellonci e Anna Banti per la sposa; Goffredo Bellonci e il fratello di Elsa, Edgardo, per lo sposo. Dopo il matrimonio, Elsa si trasferisce a Firenze a Villa Vittoria, dimora dei Contini Bonacossi.
Nel 1949 Luchino Visconti chiama Elsa a interpretare, nel giardino di Boboli, Elena di Troia nel “Troilo e Cressida” shakespeareano. Il 29 agosto muore mamma Vittoria, nonna di Sandrino, che lo ha educato come se fosse suo figlio, da quando è rimasto orfano di entrambi i genitori. Questa amara circostanza segnerà un sostanziale cambiamento nei rapporti fra Elsa, Sandrino e il resto della famiglia Contini Bonacossi, visto il legame che la avvicinava profondamente a Vittoria, una donna lombarda che veniva dal nulla, ma ch’era provvista di potenti capacità d’intuizione.
Nei primi anni di matrimonio, Elsa si allontana dal cinema e dal teatro per dedicarsi alla scrittura e, nel 1950, pubblica il saggio “Shakespeare e l’attore”. È il suo primo vero impegno come scrittrice ed è «scritto in forte polemica contro un libro della Laterza, dove si attribuiva perentoriamente l’autenticità al solo Shakespeare in versi».
A Milano il 5 luglio del 1952 muore Renato Simoni all’età di settantasette anni.
Al Maggio Musicale Fiorentino, Elsa è la voce recitante di Deianira ne “Le Trachinie”, diretta da Idelbrando Pizzetti.
Negli anni 1953-1954 è impegnata a creare il “Teatro delle due città”, uno stabile che aveva l’intento di gemellare Bologna e Firenze, ma gli esigui finanziamenti non bastano alla sopravvivenza del progetto. La de’ Giorgi riesce comunque a far rappresentare tre opere di rilievo: l’“Antigone” sofoclea, “Rossmersholm” di Ibsen e “Ispezione” di Ugo Betti. Il ruolo di primo attore è affidato a Salvo Randone.
Nell’estate del 1954 comincia a dedicarsi alla scrittura poetica, una pratica creativa che l’accompagnerà per tutto il percorso esistenziale, con esiti talora notevolissimi. La prima poesia, “Davanti a Sandrino addormentato”, porta la data del 21 agosto 1954. Il tema amoroso e paesaggistico si alterna, fino a sostituirsi, a quello della morte e della rimembranza.
Il 1955 sarà un anno che sconvolgerà la sua vita: mentre è impegnata nella stesura del suo primo romanzo, “I coetanei”, il 27 luglio, tre giorni prima del settimo anniversario di matrimonio, scompare in circostanze affatto misteriose il marito Sandrino.
Il 20 ottobre del 1955 si spegne anche il conte Alessandro Contini Bonacossi, patrigno di Sandrino, mentre inizia una lunga e tormentata battaglia legale con gli eredi Contini – battaglia che Elsa porterà avanti per tutta la vita. Il marito, oramai esule all’estero, le chiederà la separazione, attribuendole la responsabilità del suo allontanamento dal tetto coniugale anche per comportamento licenzioso.
Elsa riuscirà a trattare per un accordo consensuale, senza tuttavia ottenere mai un chiarimento dal marito, a parte alcune lettere molto vaghe nei contenuti.
Nel frattempo il romanzo “I coetanei” viene pubblicato fuori collana per i “Gettoni”di Einaudi, con una nota introduttiva di Gaetano Salvemini. La copertina è disegnata da Carlo Levi. Italo Calvino ne cura l’editing. Il libro vincerà il “Viareggio opera prima”. L’incontro con Calvino si trasformerà quindi in un legame che durerà dal 1955 al 1959.
Nel 1955 esce per Garzanti “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini. Elsa e Pasolini si troveranno accomunati sulle cronache letterarie «in una sorta di naturale fraternità», amicizia e fratellanza profonde che si protrarranno fino alla tragica morte dell’eclettico homme de lettres bolognese.
