Prospettive e approcci metodologici per una storia dell’omosessualità femminile
Ludovica Famoso, Prospettive e approcci metodologici per una storia dell’omosessualità femminile, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 51, no. 4, giugno 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.5943
1. Il paradigma foucaultiano e la storia della sessualità
L’impegno del presente saggio è illustrare l’articolato percorso che ha condotto alla formazione delle correnti storiografiche relative agli studi passati e recenti sul soggetto queer. L’analisi proposta in questa sede cerca di agire in maniera orizzontale attraverso le epoche storiche, riassumendo le tappe fondamentali dell’orizzonte storiografico risoltesi nella progressiva maturazione della “coscienza storica” relativa al sesso e alle sue declinazioni. L’emblema del controverso cammino di affermazione del paradigma teorico del queer, in concomitanza con la lotta per i diritti civili della comunità LGBTQ+, ad oggi è rappresentato nell’ambito storiografico dal termine omnicomprensivo di storia della sessualità. Com’è facile intuire all’interno di tale paradigma, che pur sembra generico, coesistono diverse prospettive e storie, che si adattano alla pluralità dei protagonisti stessi, delle loro esperienze sessuali e della percezione propria o esterna riguardo al genere di appartenenza. La scaturigine politica da cui si è sviluppato il racconto delle pratiche erotiche nei secoli inizia per mezzo della spinta dei movimenti sociali di protesta manifestatisi negli Stati Uniti al termine degli anni Sessanta del secolo scorso. La necessità di costruire l’identità omosessuale e lo stesso bisogno di rendere visibile l’ampiezza della nascente comunità LGBTQ+ hanno risposto all’esigenza di comporre una storia dei corpi sessuati il cui scopo punta all’emancipazione dal pregiudizio eteronormativo. La formulazione della storia omosessuale ha quindi reso possibile riferirsi alla questione della sessualità nella sua interezza, coinvolgendo man mano schiere di storici dal principio reticenti sull’argomento. Tenendo presente ciò, è lecito affermare che la categoria di storia della sessualità si rivela uno strumento utile nelle mani della ricerca storica, tanto sul piano generale quanto nel particolare. Infatti esso consente di approfondire le dinamiche erotiche tra individui di sesso opposto o uguale e allo stesso tempo di sondare le connessioni tra che legano o distinguono i significati di “sesso” e “genere”. Tuttavia la difficoltà di sondare un terreno storico così vasto e impervio ha favorito lo sviluppo di approcci metodologi diversificati, dando luogo ad interpretazioni e periodizzazioni sulla questione altrettanto eterogenee. Considerare la pluralità dello studio relativo alla sfera sessuale significa dunque evidenziare l’ampiezza del suo spettro visivo nel quale sono incluse le sessualità queer e le identità queer. Dunque, a partire dagli anni Settanta del Novecento lo spazio di riconoscimento reclamato da lesbiche, gay, bisessuali e transessuali ha aperto un diretto canale di comunicazione con la ricerca storica.
Le prime modalità di approccio teorico in grado di descrivere le “sessualità di confine” si basano sull’esempio foucaultiano. La struttura interpretativa suggerita dal filosofo francese, in parte ispirata dall’onda della rivoluzione sessuale a lui contemporanea, permea i discorsi prodotti successivamente al suo modello. Il merito delle riflessioni postulate da Foucault è quello di rompere il silenzio sul significato dell’erotismo slegato dalla nozione politica e sociale della sessualità, attraverso la formulazione di una serie di saggi scritti apparsi tra 1976 e il 1984 (di cui l’ultimo volume è, in parte, una creazione editoriale postuma alla scomparsa del filosofo)1. Il ciclo inaugurato dai ragionamenti foucaultiani cerca di attenersi ad un andamento cronologico proponendo l’interpretazione delle condizioni culturali e politiche che contribuiscono alla formazione di una determinata etica dei comportamenti sessuali, in virtù dei quali le soggettività di entrambi i sessi vengono descritte. Il percorso temporale della scientia sexualis pensato da Michel Foucault avanza nel corso della storia dell’Occidente cristiano, iniziando dall’Ottocento. L’obiettivo della ricerca, che si interroga sull’insieme di significati e delle proibizioni legate al sesso, antepone l’indagine sui comportamenti e le pratiche del piacere, a scapito delle volontà e delle pulsioni dei singoli individui.
La riflessione foucaultiana insegna a riconoscere nella sessualità un dispositivo frutto dei condizionamenti della biopolitica che allo stesso tempo è espressione attiva del controllo imposto dal potere dell’etica borghese sui corpi. Per Foucault ciò equivale a dire che i costumi sessuali proposti dalla società Occidentale corrispondono al dispositivo sessuale che ha un effetto duplice sui corpi sessuati: da un lato esso segnala l’esempio di ciò che il sesso dovrebbe essere, quindi eterosessuale e generativo; e dall’altro ciò che esso non dovrebbe essere, dunque omoerotico e finalizzato esclusivamente al piacere. Infatti, secondo la prospettiva del dispositivo la definizione di rapporto sessuale è valida solo quando svolge la funzione riproduttiva, sulla cui efficacia vigilano le tecniche di costrizione degli organismi politici, che esortano maschi e femmine ad un uso adeguato della libido. L’evoluzione del dispositivo sessuale per Foucault va pensata e studiata a partire dalla relazione che intrattiene con le tecniche di potere che gli sono contemporanee: in questo senso la sessualità coincide con il dispositivo politico. Attraverso un passaggio obbligato, tale dispositivo, per funzionare si appropria dei corpi, dei processi fisiologici e delle sensazioni, controllandoli e smorzandone le aspirazioni erotiche. In fine appare chiaro che per il filosofo il dispositivo politico-sessuale ha giocato un ruolo principale nella compilazione del lemma normativo del sesso, omettendo qualsiasi rimando alla vitalità e alla piacevolezza del coito. Sullo sfondo di questa cornice teorica la tesi foucaultiana sostiene che l’esistenza dell’omosessualità come categoria problematica derivi dal riconoscimento di una devianza del dispositivo stesso e che, di conseguenza, essa abbia una data precisa di inizio. L’omosessuale, come paziente affetto da un morbo con una sintomatologia inequivocabile, corrisponde ad una creazione del XIX secolo scaturita dalla necessità di controllo fisico sugli individui che si accompagna al progredire dei saperi medici (come il nuovo peso scientifico conferito alla fisiognomica o la nascita della psicopatologia). Il soggetto omosessuale di cui parla Foucault viene individuato dal dispositivo politico in colui che mostra una sessualità “invertita” rispetto al sesso di appartenenza, acquisendo così un nome e un’identità codificata con perizia, a differenza del suo alter ego passato, il sodomita, privo di connotazioni particolari.
