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Lo sport nella formazione dell’«uomo nuovo fascista» e di una mentalità di guerra
di , numero 52, dicembre 2021, Saggi e Studi, DOI

Lo sport nella formazione dell’«uomo nuovo fascista» e di una mentalità di guerra
Come citare questo articolo:
Tiziano Iannello, Lo sport nella formazione dell’«uomo nuovo fascista» e di una mentalità di guerra, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 9, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9611

1. Cenni storiografici sullo sport fascista
All’interno dello sconfinato panorama storiografico riguardante il fascismo, lo sport si ritaglia sin dall’inizio uno spazio dedicato. I primi a scriverne, ancora una volta, sono i protagonisti, prima come apologetica di regime, in seguito come memorialistica. È il caso di Fabrizio Felice con Sport e fascismo. La politica sportiva del regime, 1924-1936 (Guaraldi 1936) e di Lando Ferretti con Lo sport (L’Arnia 1949). Desta senz’altro interesse il fatto che, dopo un’iniziale produzione, l’attenzione storiografica si riduca notevolmente, per accrescersi nuovamente all’inizio del secolo successivo. Seguono infatti lavori di ampio respiro, come Lo sport nella propaganda fascista di Andrea Bacci (Bradipolibri 2002), Sport e fascismo, curato da Maria Canella e Sergio Giuntini (Franco Angeli 2009) e Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939 di Enrico Landoni (Mimesis Edizioni 2016). Parallelamente, sempre in anni recenti, sono state pubblicate alcune ricerche legate a specifiche tematiche come La donna nuova del fascismo e lo sport di Patrizia Ferrara (Angeli 2009) e Tempo libero, sport e fascismo, curato da Daniele Serapiglia per BraDypUS Editore nel 2016. Infine, gli studi di storia sociale hanno incluso l’aspetto sportivo, come denotano Il fascismo degli italiani. Una storia sociale di Patrizia Dogliani (Utet 2008) e Fascismo e società italiana. Temi e parole chiave, curato da Carlo de Maria per BraDypUS Editore nel 20161.
All’interno di questa ricerca, sono state messe a contatto alcune nozioni provenienti dagli studi sulla politica sportiva fascista con altre riguardanti la formazione dell’«uomo nuovo», con l’intento di rintracciare punti di unione e compenetrazione tra atletismo e dottrina, tra idea e azione in un contesto bellico. Al fine di raggiungere questo scopo, due istituzioni molto differenti fra loro hanno fatto da protagoniste per la narrazione: il Comitato olimpico nazionale italiano e la Scuola di mistica fascista.

2. Tra specificità e quadro d’insieme
La politica sportiva del fascismo italiano rispecchia fedelmente quella di più ampio respiro messa in atto da Mussolini e dai suoi ministri/gerarchi. Essa si muove tra una pretesa di unicità, ben delineata dalla propaganda di regime, e un’effettiva risposta a meccanismi in atto su larga scala quale la modernizzazione imposta dall’industrializzazione.
La stessa “Gerarchia”, la “rivista politica” del ventennio fascista che più di tutte avrebbe dovuto rendere manifesta una linea programmatica del movimento, costruisce l’identità del governo e del partito di Mussolini per negazione, alla continua ricerca di un’eccezionalità e di una rottura con il passato: il fascismo «consiste nel superamento del vecchio liberalismo, del vecchio democratismo, del vecchio socialismo», con l’auspicio di restaurare la sovranità dello Stato2.
Sul medesimo piano si esprime lo storico Pier Giorgio Zunino, evidenziando come il fascismo sia stato «norma a se stesso», con il tentativo di costruire una società che non soffrisse «degli impacci rappresentati dai riferimenti alle istituzioni e alle mentalità del tempo passato3». Le modifiche, che Mussolini e il suo entourage rivolgono alle istituzioni, presentano un’impostazione politicizzata, che al contempo pretende di modificare radicalmente il Paese, ma agisce e spesso si esprime in maniera generalizzata, secondo unicità, originalità ed in base al momento, come se ogni volta si trattasse soltanto di una tappa, di un’esperienza4.
D’altro canto, sarebbe un gesto di miopia non provare a situare l’esperienza fascista in uno scacchiere più ampio. Stando a Emilio Gentile, che ben si è occupato di «sacralizzazione della politica», il fascismo appartiene infatti «al rigoglioso e inquietante fenomeno moderno delle religioni laiche» che, a partire dal Diciottesimo secolo, «hanno popolato il mondo della politica, suscitando entusiasmi e paure, agitando le masse fra l’orgoglio del fanatismo e la disperazione delle persecuzioni5».
All’interno di questo complesso panorama si situa la gestione del tempo libero, dello svago, ma soprattutto dello sport sotto il regime di Mussolini, nel solco di una politica sportiva che partecipa della costruzione dell’«uomo nuovo fascista». Tuttavia, va segnalato come il modello organizzativo italiano sul fronte atletico degli anni Venti e Trenta risenta fortemente dell’influenza di due paradigmi europei quali l’educazione fisica di scuola germanica e l’approccio sportivo inglese.
Il primo prende le mosse dalle teorizzazioni di Ludwig Jahn e trae fondamento nel rafforzamento del singolo, della stirpe e della comunità nazionale attraverso la pratica ginnica. Il secondo, invece, nasce come risposta all’impatto dell’industrializzazione e del fordismo, con lo scopo di occupare il tempo libero degli operai attraverso attività ludico-sportive che possano procurare uno svago sano e alternativo al consumo di alcolici. Si diffondono infatti sport di massa che coinvolgono pubblico e giocatori, ma anche nuovi consumi quali scommesse e pubblicità sportive6.
La Grande guerra è il cuneo da cui ha inizio un nuovo approccio sportivo in Italia. In parallelo alla nascita del Servizio P, si diffonde attraverso le case del soldato la pratica dell’atletismo in funzione ricreativa. All’indomani del conflitto, si traspone anche in ambito civile l’attività sportiva, con l’ausilio di teorici quali Mario Giani che, grazie al sodalizio con Arnaldo Mussolini, trasla in chiave fascista la schematica organizzazione fordista della vita operaia. Con la nascita nel 1923 dei primi circoli dopolavoristici è infatti colmata una lacuna dello Stato italiano, caratteristica comune anche alle aggregazioni socialiste che poco peso hanno attribuito fino a quel momento all’attività sportiva7. In particolare, proprio sul piano politico-parlamentare, la proposta di legge sull’«Incremento dell’educazione fisica» patrocinata, primo fra tutti, da Giuseppe De Capitani d’Arzago viene ritirata a novembre 1920 a causa dell’opposizione dei socialisti e di alcuni settori dei popolari. I primi muovono, infatti, la loro critica dal sospetto che una miglior esercitazione ginnico-sportiva sia funzionale alla riconversione di queste energie «in una preparazione alla vita militare8».
Anche in questo caso occorre sottolineare la commistione tra specificità del fascismo italiano e partecipazione a meccanismi di più ampia scala. È infatti istituita il 13 giugno 1921 la Convezione internazionale sul lavoro, sottoscritta infine dal Regno d’Italia e ufficializzata dal governo di Mussolini nel marzo 1923. Con le otto ore lavorative ha realmente inizio il «tempo libero di Stato9». Come è noto, il Partito nazionale fascista è coadiuvato dalla nascita di due specifici enti: l’Opera nazionale balilla e l’Opera nazionale dopolavoro. Quest’ultima è stata ben definita da Guido Melis come la risposta italiana alla «tendenza all’organizzazione dello svago e del riposo tipica, in quegli stessi anni, di tutti i Paesi capitalistici, per lo meno giunti a un certo stadio di sviluppo10».
I principali aspetti, ai quali la politica sportiva fascista si è indirizzata, emergono con chiarezza già nel 1927 su “Il Popolo di Romagna”. Lo studioso Fabrizio Monti li ha condensati in quattro punti: innanzitutto, la propaganda di regime stabilisce la nascita dello sport moderno in Italia con il fascismo, prima del quale è presente soltanto il vuoto organizzativo. La riorganizzazione sportiva mussoliniana risulta pienamente caratterizzata dall’elemento totalitario e verticistico, assume una marcata connotazione bellica e imperialistica, si rivolge infine alla ricerca del consenso e si struttura intorno ad una sua valenza propagandistica11.