Sono della de’ Giorgi, probabilmente, le pagine più schiette e vigorose mai scritte su Pasolini. Naturalmente, nessuno le ha ricordate pure in occasione del quarantennale della morte di Pier Paolo, celebrato in pompa magna. E vien da chiedersi cosa aspettarsi nel cinquantenario…
È il 1957 e Giorgio Strehler la chiama a interpretare Madame Roland accanto a Tino Carraro, ne “I Giacobini”, intenso dramma teatrale di Federico Zardi: Elsa è lontana dal palcoscenico da molti anni, il marito continua a negarle un confronto chiarificatore, l’amicizia amorosa con Calvino rappresenta l’unica tregua serena nella dura battaglia legale con i Contini Bonacossi; come che sia, questa proposta di Strehler appare ad Elsa una sfida da raccogliere e vincere.
Conclusa la relazione con Italo Calvino, nel 1960 Elsa pubblica “L’innocenza”, libro che sarà poi pubblicato in Francia nel 1963 col titolo “L’innocence”, tradotto da Marcelle Bourrette-Serre.
L’opera ottiene in Francia un discreto successo. Vengono pubblicati sempre nel 1960 interventi significativi su Eschilo nel trimestrale “Diòniso” e pagine su un convegno tenutosi nell’anno precedente, avente come tema “Cinema e civiltà” per i tipi di Sansoni e per conto della Fondazione Giorgio Cini di Venezia – Isola di San Giorgio Maggiore.
Dalla medesima Fondazione saranno stampati gli “Atti” del Congresso internazionale di studi pirandelliani, raccolti nei primi giorni di ottobre del 1961, durante il prestigioso consesso dedicato al maestro agrigentino conosciuto dalla de’ Giorgi già negli anni Trenta.
Sono appuntamenti ove Elsa fornisce un’ulteriore prova d’intelligenza e sensibilità, con contributi tanto articolati quanto originali, talvolta, pungenti. Egualmente dicasi per gli interventi sopra Stendhal, Balzac, pubblicati rispettivamente nel 1966 e nel 1972 (Convegni di Civitavecchia 1964 e Tours 1969).
Per il programma di Prosa della Rai, il 28 luglio 1961 è trasmessa la riduzione televisiva della commedia “La febbre da fieno” di Noel Coward, di cui Elsa è una delle interpreti. La regia è di Guglielmo Morandi. Nel 1962 scrive “La mia eternità”, un poemetto di rara pregnanza, mai disgiunta peraltro da un’invidiabile padronanza delle forme, che esce con una premessa di Pier Paolo Pasolini e tre disegni originali di Renato Guttuso.
Nel 1963 si proietta nelle sale il film a episodi “Ro.Go.Pa.G”, oggi considerato a giusto titolo un classico. Elsa de’ Giorgi appare nell’episodio “La Ricotta”, diretto mirabilmente da Pier Paolo Pasolini, mentre alla XXV edizione della Mostra del Cinema di Venezia del 1964, l’attrice difende Pasolini che presenta “Il Vangelo secondo Matteo”. Il film vince il Leone d’argento, ma viene contestato da gruppi estremisti.
Nel 1967 la raffinata rivista “Aurea Parma” ospita il saggio “Per Stendhal”, un autore coltivato da Elsa con amore e costanza nella lettura e rilettura partecipata a voce alta: così era solita pronunciare le pagine a lei più care. “Leopardi e l’Ottocento”, un saggio sulla Duse, accoglie invece ampie riflessioni che anticipano altresì una prova nell’ambito del racconto breve; la rivista “Opera Aperta”, alla quale collabora tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, pubblica numerose critiche teatrali (come il quindicinale “Il pensiero nazionale” e il quotidiano “Il lavoro”), dando alle stampe le vigorose volute de “Il sole e il vampiro”, un’originale e spregiudicata vicenda narrata in punta di penna – narcisistica, forse, ma insieme sorprendente.
Replica nel 1970, in un libro denso e singolarissimo, tutto intriso di un’individualità capricciosa e ammaliante, meno luminoso, forse, de “I Coetanei”, ma con parti mimetiche tutte incastonate nell’irrituale parabola dei primi quarant’anni d’esistenza. “Storia di una donna bella”, edito da Samonà e Savelli, è un testo che va letto adagio e con estrema attenzione, specie perché cela e proietta sulla pagina parecchie informazioni utili e vari affetti determinanti, attraversando gli intrecci complessi della vita di Elsa de’ Giorgi.