Il filosofo insiste sulla differenza radicale che interesserebbe omosessuali de facto, a cui spetta il biasimo e la condanna alla marginalità sociale, rispetto alla punizione che i secoli della prima modernità impartiscono alle azioni sessuali, genericamente comprese sotto il nome di sodomia2. Il riconoscimento della condizione dell’omosessuale, nell’ottica del costruttivismo foucaultiano, genera la produzione di una categoria facilmente identificabile attraverso la coniazione di un nuovo e pregnante costrutto lessicale. Pertanto, secondo Foucault, è solo a partire dalla prima formulazione del neologismo “omosessuale”, a cui segue il corrispettivo “eterosessuale” che nasce a pieno titolo la categoria dei comportamenti che descrivono l’omosessualità.
D’altro canto distanziandosi dal filosofo francese è facile intuire quanto sia vincolante e poco esaustivo un paradigma di ricerca che riconoscendo la temporalità precisa del fenomeno non è in grado di procedere a ritroso, poiché non trova costrutti passati equivalenti nel significato e nel significante. Il canone foucaultiano rimarrebbe confinato ai secoli della prima epoca contemporanea, senza conferire la possibilità agli storici di applicare lo stesso modus operandi ad epoche precedenti. In aggiunta, a segnare il parziale tramonto della prospettiva foucaultiana si pone anche l’assenza ingombrante di qualsiasi riferimento all’omosessualità femminile. Pur addentrandosi nelle questioni inerenti alla nozione di genere e alle costrizioni che essa comporta per entrambi i sessi, in quanto frutto del medesimo dispositivo, Foucault dirige il proprio interesse esclusivamente all’universo maschile. Ad ogni modo la prospettiva del filosofo resta un punto di partenza imprescindibile con cui gli storici devono confrontarsi se decidono di studiare le dinamiche storiche della sessualità.
Se alla base delle ipotesi di Foucault è rintracciabile la chiara volontà di emanciparsi dal vincolo dei racconti unicamente repressivi che riguardano l’erotismo, ciò vale anche per gli studi e le interpretazioni postulate dalla storiografia a lui successiva. Comporre una o più narrazioni sulle pratiche e i comportamenti sessuali diventa possibile solo attraverso un processo di demolizione dello stigma che ricopre le nozioni inerenti al sesso, nelle sue plurime modalità di espressione, occupandosi anche della reinterpretazione del “genere”. Pertanto occorre notare i passi in avanti fatti dalla storiografia per affrancarsi dalle coordinate ereditate dagli anni Settanta. Rimane pur vero che il presupposto per scrivere una storia della sessualità ad ampio respiro si basa sull’ impronta foucaultiana e perciò ha lo scopo di indagare la sfera erotica attraverso la ricerca sui corpi e i loro sentimenti al di fuori del “dispositivo etico-politico”3. Questa operazione storiografica, però non si traduce, come temeva Foucault in un processo di decontestualizzazione del soggetto analizzato; anzi tale approccio punta a evidenziare le connessioni sociali e culturali delle singole personalità nel tempo e nel contesto in cui sono calate.
2. L’introduzione del “gender”
Durante il decennio degli anni Ottanta la ricerca storica sulla sessualità cambia registro e dal panorama francese, diventa appannaggio della storiografia anglofona, sia inglese che americana. Seguendo l’andamento delle tesi foucaultiane le prime interrogazioni sulla sessualità si dimostrano propense all’analisi della categoria di “genere”, impegnandosi nella descrizione delle interazioni che legano i mondi del maschile e del femminile. Le osservazioni teoriche legate al genere, hanno la medesima origine dei movimenti di liberazione omosessuale, ed è pertanto possibile ricondurre il loro sorgere allo stesso periodo. La discussione sulla necessità storiografica del paradigma sul genere emerge in maniera forte attraverso le parole del celebre saggio di Joan Scott, comparso nel 19864. La lezione proposta da Scott, utile ancora oggi, come l’autrice stessa afferma in un lavoro più recente, suggerisce di adoperare il gender come una qualsiasi categoria storica considerando le dinamiche secondo le quali è possibile allargare il campo visivo sulle fonti e comprendere le radici della subalternità storica e universalmente condivisa della donna5. Nella versione italiana il genere sostituisce la parola gender, mantenendo tuttavia lo stesso senso e la stessa funzione di soggetto conteso, in perenne ridefinizione, e perciò talvolta difficile da raccontare. Buona parte della storia interessata al femminile, si sforza di oltrepassare il legame storico tra i costrutti di genere e di sesso. Ribadire l’importanza di questo passaggio è fondamentale dal momento che il significato dei due termini si è fuso in un binomio teorico, manifestatosi attraverso la produzione di discorsi del potere, facendo eco a Foucault, che hanno corroborato la repressione dei luoghi del sesso specie presso il corpo femminile. Pertanto la ricerca storica guarda al genere, come prodotto culturale e sociale e perciò prova a ricostruire il processo che ha portato al mescolamento degli attributi che connotano la nozione di genere e quella di sesso6. Il compito della storiografia odierna relativa ai corpi sessuati punta ad oltrepassare il sistema binario dei generi, guardando alla formazione del tratto identitario come ad un’entità fluida, un’esperienza intima e diversa per ogni individuo, non imposta dall’alto.
