Bibliomanie

L’Indipendente. Storia di un giornale e del suo direttore
di , numero 56, dicembre 2023, Saggi e Studi, DOI

L’Indipendente. Storia di un giornale e del suo direttore
Come citare questo articolo:
Jacopo Quagliani, L’Indipendente. Storia di un giornale e del suo direttore, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 56, no. 2, dicembre 2023, doi:10.48276/issn.2280-8833.11037

Il giornalismo popolare ha da sempre posizioni minoritarie in Italia rispetto alle più diffuse tipologie di stampa universale e d’opinione. In generale, i Paesi dell’Europa meridionale si sono storicamente connotati per una bassa percentuale di lettori di quotidiani e per uno scarso radicamento della stampa popolare1. Questa peculiare forma di giornalismo, infatti, inizia a propagarsi soltanto dagli anni Novanta, mentre un dibattito scientifico sul tema si sviluppa dagli anni Duemila2, fino a quel momento ignorato perché considerato di bassa qualità3.
Uno dei grandi esclusi dalla ricerca storica sul giornalismo è “L’Indipendente”. Questo giornale è da considerarsi a tutti gli effetti un appartenente alla categoria dei popular papers essendo, da una parte, un erede della tradizione della stampa popolare italiana, e, dall’altra, un suo grande innovatore. Il più importante protagonista della storia di questo giornale è il direttore editoriale Vittorio Feltri che, tra il 1992 e il 1994, porta le vendite delle copie del quotidiano dalle neanche ventimila iniziali a più di centotrentamila. Il contesto storico nel quale “L’Indipendente” vive il periodo di maggior gloria è una delle chiavi per capire il suo successo. Infatti, proprio tra il 1992 e il 1994 si svolge in Italia quell’evento traumatico della storia repubblicana noto come Tangentopoli, origine di una vera e propria crisi di sistema, di natura politica, economica e sociale4. L’indagine Mani Pulite contro la corruzione politica italiana ha rappresentato non solo un enorme caso giudiziario, ma anche uno spettacolare evento mediatico, durante il quale attori di primo piano sono i media, principali intermediari tra l’operato delle magistrature italiane e l’opinione pubblica5. Sono i giornali e le televisioni che danno supporto ad Antonio Di Pietro e colleghi, permettendo all’inchiesta di andare avanti e di travolgere tutto. Feltri insieme al suo giornale intuisce, molto prima di tanti suoi più autorevoli colleghi, lo spirito del tempo e lo indirizza verso le proprie finalità editoriali e politiche attraverso la sua linea giornalistica, ottenendo un trionfo personale.
La presenza di un giornale popolare che si muove in un ambito storico in cui sembra essere in corso una «rivoluzione popolare»6 ha suscitato l’interesse di chi scrive a cercare di capire come e con quali strumenti comunicativi “L’Indipendente” e Vittorio Feltri abbiano affrontato Tangentopoli, cercando di colmare la grave lacuna storiografica inerente al giornale milanese7. Per questo motivo sono stati visionati tutti i numeri del quotidiano dal 15 febbraio 1992 al 20 gennaio 1994, coincidenti con il periodo di direzione Feltri e le fasi più salienti di Tangentopoli. Un lavoro di lettura a cui è seguito un successivo periodo di selezione ed analisi degli articoli di cronaca e d’opinione riguardanti il tema delle inchieste giudiziarie e della dissoluzione del sistema politico della Prima Repubblica. Questo saggio breve cerca di mettere in mostra soltanto la figura Vittorio Feltri, raccontando e analizzando la sua storia, il contributo dato al giornale e la linea editoriale adottata nel rapportarsi con gli eventi di Tangentopoli, tralasciando sia la parte di cronaca sia il lavoro svolto dai collaboratori del giornalista bergamasco. Dunque, l’elaborato fornirà un’analisi parziale, per quanto significativa, de “L’Indipendente” che meriterebbe ulteriori approfondimenti.

1. Il profilo di un direttore
Vittorio Feltri nasce il 25 giugno 1943 a Bergamo. Perde il padre Angelo quando è ancora un bambino e la madre è costretta a passare molto tempo fuori casa per mantenere la famiglia, trascorrendo gran parte dell’infanzia in compagnia di sua zia Tina che rappresenta il primo importante punto di riferimento della sua vita8. Grazie a lei impara a leggere e a scrivere all’età di quattro anni, avvicinandosi inoltre al mondo dei giornali e incominciando a sviluppare fin da piccolo quella passione che lo accompagnerà per tutta la vita9. Deciso a non voler mai soffrire la fame in vita sua, all’età di quattordici anni inizia a mettere da parte i primi risparmi svolgendo lavoretti come fattorino, come commesso in un negozio di abbigliamento e come vetrinista, lavoro per il quale ottiene anche il diploma di perito. Incomincia a studiare da autodidatta, frequentando la biblioteca della città: qui viene avvicinato da monsignor Angelo Meli, priore della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, curioso di conoscere quel ragazzo che passava così tanto tempo da solo sui libri10. Frequenta per oltre un anno l’abitazione del prelato dove apprende nozioni di filosofia, storia, italiano, pedagogia e «tante altre specialità», decidendo, grazie a lui, di iniziare a scrivere11.
Nel frattempo, Monsignor Meli raccomanda il giovane ragazzo alla redazione del “L’Eco di Bergamo” dove avvia il suo lavoro nel 1962 scrivendo articoli di cinema e svolgendo, allo stesso tempo, altri due lavori come impiegato alla Provincia e come musicista da piano bar in un locale notturno di Lecco12. I suoi articoli cominciano ad essere notati e viene così assunto come praticante alla redazione bergamasca de “La Notte”. Qui compie quella che Feltri definisce «una enorme cazzata»: decide di licenziarsi in tronco dal suo impiego alla Provincia senza sfruttare l’aspettativa, pur essendo sposato e padre di due gemelle provenienti da un precedente matrimonio da cui era rimasto vedovo13. La scelta di dedicarsi esclusivamente alla vita giornalistica, però, si rivela un successo. Nel giro di pochi anni i suoi articoli conquistano le prime pagine e il giovane Feltri, iscrittosi all’Ordine dei giornalisti nel 1971, passa a lavorare alla redazione milanese de “La Notte”, trasferendosi nel capoluogo lombardo nel 1973 e vivendo, in prima persona, gli anni del terrorismo politico nella città meneghina. Qui conosce l’allora direttore del giornale Nino Nutrizio, suo mentore e definito dallo stesso giornalista bergamasco «l’inventore della stampa popolare in Italia»14. Una figura sulla quale vale la pena soffermarsi un attimo15.
Stefano “Nino” Nutrizio, «uomo a caldo in un mondo di pesci Findus16», nasce nel 1911 ed ha un passato di cronista sportivo su “Il Popolo d’Italia”, organo di stampa del Partito Nazionale Fascista17. Proprio a causa di questo passato, rimane impossibilitato a riprendere il suo lavoro di giornalista con la nascita della Repubblica ed intraprende l’attività di allenatore dell’Internazionale di Milano18. Rientrato nel mondo del giornalismo, nel 1952 viene chiamato ad assumere la direzione del nuovo quotidiano milanese “La Notte”19, dove lascia un segno indelebile non solo nel nuovo organo di stampa ma nella storia del giornalismo italiano. Il quotidiano si occupa principalmente di sport, ma anche di cronaca, politica, spettacolo e critica cinematografica20. «Qualunquista nello spirito e improntato ai più banali luoghi comuni»21, Nutrizio si mette in mostra per il suo stile giornalistico caratterizzato da forza polemica, vivacità e ironia che permeano tutti i suoi editoriali, anche quelli politici22. Quest’ultimi, firmati con lo pseudonimo di Sigma23, risentono del clima di Guerra fredda e non sono particolarmente originali dal punto di vista dei contenuti24, ma sono pervasi da un linguaggio che ricorda quello di un altro giornalista popolare italiano, il qualunquista Guglielmo Giannini. La grafica del giornale, caratterizzata da titoli «vistosi e sopra le righe» e da un grande utilizzo della fotografia25, è un’altra delle chiavi di successo del quotidiano pomeridiano che nel giro di pochi anni passa a vendere dalle mille copie iniziali alle duecentocinquantamila negli anni di maggior diffusione26. Il giornale gode del supporto della borghesia moderata e conservatrice27, ma allo stesso tempo, visto lo spazio dedicato allo sport, è apprezzato anche dalla classe operaia, permettendo così di sviluppare un pubblico di lettori eterogeneo ed interclassista28: caratteristica che pochi giornali del tempo potevano contare.