Elsa non perde mai di vista, peraltro, il teatro: quell’anno fonda la scuola di recitazione “Il Vivaio” e, con questo organico di attori giovani e debuttanti, rappresenterà a Roma “La cortigiana” dell’Aretino, nel magico scenario di Piazza Margana, con colori e idee rinascimentali di Carlo Levi e musiche di Goffredo Petrassi.
La regia cinematografica diviene una nuova attrazione per Elsa nel 1974, allorquando scrive, dirige e interpreta il film “Sangue + fango = Logos passione”, testo desunto dalla “Lauda Umbra”, interpretato da Giulio Scarpati, Fernando Cajati, Anna Leonardi. I costumi sono realizzati da Elsa stessa, che s’ispira al Giotto della Cappella degli Scrovegni.
«Nel “Logos”, […] ispirato dalla larga messe della Lauda Drammatica, vi era rappresentata la ricerca, da parte della Madonna, di Cristo allontanatosi da lei senza spiegazioni per avviarsi verso il calvario».
«Un’opera sperimentale: più sacra rappresentazione filmata che vero cinema», scrive Cristina Jandelli nel servizio uscito per «Il Resto del Carlino» il 13 settembre 1997.
A Milano, nel mese di aprile del 1974, in occasione della mostra antologica di Domenico Purificato, Elsa de’ Giorgi partecipa alla nascita del “Premio Fondi La Pastora per un’opera teatrale inedita.” Farà parte a lungo della giuria del Premio, alla quale d’altronde rimarrà affezionata.
Pasolini gira il suo ultimo e controverso film “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, che esce nel novembre del 1975. L’amico regista chiama Elsa a interpretare la voce narrante: “La dama crudele”.
Elsa accetta ed appare in una lunga scena in cui scende fra i torturati: è tra le megere la più peccaminosa e tentatrice. Il film, uscito dopo la morte di Pasolini (2 novembre 1975), sarà ritirato dalle sale e sottoposto a sequestro per oscenità. Rivisto nel 2015, mantiene tutta la sua denuncia del potere e la sua amplificata perversione sessuale, tanto deliberata quanto esibita.
Nel settembre del 1975 il film “Sangue + fango = Logos passione” è invitato a inaugurare la XXX Sagra Musicale Umbra, ma il 17 ottobre Sandrino Contini Bonacossi viene trovato morto nel suo appartamento di New York. Il referto parla di suicidio. Elsa rimane sconvolta: non è convinta di come si siano svolti i fatti. In seguito si recherà in America, presso la tomba del marito, anche se non le consentiranno di riportarne le spoglie in Italia. Una lunga fedeltà, dunque, che merita un’analisi insieme sottile, distaccata e responsabile…
Nel 1976 viene presentato il film “La cortigiana”, ove il direttore della fotografia è Franco Abussi: non ha distribuzione pubblica ed è proiettato durante una conferenza stampa a Roma.
Nel ricordo ineffabile, lacerante di Pier Paolo Pasolini, Elsa scrive la raccolta poetica “Dicevo di te, Pier Paolo”, con una testimonianza poetica di Rafael Alberti e un’eloquente introduzione di Giuliano Manacorda.
Scrive “Poesia stuprata dalla violenza”, pubblicato nel 1978, mentre nel 1979 appare in alcuni filmati d’epoca nel film-documentario (docu-film) “Io sono Anna Magnani”.
Nel 1980 allestisce e cura la regia teatrale di “In principio era Marx” di Adele Cambria. Lo spettacolo viene presentato in anteprima a Napoli – al cinema-teatro Bellini il 5 e 6 marzo – e debutta a Roma al Teatro La Maddalena l’8 aprile 1980. La rappresentazione avrà anche uno svolgimento a Stoccolma, grazie all’Istituto Italiano di Cultura.