L’evoluzione del canone di studio rivolto esclusivamente alle donne è stata possibile, soprattutto nella fase nascente di tale approccio, contrapponendo e distanziando l’elemento femminile da quello maschile. Isolando la componente gender nelle relazioni tra i sessi l’approccio storiografico ispirato dalle teorie femministe, riassunte nelle posizioni della Butler, hanno aperto la strada ad una narrazione che evidenzia i vincoli e la sperequazione della donna rispetto al maschio, con lo scopo di raccontare la lenta marcia dell’emancipazione. L’interpretazione delle dinamiche e dei discorsi sull’universo femminile è stata spesso condivisa e orientata a rappresentare la relazione di dipendenza con l’oppressione patriarcale. Il tentativo di questa prospettiva è quello di sfruttare il rapporto dicotomico tra i due sessi, al fine di poter ricavare una descrizione non stereotipata dell’identità della donna, sebbene ella rimanga sotto il controllo secolare dell’uomo. Larga parte di questo filone d’indagine ha basato la propria analisi riguardo alla definizione di uomo e di donna conferendo enfasi particolare alla percezione dello spazio sessuale entro cui si muovono entrambi i sessi. Il principio della divergenza tra i generi avrebbe origine soprattutto nella disuguaglianza dei ruoli dei partner durante il coito: pertanto è dalla condizione di passività della donna durante l’atto che deriverebbe la subalternità completa del femminile nei confronti del maschio. Tuttavia il metodo citato rischia di giungere a conclusioni ripetitive che, insistendo sulla pressione della società patriarcale, dimentica di conferire il giusto peso delle donne nella storia, privandole ancora della coscienza individuale e dell’agency.Di recente, una nuova storiografia prova a fare i conti con le limitazioni e le sfide poste dal seguente approccio, tentando, laddove le fonti lo consentano, di procedere oltre il racconto della sottomissione del femminile7. Il punto di forza delle nuove ricerche difatti si focalizza sulla valorizzazione dell’agency delle donne in tutti gli aspetti della vita quotidiana sociale e culturale presso ogni società umana e durante ogni epoca8. Inoltre è opportuno notare che in risposta a questa tendenza si è profilata la volontà di scrivere anche la storia della formazione della “mascolinità” e delle conseguenze che essa ha provocato in relazione alla questione sessuale e ai rapporti con il mondo femminile9.
Genere e sessualità si incastrano in maniera ancora più complessa quando il nodo dei significati da sciogliere riguarda la descrizione dell’omosessualità femminile. Diversamente da ciò che accade per la narrazione dell’omosessualità maschile, meglio documentata perché considerata una colpa indicibile, quella femminile, spesso sottovalutata per gravità, sfugge alla storia scivolando talvolta nell’oblio. L’impegno della storiografia lesbica e femminista, pertanto è impegnata a scovare nelle pieghe dei secoli le tracce dell’omoerotismo tra donne seppur a fatica. Essa muove i primi passi durante gli anni Ottanta, avanzando proposte e prospettive che tengono in considerazione soprattutto l’emersione delle relazioni tra donne.
3. La storiografia degli anni Ottanta sul desiderio lesbico: l’approccio di Rich
I primi tentativi di ragionare sulla “storia lesbica” si iscrivono nell’orizzonte delle riflessioni teoriche che approntano nuove modalità di descrizione dei corpi e dei loro desideri. Il riconoscimento della lesbica come “oggetto” storico viene introdotto dalle voci delle donne schierate in prima linea durante le lotte politiche omosessuali per la rivendicazione di spazio e identità. Il connubio tra storia e politica nella fase incipiente della storiografia lesbica è saldo e riesce ad orientare la narrazione sull’omosessualità femminile verso un fine preciso che mira all’indipendenza della libidine delle donne dai condizionamenti maschili. Non è errato sostenere che in questa fase le riflessioni e le rivendicazioni politiche si servono pienamente di un racconto scritto di proprio pugno per far valere le proprie ragioni. In realtà, nel corso degli anni Ottanta la sensibilità lesbica prende le distanze dalle richieste del femminismo della prima ora, che indugia ancora sugli stereotipi legati alla poca femminilità delle donne omosessuali, di fatto estromettendole dal movimento. L’evoluzione progressiva del lesbismo politico, in veste di gruppo indipendente, dotato di una forte anima contestatrice, ha fatto della scelta omosessuale il motivo portante della sua missione, anteponendo il fattore politico alle istanze personali. A differenza dei primi approcci metodologici femministi volti ad affrontare la questione di genere, la scrittura lesbica evidenzia la necessità di ripartire dalla ridefinizione della sessualità femminile fino a poter conquistare la libertà dagli schemi sociali del patriarcato. L’analisi della sfera sessuale costituisce il perno attorno al quale ruotano i postulati della teoria del gender e dell’eroticità femminile voluta dalla storiografia lesbica. Si può parlare in questo caso di “femminismo lesbico”, il quale rivendica in modo assertivo il diritto a vivere il desiderio, al di là del soffocamento fisico e psichico maschile, spesso sforzandosi di esacerbare il divario tra i due sessi10.
Nel solco di queste riflessioni si colloca il pensiero di Adrienne Rich, secondo la quale scegliere di assecondare la propria tensione sessuale verso un’altra donna: “decidere di essere lesbica” sembrerebbe l’unica via di fuga per la donna che punta alla conquista della piena emancipazione dal potere maschile11. Appunto, il lesbismo assume i connotati di una scelta di resistenza politica della donna, in risposta al decoro imposto dalla società patriarcale, affinché, attraverso l’esperienza saffica, ella possa conoscersi a fondo. Sembrerebbe che solo adottando questa strategia la donna sia protagonista della sua vita, potendo scavalcare l’imposizione morale che la costringe ad una “eterosessualità forzata”, usando un’espressione significativa coniata da Rich. Da questa prospettiva si evince lo sforzo di dimostrare che l’esistenza del sentimento lesbico sarebbe una costante sotterranea, volontariamente oscurata, emersa attraverso il modus vivendi e cogitandi delle donne che hanno resistito alle imposizioni maschili. Rich farebbe riferimento ad un atteggiamento di resistenza attiva della donna, fattosi costante con l’avanzare dei secoli, che riassume sotto l’espressione: lesbian continuum. Il flusso continuo individua per Rich la consapevolezza femminile sulle dinamiche delle proprie esperienze affettive con altre donne, vissute nel quotidiano e durante le epoche. Gli episodi che la studiosa esorta ad analizzare, tuttavia, non sarebbero relativi alla sola sfera erotica, ma contemplerebbero tutte le forme di relazioni femminili e dei linguaggi che esse hanno assunto, celandosi allo sguardo maschile. La coscienza del desiderio d’amore nella donna raggiungerebbe, in questi termini, il culmine della sua espressione quando volontariamente rivolto a individui femminili. Per Rich l’amore omosessuale rappresenta l’esplorazione della donna dentro sé stessa, la cui scoperta finale favorirebbe una supposta inclinazione naturale del femminile a ricongiungersi con esseri simili.
