Della felicità bambina
Magda Indiveri, Della felicità bambina, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 55, no. 10, giugno 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.10620
All’uscita dalla scuola materna:
EDO (4 anni) “Sai che oggi ho piangiuto?”
NONNA “E perché hai pianto?”
EDO “Non lo so. Andiamo a giocare con i Gormiti? Evvai!”
«Felici i felici» scriveva Borges.1 E quale immagine più stereotipata e ingombrante si accampa nella nostra retina di quella di un bambino felice per definizione? Felice (secondo noi adulti) perché ignaro del futuro, accudito e curato, senza responsabilità…. Naturalmente, parliamo del bambino del nostro mondo industrializzato e consumista, della società del benessere; ma anche di quello dell’iconografia mariana, o il piccolo Buddha, il puer aeternus. Quel bambino ci appare pienamente felice, nel gioco, nel riposo, nella sua crescita armonica. Con il sospetto che quella felicità sia proprio lei, la stessa, che si ripresenterà nella vita adulta, come un ricordo, un ritorno, in un fuggevole momento. «Felicità raggiunta, si cammina / per te su fil di lama» scriveva Montale.2
Ma anche la felicità bambina ha uno statuto di precarietà e di sospensione. Sospeso è lo status di bambino, impegnato in uno sviluppo futuro, incompiuto. «Un bambino non è un bambino per sempre».3 Portatore della metamorfosi, può dire di se stesso io scorro e io sono.4 È fuori dal tempo, o piuttosto re del tempo, che per Eraclito è l’emblema di un «bambino che gioca».5
Si tratta del tempo per eccellenza della fiaba,6 che senza vincoli corre o rallenta come vuole, va e torna tessendo un protettivo guscio di noce. Anche la fiaba più fosca, Cappuccetto divorata, Hansel e Gretel in gabbia, conclude con un pensiero felice. Il bambino sembra nutrirsi della stessa impermanenza che Alessandra Sarchi trova nelle fotografie di Luigi Ghirri,7 non a caso macchine di incantamento. Per noi adulti, il bambino immerso nel gioco, nel disegno o nella lettura degli albi illustrati, padrone del pensiero magico che trasforma ogni cosa per contiguità o per assimilazione, è felice. Applica la sua preziosa capacità di attenzione e di concentrazione, non guarda semplicemente, ma letteralmente fotografa, aperto allo stupore, e fa di ogni immagine un oggetto vivente, una figura. Ha necessità dell’invisibile, e lo crea. «Let us find another picture to cut out»8 dice Mrs Ramsay al piccolo James che attende e teme di non fare la desiderata gita al faro. E in questo modo lo consola.
È illuminante il racconto/ricordo di Walter Benjamin in Infanzia berlinese, quando analizza la felicità, apparentemente incongrua, del frugare nel cassetto dell’armadio:
Dovevo farmi strada nell’angolo più riposto; allora incontravo i miei calzini, che se ne stavano l’uno accanto all’altro, arrotolati e rincalzati come si usava un tempo. Ogni paio aveva le sembianze di una piccola borsa. Nessun piacere era più grande dell’immergere la mano quanto più a fondo possibile nel suo interno. […] Lo tiravo sempre più verso di me, sino a quando lo sconcerto era al colmo: avevo estratto “il regalo”, ma “la borsa” in cui era stato custodito non c’era più. Ripetevo di continuo la dimostrazione di questo avvenimento. Mi insegnò che forma e contenuto, custodia e custodito sono la stessa cosa.9
In questo quadretto stanno tutti i componenti della felicità bambina: la curiosità, il senso del proibito, la sospensione, il segreto, la scoperta, il mistero, la ripetizione, il rovesciamento. Nel suo racconto Benjamin ci tiene sospesi su di un abisso che pare inaudito e poi diventa normalità: un salto di cornice che i bambini amano fare nei giochi e nel linguaggio.