Feltri si trasferisce a “La Notte” proprio nel periodo in cui sta incominciando la crisi irreversibile del giornale, dovuta principalmente all’avvento della televisione29. Trascorre soltanto un anno alla redazione del quotidiano, ma è un anno fondamentale per la formazione giornalistica del giovane ragazzo bergamasco. Nel 1974, trasloca al “Corriere dell’informazione”, dove inizia a lavorare come estensore di cronaca. Nel 1975, ottiene il grande salto di carriera: entrato in possesso di alcuni documenti, pubblica un grosso scoop sul caso di Cristina Mazzanti, una ragazza rapita e morta durante il sequestro. La mossa gli vale la promozione ad inviato. Inizia, così, «la stagione dei viaggi, delle trasferte, delle partenze30». Proprio in questo periodo, Feltri abbandona le sue idee giovanili di sinistra, che lo avevano portato diciottenne ad iscriversi al Partito Socialista Italiano, e si sposta su posizioni anticomuniste. Nel 1977 passa alla redazione politica del “Corriere della Sera”, dove ci resta fino al 1983 quando decide di assumere l’incarico di direttore di “Bergamo-Oggi”, ritornando nella sua città natale. La vita di provincia, però, non lo appassiona e decide, un anno più tardi, di ritornare al “Corriere” come inviato speciale. Ci rimane per cinque anni, fino a quando non viene chiamato a dirigere “L’Europeo”, in crisi di vendite a causa dell’ascesa de “L’Espresso”. Il periodo come direttore del settimanale si dimostra un grande successo: le copie vendute passano da settantottomila a centotrentamila in due anni, interrompendo il calo dei guadagni31.
Questa è la storia di Vittorio Feltri prima dell’esordio come direttore de “L’Indipendente”. La sua biografia risulta di particolare interesse perché fa notare l’atipicità di questo personaggio che non segue i canoni di quello che, ancora negli Ottanta, è il profilo tradizionale del giornalista. Quest’ultimo, infatti, solitamente è un professionista appartenente o «figlio deviato» della classe dirigente del Paese32. Questi è membro di una élite autoreferenziale, spesso rappresentante di fasce sociali benestanti o del ceto medio borghese33, che si rivolge a una cerchia ristretta di persone, come i politici o gli intellettuali, e poco interessato a relazionarsi con le masse popolari34. Feltri, invece, è un autodidatta nato in una famiglia povera che si è ritrovato a fare il giornalista quasi per caso. Caratteristiche che ha in comune con il fondatore del “L’Uomo Qualunque” Guglielmo Giannini, altra “atipicità” della storia del giornalismo italiano35. Utilizzando un’espressione di Milly Buonanno, il giornalista bergamasco è un «figlio aspirazionale» delle classi medio-inferiori36, un’eccezione della classe giornalistica del tempo. L’eccezionalità è confermata anche dal fatto che Feltri non ha nessuna formazione universitaria. Soltanto all’età di quarant’anni, infatti, decide di iscriversi all’Università di Bergamo e di laurearsi in Scienze politiche, laurea che definirà «la più inutile di tutte» e «superflua» per la sua futura carriera giornalistica37. Feltri, però, è anche il precursore di una nuova tipologia di professionisti della stampa che si diffonde in Italia proprio dagli anni Novanta. Provenienti dalla provincia e da ceti piccolo-borghesi e popolari38, molti di questi «figli aspirazionali» compiono la propria gavetta in giornali locali e nei periodici, come appunto “L’Europeo”39, creando e sviluppando un dialogo diretto con l’opinione pubblica, fino a quel momento ignorata dalle principali firme del giornalismo italiano40.

2. L’Indipendente ha bisogno di un nuovo direttore
“L’Indipendente” viene fondato nel 1991 a Milano da un gruppo di imprenditori e posto sotto la direzione di Ricardo Franco Levi. Questo giornalista economico ha un’ambizione: quella di dare vita ad un giornale tabloid sul modello anglosassone, orientato al mercato e, soprattutto, indipendente dalla politica41. Il tabloid non è completamente sconosciuto in Italia, in quanto si è visto per la prima volta nel 1976 con “La Repubblica”, che proponeva un’idea di stampa maggiormente orientata alla ricerca del profitto42. Fino a quel momento, infatti, non si era mai sviluppata una vera e propria industria editoriale italiana a causa della scarsa propensione dei proprietari a produrre un giornale che ampliasse il suo pubblico e che si aprisse al meccanismo della concorrenza del libero mercato43. Dagli anni Ottanta fino al primo decennio del Duemila, però, si assiste a una profonda stagione di cambiamenti44. Principalmente, sono tre i fattori che cambiano il giornalismo e la professione giornalistica durante questo periodo: l’esplosione del mercato pubblicitario, l’introduzione delle tecnologie elettroniche nei quotidiani e l’incredibile espansione diffusionale45. Soltanto a questo punto i media italiani incominciano ad interessarsi al marketing e ad avviare un’espansione dell’industria editoriale che investirà il mondo dei giornali durante gli anni Novanta46.
Il giornale diretto da Scalfari è, dunque, un’atipicità nel panorama della stampa italiana. Nasce, però, con l’obiettivo di riferirsi ad un determinato pubblico di lettori, quello del ceto medio intellettuale di sinistra47, non eliminando uno dei fattori strutturali del giornalismo italiano, ossia la sua politicizzazione48. Levi vuole compiere quest’ultimo passaggio. Riprendendo la copertina del suo omonimo d’Oltremanica49, il giornale effettua una rigorosa selezione delle notizie presentandole con uno stile “neutro” e senza alcun approfondimento politico: una grande novità nel panorama giornalistico italiano, dove da sempre l’opinione e il commento politico dominano sui fatti50.
L’esperimento si rivela ben presto un fallimento totale: dopo pochi mesi il giornale è sull’orlo della bancarotta a causa delle scarse vendite. La maggior parte degli investitori, a questo punto, decide di abbandonare l’impresa non più redditizia, con l’eccezione di Andrea Zanussi, pilota di rally e figlio del “re dei frigoriferi” Lino Zanussi. Egli riesce a riunire i soci rimasti e a fondare una nuova società editoriale, permettendo al quotidiano di proseguire le sue pubblicazioni. Inoltre, visto il fallimento di Levi, sente il bisogno di cambiare la direzione editoriale e decide di puntare proprio su quel giovane direttore che sta facendo rinascere “L’Europeo”. Vittorio Feltri accetta l’incarico, ritrovandosi a gestire un giornale che definisce «africano, misero, sciapo ed elegante come una pietra tombale»51. Le motivazioni che portano il giornalista bergamasco a trasferirsi al quotidiano milanese sono principalmente due. La prima è di carattere motivazionale: Feltri, abituato a lavorare nei quotidiani, sente il bisogno di cercare sfide più stimolanti rispetto a quelle di un settimanale che ormai gli aveva «rotto le scatole»52. La seconda è di carattere economico. Il neodirettore de “L’Indipendente”, prima della firma, si fa promettere una fidejussione da cinquecento milioni di lire che avrebbe riscosso anche in caso di fallimento del giornale53.
Il giornalista bergamasco, appena arrivato, capisce quello che esperti della comunicazione come Carlo Sorrentino scriveranno una decina di anni più tardi, ossia che un giornale che riferisce le notizie in maniera asettica e oggettiva è fallimentare perché le stesse devono essere interpretate, analizzate e spiegate54. Inoltre, come ben scrive Angelo Agostini, il giornale nasce in Italia come strumento di lotta e di azione politica e tale caratteristica persiste anche nelle nuove testate. Gli italiani, fin dalle origini dei primi quotidiani, vivono il loro acquisto come un atto di partecipazione politica55. Quindi, come scrive ancora Carlo Sorrentino, la politicizzazione del giornalismo italiano è un fattore strutturale e storico e non una sua degenerazione56. Eliminare la politica dai giornali italiani rappresenta una scelta più suicida che coraggiosa.
Feltri, così, trasforma il quotidiano, riuscendo a creare un’unione perfetta tra la tradizione giornalistica popolare italiana e i nuovi modelli di giornalismi provenienti dagli Stati Uniti e da Oltremanica. Il format diventa più aggressivo e sensazionalistico, caratterizzato da quella titolazione «calda» sparata a lettere cubitali che aveva fatto la fortuna de “La Notte”57. Il giornale si caratterizza per la presenza di articoli brevi, cover story, numerose rubriche, notizie grafiche e flusso d’immagini, con il vantaggio di presentare anche delle sezioni d’inchiesta e di approfondimento. Tutti elementi che, come spiega Alberto Papuzzi, si adattano bene ad un giornale che con i propri lettori vuole stabilire un rapporto diretto attraverso un linguaggio e una cultura comune58. Riguardo agli scopi, il quotidiano milanese si fa espressione di una tipologia di giornalismo nata negli anni Settanta in America, il cosiddetto “giornalismo contro” o watchdog, impegnato nella rappresentazione dei diritti e delle istanze del pubblico dei cittadini davanti alle istituzioni politiche, rientrando in un modello “avversario” di relazioni con quest’ultime59. Nel proporre questo modello, Feltri si riaggancia alla tradizione giornalistica qualunquista e antipartitocratica di Giannini60 e dei suoi mentori Nino Nutrizio e Indro Montanelli, portandola ad un ulteriore livello di innovazione: offre, da una parte, un’informazione leggera e ludica e, dall’altra, una visione della politica scandalistica e drammatizzata. Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, si può individuare un’altra attività svolta dalla nuova edizione del quotidiano milanese, quella di muckraking: il giornalismo investigativo, in questo caso rivolto a indagare sugli scandali e sul malaffare politico61. Il processo di cambiamento, però, non è immediato. Nel 1992, all’arrivo di Feltri in redazione, il quotidiano presenta appena otto pagine caratterizzate da una informazione minima. Agli inizi del 1994, si possono contare trentadue pagine, risultato di un processo di sedimentazione che ha visto il giornale migliorare più volte il proprio font e ampliarsi attraverso la nascita di rubriche e sezioni settoriali. Il successo de “L’Indipendente” è clamoroso: il giornale passa dalle neanche ventimila copie iniziali alle centotrentamila vendute all’inizio del 1994, momento in cui Feltri decide di lasciarne la direzione. Giovanni Santambrogio scrive che Feltri ha trasformato “L’Indipendente” da una sala da tè a una bettola62, soltanto che la sala da tè era vuota mentre la bettola ha il pieno di clienti. Ora è il momento di capire come è stata possibile questa crescita impetuosa.