La teoria di Rich fa leva sul fattore istintivo e genuino del sentimento lesbico, ponendola come differenza fondamentale tra il paradigma eterosessuale e quello, in apparenza affine, omosessuale-pederastico maschile12. Il rapporto tra donne è l’unica relazione davvero completa a cui una ragazza, o una donna matura, potrebbe aspirare, perché sarebbe un rapporto naturalmente paritario. La conquista del piacere femminile si fonda, soprattutto, su di un rapporto di fiducia che si esplica in termini di uguaglianza e rispetto: questo è il luogo dei sentimenti al sicuro dall’eterosessualità obbligatoria13. Il paradigma della Rich suona come un monito nei confronti della storia: la presenza lesbica sarebbe essere una componente ineluttabile, anche se difficile da intercettare. Da ciò ne deriva che la proposta di una storiografia basata sul lesbian continuum agisca con il fine di rompere il silenzio sul piacere femminile rendendo note anche le dinamiche relazionali, spesso non carnali, tra donne che manifestano la volontà di sottrarsi alle regole del patriarcato14.
Se alla teoria di Rich va il merito di aver introdotto una riflessione approfondita sul lesbismo, tuttavia occorre mettere l’accento sui limiti esistenti. Il punto controverso di Rich e del filo tracciato dal canone di un’omosessualità femminile latente è: l’acuirsi dell’antagonismo tra uomo e donna in una dimensione storica dominata dal patriarcato e dalla regola eterosessuale-riproduttiva. Considerare le aspirazioni libidiche femminili come naturalmente finalizzate ad unione un’altra donna tende ad appiattire le pulsioni delle singole personalità e a semplificare l’insorgenza dello stesso sentimento lesbico. Inoltre, non da meno, si correrebbe il rischio di rendere assoluta una supposta “essenza” del femminile come di una caratteristica autentica e immutabile. Per quanto valide le supposizioni della Rich non bastano a spiegare la multiforme sfera del vissuto erotico femminile.
4. Faderman, il lesbismo come sentimento platonico
Contemporaneamente nello stesso decennio in cui opera la Rich, vengono avanzate altre interpretazioni impegnate nel descrivere gli spazi entro cui nascono le relazioni tra donne, talvolta provando ad escludere la componente erotica. Le considerazioni sulla sessualità lesbica innata e dunque da assecondare a scapito dell’uomo, coesistono con le prospettive desessualizzanti proposte da Lilian Faderman15. La sua analisi aderisce alle direttive foucaultiane sulla nascita del paziente omosessuale, occupandosi un quadro storico ampio, che si focalizza innanzitutto sull’età vittoriana per arrivare fino ai tempi lei contemporanei. Nel suo scritto, dal titolo emblematico Surpassing the Love of Men, Faderman tende a sottolineare come gli incontri e le vite che le donne condividono con le loro simili siano in realtà venate di soli sentimenti platonici. Le possibilità relazionali tra donne sembrano articolarsi, almeno in apparenza, secondo due modalità alternative, il cui discriminante è dettato da un totale rifiuto del sesso oppure, ma sembra in quantità minore, dalla volontà di assecondare il proprio desiderio omoerotico. Secondo Faderman l’età vittoriana dà prova dell’esistenza di uno schema comportamentale, più simile a quello descritto per primo, adottato dalle donne che, con consapevolezza, rifuggono il matrimonio preservando ugualmente la loro castità. La storica analizza la costruzione del rapporto paritario tra donne che condividono la stessa scelta di rinunciare al ruolo di moglie e madre, decidendo invece di dedicarsi ad un legame di un’amicizia profonda. Faderman si riferisce e cita nel suo lavoro gli esempi di esperimenti di convivenza tra donne, la cui condizione è accettata dalle famiglie di provenienza che, anzi, non ritengono sconveniente né che una donna viva con un’altra, né che le dimostri affetto. L’emotività di queste relazioni ha modo di esprimersi con una certa libertà, dal momento che il pudore della donna rimane al sicuro lontano dall’uomo e soprattutto perché l’esistenza dell’omosessualità femminile gode, in quel tempo, di scarsa considerazione. Alla luce di tale considerazione Faderman afferma che pur essendo virtuosi questi legami sono percorsi da una corrente erotica visibile nella lettura della corrispondenza epistolare, che però non si traduce in un contatto carnale tra le amiche. Sebbene oggi appaia un metodo prudente, il fine dell’indagine di Faderman è chiaramente quello di andare oltre l’autorità maschile, cosicché la donna possa ricavarsi uno spazio proprio, intimo e non necessariamente sessuale. Il lesbismo per Faderman acquisisce i contorni di luogo figurato oltre che fisico, fatto di sentimenti scritti, di affetto sincero e parità di condizione tra le contraenti di un patto non scritto. La difficoltà di leggere il fenomeno sessuale come privato dell’erotismo fisico sarebbe controproducente in relazione agli obiettivi della narrazione avanzati dalla storia della sessualità. La negazione dell’amplesso, postulata da Faderman, se estesa per intero alle relazioni tra donne comproverebbe la tesi di un’asessualità o anche della frigidezza femminile. In tal senso il rifugio offerto da un contesto muliebre salverebbe la donna dal controllo dell’uomo, ma la sottrarrebbe a qualsiasi forma di libido.
È evidente che l’idea avanzata da Faderman sia ancora incastrata nelle maglie di una storiografia che fa fatica a svicolarsi dall’idea del maschio come unico soggetto attivo. Affermare che la donna rinuncerebbe alle pulsioni erotiche, pur di non soccombere alle coercizioni sociali che la vogliono moglie e madre, significa ancora fare il gioco della società patriarcale. Perciò la prospettiva di Faderman, non sarebbe la descrizione di una pratica del desiderio, ma un ripiegamento interiore della coscienza e del corpo femminile, un’esperienza di convivenza tra donne senza la sorveglianza di un uomo, tollerata dal dispositivo politico, in quanto innocua per l’onore delle amiche16. La ricostruzione dell’esistenza lesbica filtrata attraverso il modello dell’amicizia romantica, forse presente dall’epoca rinascimentale e consolidatasi durante il periodo vittoriano inglese, rappresenta un primo tentativo, anche se lacunoso, di rintracciare un filo conduttore dell’identità lesbica. Nondimeno il lavoro della Faderman, pur avendo delle mancanze oggettive, ha permesso che si aprisse la strada alla formulazione di un paradigma di larga estensione e con una completezza di significati maggiore. Il graduale passaggio della storiografia da Faderman in avanti, si concentra di più sull’indagine delle interazioni sociali e concrete, oltre che intime tra donne, sforzandosi di aprire altre possibili letture da applicare ai corpi e alla sessualità femminile, mettendo da parte temporaneamente l’interpretazione incerta dei sentimenti.