3. L’inquadramento del Coni nel Pnf
La crisi che nel corso del primo dopoguerra travolge la classe dirigente liberale si esplicita anche dal punto di vista organizzativo in merito alle iniziative sportive, come dimostra l’esperienza di Carlo Montù a cavallo tra anni Dieci e Venti. Anche in questo settore, l’approccio dei fascisti è quello di una totale rottura nei confronti delle politiche sportive precedenti e di disprezzo verso un’élite considerata come antisportiva, debole, flaccida e imbelle. La retorica del pragmatismo, tipica delle camicie nere, che soprattutto nel fascismo delle origini vede prevalere l’azione sull’idea, si applica in questo contesto come l’operato di chi agisce nelle palestre e non presso le cattedre12.
Già a partire dal biennio 1923-1924 è possibile constatare come in parallelo a una decisa crescita di interesse sullo sport, dimostrata anche da un incremento della stampa di settore e dalla risonanza mediatica offerta ai grandi eventi sportivi, si sviluppino forti cambiamenti in seno al Pnf e al governo Mussolini. La fissione tra Pnf e Coni raggiunge però la sua piena maturità soltanto nel 1928 quando alle dimissioni di Lando Ferretti alla guida del Coni segue la nomina dello stesso Augusto Turati. Si tratta peraltro di una pratica destinata a riscuotere un successo duraturo, dato che anche Achille Starace, subentrando a Leandro Arpinati nel maggio 1933, mantiene la doppia carica di segretario del partito e massima guida del movimento olimpico-sportivo nel corso degli anni Trenta. La «nazione sportiva» deve identificarsi con il popolo italiano in quanto non solo Starace resta a capo di entrambi i settori, ma pure Giovanni Marinelli svolge il ruolo di segretario amministrativo tanto del partito, quanto del Coni13.
A partire dal segretariato di Turati, maggiori energie sono impiegate nel coinvolgimento delle masse nel rito collettivo dello sport, al fine di rendere più prestante, coeso e disciplinato il popolo italiano. Una speciale attenzione è riservata alla gioventù che, attraverso l’opera dei Gruppi universitari fascisti, inizia ad essere sempre più organizzata.
Si giunge così all’applicazione del «metodo sportivo» alla pedagogia giovanile, «essenziale per instillare nei giovani la forza della tenacia, il gusto della sfida, il disprezzo del pericolo, la passione della lotta del primato»; solo così, secondo l’ottica fascista, è possibile plasmare i «soldati della rivoluzione», ovvero per mezzo di un «processo di virilizzazione dell’individuo», compiuto precedentemente in trincea, in quel momento in gara14.
Con la nascita della Gioventù italiana del littorio nel 1937 e la demolizione dell’Opera nazionale balilla, l’educazione sportiva dei giovani resta interamente sotto la direzione del partito; le tanto combattute libertà che Renato Ricci ha ottenuto nel corso della seconda metà degli anni Venti a capo dell’Onb, grazie alla Carta dello sport redatta sotto Turati, sono infine abbattute15. La sutura tra sport e partito può dirsi completa16. Il messaggio politico, mimetizzato all’interno di quello sportivo, raggiunge in questo modo aree e persone che non lo avrebbero recepito altrimenti.
È interessante notare come la figura del gerarca debba esibire condizioni fisiche perfette e dare prova del proprio valore. Starace ne è forse l’esempio più lampante, ma molti altri nomi posso essere fatti, non ultimo Italo Balbo17; un vasto interesse ha infatti destato la trasvolata atlantica da lui compiuta in occasione del decennale della rivoluzione fascista18.

Questo non tanto per esibizione retorica e puramente formale, quanto per rendere in pieno quell’equilibrio tra spirito e materia, tra cervello e fisico, tra nervi e muscoli, assolutamente indispensabili per l’azione di comando. […] Perciò l’azione che il Partito esplica anche in questo settore, merita d’essere segnalata. Senza d’altro lato commettere l’errore inverso di giustificare un gerarca soltanto perché può essere un perfetto campione sportivo. […] La sostanza di tutto è che non si può oggi, anno XVI, tollerare nel nostro Paese, con azione di responsabilità o di comando, chi non sia, o non sia stato in grado di prendere le armi19.

È chiaro come nel luglio 1938 si sia ormai affermata una chiara connessione tra il rafforzamento della «stirpe italica», i successi sportivi anche olimpici – basti pensare a Los Angeles 1932 e Berlino 1936 – e un marcato spirito militare. Ancor prima della campagna etiopica, in occasione del dodicesimo anniversario della rivoluzione fascista, quindicimila atleti sfilano dinnanzi a Mussolini per l’inaugurazione di Via del Circo Massimo a Roma sotto la guida di Achille Starace. Tra questi vi è un’avanguardia di professionisti e campioni costretta a partecipare alla maestosa parata in onore della patria e del loro duce. Iconiche in questa occasione le parole di Mussolini circa il dovere degli atleti italiani.