3. Feltri e la partitocrazia. Chinghialoni e Crisantemini
Il 15 febbraio 1992 Vittorio Feltri scrive il suo editoriale di esordio sulle colonne de “L’Indipendente”, molto simile a quello di Giannini su “L’Uomo Qualunque”. Il neodirettore promette «assoluta indipendenza sia dal Palazzo sia dai potentati economici», atteggiamento che non sarebbe piaciuto a tutti e che avrebbe portato il giornale ad avere molti nemici. Una posizione di avversione ai potentati economici che, però, non rappresenta una costante della carriera del giornalista bergamasco. Aggiunge che il quotidiano avrebbe rivolto speciale attenzione a quei movimenti che pretendevano di cambiare il Paese, «ingessato e sfinito dalla partitocrazia»63. Fin da subito, quindi, Feltri esplicita qual è il principale nemico del giornale e dell’Italia: il sistema dei partiti nato dalla Resistenza. Questo atteggiamento è perfettamente in linea con la tradizione giornalistica antipartitocratica, che ha tra i principali esponenti personaggi della destra borghese e conservatrice come Luigi Maranini, Indro Montanelli, Leopoldo Longanesi o Giovannino Guareschi. Fin dalla nascita della Repubblica, questi giornalisti sostengono che i partiti sono delle macchine corruttrici impegnate a mantenersi al potere e incapaci di capire i reali interessi del Paese64. Feltri può essere considerato un continuatore di questa tradizione, anche se, al contrario degli altri giornalisti citati, l’inizio della sua carriera professionale è avvenuto nell’area socialista. Nelle sue forme popolari, questa visione antipartitocratica trova espressione nel qualunquismo, inteso come quel sentimento generico di disprezzo espresso dai ceti medi verso la politica e gli “uomini politici professionali”65.
Il 17 febbraio 1992, appena due giorni dopo, il sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro fa arrestare Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, dando inizio ufficialmente a Tangentopoli e all’indagine Mani Pulite. Questa inchiesta è soltanto lo sbocco finale di una situazione che non poteva più andare avanti. Infatti, dal dopoguerra in poi, si è formato in Italia un sistema di finanziamento illecito e di corruzione che ha coinvolto tutta la classe politica. Le cause di questa creazione sono complesse e sono sia di natura endogena che esogena66; il risultato finale è stata la diffusione sempre più estesa della corruzione politica che, nel frattempo, è diventata sistemica e scientifica: le tangenti sugli appalti, così come la loro spartizione, sono decise in base a delle vere e proprie percentuali matematiche concordate dalle forze politiche67. Un sistema che ormai sta avendo costi elevati per il Paese e che è destinato a esplodere da un momento all’altro: Di Pietro ha soltanto acceso la miccia.
Feltri ha così il terreno di coltura ideale per far fruttare la nuova linea editoriale del giornale. Questa coincidenza perfetta non deve essere considerata come un mero colpo di fortuna. Il giornalista bergamasco, a dispetto di tanti colleghi più affermati, già dai tempi de “L’Europeo”, denunciava la corruzione e il degrado all’interno dei partiti ed è ben consapevole che quel sistema di governo sviluppato durante la Guerra fredda fosse ormai al collasso a causa del sempre maggiore malessere e imbarazzo diffuso tra i cittadini italiani68. Inizia così la grande campagna di attacco al mondo partitocratico. Le principali accuse che rivolge agli uomini politici e ai suoi «maggiordomi» sono quelle di essere stati incapaci di cogliere le reali esigenze del popolo italiano, di essere i responsabili del disastro economico in cui il Paese si trova69 e di aver fuorviato gli italiani «vaccinandoli alla corruzione» dopo aver dato vita ad un sistema di governo basato su pratiche illecite70. Come titolo di esempio, può essere preso in considerazione l’editoriale del 20 dicembre 1992 dove Feltri scrive che gli uomini politici hanno «rovinato, dissanguato, spogliato, talvolta rubato» il Paese e per questo sono da considerarsi, «metaforicamente», degli assassini71. Si può vedere qui un accenno delle caratteristiche del linguaggio feltriano, eccentrico e caratterizzato da aggressività polemica, becerismo, ironia e da un discreto utilizzo della volgarità, non troppo dissimile da quello di Giannini. Giovanni Santambrogio dà una precisa definizione del «feltrismo»: un intreccio di frondismo, di provocazione, di irriverenza, di proclamata autonomia. Lo stile è contraddistinto «dall’attacco, dall’abbandono di formalismi o giri di parole, dallo schieramento, dalla militanza, dai toni politici diretti»72.
La partitocrazia non viene solo presa di mira dagli articoli di Feltri, ma anche da alcune iniziative del giornale. Una di queste è la propaganda a favore del sistema maggioritario riguardo al referendum dell’aprile 1993, presentata dal giornale come una vera e propria scelta tra il «nuovo» che vuole salvare il Paese e gli «zombie» che vogliono «la conservazione della mummia»73. Un’altra iniziativa è la campagna di raccolta firme a favore della proposta di Dario Fo e Franca Rame di togliere alcuni privilegi ai politici indagati per corruzione, che ottiene un enorme successo.
L’astio verso la partitocrazia di Feltri non si ferma neanche di fronte agli eventi che richiederebbero una maggiore sensibilità, come il caso di Michele Colucci. L’assessore socialista, a seguito dell’arresto, subisce un malore e viene portato via in barella mentre telecamere e fotografi immortalano la scena. Feltri non si fa problemi a pubblicare all’interno del giornale la foto di Colucci in lettiga e in prima pagina quella del socialista in evidente stato di spossatezza che viene sorretto da due carabinieri. Sopra l’immagine si legge la scritta «QUESTO È IL VERO VOLTO DEI PARTITI» e sotto il direttore invita a guardare quella foto rappresentante una delle tante «pecore del gregge partitocratico»74.
Il sistema dei partiti non viene attaccato solo nel suo complesso, ma anche nelle componenti. Il Partito Socialista Italiano è sicuramente uno dei principali bersagli del giornalista bergamasco fino al marzo 1993. Il Psi è considerato «detentore del primato mondiale del furto senza ostacoli, del furto in alto, del furto in lungo, del furto tutto campo, in pista, in strada, indoor»75. I socialisti sono continuamente presi di mira da Feltri nella fase iniziale di Tangentopoli con attacchi personali, per fare alcuni esempi, ai vari Paolo Pillitteri, Gianni De Michelis e Giuliano Amato. Un editoriale interessante è quello del 28 giugno 1992, quando il direttore commenta le dichiarazioni, poi smentite, di Claudio Martelli e Gennaro Acquaviva contro il pool di Milano. Feltri scrive che, anche se il caso è risultato un falso, questo è stato un «falso perfetto» perché espressione di concetti «così socialisti» che è come se fosse stato vero76. Questo si può considerare un episodio di quello che Milly Buonanno chiama il “giornalismo del verosimile”, tipico di una certa stampa popolare che tende a considerare come se fossero vere voci e dicerie mettendole in risalto77.
Il principale bersaglio del Psi è il suo segretario, il «Cinghialone» Bettino Craxi. Fin da subito, l’ex primo ministro è una delle vittime preferite del direttore che dà vita a quella che in molti hanno poi denominato “la caccia al cinghiale”, frase attribuita a Feltri ma che lui non ha mai scritto78. Il capo de “L’Indipendente” considera il leader del Psi uno dei principali fautori della corruzione in Italia e per questo non può che esultare il 16 dicembre 1992, giorno del primo avviso di garanzia al segretario socialista, salutato in prima pagina con un cubitale «ADDIO CRAXI»79. Da quel momento in poi, il bersagliamento da parte del giornalista bergamasco nei confronti del leader del Garofano è quasi quotidiano. “L’Indipendente” intraprende anche una particolare gara a chi riceve più avvisi di garanzia tra l’ex presidente del Consiglio e un altro grande protagonista del periodo, il senatore democristiano Severino Citaristi. In questo frangente, tipico è l’utilizzo delle metafore sportive per presentare i due protagonisti del «Tototangenti», sicuramente retaggio dell’esperienza di Feltri a “La Notte”. I due vengono soprannominati i Coppi e Bartali del «giro di Tangentopoli»80 e il «bomber» Citaristi è considerato come il nuovo Beppe Signori, in testa alla classifica marcatori degli avvisi di garanzia81. Il 30 aprile 1993 “L’Indipendente” dà notizia delle mancate autorizzazioni a procedere contro Bettino Craxi pubblicando in prima pagina il maxi-titolo «ASSOLTO CRAXI». Feltri, indignato, si unisce alla rabbia popolare dei lanciatori di monetine, invitando il presidente Oscar Luigi Scalfaro a mandare tutti a casa: «lo faccia per la Madonna. Ma lo faccia»82. Questo è l’ultimo momento di tensione tra Feltri e il segretario socialista. Dal maggio 1993 in poi, i toni del direttore si ammorbidiscono fino ad arrivare all’onore delle armi concesso a Craxi in occasione del processo Cusani, dove, «a testa alta», riconosce i propri errori e quelli degli altri83.