5. Gli anni Novanta: la rilettura delle fonti e l’emersione del soggetto lesbico
A partire dagli anni Novanta si registra un cambiamento nelle intenzioni di storiche e storici nel relazionarsi al problema identitario-sessuale lesbico17. Molte sono le ricerche che insistono su di una necessaria e nuova supervisione delle fonti da quelle già fruibili, ad altre di recente rinvenimento. La spinta a sottoporre la storia ad una rilettura approfondita proviene dal contesto anglofono e specie per la storia lesbica e di genere si guarda alle teorie avanzate da Bernadette Brooten, Katharine Park e Karma Lochrie18. Ciò che accomuna gli studi delle tre storiche è il proposito di spingersi oltre il paradigma foucaultiano e azzerare le barriere lessicali che hanno descritto per lungo tempo il concetto di omosessualità. Tenendo a mente la lezione di John Boswell, già distante da Foucault, queste studiose scelgono di usare la nozione contemporanea sull’omoerotismo sia tra uomini che tra donne, con lo scopo di conferire lo stesso significato alle relazioni omosessuali a prescindere dal tempo storico in cui sono esistite19. Ricorrere ad un vocabolario che si dimostri adatto a descrivere l’omosessualità femminile rappresenta un buon presupposto per attestare la presenza antica di pratiche tra donne, a dispetto della scarsità della documentazione e della presunta invisibilità della lesbica. In tal senso riappropriarsi delle parole significa riappropriarsi della storia e di conseguenza anche di uno spazio dove l’elemento lesbico diventa visibile. L’utilità della storiografia sul lesbismo, in questa fase, si manifesta attraverso la riabilitazione della terminologia passata ricavando da essa significati e rappresentazioni valide ancora nel mondo odierno.
Riesumare dai secoli il valore delle categorie lessicali si rivela un momento necessario affinché si riconoscano gli atteggiamenti e le pratiche dell’omoerotismo femminile, mantenendo vivo il dialogo con le identità lesbiche in bilico tra passato e presente. Le epoche antecedenti alla modernità rappresentano, per questo nuovo approccio storiografico, una miniera da cui attingere, ricca di contenuti da analizzare sotto una nuova luce. Una delle prime indagini sul lesbismo condotta in questo senso è da attribuire al lavoro pionieristico della Brooten. La storica si prefigge di ripensare al costruttivismo degli anni precedenti, con l’obiettivo di ricreare un luogo lessicale appannaggio solo dell’omoerotismo femminile, che si allontani dalla terminologia adoperata per descrivere le relazioni maschili. La sostituzione dell’identificativo “omosessualità” per il femminile non rimpiazza in toto il significato riconosciuto alla categoria, che anzi viene allargato ad appellativi risalenti come quello di tribade.
Nella propria ricerca, Brooten propone un dizionario variegato sul soggetto lesbico. Lo studio cerca di dimostrare la lunga esistenza delle pratiche e delle unioni lesbiche, mettendo in evidenza il continuo processo di stratificazione che ha sancito la formazione delle parole del lesbismo e allo stesso tempo della sua identità. Pertanto, Brooten riesce ad individuare numerosi appellativi, tutti aventi accezioni simili, il cui utilizzo è da riscontrare con una certa costanza nel corso dei secoli. La storica riconduce al mondo precristiano e tardo antico il periodo di formazione degli enunciati che descrivono l’omoerotismo femminile e le sue protagoniste. I vocaboli più significativi vengono coniati nel contesto della Grecia di età classica, per essere poi riadattati nella versione latina. Nella fattispecie, in greco hetairistria, tribas, dihetaristria, e lesbia corrispondono generalmente al latino: tribas, frictrix/fricatrix e virago20. In ambito ellenico, benché Platone utilizzi il termine hetairistria, nel significato di “cortigiana”, la maggioranza delle fonti in greco, successive al filosofo, fanno uso del termine tribas21. Esso potrebbe derivare dal verbo tribo, la cui traduzione sfregare è riconducibile all’atto sessuale tra donne consumato attraverso lo sfregamento dei genitali; oppure alla parola triabakos, traducibile con “esperta”, che indicherebbe la propensione della donna all’erotismo bisessuale22. Il vocabolo dihetaristria, apparterrebbe, invece, al contesto bizantino ed è equivalente a tribas/tribades. Brooten informa ancora il lettore, chiarendo che nelle glosse medievali agli scritti di Clemente di Alessandria, al fianco dei termini finora citati, compare la parola lesbia, che designa l’omoerotismo femminile, in chiaro riferimento al luogo geografico dell’isola di Lesbo. Rimangono reticenti le posizioni di alcuni studiosi in merito all’uso del termine lesbica, in quanto sembra che il verbo lesbiazein indicasse una pratica sessuale specifica, la fellatio, alla quale le donne provenienti dall’isola di Lesbo si diceva fossero notoriamente dedite23. A tal proposito la studiosa cerca di fare chiarezza riguardo l’associazione tra l’isola di Lesbo, la celebre poetessa Saffo e le pratiche erotiche tra sole donne; ipotizzando che essa si sia sviluppata in maniera graduale, probabilmente già nel corso dei primi secoli dell’era cristiana. Una delle iniziali attribuzioni in tal senso proviene dalla testimonianza di Luciano di Samosata (II d.C.), che si riferisce alle donne mascoline di Lesbo, bramose di giacere con altre donne, riconoscendole come interpreti del ruolo attivo durante il coito24.