Chi vi ha visto sfilare ha avuto la profonda e quasi plastica impressione della nuova razza che il Fascismo sta virilmente foggiando e temprando per ogni competizione. Voi atleti di tutta Italia avete dei particolari doveri. Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. Ricordatevi che quando combattete oltre i confini ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in quel momento l’onore e il prestigio sportivo della Nazione. Dovete quindi mettere tutta la vostra energia, tutta la vostra volontà per raggiungere il primato in tutti i cimenti della terra, del mare e del cielo20.

4. La formazione dell’«uomo nuovo fascista»
La formazione dell’«uomo nuovo fascista», votata al raggiungimento di un popolo prestante nelle competizioni sportive e valoroso in guerra, passa attraverso due percorsi: il primo è appunto il miglioramento delle condizioni fisiche del cittadino, il secondo è l’indottrinamento teorico.
In questo contesto non risulta secondaria l’opinione di Renato Ricci, a capo dell’Opera nazionale balilla, che nel 1928 si compiace su “Gerarchia: rivista politica” di quanto sia già stato fatto per la preparazione delle nuove leve e per il loro inserimento nella società e nel Pnf; speciale menzione ottiene la riforma della scuola e l’Onb21. Inoltre, il discorso verte proprio sull’«educazione premilitare, premarinara, ed aviatoria» e di come questi aspetti permettano che «i figli in età virile sieno capaci di entrare con dignità nei pubblici uffici, negli studi superiori, nell’esercito, nella marina o nell’aviazione» con un unico fondamento morale: quello dell’«assoluta devozione alla nazione, sia in pace, sia in guerra22».
Senza voler ora prendere in considerazione l’ampio dibattito circa il fallimento del «cambio della guardia» interno all’élite fascista, è invece necessario spendere alcune parole riguardo l’incompiuto tentativo di creare l’«uomo nuovo» mussoliniano, cittadino di una civiltà forgiata artificialmente e allo stesso tempo espressione più pura della «razza italica».
Benito Mussolini, come in ogni ambito del fascismo, risulta essere il modello. È così per lo stile giornalistico, ma anche per il perfetto sportivo. Egli, sebbene non abbia «cultura e forma mentis tipiche dello sportsman», di cui non conosce né apprezza «evidentemente le origini inglesi, il distacco, il disinteresse e il rifiuto di qualsivoglia strumentalizzazione politica», risulta invece «prontissimo a cogliere nello sport e nelle sue molteplici implicazioni e declinazioni di natura simbolica, propagandista e educativa» «un efficacissimo stile di vita e di governo23. Uno stringente controllo mediatico cura l’immagine del duce, presentando un ampio uso di “veline” diramate alle testate giornalistiche. In questo modo, circolano soltanto fotografie autorizzate del dittatore, mentre vige il divieto di menzionare il suo compleanno, al fine di nascondere un’innegabile realtà: «il duce invecchia24». Mussolini, leva 1883, si dedica allo sport solamente in età avanzata, proprio per figurare come modello per la società che sta cercando di plasmare, fino a divenire il «primo sportivo d’Italia25».
Quindi, il prototipo dell’italiano nuovo non può che essere Benito Mussolini. La sua funzione, scrive il giornalista e politico Roberto Cantalupo su “Gerarchia”, «in questo profondo processo di elaborazione della coscienza nazionale è duplice». Riformulando il concetto, la «rifrazione dello spirito mussoliniano nello spirito della gioventù» opera secondo due modalità:

La prima consiste nel rappresentarci il prototipo dell’italiano nuovo, e nel darci il modello vivente ed operante dell’individualità etica e politica alla quale dobbiamo rassomigliare; la seconda consiste nel ricordarci continuamente che, appunto perché personalità prototipica ed eccezionale, quella di Mussolini deve dare il risultato di costituire una categoria di italiani nuovi26.