Un altro grande partito bersagliato è la Democrazia Cristiana che merita, secondo il direttore, lo stesso trattamento giudiziario riservato al Psi84. Arnaldo Forlani, «Belzebù» Giulio Andreotti e Giovanni Goria sono solo alcuni dei nomi presi di mira dalla rabbia e dalla satira del giornalista bergamasco. Un’altra figura è quella del Presidente della Repubblica «Basettone Scalfaro», considerato come il «sommo sacerdote del regime»85 e con il quale “L’Indipendente” ingaggia un vero e proprio scontro personale. Due sono i momenti di maggior contrasto. Il primo quando «il sacrestano del Quirinale» preferisce dare la precedenza a visitare i «sassi di Roma» piuttosto che i morti di Milano in occasione delle bombe scoppiate nel luglio 199386. Il secondo è il caso Sisde che coinvolge Scalfaro in Tangentopoli e, in occasione del quale, Feltri si chiede perché tutti possano essere indagati tranne «l’inquilone del Quirinale», difeso invece da quasi tutta la stampa del tempo87.
Un altro personaggio politico preso di mira dal direttore è il segretario democristiano Fermo “Mino” Martinazzoli, presentato negli editoriali in maniera caricaturale e grottesca, altro tratto ripreso da Giannini. Il segretario Dc, nei fondi del direttore, viene associato a soprannomi come «Crisantemino», «Mortino», «Becchinazzoli» oppure definito «un cipresso parlante, un loculo, un due novembre, un cippo funerario»88. Feltri, in una prima fase, invita il politico bresciano a «desmét de fa’ el bambo»89 e a ripulire il partito dai corrotti, per poi, accorgendosi che ciò non è avvenuto, ringraziarlo nell’essere riuscito ad affossare in pochi mesi un partito che aveva dominato per più di quarant’anni in Italia90.
Il terzo grande membro della partitocrazia oggetto di pesante critica di Feltri è il Pds, composto da quegli odiati ex-comunisti alla cui conversione il direttore non crede. Una volta colpiti dalle indagini Psi e Dc, invita a più riprese i giudici, e anche Craxi, a finire il lavoro con i membri della Quercia, considerati «marci come gli altri»91. Il giornalista bergamasco non può sopportare che Achille Occhetto possa presentare il suo partito come “diverso” e, soprattutto, che il Pds possa rischiare di vincere le future elezioni. Pone, quindi, una forte speranza in «Di Pietro e colleghi» affinché possano evitare all’Italia, che si è salvata dal comunismo quando era una tragedia, a cascarci ora quando è diventato una farsa92. Queste ultime speranze, però, vengono deluse.

4. Feltri e il popolo. Dalla parte dei cittadini
Vittorio Feltri, fin dal suo editoriale d’esordio, si schiera «dalla parte dei cittadini»93. I richiami alla «gente» o a un generico popolo italiano sono una delle caratteristiche costitutive degli articoli e dei fondi pubblicati sul giornale diretto dal giornalista bergamasco. “L’Indipendente”, per tutto il periodo di Tangentopoli, propone una narrazione degli eventi tipica del mondo fiabesco: da una parte colloca i buoni, i membri della società civile italiana, dall’altra i cattivi, gli appartenenti alla partitocrazia. Si evidenzia, quindi, l’elemento populista della linea editoriale di Feltri, dove per populismo si intende quella concezione per la quale il popolo, concepito come virtuoso e omogeneo, si contrappone a delle élite e a una serie di nemici che attentano ai diritti, ai valori, ai beni, all’identità e alla possibilità di esprimersi del popolo sovrano94. Da questo punto di vista, si può notare la totale sincronia tra il pensiero di Feltri e quello di Giannini, che nel 1944 scriveva che da millenni la Folla, composta dalla «gente di buon senso, buon cuore e buona fede», subisce il giogo e le angherie di una minoranza di Capi, ossia di uomini politici professionali95.
Feltri cerca un contatto non con le classi dirigenti del Paese ma con le masse popolari, in particolare con le sempre più ampie fasce della società stanche della corruzione politica e vogliose di cambiamento. “L’Indipendente”, perciò, può essere considerato una «testata identitaria», un giornale in cui i lettori si possono identificare politicamente96. Questi tipi di quotidiano non sono una novità nel panorama italiano: il primo è stato Repubblica97, partorito dalla mente di Eugenio Scalfari di cui Feltri è sempre stato un ammiratore dal punto di vista professionale98. Questa forte connessione tra giornale e lettori avviene principalmente attraverso l’editoriale di prima pagina, poco presente nei quotidiani fino agli anni Ottanta99, così come attraverso la posta degli utenti che viene pubblicata in fondo al giornale. Il direttore de “L’Indipendente” scrive di continuo che il popolo italiano per decenni è stato vittima di una vera e propria dittatura imposta dal sistema dei partiti, identificato con varie terminologie come «il Palazzo», «il regime», «Lorsignori» o «la nomenklatura». L’avvio di Mani pulite viene presentato come il momento di risveglio del popolo italiano che, finalmente, si ribella dopo essersi accorto di quanto i partiti fossero stati «ingordi mangioni»100. Feltri si oppone fin da subito a un esito violento della rivolta, come alcuni lettori del suo giornale propongono, spiegando che l’unico processo a cui la classe politica deve essere sottoposta è quello elettorale101. Il voto anticipato è, per Feltri, l’unico sbocco non traumatico della crisi politica in atto e per questo invita ossessivamente Scalfaro a sciogliere le Camere prima che si arrivi al disastro. Emblematici sono gli episodi della promulgazione dei cosiddetti “decreti Conso” e dell’“assoluzione di Craxi”, in occasione dei quali il direttore chiede al Capo dello Sato di calare la tela sull’«immondo teatrino» prima che il Palazzo venga asserragliato e i ladri al suo interno presi a sassate102.
Secondo la visione di Feltri, i cittadini sono i veri protagonisti di Tangentopoli e il loro compito è quello di sostenere le magistrature italiane affinché le inchieste sulla corruzione politica non si arenino come è accaduto più volte in passato103. “L’Indipendente”, tra il 1992 e gran parte del 1993, dà pieno sostegno all’inchiesta Mani Pulite e alle sue derivazioni che nascono in tutta Italia. Idolo di Feltri è «l’eroe degli italiani» Antonio Di Pietro, «uomo comune» diventato «speranza di salvezza» degli «uomini comuni»104. Di fronte agli avvisi di garanzia e agli arresti del giudice, Feltri scrive che prova un «godimento erotico», spiegando come mai prima d’ora l’Italia sia vicina alla sua liberazione: «Che Dio salvi Di Pietro» è l’esclamazione finale del giornalista bergamasco105. Inoltre, tra Feltri e Di Pietro esiste un legame di amicizia risalente ai tempi di Bergamo, quando il giornalista era direttore di “Bergamo-Oggi” e il magistrato prestava servizio nella città orobica. In quell’occasione, Feltri aveva iniziato a sostenere le inchieste di Di Pietro, isolato dagli altri magistrati perché considerato un «buzzurro», in cambio di informazioni che il giudice passava al direttore come notizie esclusive. Lo stesso rapporto rimane quando entrambi si trasferiscono a Milano: Di Pietro sarà la principale fonte de “L’Indipendente” in cambio del supporto del giornale a Mani Pulite106.