La tribade/lesbica descritta da Brooten, a cui fa eco lo studio di Lochrie, figura come una donna protagonista assoluta della propria vita, guardata da tutte le epoche con timore per via della sua indipendenza dal prototipo del femminile passivo e succube. Attraverso la ricostruzione della genealogia delle parole e dei loro significati, gli studi di Brooten prima e di Lochrie poi, danno la possibilità di tracciare i contorni della figura storica della lesbica. Grazie alla rilettura degli scritti di astrologia e medicina, comprendendo anche la reinterpretazione della teologia neotestamentaria-paolina, le ricerche provano a fornire la visione della società antica secondo cui la tribade smette di essere una donna e finisce con l’assumere un’identità confusa, a metà tra i due sessi. Dai risultati di certi studi sembra stabilirsi un canone, ossia che: il tratto identitario delle pratiche lesbiche si basa sulle attitudini ripetute dei soggetti, intessute in un filo continuo che unisce sotto la stessa nozione di lesbica l’età classica fino a comprendere il Novecento. Questo filone di studio evoca il giudizio dei saperi, medico, giuridico e teologico, sulla lesbica/tribade mascolina che commette atti contro natura emulando l’uomo, specie quando si congiunge con proprie simili. La costanza nei secoli di questa rappresentazione si è cristallizzata e ha reso l’identità della lesbica/tribade la parte attiva della coppia, così come il sodomita sarebbe un uomo invertito, sessualmente passivo.
È chiaro che la ricerca sia volta a riconosce l’uguale e condivisa condanna e opera di coercizione sociale nei riguardi dell’omoerotismo femminile, tenendo presente il modello degli studi condotti sul versante maschile. Tuttavia le storie dei due sessi, per una parte della storiografia, rimangono separate e la loro comparazione attira una serie di critiche. La replica più puntuale arriva dal lavoro di David Halperin, How To Do the History of Homosexuality, pubblicato nel 2002, nelle cui pagine l’autore cerca di approntare un metodo utile per fare storia dell’omosessualità25. Pur apprezzando lo studio intenso della Brooten, Halperin non può fare a meno di notare un eccessivo trasporto della storica, relativo alla rilettura della documentazione, che parrebbe forzata in alcuni punti. Ciò, per Halperin, restituirebbe un resoconto falsato dei secoli analizzati, inseguendo l’illusione di un’identità lesbica troppo labile da poter raccontare. Halperin giudica l’audacia, e probabilmente anche l’autoreferenzialità dell’approccio di Brooten, suggerendo che il significato del lessico e dei suoi costrutti rimane ancorato all’epoca di provenienza, non costituendo un indizio esaustivo per la rappresentazione di un carattere identitario fissato.
6. Il “lesbian-like” di Judith Bennet
Al seguito delle teorie della Brooten, la ricerca storica si avvale del contributo di Judith Bennett, grazie al quale si prova a delineare lo spazio identitario della lesbica, anche laddove la documentazione scarseggi o sia di difficile lettura. Il metodo di Bennett lancia una sfida: il suo studio avanza l’ipotesi di passare al vaglio tutte le epoche storiche, attraverso l’applicazione di una formula, identificata come lesbian-like. Questo paradigma avrebbe il compito di scovare il lesbismo, considerando e descrivendo ogni situazione e contesto unicamente femminile al pari di un avvenimento che segnala un atteggiamento lesbico.26 Tale criterio sembrerebbe essere meglio spendibile, a differenza di altri filoni. In primo luogo perché flessibile davanti alle periodizzazioni e in aggiunta, perché considera la totalità delle azioni, di resilienza femminile ai dettami sociali, non includendo esclusivamente rapporti sessuali tra donne. All’interno del lesbian-like perciò confluiscono tipi svariati di femminilità refrattarie alla condotta prescritta per una donna. Pertanto vengono indagate le fonti sui travestimenti muliebri nei panni di uomini con il solo intento di lavorare e compiere spostamenti lunghi o notturni, senza correre pericoli. Il lesbian-like si serve della lettura della documentazione scritta e iconografica sulla vita delle donne che si prodigano nell’ assistenza ad altre donne in difficoltà, istituendo opere caritative, e anche considerando il vissuto delle prostitute. Vengono prese in esame, inoltre le donne che riescono a sottrarsi agli accordi matrimoniali; alle ragazze che riescono a dedicarsi allo studio. Il racconto proposto da tale modello si espande fino a riguardare l’approccio femminile con le pratiche devozionali e mistiche. A tale proposito Bennett ricorda l’intuizione di Lochrie riguardo la presunta corrispondenza tra la ferita del costato di Cristo con i genitali femminili, e di come sia possibile istituire un parallelo tra il bacio della ferita compiuto dalle monache e il sesso orale tra lesbiche27.
Se usato sapientemente questo metro di valutazione, potrebbe comporre una storia lesbica avente un raggio d’azione più ampio, capace di illuminare zone d’ombra relative al tempo e allo spazio altrimenti considerati vuoti. Dunque il lesbian-like offrirebbe un valido supporto capace di far prefigurare allo storico le opportunità plausibili dei contatti sessuali tra donne, t non forzando esplicitamente la direzione di tali possibilità verso l’associazione delle pratiche erotiche passate con quelle odierne28. La finalità di tale modus operandi è svelare l’esistenza di una costante identitaria del sesso femminile, esplorando gli archi temporali, facendoli comunicare tra loro per mezzo di assonanze e divergenze, non prediligendo solo l’aspetto sessuale29.
L’espediente del lesbian-like arricchisce la ricerca sul significato della storia lesbica nella stessa misura in cui amplia il panorama che fa da sfondo alla storia di genere30. L’articolazione dell’erotismo femminile, lesbico e non, sotto forma di discorso del potere sarebbe sottoposta a dei “circoli di rilevanza”: cioè dei precisi momenti storici durante i quali si verificherebbe l’acuirsi di tecniche costrittive improntate al controllo della sessualità femminile31. Secondo Bennett, il monitoraggio di queste fasi cicliche di amplificazione del timore della sessualità, gioverebbe alla ricostruzione storica del lesbismo, dando la possibilità di scandagliare i contesti temporali e spaziali, che si intersecano anche con questioni inerenti alla provenienza geografica, etnica o religiosa delle donne. Un’analisi comparativa tra contesti nazionali, culturali e religiosi permetterebbe di rimodulare nuovamente il canone della storia sociale del lesbismo e insieme del genere, plasmando un criterio intersezionale in grado dialogare con più fronti di analisi.