Le stesse olimpiadi svoltesi a Los Angeles nel 1932 sono, a parere della stampa fascista, la naturale conseguenza del benefico influsso di Mussolini sulla gioventù italiana. L’Italia, in questa occasione, conquista il secondo posto assoluto collezionando ben trentasei medaglie, anche se il merito va agli ingenti finanziamenti ottenuti dal presidente del Coni Leandro Arpinati e all’incessante e ben studiata preparazione atletica27.
Gabriele Turi mette in evidenza come già nel 1923 una delle primissime biografie del capo del fascismo, pubblicata dallo scrittore e giornalista Antonio Beltramelli, si intitoli proprio L’uomo nuovo, a conferma della natura di eccezionalità e di radiosità che la stampa filofascista attribuisce al politico28.
Nell’agosto 1926 Antonio Bruers rilancia l’argomento trattato da Cantalupo su “Gerarchia”, teorizzando la «palingenesi spirituale» dell’Italia: essa, «chiamata ad un grande destino», dovrà creare «un nuovo tipo di civiltà», un «nuovo mondo spirituale e sociale» in cui l’«Italiano», rievocando le proprie origini, si impadronirà del suo «genio nazionale29».
Centrale nell’ideologia fascista è infatti l’esistenza di una dimensione temporale onnicomprensiva: sono inclusi passato, presente e futuro. Non a caso il politico Balbino Giuliano afferma sulla rivista di fondazione mussoliniana: «è necessario che noi sappiamo dimostrare, che quello che si chiama passato, non è veramente passato ma è ancora in qualche modo presente, che ha cioè ancora la virtù di creare l’avvenire30».
Alla pari di molti altri aspetti teorici del Ventennio, anche la configurazione dell’homo novus appartenente alla «civiltà del littorio» è debitoria della filosofia gentiliana. Rileggendo infatti la voce Fascismo firmata da Mussolini per l’Enciclopedia italiana del 1932, l’uomo non esiste fuori dalla storia e tantomeno fuori dallo Stato, ma al contrario è modellato dal fascismo, plasmato in quanto «contenuto» della macchina statale31.
“Gerarchia” stessa promuove una società anti-individualistica. Ricorrono metafore a sfondo biologico dove l’uomo diviene espressione cellulare del grande sistema organico di cui egli fa parte: «le cellule muoiono, si rinnovano con ritmo incessante mentre l’organismo vive e si accresce», così come fanno «gli uomini, chiusi nella loro breve parabola di vita entro la più grande vita della Nazione32».
Questa educazione del cittadino investe in maniera totalizzante ogni aspetto della sua vita, pubblica e privata. Come ha osservato Emilio Gentile, si può parlare di un’«estetica della massa» realizzata dal fascismo33. I riti e le manifestazioni pubbliche si svolgono ordinatamente, i partecipanti sono abbigliati secondo uno «stile fascista» conforme ad una «riforma del costume» e la folla esegue i comandi dell’officiante come una «massa liturgica34».
Eppure, al di là della forma esteriore, permangono nella società italiana portati e mentalità estranei al fascismo e fatica a realizzarsi, se non definirsi, questo modello di «uomo nuovo», che viene rappresentato più per negazione che attraverso precise indicazioni: «di qui le immagini negative del liberalismo, della democrazia, del socialismo o della mentalità borghese, e più in generale dei “diversi”, primi fra tutti gli appartenenti ad altre razze35».
Senza dubbio di grande effetto e puntualità è la descrizione dell’homo novus fascista tracciata dagli storici Lutz Klinkhammer e Patrick Bernhard. Essi definiscono il fenomeno come un «progetto a lungo termine», «un programma di ingegneria sociale» in cui lo Stato mira ad «ottimizzare» la popolazione, servendosi dell’individuo come di un «piano di proiezione per la propaganda del regime diretta alla mobilitazione ideologica della società italiana36». All’interno di questo processo, sono previste diverse tappe intermedie, che riguardano «l’organizzazione e l’irreggimentazione della società37». Sebbene i media e il sistema scolastico abbiano svolto un ruolo di primo piano, chi più di tutti ha speso le proprie energie per la formazione di una nuova «civiltà del littorio» è stato il Partito nazionale fascista. La sua opera di organizzazione e inquadramento della vita del cittadino si è andata espandendo progressivamente, soprattutto durante la sequenza delle segreterie Turati-Giurati-Starace. Grazie alle numerosissime diramazioni del Pnf, che vanno dall’Opera nazionale maternità e infanzia al grande agglomerato di associazioni che nel 1937 prende il nome di Gioventù italiana del littorio, dai Gruppi universitari fascisti all’Opera nazionale dopolavoro, il regime permea capillarmente il Paese. A momenti alterni sono condotte campagne per incrementare il tesseramento degli italiani al partito fondato da Mussolini, ma è interessante notare che persino i medici siano mobilitati attraverso il Sindacato nazionale dei medici fascisti affinché promuovano uno stile di vita sano e partecipino alla rivoluzione antropologica in atto38.
Dato che si è parlato di un coinvolgimento della scienza medica, occorre fare una precisazione. Il fascismo ortodosso non ha mai preso in considerazione una «rivoluzione biologica» al pari del progetto Lebensborn nazionalsocialista e, nonostante il regime abbia certamente impiegato un crescente quantitativo di energie nella realizzazione dell’«uomo nuovo» dopo la costituzione delle leggi razziali, esso ha sempre visto la questione da un punto di vista comportamentale, mentale e spirituale39. D’altra parte, lo Stato si incarica di promuovere una nuova coscienza igienica per il bene della nazione e questo porta ad alcune derive, quali l’attività pseudoscientifica di Nicola Pende e l’istituzione a Genova del primo ed unico ente statale e parauniversitario deputato al miglioramento della razza, ovvero l’Istituto Biotipologico ortogenetico40.
Con il coinvolgimento dei medici, l’assoggettamento del Coni al Pnf e la conseguente affiliazione di tutte le federazioni sportive nazionali, si mira a realizzare un ideale di «mascolinità latina» connotato da ottima prestanza fisica, disciplina di gruppo e perfezionamento della stirpe.

Con il fascismo le attività sportive divengono un efficace veicolo, molto di più di quanto era avvenuto in epoca liberale, di nazionalizzazione delle masse, e di organizzazione del consenso. Il fascismo italiano fece sostanzialmente sue le posizioni […] che vedevano nell’attività fisica uno dei più validi strumenti d’educazione patriottica e militare e d’igiene fisica e morale. L’educazione della nazione in senso sportivo significava conferirle il senso di virilità, di cameratismo e di disciplina. Sin dai suoi esordi dunque il fascismo aveva riposto nello sport due principali finalità: disegnare un «uomo nuovo», cancellando sul piano anche internazionale l’immagine degli italiani come incapaci di combattere nelle guerre come nelle competizioni pacifiche41.

A questo proposito, centrale diviene l’apporto della scienza medico sportiva che, a partire dall’inizio degli anni Trenta, occupa un ruolo di primo piano nella programmazione atletica. Primo vero banco di prova sono le olimpiadi di Los Angeles del 1932, per le quali gli sportivi professionisti sono sottoposti ad una preparazione altamente studiata. Si calcolano precisamente i carichi di allenamento e i riposi; gli atleti sono seguiti da medici sportivi i quali eseguono sui loro “clienti” regolari visite mediche42.
“Gerarchia” pubblica nell’aprile 1928 un articolo assai significativo scritto da Lando Ferretti, già giornalista di spicco nella redazione de “La Gazzetta dello Sport”, oltre che presidente del Coni; egli non è solo «responsabile della politica sportiva del regime», ma anche «uno dei teorici della dottrina fascista dello sport43». Il collaboratore elogia la compresenza «di un’educazione atletica individuale» con quella mutuata dai «giuochi collettivi», utili «a smorzare l’eccessivo individualismo», a «instillare negli animi un senso di disciplina, di obbedienza, di gerarchia»: il risultato di questa preparazione a cui il balilla, l’avanguardista ed il milite si sottopongono dovrebbe sfociare, secondo Ferretti, nel «tipo dell’italiano nuovo44».

Lo sport era il veicolo per instillare nell’individuo la consapevolezza della nuova dimensione di vita collettiva creata dal fascismo. Esso doveva costituire un’esperienza di massa non soltanto per il numero delle individualità coinvolte, ma perché partecipando alle manifestazioni sportive il giovane avrebbe sperimentato il senso di appartenenza comunitaria e l’armonia della vita collettiva, rinsaldando il vincolo cameratesco discendente dalla fede nelle supreme idealità patriottiche45.