Il direttore de “L’Indipendente” sostiene anche le metodologie adottate dai giudici, spesso messe sotto accusa da quelli che Feltri definisce gli «avvoltoi del neogarantismo»107. La difesa delle azioni dei magistrati è totale e la si può vedere in occasione degli episodi più spinosi delle indagini giudiziarie, come i suicidi dei socialisti Renato Amorese e Sergio Moroni oppure dell’ex presidente dell’Eni Gabriele Cagliari. Mentre in molti attribuiscono la responsabilità di questi tragici fatti al modo di agire persecutorio degli inquirenti, il giornalista sostiene che la colpa di questi gesti è da rintracciare nella vergogna degli indagati di essere stati scoperti come corrotti e non nel lavoro dei magistrati che svolgono soltanto il loro dovere108. Intorno all’autunno del 1993, però, la luna di miele tra Feltri e il pool di Mani Pulite finisce. L’ex direttore de “L’Europeo”, infatti, non vede di buon occhio il comportamento più cauto di Borrelli e D’Ambrosio nell’indagare i membri del Pds, atteggiamento che fino a quel momento non si era visto nei confronti degli appartenenti agli altri partiti. Rimane, però, la fiducia di Feltri in Di Pietro, difeso fino all’ultimo giorno di direzione de “L’Indipendente”. Solo successivamente, il rapporto d’amicizia tra i due si logora a causa di alcuni litigi. La motivazione è sempre la stessa: anche Di Pietro, secondo Feltri, ha voluto salvare gli ex comunisti dalle indagini dimostrando la parzialità di Mani Pulite109.
La società civile, durante Tangentopoli, spesso riceve l’accusa di comportarsi in maniera ipocrita, in quanto per anni ha votato quei partiti che non sono altro che espressione del popolo italiano110. Feltri, tranne qualche rara e non significativa eccezione, non accetta questa tesi e spiega che, se i cittadini in passato hanno votato in quella maniera, questo era dovuto al contesto storico caratterizzato dalla Guerra Fredda. Gli italiani, così come lo stesso Feltri, hanno dovuto scegliere tra due civiltà contrapposte e decidere se appoggiare i «ladri dell’Occidente» o gli «assassini» dei «paradisi dell’Est»111. Adesso che la Guerra Fredda è finita, spiega il direttore, «le persone perbene» si sono accorte dei propri «errori» e cercano di porvi rimedio112.
La categoria della società civile maggiormente difesa da Feltri è quella imprenditoriale. Chiarisce che la principale prova che la classe politica non è espressione del popolo italiano sta proprio nel fatto che, se fosse stato così, i bilanci dello Stato sarebbero risultati in ordine e i servizi efficienti113. Come per Giannini, la borghesia, piccola, media e grande, è per il direttore de “L’Indipendente” la classe che deve prendere il posto della partitocrazia alla guida del Paese. Egli scrive che per governare c’è bisogno di «onesti ragionier Rossi» che si occupino di «buona amministrazione» e non di politicanti e ideologie114. In più di un’occasione, Feltri propone di formare un governo di tecnici che vada a sostituire quello dei partiti ed è uno dei primi a suggerire un esecutivo affidato a Carlo Azeglio Ciampi115. Il suo desiderio viene realizzato ma ben presto il direttore si maledice per aver suggerito una simile ipotesi, quando si accorge che il nuovo governo è composto da molti membri della partitocrazia: «come prima, peggio di prima116».
La classe imprenditoriale è giustificata dal direttore anche nei suoi comportamenti illeciti. Di fronte ai dati dell’enorme evasione fiscale e, soprattutto, ai numerosi arresti di manager accusati di aver pagato tangenti, Feltri difende il loro comportamento spiegando come sia normale per un uomo d’affari non rispettare le leggi pur di ricercare il profitto. Aggiunge che la vera responsabile di questa illegalità è la classe politica che fa le leggi ma non è in grado di applicarle, creando una situazione di delinquenza diffusa della quale i cittadini non possono che approfittarne117. Un esempio di come il giornalista bergamasco consideri gli imprenditori in maniera totalmente diversa dagli uomini politici è il caso del suicidio di Raul Gardini, con il quale il direttore aveva cenato insieme la notte prima della morte118. Al contrario di quanto afferma riguardo ai membri della partitocrazia che si sono tolti la vita, il manager ravennate non lo avrebbe commesso per la vergogna di essere un corrotto ma perché ha fallito come imprenditore e, da uomo orgoglioso qual è, ha preferito spararsi un colpo in testa piuttosto che soffrire la condizione di povertà nella quale improvvisamente si era trovato119.
La concezione di una società composta da cittadini virtuosi e onesti sembra essere ambigua di fronte a questi scritti del direttore. Se si leggono però altre sue parole, si comprende come questa visione non sia contraddittoria. Il 30 ottobre 1992 risponde a una lettrice esprimendo la sua concezione di onestà. Quest’ultima, scrive Feltri, è una questione di autonomia economica: solo «il pareggio di bilancio» è la migliore garanzia di indipendenza e libertà120. Più esaustivo è l’editoriale del 26 febbraio 1993. In questa occasione, il giornalista nativo di Bergamo scrive che è vero che i cittadini italiani spesso non rispettano le leggi come i loro rappresentanti politici, ma compensano questa trasgressione attraverso «l’osservanza delle leggi di mercato» permettendo al Paese di guadagnarne in ricchezza ed efficienza121. Feltri, quindi, non considera l’onestà una categoria morale ma una questione economica. Emerge una visione ideologica e ultraliberista per la quale un cittadino è da considerarsi “onesto” non tanto se rispetta le leggi dello Stato o della propria coscienza, ma se segue quelle del libero mercato.
Un altro aspetto, poi, è da evidenziare. Il direttore de “L’Indipendente” parla di una generica società che produce ricchezza per il Paese, ma nella sua mente egli si riferisce soltanto a una parte della popolazione: il popolo del Nord.

5. Feltri e il leghismo. Il vento del nord
La Lega Nord nasce sul finire degli anni Ottanta dalla fusione delle leghe autonomiste sorte nell’Italia settentrionale. Il partito, anomalo rispetto alle categorie del tempo, è definito un «fenomeno post-industriale» e sintomo di una protesta più globale che coinvolge tutta l’Europa122, inseribile all’interno di quel gruppo di movimenti che gli studi chiamano il «ciclo dell’antipolitica»123. La formazione, di profilo interclassista, nasce nelle aree di piccola impresa, nei distretti industriali e nei comuni di modeste dimensioni. Questa forza politica trova il suo terreno di coltura nella crescente «questione settentrionale», ossia nell’unione del sentimento di disaffezione della società civile del Nord nei confronti della classe politica e del risveglio dell’autonomismo regionalista del Settentrione. Il movimento fondato da Umberto Bossi, cogliendo questa realtà, riesce a coniugare gli interessi autonomisti con quelli antipartitocratici canalizzandoli nelle proprie proposte politiche124.
Vittorio Feltri, per via della sua provenienza geografica e culturale, conosce molto bene questo nuovo elettorato e individua in esso il core target di lettori de “L’Indipendente”. Fin dal suo esordio alla direzione, il giornalista scrive che il suo quotidiano si sarebbe schierato a fianco dei federalisti e di chi reclama efficienza da parte dello Stato, ossia in favore di quei movimenti che vogliono combattere la partitocrazia e cambiare il Paese125. Perciò, promette di dedicare spazio alla Lega Nord, in quanto il suo giornale è «indipendente» da quel «conformismo nazionale» che ha indotto molti mezzi di comunicazione a ridicolizzare e a trattare con disprezzo il movimento politico guidato da Bossi126.
Il giornalista bergamasco non si schiera, almeno all’inizio del suo periodo di direzione, direttamente a favore della Lega Nord, sapendo che non può permettersi di fiancheggiare nessun partito senza perdere quella fama d’indipendenza che più volte attribuisce al giornale negli editoriali e nelle risposte ai lettori. Svolge una forma di propaganda indiretta. “L’Indipendente” si schiera a favore di tutte le proposte politiche del Carroccio, come il liberismo economico, il federalismo, financo la secessione, presentandole come richieste che arrivano direttamente dai «cittadini»127. Nel difendersi dalle “accuse” di leghismo dei lettori, spiega che, se la Lega si trova sulle stesse posizioni del giornale, questo dipende dal fatto che il partito di Bossi ha capito la «rabbia della gente» e ha saputo dargli voce meglio dei partiti tradizionali128. La Lega Nord, quindi, è considerata dal giornalista bergamasco l’espressione politica della rivolta popolare antipartitocratica in corso, tanto da affermare che l’indagine Mani Pulite non sarebbe mai iniziata senza il Carroccio129.
Un alto modo che Feltri utilizza per mettere in risalto il partito federalista è quello di difenderlo dalle numerose critiche che riceve. L’ex cronista de “La Notte” si scaglia contro «i signori della lottizzazione», quando quest’ultimi accusano i lumbard di non avere idee e di pensare soltanto a sfasciare il Paese130, chiedendosi quale sia stato il programma dei partiti tradizionali negli ultimi anni: per la risposta invita a rivolgersi a Di Pietro131. Il direttore se la prende anche con i «giornalisti snob» che, mentre ridicolizzano quegli «ignorantoni» della Lega, sono stati incapaci di accorgersi della corruzione degli uomini politici pur vivendo con loro fianco a fianco132. Bossi, invece, è costantemente apprezzato dal giornalista bergamasco che loda, a più riprese, la capacità di persuasione degli argomenti del Senatur133. Emblematica è la vignetta che compare sulla prima pagina del 20 aprile 1993, a seguito della vittoria del Sì al referendum, che mostra un Bossi armato di spada che taglia a metà gli altri segretari di partito134.