Il 7 luglio del 1981 Elsa de’ Giorgi cura la regia del “Tasso” di Goethe. Lo spettacolo viene rappresentato per una sola sera presso il Centro Teatro Ateneo dell’Università di Roma “La Sapienza”. Un giovane Giulio Scarpati interpreta il “Tasso”, mentre Elsa de’ Giorgi, oltre che regista, recita nella parte di Eleonora d’Este. Lina Sastri si cimenta in alcuni pezzi cantati. Il giorno successivo si tiene un “Seminario sul Tasso di Goethe”, con Paolo Chiarini, consulente per la riduzione del testo in prosa, e con la presenza d’intellettuali italiani e stranieri di prim’ordine come Borchmeyer, Zagari, Sequi, Squarzina.
Nonostante le vicende dolorose che la colpiscono nel profondo, Elsa non abbandona il lavoro e, nel 1985, fonda “l’Associazione culturale Elsa de’ Giorgi – Laboratorio Arti Sceniche e tecnologie avanzate”, operante a Bevagna, dove – a parere del grande Bernard Berenson – era situata la più bella piazza italiana di epoca medievale.
Con gli allievi del Laboratorio, nel 1986, Elsa mette in scena “La Cortigiana” di Pietro Aretino, ne cura la regia e l’interpreta, vestendo i panni della ruffiana Aloigia. La de’ Giorgi opera una sorta di contaminazione tra le due versioni della commedia (la prima del 1525 e la successiva del 1534) tra una prima edizione del testo e una seconda, tradizionalmente ritenuta leggermente edulcorata. L’ambienta in un luogo che consente di apprezzare la piena sintonia del contesto. La “prima” avviene nella piazza di Montefalco il 18 agosto, segue nella piazza medievale di Bevagna, il 21, un successo pienamente confermato.
Dal 27 al 29 novembre 1989 l’“Associazione culturale Elsa de’ Giorgi” collabora al “Secondo congresso mondiale di sociologia del Teatro”, organizzato dal Centro Teatro Ateneo dell’Università “La Sapienza”.
Una lunga e accurata ricerca documentaria, svolta nell’arco di circa dieci anni con l’aiuto della sua personale segretaria e factotum, Maria Grazia Rombaldi, porta alla pubblicazione di un libro straordinariamente stratificato nel 1988: “L’eredità Contini Bonacossi: l’ambiguo rigore del vero”, saggio-testimonianza sulla vicenda che ruota intorno alla scomparsa del marito di Elsa, il conte Sandrino Contini Bonacossi. Il libro apre una serie di interrogativi inquietanti e tuttora insoluti, ma l’attenzione viene deviata sulla relazione di Elsa con Calvino, avvenuta tra il 1955 e il 1959, anni decisivi nell’opera di Calvino, solo allora davvero feconda, ignorando il valore imprescindibile di Elsa soprattutto nell’ambito teatrale e memorialistico, senza contare la notevole esperienza cinematografica e persino scultorea, anche grazie alla feconda frequentazione di Leoncillo.
Non si dimentichi che Elsa dagli anni quaranta ai novanta, nelle case di via Fauro e di via Villa Ada, oppure a San Felice Circeo, ha sempre ospitato ogni giovedì – o ogni mese, nell’ultima fase – un’imbattibile rassegna di personalità, giovani e meno giovani, affermate, rampanti, affatto sconosciute, mischiando competenze, caratteri, sensibilità quanto mai diversi: un’esperienza tra le più eccitanti e generose. Come troppo chiasso è stato fatto, grazie alla vedova Calvino, che ha imposto un inconcepibile veto al dialogo (intellettuale e non) fra il suo futuro marito ed Elsa de’ Giorgi, avvenuto mediante un carteggio oramai leggendario e che si spera al più presto del tutto trasparente.
«Da quel momento, Calvino prese a starmi vicino con lettere che mi raggiungevano quotidianamente e sfidavano il riserbo e la solitudine entro cui, avvocati a parte, vivevo quel crudele momento. L’intreccio epistolare si snodava in misteriosa armonia che riusciva a entrambi stimolante. Fu il periodo più fecondo del lavoro di Calvino, dalle Fiabe, nella cui prefazione, in chiave fabulistica descrisse la storia straordinaria di sparizioni e metamorfosi che io stessa vivevo e che mi dedicò chiamandomi Raggio di Sole, al Barone rampante, dedicatomi col nome di Paloma, ai Racconti e al Sogno di un poeta, fino al Cavaliere inesistente, che in sostanza descriveva il mio amore ostinato per un cavaliere che non c’è, eppure è più presente della concretezza della sua armatura».