In una piccola rassegna di tipi di bambino (goloso, lettore, disordinato, nascosto…) presente nel libretto di aforismi Strada a senso unico, Benjamin – da cui davvero non si può prescindere per parlare di infanzia – dice del bambino che «gli succede come nei sogni, non conosce niente di duraturo; le cose gli succedono, crede lui, gli capitano, gli si presentano»; «il suo respiro è dentro l’aria degli eventi».10 Conferma lo statuto infantile di volatilità, di impermanenza, fattore che in qualche modo favorisce l’esperienza della felicità. Formula infine un aforisma strepitoso: «essere felici vuol dire potersi accorgere di se stessi senza spavento».11 Applicato ai bambini, cui avviene più agilmente che agli adulti, significa forse che la felicità del gioco o della lettura è un momento di unione degli estremi, essere assorti e distratti, consapevoli di sé e partecipi dell’alterità, dentro e fuori, sapendo tenere insieme coscienza e immaginazione. Ancora Benjamin nei Passages:
«Compito dell’infanzia: inserire il nuovo mondo nello spazio simbolico. Al bambino è infatti possibile qualcosa di cui l’adulto è del tutto incapace: ricordare il nuovo.»12
È questo tempo a ritroso dunque, il nuovo percepito come antico, come già visto, come portatore di una storia, che può produrre felicità. Un privilegio concesso anche ai collezionisti: «Felicità del collezionista, felicità del solitario: tête a tête con le cose. La beatitudine che impregna i nostri ricordi non sta forse nel fatto che siamo soli con le cose, le quali, in silenzio, si riordinano intorno a noi […]?»13 Il bambino ha questi felici momenti di totale assorbimento negli oggetti, di cui compone lunghe file, o che tratta come cose preziose (il sassolino raccolto, la perlina trovata…), a volte anche esercitando il diritto all’esagerazione, all’eccedenza.
«Infatti non sono tanto le cose a farsi incontro… ma è piuttosto il bambino stesso che – guardando – penetra in esse come nube.»14
Pedagogisti ed insegnanti illuminati hanno compreso questo meccanismo e l’hanno applicato a quella «grande avventura dell’apprendere»15 che è imparare il linguaggio prima, e la lettura e la scrittura poi. Qui dobbiamo far entrare in scena un’altra autrice tedesca, (recensita per i suoi Sillabari, libri “interattivi” ante litteram, ancora dal benemerito Benjamin), che ha una storia molto interessante. Si tratta della scrittrice e illustratrice Tom Seidmann Freud. Se abbiamo ancora la capacità infantile di entrare nelle parole, avremo notato che il nome è maschile, e il cognome rimanda al padre della psicoanalisi Sigmund Freud, proprio quello che analizzando le fobie del piccolo Hans, parlò del bambino come di un “perverso polimorfo”. Marta (1892/1930, vita breve e dolorosa) era la figlia di una sorella di Freud.16 Con lo pseudonimo di Tom scrisse e illustrò libri bellissimi; l’unico tradotto in italiano, da Topipittori, è Il viaggio sul pesce,17 pubblicato a Berlino nel 1923.
Si tratta di un sogno (c’era da aspettarselo!) del piccolo Peregrin che, deluso dal mondo reale, viene portato da un grosso pesce rosso in un paese perfetto, abitato da bambini, dove regna l’armonia. Una vera terra della felicità,
«Ciascuno fa ciò che lo rende felice»; «I bambini partecipano a tutto»; «Qui il mio cuore è leggero: liberati da cose inutili, viviamo nella bontà e nell’aiuto reciproco, felici e senza pena»
in cui Peregrin vuole gioiosamente restare, se non fosse per la frase finale, che produce quel salto, quell’eccedenza sempre presente nelle emozioni infantili: «Ma tutto questo Peregrin l’ha sognato. Non è ancora proprio tutto vero.»