Feltri non si preoccupa soltanto di difendere la Lega Nord, ma anche il Settentrione in generale, definita la parte più ricca ed «evoluta» del Paese135. All’inizio di Tangentopoli, il giornalista difende Milano dall’accusa di essere piena di ladri, affermando che la corruzione è presente in tutta Italia e che, anzi, il fatto che sia stata scoperta per prima a Milano dimostra come l’ambiente meneghino sia il più sano. Dal capoluogo lombardo, infatti, è iniziato a soffiare quel «vento nordista», composto dai seguaci del Senatur e dalla magistratura, che sta spazzando via più socialisti ladri che foglie secche e che avrebbe liberato l’Italia136. “L’Indipendente”, spiega il suo direttore, si schiera a favore di questo vento e in opposizione allo «strapotere di Roma»137 che per anni ha «depauperato, calpestato, mortificato» il Nord Italia138.
Queste ultime parole rappresentano la grande differenza tra il qualunquismo di Feltri e quello di Giannini. Il fondatore de “L’Uomo Qualunque”, infatti, si era fatto rappresentante del «vento del Sud», espressione di una ideologia moderato-reazionaria dei ceti medi a reddito fisso del Meridione139. Questa parte di popolazione sosteneva che la partitocrazia fosse manifestazione degli interessi del Nord Italia e che volesse colonizzare il Sud per poterlo sfruttare140. Feltri, pur riprendendo lo stile e tanti temi del commediografo napoletano, si pone sul versante opposto. La partitocrazia è espressione degli interessi del Sud Italia, mentre il Nord è stato utilizzato per anni per alimentarli. Il Meridione viene considerato dal direttore «prateria mafiosa»141 oppure quella parte di Paese che preferisce stare «dalla parte del brigante» e che pretende soldi dallo Stato per poi lamentarsi della sua assenza142. Il giornalista bergamasco spiega che la Dc e gli altri partiti dominano in questa zona d’Italia tramite il voto di scambio con gli elettori meridionali, definiti una massa di «disperati» senza lavoro, soldi e dignità143. Il 21 febbraio 1993 arriva a scrivere che il fenomeno delle tangenti è nato in Italia nel momento in cui, poco dopo l’Unità, «la gente più qualificata del Norditalia» si è ritirata dalla vita pubblica lasciando il posto ai professionisti della politica provenienti, «guarda caso», tutti dal Sud144. Feltri rimane, però, speranzoso che la partitocrazia avrebbe perso il suo potere anche nel Meridione perché, a causa della grave situazione economica del Paese, non ha più «latte» da dare a chi vuole spremere la «tetta statale»145.
L’atteggiamento filoleghista di Feltri diventa più esplicito nella seconda metà del 1993. Il giornale dà il proprio supporto alla candidatura di Marco Formentini come sindaco di Milano e il direttore inizia ad utilizzare il noi riferendosi ai leghisti nei suoi articoli146. Il giornalista bergamasco cala definitivamente la maschera in occasione del coinvolgimento della Lega Nord in Tangentopoli, accusata di aver ricevuto un contributo illecito dal manager Carlo Sama. In un primo momento, Feltri, fino ad allora mai sfiorato dal garantismo, si dimostra scettico riguardo a questa accusa e afferma che, se Alessandro Patelli, l’ex tesoriere della Lega, avesse ricevuto quel versamento, è da considerare un «gran pirla»147: le successive confessioni dimostrano che Patelli è effettivamente tale. Il 6 gennaio 1994 il direttore racconta la propria esperienza della seduta del processo Cusani che vedeva presenti Patelli e Umberto Bossi. Per la prima volta, Feltri si dimostra dispiaciuto per l’inquisito messo sotto torchio da Di Pietro, il «povero Patellone», mentre sprizza godimento da tutti i pori per la deposizione di quel «maestro di comunicazione» che è Bossi. Afferma, inoltre, che un contributo illecito, e «non una tangente», non avrebbe compromesso il Carroccio che dal punto di vista politico ne sarebbe uscito in trionfo148.
Il direttore de “L’Indipendente”, dopo aver attaccato senza distinzioni i membri degli altri partiti per aver ricevuto soldi illeciti, considera in maniera completamente diversa il reato se questo riguarda i leghisti, addirittura sostenendo che c’è differenza tra il finanziamento illecito e le tangenti. Questo è il suo punto di non ritorno.

6. Conclusione. Ascesa di un direttore di giornale
Il «vento del Nord» soffia ininterrotto e spazza via la Prima Repubblica. Il 20 gennaio 1994 Feltri lascia la direzione de “L’Indipendente” per andare a sostituire Indro Montanelli a quella de “Il Giornale”. Nonostante un rifiuto iniziale, il giornalista decide di accettare l’offerta di Silvio Berlusconi stimolato sia dalla possibilità di poter sostituire il suo mentore Montanelli149, sia di supportare l’immediata “discesa in campo” del Cavaliere, di cui il direttore è già a conoscenza. Anzi, come racconta lo stesso Feltri, sarebbe stato proprio lui a suggerire a Berlusconi di mettersi alla testa del partito che stava per fondare150.
“L’Indipendente”, senza più Feltri alla guida e con il reflusso di Tangentopoli, subisce un crollo delle vendite e dopo pochi anni è costretto a chiudere per fallimento, mettendo fine all’esperimento di dare vita a un quotidiano in grado di fare concorrenza ai grandi gruppi editoriali italiani151. Proprio la mancanza di importanti appoggi imprenditoriali insieme alla scarsa capacità del mercato di assorbire nuovi prodotti giornalistici rappresentano le principali cause del fallimento152.
Il giornale, sotto la guida di Feltri, può essere annoverato tra i cosiddetti «giornali-partito». Questi sono dei quotidiani che, venendo meno alla loro funzione di intermediari tra il mondo politico e l’opinione pubblica, fanno politica in prima persona. Sono loro stessi a proporre i temi politici, sui quali, poi, mobilitare costantemente i propri lettori, grazie anche al forte legame identitario che li lega al giornale. Un modello di giornale che Feltri riprenderà e perfezionerà sia alla guida de “Il Giornale” che nella fondazione della sua creatura “Libero”153. La stampa per Feltri è uno strumento di parte che sostiene interessi precisi154. Quindi, il direttore de “L’Indipendente”, da una parte attacca politicamente la partitocrazia, dall’altra sostiene le posizioni del nuovo elettorato della Lega Nord. In un momento di totale incomprensione del fenomeno leghista dal punto di vista giornalistico155, Feltri lo capisce e lo sfrutta per raggiungere i propri interessi editoriali e politici.
L’esperienza de “L’Indipendente” e, più in generale, di Tangentopoli porteranno dei cambiamenti all’interno del mondo della stampa italiana. Infatti, è proprio da questo periodo che il mondo editoriale inizia sempre di più ad aprirsi al mercato, senza però eliminare la sua storica subordinazione dalla politica156. Non appena sulle rovine della Prima repubblica si profilano i contrasti sul “nuovo” da costruire, il giornalismo si fa coinvolgere nuovamente da conflitti di idee e d’interessi157. Non solo, proprio la diffusione di modelli come i «giornali-partito», fa nascere un giornalismo ancora più schierato, dove i fatti più diversi vengono letti in chiave politica158. Il periodo di Tangentopoli può rappresentare una breve eccezione alla politicizzazione del sistema informativo italiano, ma quest’ultimo non ha perso la sua propensione alla subordinazione. Infatti, come sostiene Furio Colombo, i giornali durante Mani Pulite sono stati dipendenti dal potere giudiziario159, svolgendo di fatto il ruolo di agenzia di stampa delle “veline” dei giudici. “L’Indipendente”, da questo punto di vista, non rappresenta un’eccezione. Anzi, è uno dei simboli di questo comportamento visto che la principale fonte del giornale è nientemeno che il capo dei magistrati di Mani Pulite. Se Tangentopoli ha permesso lo sviluppo di un sistema informativo maggiormente market-oriented, lo stesso discorso lo si può fare per il sistema politico italiano160. La politica, infatti, proprio a seguito di questo periodo, subisce un processo di mediatizzazione durante il quale si appropria di logiche e dinamiche tipiche del mondo dei media e del mercato161. Questa, però, è l’unica effettiva novità che colpisce il mondo politico a seguito di Mani Pulite. Come sostiene la stragrande maggioranza degli storici, nessun cambiamento è intervenuto a livello istituzionale e costituzionale, così come sul piano della moralità pubblica162. Il Palazzo resta al suo posto.

Note

  1. Mauro Forno, Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano, Roma-Bari, GLF Editori Laterza, 2012, p. XII.
  2. Soltanto di recente si sono prodotti testi in merito alla stampa popolare italiana, la sua storia e la sua influenza all’interno del giornalismo italiano. Tra questi si ricordano Angelo Agostini e Marta Zanichelli, Studiare il giornalismo, ArchetipoLibri, Bologna, 2012 [1^ ed. 2010], Carlo Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia. Aspetti, processi produttivi e tendenze, Roma, Carocci, 2005 [1^ ed. 2003], Gennaro Carotenuto, Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di internet, Modena, Nuovi Mondi, 2009, Giovanni Gozzini, Storia del giornalismo, Milano-Torino, Pearson, 2020 [1^ed. 2000], Giuseppe Farinelli et al., Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ad oggi, Torino, Utet libreria, 2004 [1^ed. 1997], Mauro Forno, Informazione e potere. Storia del giornalismo italiano, Roma-Bari, GLF Editori Laterza, 2012, Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a internet, Bologna, Il Mulino, 2021 [1^ed.1996].