7. Il lesbismo intersezionale
Alla luce di una difficoltà oggettiva nel portare allo scoperto una narrazione coerente nella condanna della storia dell’omoerotismo femminile, è quindi necessario potersi affidare ad un approccio al problema che sia quanto più vasto possibile. La storiografia lesbica del presente accetta le sfide del femminismo intersezionale, allo scopo di includere nell’orizzonte della ricerca personalità e comportamenti “fluidi”, quindi non definiti in base al genere, insieme alle questioni relative tanto all’etnia quando alla credenza religiosa. A tale proposito il lavoro di Leila Rupp del 2009 confluito nel volume: Sapphistries. A global history of love between women testimonia che è possibile adottare un approccio globale, che possa spingersi in profondità nella ricostruzione, senza rivelarsi superficiale3232. Nondimeno, questa nuova attenzione al soggetto lesbico è utile, oltre che valida, anche a scoraggiare il pregiudizio storico sulla invisibilità dell’omoerotismo femminile, a prescindere dai contesti temporali e/o spaziali interrogati.
L’insistenza della storiografia sull’importanza di ricercare l’identità della figura saffica, mantenendo una propensione all’inclusività, ha incontrato il favore degli studi che ragionano sulla percezione del corpo transessuale. La proposta di una categoria storiografica che tenga presente la piena consapevolezza della lesbica riguardo la propria fisicità in relazione ai propri istinti sessuali, è stata avanzata da Vicinus33. Coniugare l’analisi delle teorie sul transgenderismo in merito alla concezione che la personalità e il corpo siano multiformi e scevri dalla nozione di genere, ha permesso di pilotare l’indagine sulla dimensione corporale femminile e lesbica, focalizzandosi principalmente sul desiderio omoerotico. La prospettiva di Vicinus permette che l’analisi della sfera sessuale interessi non solo il soggetto della relazione, la presunta lesbica o parte attiva, ma che venga contemplato anche l’oggetto e le pulsioni erotiche verso lo stesso. La ricostruzione delle relazioni non deve limitarsi ad analizzare l’agente singolo delle unioni, ma le condizioni e la disponibilità di entrambe le partners ad unirsi, laddove le fonti lo permettano. Pensare agli incontri tra donne privilegiando l’erotismo aiuterebbe la ricerca ad avere un’idea sulla percezione delle lesbiche a proposito della propria libido e di ciò che il loro corpo richiede, senza l’intromissione del confronto con il maschile. Pertanto il rilievo che lo studio sulla sessualità conferisce all’consapevolezza dell’atto sessuale chiama in causa anche le sensazioni del corpo rendendo necessaria una rappresentazione della corporalità della donna distante dal sesso riproduttivo.
Considerando la volontà di autodeterminazione dell’individuo, ossia la scelta dello stesso di riconoscersi nell’uno o nell’altro genere o in nessuno di essi, la ricerca apre la strada alla prospettiva di raccontare la storia delle tribadi, pensando non solo in direzione del genere femminile, ma anche attraverso il transessualismo34. La formulazione dell’identità lesbica avverrebbe secondo di modalità di transizione e in maniera analoga alla percezione del corpo transessuale, essa sarebbe intenta a slegarsi dal binomio tra sesso e genere, riuscendo a far valere il proprio corpo oltre il ruolo di genere, a prescindere dal gusto sessuale. Tuttavia è bene ricordare che le affinità tra queste due linee di pensiero non portano agli stessi risultati ed è necessario fare delle distinzioni sulla base delle fonti e degli esempi analizzati. Nella maggior parte dei casi le manifestazioni inerenti al transgenderismo rimangono indipendenti dal discorso strettamente sessuale sul lesbismo, sebbene non sia semplice applicare in maniera sistematica queste accortezze metodologiche35.
8. La storiografia lesbica in Europa
L’impegno attuale della ricerca storica è indirizzato affinché si riesca a superare il silenzio di alcune fasi storiche, nelle quali le attestazioni sull’omoerotismo femminile sono esigue. La riabilitazione della figura lesbica di fronte allo scorrere dei secoli è data anche dal tentativo, riuscito, di dimostrare che il crimine lesbico non rimane impunito; anzi subisce delle condanne aspre, a seconda del contesto spazio-temporale. Il saggio di Crompton36, in proposito cerca di ridurre le distanze tra gli studi, molto numerosi, dedicati alla punizione della sodomia maschile37. Sebbene sia vero che, in proporzione, i processi e l’impartizione di condanne gravi e meno gravi alle tribadi siano minori rispetto al versante maschile; tuttavia risulta possibile ricavare degli indizi sull’esistenza e la conoscenza delle pratiche saffiche anche attraverso altri canali. Un valido esempio è fornito dagli studi condotti sulla letteratura e il teatro, almeno per i paesi occidentali, che spesso segnalano la presenza di una narrazione inerente alle donne omosessuali38. Nondimeno gli storici e le storiche sondano aree diverse dalla letteratura, che in parte attinge dal vero, considerando le discipline giuridico e teologico, dalle quali la considerazione sulla gravità del lesbismo risulta scarsa. Ciononostante, l’intenzione rimane quella di scrivere una storia composita, rileggendo le fonti già in possesso o cercandone altre, senza sminuire la presenza del fenomeno. È giusto osservare infine, che a differenza di quanto accade per l’omosessualità maschile, il lesbismo gode di maggior considerazione, come larga parte della storiografia passata ha dimostrato, presso la scienza medica. L’evidenza nei secoli della prima modernità sulla descrizione della presunta costituzione ermafrodita della tribade segue una traccia continua. Questo fil rouge ha reso possibile una narrazione coesa della coercizione dei corpi femminili da parte della disciplina medica, contrariamente a quanto sostenuto da Foucault e palesando il soggetto lesbico. Pertanto l’ambito scientifico rimane, ad oggi, un campo aperto, che può arricchire la storia lesbica.