Benjamin dirà proprio a proposito dell’opera della Seidmann-Freud qualcosa che ci connette al senso profondo della lettura intesa come gioco:
«Così come ha detto Goethe, – se non erro – di Lichtenberg, che dove faceva una battuta era nascosto un problema, si può affermare del gioco infantile: dove i bambini giocano è sepolto un segreto».18
Quel segreto non manca mai negli albi illustrati di Beatrice Alemagna. Della sua intera produzione è stata realizzata recentemente una mostra, Le cose preziose. L’ostinata ricerca di Beatrice Alemagna, tenutasi a Bologna nell’ambito della Children Book Fair, e l’associazione Hamelin ne ha curato una sorta di ricco catalogo, Alfabeto Alemagna.19 Sotto al gioco delle voci da dizionario, si ritrovano gli elementi caratterizzanti dell’autrice (quasi sempre sia di testi che di immagini). Cominciamo dalla materialità del tratto, dei colori, delle diverse tipologie di carta usata; la commistione umano/animale; la funzione Gulliver del ribaltamento di scala tra piccolo e grande, l’uso del bricolage che fa assurgere a “divino” un insieme di scarti, scampoli, ciarpame; le collezioni; la “poetica dei cosi” (definizione di Giovanna Zoboli) che rende assolutamente incerta e ambigua l’identità dei personaggi. Tutti questi elementi sono fonte di interesse e di felicità per i bambini che hanno la ventura di “entrare” dentro ad un albo illustrato di Beatrice, perché ne riproducono la realtà del pensiero. L’Alemagna li rappresenta sempre come “altri”, esseri alieni agli adulti, provvisti di una logica speciale, trasparente o abissale, di un “colmo dono”, come diceva Cristina Campo, di attenzione dalla terra al cielo, dalla stasi al convulso movimento: la felicità degli opposti. Dichiara in una intervista su Espoarte:20
«L’infanzia per me è camminare nel buio della propria esistenza avendo le idee piene di luce. È tentare di misurare continuamente il proprio essere, credersi immortali, scavare dentro ogni istante e desiderare tutto.»
L’esperienza della lettura degli albi – particolarmente ricca e multiforme perché comprende sia l’ aspetto del testo (nella voce di chi lo legge, nella memoria acutissima dei primi anni di età, nel piacere tattile dello sfogliare le pagine) sia quello delle immagini, (quindi nella visione immersiva) – è la stessa del meccanismo di produzione del gioco: dalla scoperta, a volte dalla selvaggia intuizione iniziale, i bambini procedono alla ricerca di regole e alla loro concentrata applicazione e ripetizione: il “teatro” del pensiero si costruisce davanti a loro, sul tappeto o nel prato così come tra le pagine, e la conoscenza che ne deriva è motore di una felicità speciale, tessuta di un segreto che appare e si nasconde continuamente.
«La bocca d’oro del segreto» scrive Giovanna Zoboli nella sua raccolta di poesie Bambini.21 Anche lei, scrittrice e creatrice di un gioco favoloso, l’impresa della casa editrice Topipittori, sa entrare nei meccanismi più nascosti del pensiero infantile e ne porta in superficie le antitesi. «[…] brilla remota la grazia nell’occhio/ nero dell’infanzia» scrive in un’altra poesia, e non potrebbe meglio fotografare quel periodo della vita; così come sa esattamente definire «[…] la felicità/ del tempo senza ore,/la faccia chiara delle cose/eternamente grate/eternamente sole.»
Anche attraverso il suo bel libro di ricordi Fuori da noi22 capiamo che lei, come Beatrice Alemagna, è riuscita a rimanere in contatto con la propria infanzia; che, pur maturando, ha lasciato porte socchiuse e pareti porose per permettere a se stessa, e ai bambini cui si rivolge, l’esperienza felice del riconoscimento. Ha fatto sua una battaglia sacrosanta: far accedere i bambini alla bellezza, all’ «esperienza estetica come generatrice di senso, pratica di significazione a partire dal nesso inestricabile tra forma e contenuto.»23 Così è intervenuta un anno fa sulla rivista Doppiozero, ribadendo che
«una delle esperienze più importanti che si possano fare durante la crescita, quella dell’esperienza estetica […] ha anche forti valenze etiche e politiche, a partire dalle caratteristiche di eccedenza, gratuità e alterità.»