  3. A. Agostini e M.Zanichelli, Studiare il giornalismo, cit., pp. 104-105.
  4. Per approfondire l’argomento di Tangentopoli e relativo dibattito storiografico si consigliano Vittorio Bufacchi e Simon Burgess, L’Italia contesa. Dieci anni di lotta politica da Mani Pulite a Berlusconi, Roma, Carocci, 2002, Simona Colarizi e Marco Gervasoni, La tela di Penelope. Storia della Seconda Repubblica 1989 – 2011, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2012, Guido Crainz, Il Paese reale. Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi, Roma, Donzelli, 2012, Aldo Schiavone, L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2009. Di carattere più giornalistico e meno storiografico è Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, Mani Pulite. La vera storia, Milano, Chiarelettere, 2018 [1 ^ ed. 2002].
  5. C. Sorrentino (a cura di), Studiare il giornalismo, cit., p.45.
  6. V. Bufacchi e S. Burgess, L’Italia contesa, cit., p. 15.
  7. Il giornale è spesso assente nelle opere storiografiche sul giornalismo italiano oppure citato in pochissime righe o tra parentesi come in C. Sorrentino, Il giornalismo in Italia, cit., p. 77, M. Forno, Informazione e potere, cit., p. 234, G. Gozzini, Storia del giornalismo, cit., p. 275, P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 297. La stessa figura di Vittorio Feltri è spesso ignorata dal discorso storiografico, anche in quei pochi casi in cui si parla de “L’Indipendente”, oppure trattata con i soliti toni denigratori e spocchiosi. Due importanti eccezioni che ci permettono di avere un’analisi più approfondita sono Angelo Agostini, Giornalismi. Media e giornalisti in Italia, Bologna, Il Mulino, 2012 [1^ed. 2004] e Giovanni Santambrogio, Il mondo del giornalismo contemporaneo in G. Farinelli et al., Storia del giornalismo italiano, cit. Entrambi però mancano di analizzare la figura di Feltri alla guida de “L’Indipendente”.
  8. Vittorio Feltri, Il borghese. La mia vita e i miei incontri da cronista spettinato, Milano, Mondadori, 2018, p. 3.
  9. Ibidem.
  10. V. Feltri, Il borghese, cit., p.5.
  11. Ivi, p.6.
  12. V. Feltri, Il borghese, cit., p. 7.
  13. Ivi, p.10.
  14. Vittorio Feltri, Nutrizio, il genio che inventò la stampa popolare, in “Libero”, 31 gennaio 2018.
  15. Per approfondire la figura di Nino Nutrizio e il suo ruolo a “La Notte” si consiglia Ivano Granata, «La Notte». Un quotidiano del pomeriggio (dicembre 1952 – luglio 1953), in Patrizia Landi (a cura di), Fare impresa con la cultura. Milano nel secondo dopoguerra (1945 -1960), Bologna, CLUEB, 2013. Come nel caso de “L’Indipendente”, anche per “La Notte” si riscontra uno scarso interesse storiografico per la storia del giornale e di Nutrizio ad eccezione del lavoro di Granata ed alcune testimonianze dello stesso Feltri.
  16. La definizione è di Indro Montanelli, presente in I. Granata, «La Notte», cit., p. 356.
  17. Ibidem.
  18. Ivi, p. 357.
  19. Ivi, p. 355.
  20. Ivi, pp. 357-360 e P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 201. Murialdi racconta brevemente la storia di Nutrizio e “La Notte” mettendo in evidenza come fosse il primo giornale italiano a presentare un’intera pagina dedicata alla guida degli spettacoli.
  21. I. Granata, «La Notte», cit. p. 379.
  22. Ivi, p. 374.
  23. Ivi, p. 358.
  24. Ivi. P. 374.
  25. Ivi, p. 362.
  26. Ivi, p. 361.
  27. Ivi, p. 374.
  28. Ivi, p. 382.
  29. Ivi, p. 383.
  30. V. Feltri, Il borghese, pp. 17-18.
  31. Ivi, p. 47.
  32. Milly Buonanno, L’identità incerta dei giornalisti italiani, ovvero una professione senza frontiere, in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., pp. 66-67. L’espressione “figlio deviato” è sempre di Milly Buonanno e presente in M. Forno, Informazione e potere, cit., p. 230.
  33. M. Forno, Informazione e potere, cit., p. 230.
  34. Carlo Sorrentino, Introduzione. Perché occorre un discorso pubblico sul giornalismo, in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 19.
  35. Carlo Maria Lomartire, Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l’antipolitica, Milano, Mondadori, 2008, p. 11.
  36. M. Forno, Informazione e potere, cit., p. 230.
  37. Dichiarazioni di Feltri all’autore di questo saggio nella videointervista realizzata il 4/8/2023 e Silvia Truzzi, Vittorio Feltri: “Per me i giornali sono come le donne, dopo un po’ mi stufo”, 23 agosto 2015, in Vittorio Feltri: “Per me i giornali sono come le donne, dopo un po’ mi stufo”, ultima visita 25/01/2023.
  38. M. Buonanno, L’identità incerta dei giornalisti italiani, cit., in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., pp. 66-67.
  39. A. Agostini e M. Zanichelli, Studiare il giornalismo, cit., pp. 38-39.
  40. Ivi, p. 37.
  41. Ricardo Franco Levi ricorda l’Indipendente, visto il 16 febbraio 2023.
  42. Per una breve storia della novità rappresentata da “La Repubblica” si rimanda a M. Forno, Informazione e potere, op. cit., pp. 193-194 e A. Agostini, Giornalismi., cit., p.79.
  43. Carlo Sorrentino, Introduzione, cit., in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 17 e A. Agostini, Giornalismi, cit., pp. 42-43.
  44. A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p. IX.
  45. A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p. IX. e A. Agostini, Giornalismi, cit., p.32.
  46. Barbara Fenati, Il marketing editoriale, in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., pp. 171-172.
  47. C. Sorrentino, Introduzione, cit., in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p.31.
  48. Ivi, p.16.
  49. Per un breve cenno alla storia de “The Independent” si consiglia G. Gozzini, Storia del giornalismo, cit., pp. 264-265.
  50. Ivi, p.20.
  51. V. Feltri, Due anni dopo, in “L’Indipendente”, 19 gennaio 1994, pp. 1-2.
  52. Videointervista con Feltri del 4/8/2023.
  53. Ibidem.
  54. C. Sorrentino, Introduzione, cit., in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 26.
  55. A. Agostini, Giornalismi, cit., pp. 202-203 e A. Agostini e M. Zanichelli, Studiare il giornalismo, cit., p. 24.
  56. C. Sorrentino, Introduzione, cit., in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 16.
  57. Riguardo al concetto di sensazionalismo in ambito giornalistico si rimanda a A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., pp. 60-61. Interessante anche la riflessione di Papuzzi sull’utilizzo della titolazione «calda» sempre in A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p.195.
  58. A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p.196.
  59. Gianpietro Mazzoleni, La comunicazione politica. Terza edizione, Bologna, Il Mulino, 2012 [3^ ed. 1998], p. 160. Altre riflessioni sul giornalismo whatchdog o adversary si possono trovare in A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p.101 e p. 317, in G. Farinelli e al., Storia del giornalismo italiano, cit., p.319 e in G. Carotenuto, Giornalismo partecipativo, cit., p.68. Una definizione di “giornalismo contro” la si può trovare in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 56.
  60. Per un approfondimento sulla storia del qualunquismo e de “L’Uomo Qualunque” si consigliano Carlo Maria Lomartire, Il qualunquista. Guglielmo Giannini e l’antipolitica, Milano, Mondadori, 2008, Sandro Setta, L’uomo qualunque.1944-1948, Roma, Laterza, 1995, Angelo Miche Imbriani, Vento del Sud. Moderati, reazionari, qualunquisti 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1996. Si consiglia anche l’articolo di Maurizio Cocco, Le vespe qualunquiste e la satira politica, in Diacronie, N° 11, 3 | 2012, documento 4, online dal 29 ottobre 2012, consultato il 10 novembre 2023.
  61. G. Mazzoleni, La comunicazione politica, op. cit., p. 158. Altra definizione del giornalismo muckraking la si può trovare in A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p. 101 e p. 317.
  62. Giovanni Santambrogio, Parte quarta. Il mondo del giornalismo contemporaneo, in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 410.
  63. V. Feltri, Non potremo piacere a tutti, cit., 15 febbraio 1992, pp. 1-2.
  64. Per approfondire l’argomento si consigliano Salvatore Lupo, Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (1946-78), Roma, Donzelli, 2004, Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni Novanta, Venezia, Marsilio, 1992 e Alberto Asor Rosa, Un altro Novecento, Scandicci, La Nuova Italia, 1999.