5. LA SCUOLA DI MISTICA FASCISTA
L’opera di definizione della dottrina fascista e dell’homo novus che ne consegue trova una solerte protagonista nella «Scuola di mistica fascista Sandro Italico Mussolini», la quale sorge «a Milano ai primi di aprile del 1930, in seno al Gruppo universitario fascista milanese e con l’appoggio del locale Istituto fascista di cultura», di cui costituisce la sezione giovanile46. Come recita il secondo articolo del suo statuto, l’istituto «si propone, mediante pubbliche e private riunioni e pubblicazioni, la propaganda dei nuovi ideali di vita fascista e la elaborazione dei principi informatori della nuova civiltà, che sta sorgendo sotto i segni del Littorio47».
Compito dei «mistici» è infatti quello di inculcare nella società il più assoluto fideismo – «È la fede che muove letteralmente le montagne» – così pronuncia Mussolini alla consulta della Scuola48.
L’istituto è infatti parte di un programma di rafforzamento dell’appartenenza politica del popolo italiano, un ingranaggio di quel mastodontico meccanismo che è il «giovanilismo totalitario dello stato fascista», atto a «rendere durevole lo stato di euforia rivoluzionaria, di tensione politica, necessario per suscitare il consenso delle masse alle iniziative» del regime49.
Il 19 febbraio 1940 alle soglie del Convegno nazionale di due giorni, intitolato «Perché siamo dei Mistici?» e bandito dalla Scuola, Gastone Silvano Spinetti espone su “Il Resto del Carlino” alcuni dati interessanti riguardo la formazione dell’«uomo nuovo fascista».

La Scuola di Mistica Fascista, chiarite le ragioni della sua esistenza, dovrà quindi iniziare un’azione a fondo, sistematica ed intelligente, nel campo della cultura, secondo i dettami degli insegnamenti di Mussolini, per la creazione di un nuovo sistema di pensiero; perché come la Rivoluzione Francese per dare l’impronta al periodo storico che da essa trasse la sua più intima giustificazione logica, creò un tipo d’uomo nuovo, completamente diverso da quello concepito dai pensatori dell’età precedente, così la Rivoluzione Fascista per dare l’impronta al nuovo periodo storico si deve sforzare di creare l’uomo nuovo fascista, rivedendo radicalmente i concetti di natura, di individuo, di Stato e di libertà che sono alla base di ogni sistema di pensiero50.

Risulta assodato che, sebbene i fascisti non abbiano mai dimostrato simpatie per la Rivoluzione francese, essi si siano trovati, in parte consapevolmente e in parte no, a ricalcarla. Le formule di pedagogia politica utilizzate dal regime si ispirano «all’idea di rigenerazione morale del popolo, alla concezione dello Stato educatore, al mito dell’“uomo nuovo”, alla sacralità della patria, alla “passione dell’unità”»; secondo questa visione lo Stato è in grado di plasmare il carattere del cittadino «con la suggestione del mito, la forza morale di una fede e l’influenza pedagogica della liturgia51».
È bene segnalare che all’interno delle rappresentanze presenti al Convegno nazionale di mistica fascista si situa la partecipazione di Puccio Pucci, arbitro e dirigente sportivo italiano, allora segretario del Comitato olimpico nazionale, e di Raniero Nicolai, il più longevo capo ufficio stampa del Coni durante gli anni Trenta52. Si tratta di un dato non scontato che rafforza il filo conduttore della preparazione a tutto tondo prevista per l’«uomo nuovo», riassumibile da uno slogan della stessa Scuola, ovvero: «Fascismo uguale Spirito, uguale Mistica, uguale Combattimento, uguale Vittoria53».
L’esempio dell’istituto risulta funzionale su più livelli. In primo luogo, esso aspira a divenire centrale nella formazione della «civiltà del littorio». Dal 1939 la Scuola diviene custode del «Covo», la primogenita e mitizzata sede de “Il Popolo d’Italia”, ovvero il «quotidiano della fede» fondato da Mussolini; essa si trova così a svolgere il ruolo di mantenimento e consegna dello spirito rivoluzionario delle origini alle nuove generazioni.
Inoltre, a partire dal 1938, la Scuola ottiene un’ampia biblioteca, strumento di educazione e formazione teso ad offrire «un quadro completo delle forze spirituali del momento». Essa, oltre a dedicarsi all’«esegesi della Dottrina fascista» e alla divulgazione dei suoi principi, mira a fornire consulenze bibliografiche, anche epistolari, «a tutti gli studiosi d’Italia» impegnati «nello studio dei vari problemi del fascismo54».
Grazie alla pubblicazione degli atti della Scuola, dato che di tutto il patrimonio librario soltanto un migliaio di volumi è sopravvissuto, è possibile notare come l’ottava sezione della biblioteca «Il Partito nazionale fascista e le organizzazioni dipendenti» compia un’opera di duplicazione strutturale rispetto alla società e allo Stato fascisti55. In questo settore sono infatti presenti sei sottodivisioni: «Partito nazionale fascista, Gruppi dei fascisti universitari, Fasci femminili, Gioventù italiana del littorio, Associazioni fasciste, Comitato olimpico nazionale italiano56».
Emerge una programmazione educativa dell’«uomo nuovo» a tutto tondo, esperienza che prevede anche quella sportiva all’interno delle varie competenze del partito. Per di più l’organo divulgativo della Scuola, ovvero il mensile “Dottrina fascista”, si occupa a partire dalla sua nascita nel settembre 1937 dell’orientamento bibliografico dei candidati ai Littoriali della cultura e dell’arte57.
Specularmente, la rivista “I Littoriali” è pubblicata il 21 aprile 1932, diretta e concepita in numero unico da Achille Starace, in occasione della prima edizione dei Ludi lictoriales; in seguito, l’organo ufficiale del Coni, “Il Littoriale”, avrebbe supplito al compito preparatorio58.
La figura dell’intellettuale che il regime intende realizzare si ispira chiaramente all’ideale classico di bellezza estetica e prestanza fisica che ben si deve accordare con la virtù morale e l’educazione, secondo il canone riassumibile in chiave fascista con l’espressione «libro e moschetto59». Inoltre, è possibile notare un’interessante analogia interna alla gioventù fascista che per ragioni d’età non ha potuto partecipare alla Grande guerra o alla marcia su Roma, alla pari delle generazioni precedenti. Essi, privati della gloria della «vecchia guardia» e vittime della cristallizzazione del Pnf che fatica a inserire i giovani nelle cariche dirigenziali, trovano, in attesa di una prova marziale, una «sfera d’azione sostitutiva» nella politica culturale e nello sport60.
La Scuola di mistica fascista partecipa due volte dei Littoriali: la prima orientando i candidati, la seconda avendo tra i propri membri e frequentatori numerosi partecipanti data la sua forte intersezione con l’organismo dei Guf, in particolare quello milanese. “Dottrina fascista” chiarifica inoltre l’approccio che l’istituto esercita nei confronti della manifestazione culturale:

A noi preme tuttavia una visuale di questi Littoriali, presa per così dire dall’interno […] che si preoccupi non soltanto di un eventuale contributo da essi arrecato all’arte ed alla cultura della Nazione, ma soprattutto consideri i Littoriali medesimi come il più sicuro documento d’una nuova educazione politica dei giovani. […] Ora noi crediamo sia questa la vera e più profonda radice dei Littoriali; la ricerca cioè di giovani individui dalla personalità completa, di individui, caratteristici esponenti del proprio tempo, capaci ancora di apprendere e già nel medesimo tempo d’insegnare61.