In un altro intervento più recente, uscito sulla rivista Educazione aperta, lamenta che
«[…] la società adulta non contempli non solo il riconoscimento dell’alterità dell’infanzia, ma soprattutto la sua vicinanza come occasione unica di conoscenza per avvicinare la materia più sensibile, delicata e vitale dell’umano, la sua manifestazione più diretta, profonda e autentica.»24
Ne deriva il dovere di offrire albi illustrati che stimolino la loro «capacità filosofica, cognitiva e immaginativa», che non coltivino l’ovvio e la normalizzazione, ma anzi portino a compimento l’evoluzione originale del pensiero infantile. Far trovare in un albo le emozioni che si stanno provando, con le parole e le immagini per significarle, è una grande compito civile per quelle “persone piccole” che saranno adulti e anche un passo importante verso la comprensione della bellezza, e quindi la percezione della felicità.
Bambini e artisti sono sempre stati alleati, condividono un certo modo di stare al mondo, di percepire se stessi e l’altro, di inventare il nuovo dall’antico. Anche il giocare con le parole, avvolgersene come in vere e proprie nuvole, (è sempre Benjamin a dirlo) è una passione comune, se diamo al vocabolo “giocare” la valenza che merita.
Ancora una poesia dalla raccolta Bambini:
«Il bianco della pagina/insegna alla bambina/il formicaio delle parole/lo sporgere del rigo/sull’abisso dei significati/la luce chiara del senso, del sentire/le dice so di te da molto prima che nascessi/le dice benvenuta.»
Senza scomodare Giovanni Pascoli, ma restando nella sua scia, il connubio infanzia/poesia è ben spiegato da Giuliano Scabia: «Lei (la poesia) è il bambino che vede per la prima volta e cerca di scolpire nel suono l’immagine delle cose che sente e vede disegnandole con la voce.»25 Nel bambino il gusto gioioso delle parole nuove o delle parole inventate, la felicità delle filastrocche ritmate, è proprio il segno di questa corporeità del linguaggio che poi solo i poeti mantengono. Tornano alla mente le parole di un orgoglioso allievo di Scabia, ovvero il poeta Bruno Tognolini, che nella presentazione del progetto (raccolta audio) di poesia orale–ludica–puerile–autentica (l’acronimo P.O.L.P.A.) da lui curato per la biblioteca Sala Borsa – Ragazzi di Bologna, lo richiama:
«Il mio maestro al DAMS, Giuliano Scabia, poeta grande e teatrante generoso, scriveva che tutti i poeti del mondo e di sempre stanno su un albero immenso, seduti sui rami, e i loro versi fanno un mormorio: il mormorio umano del mondo, l’ho chiamato io.»26
Forse è in questo punto di congiunzione, quando noi insegnanti spieghiamo il funzionamento di una poesia, la sua retorica, che possiamo anche far comprendere l’effetto prodotto, la felicità bambina del verso, e sicuramente quell’effetto è amplificato se il testo poetico viene frequentato già da piccoli.
E poi c’è appunto la valenza filosofica e profonda del pensiero infantile. Vito Bonito, che si è sempre interessato di questo aspetto, anche lui sulla scia di Pascoli, ultimamente ha dato alla sua produzione poetica una forte accelerazione anche sul versante linguistico. Nel recente volumetto Lo zecchino d’auro, la commistione tra deformazione linguistica, gioco, e riflessione su se stessi bambini porta a nuovi risultati e apre, nel lettore adulto, al riconoscimento della qualità infantile del pensiero, nel pieno rispetto della regola benjaminiana della presenza del segreto.