Pietro Citati ha scritto una serie di corbellerie clamorose a riguardo sulla «Repubblica» del 17 luglio 1990, discorrendo di «false contesse» colpevoli di guai e pene d’amore del primo Calvino, un Calvino, a suo dire, “minore”.
Elsa replica in prima persona sul settimanale «Epoca» del 26 settembre 1990, come un’esteta armata di penna, intelligenza, ironia e fonti dirette. Sono le lettere di quella che Maria Corti definirà la corrispondenza più importante del Novecento letterario e non, che parlano d’amore, di filosofia, di letteratura, ma soprattutto di teatro e di politica.
Interviene la vedova di Calvino, Esther, che impone un veto sulla divulgazione del carteggio, supportata dai tromboni “republicones”, sempre pronti alla mobilitazione generale in difesa dell’innocente Calvino, amico di Eugenio Scalfari.
Nel 1995 il Fondo manoscritti dell’Università di Pavia, diretto da Maria Corti, acquista per trecento milioni di lire l’intero corpus delle lettere, evitando la migrazione delle stesse in una banca svizzera. Decisivo nel versamento alla de’ Giorgi l’intervento dei Caracciolo e della Cariplo.
Nel 1992 Elsa de’ Giorgi pubblica il suo capolavoro, “Ho visto partire il tuo treno”. Il libro vuol essere il racconto concreto e fedele, seguendo il corso e il filo della corrispondenza con Calvino, di una straordinaria stagione del Novecento: «[…] il recupero di un tempo non perduto, ma vissuto in una storia che non è soltanto d’amore. Una storia che dovevo consegnare alla memoria di altri prima che una mano ignara e presuntuosa ne profanasse la verità».
Leonardo ristampa nel medesimo anno “I coetanei” con una calorosa e puntuale prefazione di Giuliano Manacorda, fondatore dell’Archivio del Novecento, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Roma “La Sapienza”.
Elsa, nel ’91, partecipa al film “Gioiello di famiglia” (Chichkan), diretto dal tunisino Mahmoud Ben Mahmoud; l’opera esce in sala nel 1992 ed è selezionata per la Quinzaine des réalisateurs, sezione indipendente del Festival di Cannes.
Nel dicembre del 1992 la de’ Giorgi presenta a Roma il “Concerto Tassiano”, ispirato alla “Liberata”. L’indomani, a Londra, lo spettacolo viene replicato presso la Royal Academy. A giugno, ancora, il concerto è ripresentato a Roma nella Sala Saturnino di via Avagliana.
«Nella sua vita colma di dolore, Torquato Tasso non riuscì mai a giungere in Campidoglio, finché non ce l’ho portato io» – dichiarava Elsa con l’orgoglio che non le è mai mancato. «Nella sua visionarietà, con quel linguaggio che già presagisce lo schiudersi del barocco, leggo addirittura un’anticipazione del cinema. La simultaneità dell’azione, la descrizione dettagliata dei duelli, quasi a suggerire inquadrature e primi piani, sono vicine ai nostri giorni quasi quanto il suo dramma umano e religioso», scandiva a ragione l’ormai anziana artista.
Il 12 settembre 1997, Elsa de’ Giorgi si spegne al Policlinico di Roma, dopo una malattia scatenatasi all’indomani di un suo viaggio a Milano per ascoltare un concerto diretto da Riccardo Muti.
San Felice al Circeo renderà omaggio alla sua illustre ospite, che tanto amava quel luogo ameno e remoto, quasi selvaggio nella sua peculiarità. Nel 2007 si inaugura un’esposizione permanente di oggetti cari e familiari. Nel 2014 si festeggia il centenario dalla nascita con una sobria manifestazione di ricordo.
Libri, ritratti, documenti di vita e di opere, fra cinema, teatro, scultura e letteratura, animano la mossa e indimenticabile esistenza di questa personalità obliata quanto presente nella sua dimensione “invasiva”, come ha detto genialmente il grande amico e poeta Elio Pecora: «Elsa è destinata a volerci bene anche da lontano».
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