Lo stesso Niccolò Giani, direttore della Scuola e della rivista, ha ben esplicitato l’intento formativo richiesto dal momento storico agli intellettuali fascisti. Non si tratta più di fare gli italiani, bensì gli «gli uomini nuovi: gli italiani di Mussolini»62. Questo significa, sempre secondo Giani, che occorre anche creare «istituti nuovi perché uomini e istituzioni reagiscono reciprocamente tra loro». Il risultato è uno «Stato etico», al cui interno in maniera rivoluzionaria si produce «educazione – non cultura63».
Proprio a causa di un rifiuto culturale in favore del pragmatismo e dell’azione, con il procedere degli eventi e l’entrata in guerra del Paese nel 1940, tutte le colonne portanti della Scuola, compreso Giani, hanno preferito mettere in pratica la correlazione tra pensiero e azione arruolandosi volontari. La Scuola, svuotata dei suoi elementi più produttivi, anche in seguito alla morte di molti di loro, non si è trovata dunque nelle condizioni di realizzare nuovi progetti. Tuttavia, il rapporto guerra-Smf è ben più complesso di quanto possa sembrare perché, se da un lato il conflitto costituisce un potente ostacolo materiale alle attività dei «mistici», dall’altro esso favorisce quello stretto connubio di ansie e incertezze nazionali con elementi mistico-religiosi64.

6. LA CONNOTAZIONE BELLICA NELLA SFERA SPORTIVA

Oggi lo sport, inquadrato in tutte le forme dell’attività nazionale è inteso come una dura, come una severa, come una gagliarda scuola che prepara i cittadini alle prove civili della pace e a quelle tragiche, ma pur sempre fatali della guerra […]. Superate ormai tutte le ideologie contrarie allo sport, affermatosi lo sport come una funzione sociale […], il regime fascista ha affrontato questo problema con piena conoscenza. Esso ha fatto il suo piano di guerra del quale voi, Eccellenza Turati, siete lo stratega. Questo piano è consistito nel salvare tutto quello che era salvabile della vecchia struttura sportiva […]. È necessario trovare una coordinazione, un coordinamento degli sforzi, così al centro, come alla periferia65.

Così si esprime il 24 febbraio 1927 Lando Ferretti presso il Palazzo del littorio dinnanzi ad Augusto Turati e ad una folla di dirigenti e atleti. Come traspare da queste parole, emerge la metafora bellica circa la guida atletico-militare svolta dal segretario del partito. Tuttavia, non si tratta certamente di una novità all’interno della politica sportiva italiana e del sostrato ideologico fascista. Il modello dell’«uomo nuovo» varia nel corso del tempo seguendo il passo del regime: «dall’immagine dell’intellettuale squadrista degli anni Venti» a quella dello «studente sportivo della metà degli anni Trenta», fino al prototipo dello «studente combattente66».
A partire dalle avanguardie artistiche, in primo luogo quella futurista, si afferma il culto della modernità e del «vivere pericolosamente», stile di vita che trova una piena consonanza negli ideali interventisti e nei miti che si creano intorno a episodi quali la «beffa di Buccari» e l’«impresa di Fiume».
È in questo contesto che si sviluppa la canonizzazione della figura dell’ardito. Un impegno non indifferente lo esercita Margherita Sarfatti nella co-gestione del mensile “Ardita”, nato la settimana precedente all’adunata di San Sepolcro per riunire politicamente lo scontento dei reduci. Il suo personale intento è quello di «far confluire l’aspetto intellettuale e aristocratico dell’arditismo nell’ordine statale», selezionando quegli «aristòcrati del combattentismo» che allo stesso tempo si pongono come promotori di arte e letteratura67. Inoltre, è «di formidabile potenza evocativa, sul duplice piano etico-politico e fisico-sportivo,» la figura dell’ardito, «reduce dei Reparti d’Assalto68».
Tutte queste figure, unite a ex ufficiali ed ex piloti, sono convogliate dal fascismo su un fronte politico segnato da forti connotazioni belliche – basti pensare al duplice ruolo, redazionale e sociale, che assume la prima sede de “Il Popolo d’Italia” come «Covo». Si fonde inoltre in questo contesto la trama sportiva; ne è la prova la figura di Aldo Finzi, personaggio centrale del fascismo milanese che nel 1921 rilancia la decaduta proposta di legge De Capitani sul potenziamento dell’educazione fisica69.
Per mezzo del nesso fascismo-guerra-sport si innesta in una tipologia di pensiero, debitoria dei fenomeni dell’arditismo e del futurismo, che esalta il mito della superiorità dell’azione, secondo la logica del «chi si ferma è perduto», «gli assenti hanno sempre torto» e «gli “intervenuti” possono perlomeno tentare la “conquista” dell’avvenire e avere voce in capitolo70».
Nonostante la forzata normalizzazione seguita al delitto Matteotti e alla secessione aventiniana, non avviene la scomparsa di virtù militaresche come coraggio, obbedienza alle gerarchie, forza fisica, disciplina e «spirito militare71». Semplicemente il governo Mussolini tenta di controllare gli elementi più irrequieti attraverso la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e, in generale, di convogliare le energie della nazione attraverso una decisa politica sportiva, volta alla ricerca del successo e del prestigio internazionale.
La «fusione assoluta dell’idea con l’azione» trova la sua massima espressione nella formulazione di una «coscienza di guerra», compito che il regime affida agli intellettuali per traghettare la società verso un «sacrificio politico-militare72».
Questo porta ad esiti quale, da un lato, la formulazione dottrinale dei «mistici»:

Noi siamo mistici perché ogni nostro pensiero ed ogni nostra azione, la nostra stessa vita, sono ispirati ad un trinomio che racchiude in sé tutto il nostro programma di giovani rinnovatori: credere, obbedire, combattere; lo stesso trinomio che congiunge idealmente le nuove generazioni del Littorio agli uomini della vecchia guardia, al glorioso squadrismo. […] Per noi giovani, nati e cresciuti nel clima incandescente della Rivoluzione, la guerra più che un dovere è un diritto […]. Considerarsi soldati così in pace come in guerra, significa vivere misticamente, significa, come disse Arnaldo, «saper vivere e saper morire, nel modo più degno».73