«l’angelo custodia/ ogni tando mi fa uscire/ dallo zecchino d’auro/ a che io ritrovi me stesso// l’angelo custodia si apre/ e io esco»
«da piccolo io/ volevo non essere io/ ma tu// a tu faceva paura/ che io volevo/ essere tu// tu non voleva essere io/ perché si dà del tu/ a idio/ e io non volevo// (o non volevo io?)»27
La felicità bambina è fragile e preziosa ed è un’anticipazione di quel che forse proveremo poi. Se ne può parlare all’infinito, ma non la si contiene. E’ importante che gli adulti la notino, la coltivino nei bambini intorno a loro. Bambini che in fin dei conti, in quanto maestri del segreto, sanno bene come abitarla, ma anche come non svelarla. Allora lasciamo l’ultima parola a Beatrice Alemagna, giustamente festeggiata quest’anno, che solo alla fine di un albo dal formato enorme, forse adatto ad essere sfogliato a quattro mani, con disegni a tutta pagina dalle linee morbide e colori pastello, e frasi brevi, quasi dei versi, osa nominarla:
«Questa piccola cosa invisibile, eppure gigantesca, che un giorno qualcuno ha chiamato felicità.»28
Note
- Jorge Louis Borges, “Frammenti di un vangelo apocrifo”, in Elogio dell’ombra, Torino, Einaudi, 2007.
- Eugenio Montale, “Felicità raggiunta…”, in Ossi di seppia, Milano, Mondadori, 2016.
- Beatrice Alemagna, Che cos’è un bambino?, Milano, Topipittori, 2021.
- Rainer Maria Rilke, I sonetti ad Orfeo, II, XXIX, Milano, Feltrinelli, 2016.
- Eraclito, Frammenti, Milano, Rizzoli, 2013 (frammento 52).
- Essenziali su questo tema i due saggi “Il flauto e il tappeto” e “Sulla fiaba” di Cristina Campo, in Gli imperdonabili, Milano, Adelphi 1987.
- Alessandra Sarchi, “Luigi Ghirri o dell’impermanenza”, Corriere della Sera, 11 giugno 2021.
- Virginia Woolf, To the lighthouse, Penguin Books 2019; Al faro, trad. it. di Nadia Fusini, Milano, Feltrinelli, 1993.
- Walter Benjamin, “Il calzino”, in Infanzia berlinese intorno al millenovecento, Torino, Einaudi, 2001; altri brani da questo libro qui.
- W. Beniamin, “Ingrandimenti”, Strada a senso unico, Torino, Einaudi, 2006 pag.33.
- W. Benjamin, “Accessori”, Strada a senso unico, Torino, Einaudi, 2006 pag.34-36.
- W. Benjamin, I Passages di Parigi, Torino, Einaudi 2000, vol.II, pag 935.
- Ivi, pag 949.
- W. Benjamin, Orbis Pictus. Scritti sulla letteratura infantile, Macerata, Giometti&Antonello, 2020, pag 27.
- Sono le parole di Tom Seidmann Freud riportate da Benjamin, ivi, pag 53.
- Informazioni utili su questa autrice si possono rintracciare nell’articolo a lei dedicato sulla rivista Il Covile e anche su Antinomie.
- Tom Seidmann Freud, Il viaggio sul pesce, Milano, Topipittori, 2017.
- W. Benjamin, Orbis Pictus, cit., pag. 45.
- Hamelin ( a cura di) Alfabeto Alemagna, Milano, Topipittori, 2023.
- Alessio Cotena, “La ricerca narrativa instancabile di Beatrice Alemagna – intervista“, Espoarte.net, 19 aprile 2023.
- Giovanna Zoboli, I bambini, Latiano, InternoPoesia, 2022
- G. Zoboli, Fuori da noi (Cose, piante, città), Nuova Editrice Berti, 2019.
- G. Zoboli, “Imparare a leggere i libri per bambini/L’infanzia è un’occasione filosofica”, Doppiozero, 26 feb 2022.
- G. Zoboli “L’ospite sgradita”, Educazione aperta, 15 feb 2023.
- Giuliano Scabia, Il poeta albero, Torino, Einaudi, 1995, pp. 3-4.
- Bruno Tognolini, “Etica peletica pelem-plem-pletica ed estetica poetica puerile”, in P.O.L.P.A., Proposte di lettura n. 16, Biblioteca Sala Borsa ragazzi, 2022.
- Vito M. Bonito. Lo zecchino d’auro , Pavia, Blonk editore, 2023.
- B. Alemagna, La gigantesca piccola cosa, Roma, Donzelli, 2011.
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