Progressivamente negli anni anche la storiografia dei maggiori paesi europei ha avuto modo di interessarsi allo studio della sessualità e in modo specifico della omosessualità femminile. Pertanto occorre segnalare anche il contributo apportato dell’Italia, tenendo presente che essa procede di pari passo con il resto d’Europa. Vale citare alcuni esempi di studi: da principio si ricordano i due lavori di Eva Cantarella dedicati al mondo antico, sia greco che romano39. In seguito è interessante leggere gli scritti sull’omosessualità femminile di Daniela Danna, di impronta più foucaultiana e quello di Paola Lupo che va dall’antichità al termine della prima epoca moderna, riconoscendo in esso l’influenza delle riflessioni della Brooten40. Interessante lo studio di Marzio Barbagli, che ha proposto il caso emozionante e significativo di Caterina Vizzani e quello recente sulle abitudini sessuali dell’Occidente41. In aggiunta, è utile leggere il volume collettaneo, Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, che prova ad allargare l’approccio nel descrivere il sostrato italiano delle sessualità altre42. Per quanto concerne l’analisi focalizzata sull’ambito giuridico e teologico basti ricordare le indagini approfondite di Fernanda Alfieri43. Di rilievo, prodotto in tempi recenti, si segnala lo studio di Umberto Grassi, Sodoma, che cerca di fare il punto sull’omosessualità maschile e femminile nel mondo Occidentale, servendosi di approcci differenti, vicini al contesto europeo e americano44. Infine è doveroso segnalare il notevole e scrupoloso lavoro della SIS (Società delle Storiche Italiane), che grazie alla rivista “Genesis”, avvalendosi dei contributi di storiche e storici, si è mostrata particolarmente sensibile alle discussioni sul genere, spesso anche in connessione con le questioni riguardanti la sfera sessuale.
Al di fuori dell’ambiente italiano è opportuno segnalare le ricerche di Sherry Velasco, sul lesbismo nella Spagna a cavallo tra XVI e XVII secolo e quelle di Shifra Armon a proposito dell’identità maschile nella penisola iberica durante la prima età moderna45. Gli studi di riferimento prodotti in Francia, rappresentano il frutto dei lavori in prima battuta di Philippe Ariès e André Béjin e Jean-Louise Flandrin; proseguiti in seguito da Sylvie Steinberg e Didier Lett46. Dal panorama olandese proviene il testo di Rudolf Dekker e Lotte Van de Pol, incentrato sul travestitismo femminile; oppure, è interessante considerare gli studi recenti condotti dallo studioso belga, Jonas Roelens47. Per quanto concerne l’ambito tedesco la maggior parte delle ricerche si collocano sullo sfondo delle vicende storiche dell’epoca moderna, che accompagnano la riforma luterana. Un numero significativo di studi viene proposto da Helmut Puff, attraverso una serie di saggi e testi, tra cui il volume Sodomy in Reformation Germay and Switzerland, pubblicato nel 2003, che rimane un testo di riferimento48. Ancora, riguardo al panorama dell’area germanofona, è opportuno guardale al lavoro collettaneo sulla ricostruzione dell’identità mascolina tra Cinquecento e Seicento, curato da Scott Hendrix e Susan Karant-Nunn49.
9. Il paradigma queer
Concludendo, è utile evidenziare l’esistenza diverse sensibilità storiografiche, le quali introducono a nuovi possibili scenari d’approfondimento sulla storia della sessualità colta in tutte le sfumature. Nell’ultimo decennio si è fatto strada un modello omnicomprensivo di tutte le pratiche e i comportamenti sessuali, che prescindono dal canone eteronormativo. Il filone assume il nome generico di queer studies, che propongono di mettere insieme il lato coattivo esercitato sul sesso e quello positivo, esplorando le fonti storiche con la speranza di imbattersi nelle “sorgenti” dell’erotismo omosessuale. Il paradigma queer cerca di coniugare le contraddizioni provenienti dall’oppressione esercitata in più situazioni durante i secoli. Tuttavia esso fa leva sull’idea di un filo continuo che si dipana in tutte le epoche, volto ad attestare l’esistenza diffusa di pratiche e sentimenti omosessuali puri e non sempre condannati, perché sotterranei. Lo scopo è evidentemente quello di evitare che la storia dei sentimenti omoerotici diventi unicamente una storia dell’omofobia, come giustamente fatto notare da Dall’Orto, nel suo Tutta un’altra storia.
Sulla base di queste riflessioni la storiografia sarebbe capace di riformulare il modo di pensare gli ambienti e i soggetti del desiderio queer dentro lo spazio tangibile delle città, nel tempo quotidiano di ogni epoca. Tale paradigma stabilisce che i luoghi delle sessualità di confine sono gli stessi delle relazioni eterosessuali, pertanto l’intenzione delle ricerche diviene quella di accorciare le distanze tra soggettività considerate al margine della società e la società stessa. Gli storici e le storiche che abbracciano questa prospettiva presuppongono che gli individui queer, omosessuali, transessuali, travestiti o persone dedite alla prostituzione agissero con consapevolezza e al centro della vita erotica dei costumi europei. Questa considerazione renderebbe possibile leggere ogni epoca sotto la lente del queer e dunque attraverso l’eventualità che le pratiche sessuali rappresentino spesso delle modalità non conformi alla regola eterosessuale. Alcuni esempi significativi di tale corrente interpretativa si ritrovano negli scritti di Blackmore e Hutcheson: Queer Iberia e Kruger: Queering the Middle Ages. In effetti, anche la proposta di un canone dalle maglie più larghe nasconde delle insidie. Sicuramente questa visione storiografica è capace di dare visibilità a tipologie dell’erotismo che altrimenti farebbero difficoltà ad emergere; tuttavia l’uso esteso di questo principio potrebbe far correre il rischio di annullare le differenze, necessarie da ricordare, che caratterizzano la vita intima di ogni individuo.
Note
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- Joan W.Scott. Unanswered Questions, in «American Historical Review», 113,5, 2008, pp. 1422-1429.
- Cfr. Judith Butler, Gender Trouble. Feminism and The Subversion of Identity, Routledge, New York & London, 1990; idem Bodies That Matter. On the Discursive Limits of “Sex”, Routledge, New York & London, 1993.
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- Adrienne Rich, Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence, in «Sings», 5, 1980, pp. 631-660, pp. 649-650.
- Ibidem.
- Ivi, pp. 631-637.
- Ivi, p. 649.
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- Ivi, p. 3.
- Tamar Wilson, Lesbian Studies. Setting an Agenda, Routledge, London & New York, 1995.
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- B.J.Brooten, Love between women, p. 4
- Ivi, p.5.
- Ibidem.
- Ivi, p. 22.
- Ivi, p. 23.
- David M.Halperin, How To Do the History of Homosexuality, The University of Chicago Press, Chicago & London, 2002.
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- Ivi p. 8; si veda anche J. C. Brown, Immodest Acts. The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy, New York, Oxford, Oxford University Press, 1986.
- Bennett, Lesbian-like, p.14.
- Ibidem, p.15.
- Ivi, pp. 22-23.
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