Bibliomanie

Nicola Bonazzi, Casa del Popolo, Parma, MUP 2022
di , numero 55, giugno 2023, Letture e Recensioni, DOI

Nicola Bonazzi, <em>Casa del Popolo</em>, Parma, MUP 2022
Come citare questo articolo:
Magda Indiveri, Nicola Bonazzi, Casa del Popolo, Parma, MUP 2022, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 55, no. 25, giugno 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.10444

In principio era una indagine: raccogliere dati su “come” e “perché” sono nate le Case del Popolo in Emilia Romagna. Il materiale ottenuto, attraverso interviste effettuate nei centri ricreativi della regione, si è dimostrato subito ricco e interessante, tanto che Nicola Bonazzi, regista e drammaturgo del Teatro dell’Argine di San Lazzaro di Savena, ne ha tratto un testo teatrale che è stato messo in scena varie volte. Ma un’altra lavorazione era necessaria, un respiro più ampio e al tempo stesso l’opportunità che i dati diventassero una storia o meglio ancora un’allegoria. Dunque la stesura romanzesca.
Indagine, testo teatrale, infine romanzo che per le sue caratteristiche ha ottenuto il premio Malerba 2021 con la pubblicazione in MUP.
Il romanzo si apre con la verbalizzazione dell’assemblea costituente di una Casa del Popolo di un anonimo paese padano, il 19 gennaio 1919; il verbalizzante è Fredo Cattabriga detto Salame. La Casa del Popolo viene istituita per i bisogni del popolo: mescita di bevande, Teatro del Popolo, Biblioteca del Popolo, Scuola del Popolo. Insomma, un “simbolo della nostra volontà di azione e del progresso sociale” come dichiarava il sindaco Peppone di Guareschi1. Ecco come l’annuncia il presidente Garuti:

«Riprende la parola il presidente «Mai data fu più propizia alla costruzione di una Casa del Popolo. Traverso avamposti piazzati lungo la dorsale appenninica… » Delmo è un po’ inquieto «Non si capisce un’ostia!» dice. […] «Mi è insomma giunta voce, grazie ad amici lontani» riprende calmo il presidente, «che dall’altra parte dell’Italia, precisamente a Livorno, ha preso ieri forma un nuovo partito. Chiamasi Partito Comunista e porta nel nome l’ideale comunitario che guida il socialismo.»

La costruzione vera e propria della Casa va avanti fino al 15 ottobre 1922, quando leggiamo il secondo verbale, e il 29 viene organizzata una grande Veglia Danzante. Dopodiché emerge la necessità di avere il ritratto di «Carlo Marcs», anche se la prima reazione è «Mo’ chi è?»

«Garuti comincia a spiegare la fisionomia del Marx, con una grande faccia rivoluzionaria, un sacco di capelli rivoluzionari sulla testa e una gran barba rivoluzionaria a incorniciargli il volto.»

Viene creato un modello con mastice, bambagia e saggina gialla e il pittore di paese completa il ritratto.
Sono diciotto i verbali riportati (o forse «più di centomila… ») e si susseguono per cento anni, fino al 22 gennaio 2021, quando la crisi avanza e si delibera finalmente di uscire a raccogliere informazioni sui bisogni del popolo… La porta da cento anni è sigillata, ma Clelia Mingozzi detta la Pigna riesce ad aprirla. Senonchè il fuori è un mondo di nebbia «tutto bianco, opaco, come una specie di sogno lattiginoso…»
Si sarà intuito che non siamo di fronte a un romanzo storico, perché il tempo è inchiodato su un eterno continuum; gli stessi personaggi e gli stessi luoghi si accampano nei cento anni, raccontati dai verbali che si avvicendano e registrano le mutazioni della storia, ma al tempo stesso sono inamovibili come i personaggi: oltre a Fredo verbalizzante, il presidente Cesare Garuti, medico condotto dal retorico eloquio, Liberata Mazzetti detta la Sboldrona, la donna più desiderata del paese, Etilico e la moglie Speranzosa, Delmo il matto del villaggio, Isolina la guaritora, Ondina, la Pigna ecc. Individui diversissimi, tipi, che si fanno, o perlomeno fortemente tendono a farsi, comunità.
Così si crea una vertigine tra eventi storici documentati come le retate fasciste, la fine della seconda guerra mondiale, la diffusione della televisione, il «bùm» economico, lo sbarco sulla luna, le occupazioni studentesche, l’attentato alle Torri Gemelle, la pandemia… e il microcosmo padano, le chiacchiere, i dissapori, le emozioni, i dolori. La Casa del Popolo sta come un monumento, e infatti si entra e se ne esce solo dalle finestre o dal lucernaio, perché la porta è, o pare, bloccata: un “dentro” che esce e si affaccia sul mondo solo attraverso il genere narrativo del verbale.
Il gioco del contrasto si attua anche nella forma: Carlo Varotti l’ha ben individuato:

«È quella del libro una lingua dai tratti compositi. Il verbalizzante nelle brevi parti narrative produce continui effetti comici con l’accostamento incongruo di termini popolareschi ed espressioni burocratiche o vagamente ricercate […] Ma prevalgono i discorsi diretti, con una vivacità imprevedibile nel lessico e nella sintassi. »2

Da più parti per questo romanzo si è ricorso al concetto di scrittura straniata, stralunata, secondo la tradizione padana degli “allegri disperati” Gianni Celati, Daniele Benati, Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Paolo Nori. Una tradizione alla quale si ascrive senz’altro anche Luigi Malerba, da cui la motivazione del premio espressa dalla moglie Anna.

«Alcuni argomenti, diceva Malerba, quelli riguardanti i sentimenti e soprattutto il dolore, per poterne scrivere e perché possano essere accolti e assimilati occorre presentarli attraverso il filtro dell’ironia, del paradosso, del comico.»3

E lo straniamento si attua anche nell’uso che Nicola Bonazzi fa di registri diversificati: non solo il grottesco o il comico, ma anche il poetico, il lirico, in una commistione di alto e basso. La verbalizzazione è infatti affiancata da altri tipi di narrazione: gli intermezzi, i corsivi. Sono sette interruzioni nel flusso inarrestabile dei verbali, pause della storia, scene di esterno; due sono il racconto diretto di due ragazzi, uno ucciso vigliaccamente dai fascisti e l’altro che ha conquistato la scrittura grazie alla scuola del Popolo. Uno è il dialogo tra Etilico e Speranzosa che rubano mattoni per costruire la Casa. Due sono Atti unici, dialoghi tra un padre e un figlio, tra il passato e il futuro, un botta e risposta su diverse visioni e diversi modi di agire. Due sono Canti: il “Canto dell’andare” sta nella prima parte, come un invito a procedere, a seguire l’orizzonte. E in fondo sta il “Canto del nuovo populista”, una specie di approdo, dopo cento anni, del concetto di popolo che tanto è stato evocato nei verbali. Mantiene il corsivo anche l’ultimo capitolo, intitolato “Fuori”, che racconta in presa diretta l’uscita dalla Casa di Salame, Garuti e la Pigna, il loro avanzare a tentoni nella nebbia, fino a sperdersi; e qualche anno dopo, l’incontro, finalmente, tra una donna del paese e il Popolo, «un signore anziano, ma elegante, alto, distinto…. Un bell’uomo.» È qui che l’intero romanzo trascolora nell’allegoria. È qui che ricompare l’orizzonte e l’attesa che «prima o poi, spunterà qualcosa.»
Pur essendo stato scritto molto prima dell’uscita del film, non si può non confrontare il romanzo di Bonazzi a Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Simili il tema, le atmosfere, la resa fiabesca coi personaggi squinternati (o felliniani), i simboli, la malinconia. Se l’orizzonte «è fatto per continuare a camminare», come l’utopia nella definizione dello scrittore Galeano, l’attesa fiduciosa del sole in Casa del Popolo o la parata finale del film ne sono le efficaci figure.

Note

  1. G. Guareschi, Mondo Piccolo. “Don Camillo”, Rizzoli, Milano, I ed. marzo 1948.
  2. C. Varotti, “Casa del popolo. Il mondo buffo di Bonazzi”, Gazzetta di Parma 29 gennaio 2023.
  3. A. Malerba, “ Introduzione” a N. Bonazzi, Casa del popolo, Parma, Mup, 2022.

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