D’altra parte, invece, il procedere degli eventi, quali la campagna d’Etiopia e le sanzioni economiche della Società delle Nazioni, conduce ad un’estrema politicizzazione della società e delle competizioni sportive, che assumono connotati guerreschi74. “Il Calcio illustrato” afferma che il suddetto sport «è quello che più si avvicina alla vita e alla guerra» e definisce i propri atleti come «esercito dei calciatori»; la politica estera sbocca infatti nella rottura delle relazioni sportive dell’Italia con la Gran Bretagna e la Francia, mentre mille atleti sono inviati in Africa occidentale a supporto delle truppe75.
L’acuirsi della questione politica nello sport provoca in realtà diverse polemiche, soprattutto sul fronte razziale, quando si iniziano ad escludere atleti di origine ebraica o africana e si scherniscono al contrario le squadre estere che li includono, come gli Stati Uniti. Ciò non toglie che a livello ufficiale è in auge una politica di purezza della stirpe, che coinvolge anche la Federazione dei medici sportivi76.
In conclusione, la formazione dell’«uomo nuovo» procede dall’inizio alla fine del regime fascista secondo un leitmotiv che accomuna spirito atletico e guerriero. Non deve destare stupore, infatti, la proposta avanzata da Gaetano Falzone nel 1936 di trasformare i Littoriali dello sport in Littoriali della guerra e nemmeno il fatto che l’allenamento sportivo del Guf sia «integrato con l’addestramento alle armi impartito dalla Milizia universitaria77». Tanto la parabola dell’esperienza formativa suscitata dalla dottrina quanto quella provocata da un’educazione sportiva sfociano non nella tanto agognata «civiltà del littorio», bensì nella corsa alle armi per la Seconda guerra mondiale.

Note

  1. È possibile, inoltre, rintracciare un filone di ricerca dedicato allo sport anche all’interno della più generica storia d’Italia, come mette in luce ad esempio Stefano Jacomuzzi, Lo sport fascista, in Storia d’Italia. I documenti, Torino, Einaudi, 1973.
  2. Enrico Corradini, Governo e partito, in “Gerarchia”, n. 1 (1925), p. 2.
  3. Pier Giorgio Zunino, L’ideologia del fascismo, Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, Il Mulino, 2013 [1^ ed. 1985], p. 213.
  4. Cfr. ivi, pp. 211-13.
  5. Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 301.
  6. Cfr. Daniele Serapiglia (a cura di), Tempo libero, sport e fascismo, Bologna, BraDypUS Editore, 2016, pp. IV-V.
  7. Cfr. ivi, pp. VII-IX.
  8. Enrico Landoni, Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2016, pp. 23-25.
  9. Ivi, p. VIII.
  10. Guido Melis, Prefazione a E. Vigilante, L’Opera nazionale dopolavoro. Tempo libero dei lavoratori, assistenza e regime fascista 1925-1943, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 1.
  11. Cfr. Gino Sansoni, Il Popolo sportivo. Sport e fascismo, in “Il Popolo di Romagna”, 13 febbraio 1927; Fabrizio Monti, Sport in Carlo de Maria (a cura di) Fascismo e società italiana. Temi e parole chiave, Bologna, BraDypUS Editore, 2016, pp. 373-75.
  12. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 14, 19, 33, 42. Sul ruolo di Montù nell’organizzazione sportiva cfr. Gianfranco Colasante, La nascita del movimento olimpico in Italia: dal conte Brunetta D’Usseaux alla costituzione del Coni (1984-1914), Roma, Coni, 1996, pp. 208-11.
  13. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 118-19, 121, 162-65.
  14. Luca La Rovere, Storia dei Guf. Organizzazione politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 208.
  15. Cfr. ivi, pp. 125-26, 207-08.
  16. «Avec l’ancienne gymnastique, rebaptisée éducation physique, la préparation militaire et sportive constitue la tâche principale de la G.I.L. Tous les ans, pour commémorer l’anniversaire de la Marche sur Rome, une “Marche de la Jeunesse” est organisée». Michel Ostenc, La jeunesse italienne et le fascisme à la veille de la Seconde Guerre mondiale, in “Revue d’historie de la Deuxième Guerre mondiale”, no. 94 (avril 1974), p. 50.
  17. «Non va dimenticato che il prode Achille, sin dalla sua nomina, era andato predicando il mito dell’eterna giovinezza, costringendo i gerarchi di ogni età e peso a sorbirsi e sobbarcarsi ogni genere di strapazzo fisico – nel 1938 inaugurò le cosiddette prove atletiche obbligatorie all’insegna del motto “Chi è stato bersagliere una volta, lo resta per tutta la vita” – così da eliminare la pancia e riuscire, persino, a compiere marce estenuanti […] e a saltare radente nel cerchio di fuoco». Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di Mistica fascista, Milano, Bur, 2004, p. 61.
  18. Italo Balbo, nominato ministro dell’Aeronautica nel 1926, acquisisce competenze sia civili sia militari. Egli, cavalcando il mito dell’aviazione, si serve della crociera atlantica per accrescere la gloria della nazione e, allo stesso tempo, per risanare «le relazioni politiche tra i fascisti italiani in Brasile e le autorità politiche del paese, che nella rinnovata amicizia con il regime di Mussolini» ricercano anche «una propria legittimazione internazionale nel nome della latinità». Fabio Caffarena, Federico Croci, Un’impresa fascista tra sport e propaganda. La trasvolata atlantica Italia-Brasile (1930-1931), in D. Serapiglia (a cura di), Tempo libero, cit., p. 152.
  19. Ara, In margine: gerarchia e sport, in “Dottrina fascista”, a. II, n. 9 (luglio 1938), p. 434.
  20. La parola di Mussolini alle camicie nere, in “Corriere della Sera”, 29 ottobre 1934. Riportato inoltre in E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 187-88.
  21. Cfr. Renato Ricci, I giovani nello stato fascista, in “Gerarchia”, n. 12 (1928), pp. 954-59.
  22. Ivi, p. 959.
  23. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., p. 43.
  24. Cfr. Nicola Tranfaglia, La stampa del regime 1932-1943. Le veline del Minculpop per orientare l’informazione, Milano, Bompiani, 2005, p. 136.
  25. Il primo sportivo d’Italia per la Predappio-Roma. Il Duce si compiace onorare con cospicui premi personali la gara che unisce la sua terra natale a Roma Eterna, in “Il Littoriale”, 12-13 settembre 1931. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 43-44, 146.
  26. Roberto Cantalupo, La classe dirigente e il suo duce, in “Gerarchia”, n. 1 (1926), p. 9.
  27. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., p. 159.
  28. Cfr. Gabriele Turi, Lo Stato educatore: politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, GLF Editori Laterza, 2002, p. 121.
  29. Antonio Bruers, L’idea imperiale in Italia, in “Gerarchia”, n. 8 (1926), p. 51
  30. Balbino Giuliano, Le ragioni storiche del fascismo, in “Gerarchia”, n. 6 (1925), p. 373.
  31. Cfr. Benito Mussolini, La dottrina del fascismo in Edoardo e Duilio Susmel (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, vol. XXXIV, Firenze, La Fenice, 1956; G. Turi, Lo Stato educatore, cit., p. 121.
  32. Giovanni Selvi, Le basi naturali della dottrina fascista, in “Gerarchia”, n. 4 (1926), pp. 235-36.
  33. E. Gentile, Il culto del littorio, cit., p. 180.
  34. Ivi, pp. 180-84.
  35. G. Turi, Lo Stato educatore, cit., p. 121.
  36. Lutz Klinkhammer, Patrick Bernhard, L’uomo nuovo del fascismo. Tra progetto e azione, in L. Klinkhammer, P. Bernhard (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo. La costruzione di un progetto totalitario, Roma, Viella, 2017, p. 13.
  37. Paul Corner, Italia fascista. Politica e opinione popolare sotto la dittatura, Roma, Carocci, 2015, p. 33.
  38. Per tutti questi aspetti cfr. Loreto Di Nucci, Il fascismo e il problema storico della costruzione dell’«uomo nuovo», in L. Klinkhammer, P. Bernhard (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo, cit., pp. 29-46.
  39. Cfr. L. Klinkhammer, P. Bernhard, L’uomo nuovo del fascismo, cit., pp. 13-14.
  40. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 31, 72.
  41. Patrizia Dogliani, Educazione fisica, sport nella costruzione dell’«uomo nuovo», in L. Klinkhammer, P. Bernhard (a cura di), L’uomo nuovo del fascismo, cit., p. 143.
  42. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 138-39, 153-54.
  43. Luca Lo Bianco, Ferretti, Lando, Dizionario biografico degli italiani, vol. XLVII (1997), visto il 9 giugno 2021.
  44. Lando Ferretti, Il metodo sportivo nell’educazione fascista, in “Gerarchia”, n. 4 (1928), p. 307.
  45. L. La Rovere, Storia dei Guf, cit., p. 210.
  46. Daniele Marchesini, La scuola dei gerarchi. Mistica fascista: storia, problemi, istituzioni, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 16.
  47. Acs, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, N. Giani 509017, fasc. Smf, Varia. Il documento è stato ripubblicato in D. Marchesini, La scuola dei gerarchi, cit., pp. 151-52.
  48. Consegna alla Scuola di mistica fascista Sandro Italico Mussolini in Acs, Segret. part. duce, Cart. ord., N. Giani 509017, fasc. Smf, Varia.
  49. D. Marchesini, La scuola dei gerarchi, cit., pp. 95, 123.
  50. Gastone Silvano Spinetti, Mistica Fascista, in “Il Resto del Carlino”, 19 febbraio 1940, p. 1.
  51. E. Gentile, Il culto del littorio, cit., p. 186.
  52. Cfr. D. Marchesini, p. 169.
  53. Niccolò Giani, Perché siamo dei mistici, in “Dottrina fascista”, a. IV, n. gennaio-marzo 1940, p. 659.
  54. Si veda: ACS, Ministero della Cultura popolare, busta 84, fasc. 1, SMF, Resoconto dell’attività svolta nell’anno XVIII (1939-1940), Foglio d’ordini del Pnf n. 1445.
  55. Biblioteca Civica di Varese (a cura di), Il fondo di Mistica fascista, San Vittore Olona, La Tipotecnica, 1984, p. 1.
  56. Attività della Scuola di Mistica Fascista nell’anno XVIII, in “Dottrina Fascista”, n. speciale ottobre-novembre-dicembre-gennaio (1940-1941), pp. 95-105; 240-41.
  57. «Incaricata della redazione delle bibliografie orientative, diffuse attraverso apposite circolari, era la Scuola di mistica fascista, vale a dire il centro di studi giovanile che meglio rappresentava una concezione militante e ortodossa della dottrina fascista». L. La Rovere, Storia dei Guf, cit., pp. 270-71.
  58. Cfr. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 145-49.
  59. Cfr. L. La Rovere, Storia dei guf, cit., p. 209.
  60. Ruth Ben-Ghiat, La cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2004 [1^ ed. 2000], p. 46. Cfr. L. La Rovere, Storia dei guf, cit., pp. 209-10.
  61. Spirito dei Littoriali, in “Dottrina Fascista”, n. 5 (1938), p. 263.
  62. N. Giani, La mistica del fascismo, in “Dottrina fascista”, a. II, n. 6 (aprile 1938), p. 301.
  63. Ibidem.
  64. Elisa Signori, L’Università in uniforme. Momenti e aspetti di vita universitaria a Pavia tra regime e guerra mondiale, in “Storia in Lombardia”, n. 1-2 (1993), pp. 215-16.
  65. Lo sport inquadrato nella vita nazionale, in “Il Ginnasta”, a. XXXIX, n. 4, 28 febbraio 1927. L’estratto è disponibile su E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 82-83.
  66. L. La Rovere, Storia dei guf, cit., p. 210.
  67. Simona Urso, Margherita Sarfatti: dal mito del dux al mito americano, Venezia, Marsilio, 2003, p. 121.
  68. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., p. 17.
  69. Cfr. Giorgio Pini, Il Covo di via Paolo da Cannobio. 15 novembre 1914 – 15 novembre 1920, Milano, Edizioni Scuola di mistica fascista (Smf), 1940; E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 27-30.
  70. Paolo Nello, La violenza fascista ovvero dello squadrismo nazionalrivoluzionario, in “Storia contemporanea”, n. 6 (1982), p. 1011.
  71. Cfr. Giacomo Lumbroso, La genesi e i fini del Fascismo, in “Gerarchia”, n. 10 (1922), p. 590.
  72. Albertina Vittoria, Le riviste di regime: “Gerarchia”, “Civiltà fascista”, “Critica fascista”, in “Studi romani”, n. 3 (1980), p. 319.
  73. Fernando Mezzasoma, Introduzione al primo convegno nazionale della Scuola di mistica fascista, Milano, Smf, 1940, pp. 3-8.
  74. «Depuis le discours de Mussolini à Milan, le premièr novembre 1936, on sait que la fin de la guerre d’Ethiopie ne ramène pas de véritable paix et que le régime lui préfère la “paix armée”». M. Ostenc, La jeunesse italienne et le fascisme, cit., p. 48.
  75. E. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 192-93; 213-14.
  76. Ivi, p. 214 sgg.
  77. L. La Rovere, Storia dei guf, cit., p. 210.

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