  65. Sandro Setta, L’Uomo Qualunque, cit., p.284. Un giudizio simile su “L’Uomo Qualunque” è espresso anche in M. Forno, Informazione e potere, cit., pp. 147-148 e in P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 188.
  66. Per approfondire le cause si consigliano Giuliano Amato e Andrea Graziosi, Grandi illusioni. Ragionando sull’Italia, Bologna, Il Mulino, 2013, Enrica Asquer, Emanuele Bernardi e Carlo Fumian (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi. II. Il mutamento sociale, Roma, Carocci, 2014, Simona Colarizi e Marco Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2005, Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti, istituzioni. 1943-2006, Roma, Laterza GLF, 2007, Simona Colarizi, Agostino Giovagnoli e Paolo Pombeni (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi. III. Istituzioni e politica, Roma, Carocci, 2014, G. Crainz, Il Paese reale, cit., Alberto De Bernardi, Un paese in bilico. L’Italia degli ultimi trent’anni, Roma-Bari, Laterza, 2015, Andrea Di Michele, Storia dell’Italia repubblicana. 1948-2008, Milano, Garzanti, 2008, Silvio Pons, Adriano Roccucci e Federico Romero (a cura di), L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi. I. Fine della guerra fredda e globalizzazione, Roma, Carocci, 2014, Maurizio Ridolfi, Storia dei partiti politici. L’Italia dal Risorgimento alla Repubblica, Milano, B. Mondadori, 2008, Paolo Soddu, La via italiana alla democrazia. Storia della Repubblica 1946 – 2013, Roma-Bari, Laterza, 2017, Nicola Tranfaglia, Anatomia dell’Italia repubblicana. 1943-2009, Bagno a Rispoli, Passigli, 2010 e Stuart Woolf (a cura di), L’Italia repubblicana vista da fuori (1945 – 2000), Bologna, Il Mulino, 2007.
  67. Per approfondire meglio questi aspetti si consiglia G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio, Mani Pulite, cit.
  68. Videointervista del 4/8/2023. La videointervista è stata condotta da Jacopo Quagliani, autore di questo saggio, che ne detiene il possesso nella sua versione integrale.
  69. V. Feltri, In Italia i veri stranieri sono Andreotti e Craxi, cit., 9 giugno 1992, p. 19.
  70. V. Feltri, Una ricetta contro lo sfascio: cominciamo noi a cambiare, cit., 15 settembre 1992, p. 23.
  71. V. Feltri, Meglio l’avventura che la disavventura di questo regime, cit., 20 dicembre 1992, pp. 1-4.
  72. G. Santambrogio, Parte quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., pp. 410-412.
  73. V. Feltri, Amici della mummia tremate, cit., 13 novembre 1992, pp. 1-3.
  74. V. Feltri, Il congresso dei socialisti conviene farlo a San Vittore, cit., 30 maggio 1992, pp. 1-4.
  75. V. Feltri, Il Psi aveva perso la faccia e ora perderà il capo, cit., 6 giugno 1992, p. 1.
  76. V. Feltri, Garofani e banane, cit., 28 giugno 1992, p. 1.
  77. Milly Buonanno, Ibridazioni, sconfinamenti, fact e fiction, in A. Agostini e M. Zanichelli, Studiare il giornalismo, cit., p. 110. Lo stesso argomento è affrontato in A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p. 64 dove viene presentato questo tipo di giornalismo come «disinformazia».
  78. La frase viene attribuita in G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio, Mani Pulite, cit., p. 54. Anche Carlo Lucarelli nella puntata di Blu Notte dedicata a Tangentopoli attribuisce la frase a Feltri.
  79. ADDIO CRAXI, cit., 16 dicembre 1992, p.1
  80. Citaristi è il capocannoniere, cit., 17 febbraio 1993, p. II.
  81. V. Feltri, Era davvero un governo o una cosca?, cit., 10 aprile 1993, pp. 1-24.
  82. V. Feltri, Ora, elezioni anticipate, cit., 30 aprile 1993, pp. 1-28.
  83. V. Feltri, Forlani, in tv il cinismo dei codardi, cit., 19 dicembre 1993, pp. 1-32.
  84. V. Feltri, Ora toccherà a Forlani e a Occhetto?, cit., 14 gennaio 1993, pp. 1-3.
  85. V. Feltri, Meglio soli che male accompagnati, cit., 29 luglio 1993, pp. 1-28.
  86. Ibidem.
  87. V. Feltri, Le idee degli altri non ci fanno paura, cit., 7 novembre 1993, pp. 1-3.
  88. V. Feltri, Il cipresso solitario, cit., 2 dicembre 1992, pp. 1-5.
  89. V. Feltri, E Martinazzoli dov’è?, cit., 3 febbraio 1993, p. 1.
  90. V. Feltri, Agonia Martinazzoli il prossimo congresso lo farà a Musocco, cit., 21 marzo 1993, pp. 1-28.
  91. V. Feltri, Ma l’abitudine fa più paura degli scandali, cit., 13 maggio 1993, pp. 1-28.
  92. V. Feltri, Buon Ferragosto da Milano a Mogadiscio, cit., 15 agosto 1993, pp. 1-6.
  93. V. Feltri, Non potremo piacere a tutti, cit.
  94. Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell, Twenty-First Century Populism. The Spectre of Western European Democracy, New York, Palgrave Macmillan, 2008, pp. 1-9.
  95. S. Setta, L’Uomo Qualunque, cit. pp. 43-44.
  96. A. Agostini, Giornalismi, cit., p. 202. Sempre sulle «testate identitarie» si può vedere P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p.323.
  97. A. Agostini, Giornalismi, cit., p. 196.
  98. Feltri stesso si considera lo Scalfari di destra», G. Santambrogio, Parte quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 349.
  99. A. Agostini e M. Zanichelli, Studiare il giornalismo, cit., pp. 118-119.
  100. V. Feltri, Non siamo tutti ladri anche se a qualcuno non piace, cit., 2 dicembre 1992, p. 27.
  101. V. Feltri, Per salvare quel poco che resta, il rimedio è sempre uno solo, cit., 19 settembre 1992, p. 23.
  102. V. Feltri, Ora, elezioni anticipate, cit.
  103. V. Feltri, Tutti pagheranno tutto, cit., 10 gennaio 1993, pp. 1-4.
  104. V. Feltri, Caro Di Pietro, è meglio che si riguardi, cit., 14 giugno 1992, pp. 1-4.
  105. V. Feltri, Tempi cupi? No belli, anzi radiosi, cit., 2 marzo 1993, pp. 1-7.
  106. V. Feltri, Gli avvoltoi del neogarantismo, cit., 21 luglio 1993, pp. 1-28.
  107. Ibidem.
  108. Videointervista del 4/8/2023, cit.
  109. Per un interessante analisi filosofica della società italiana durante la storia repubblicana, e anche durante Tangentopoli, si consiglia Remo Bodei, Il noi diviso. Ethos e idee dell’Italia repubblicana, Torino, Einaudi, 1998.
  110. V. Feltri, La rivincita dei fessi, cit., 25 aprile 1993, pp. 1-4.
  111. V. Feltri, Ci sarà qualcuno che si può salvare?, cit., 23 gennaio 1993, pp. 1-6.
  112. V. Feltri, Il decalogo del buon ladro, cit., 9 maggio 1992, pp. 1-2.
  113. V. Feltri, Tutti pagheranno tutto, cit.
  114. V. Feltri, Eppure ci sarebbe un governo pulito, cit., 4 aprile 1993, pp. 1-7.
  115. V. Feltri, Il Club degli astuti, cit., 29 aprile 1993, pp. 1-24.
  116. V. Feltri, La rivincita dei fessi, cit.
  117. Videointervista del 4/8/2023.
  118. V. Feltri, Era diventato un uomo povero, cit., 24 luglio 1993, pp. 1-28.
  119. V. Feltri, Anche il bilancio in pareggio garantisce l’indipendenza, cit., 30 ottobre 1992, p. 27.
  120. V. Feltri, La pulizia costa cara, cit., 26 febbraio 1993, pp. 1-2.
  121. P. Soddu, La via italiana alla democrazia, cit., p.202. Per un approfondimento sulle origini del leghismo si consigliano Ilvo Diamanti, La Lega. Geografia, storia e sociologia di un soggetto politico, Roma, Donzelli, 1995 e Ilvo Diamanti, Il male del Nord. Lega, localismo e secessione, Roma, Donzelli, 1996. L’autore spiega la nascita e diffusione dell’iniziale fenomeno leghista e della «questione settentrionale» attraverso un approccio storico e sociologico, con particolare attenzione allo studio del rapporto tra il movimento politico e il territorio di diffusione. Dello stesso tenore è l’opera Anna Curcio e Lorenza Parini (a cura di), Attraverso la Lega. La costruzione del consenso sul territorio e le trasformazioni della società italiana, Bologna, Il Mulino, 2014, la quale permette un’analisi sociologica e storica del movimento leghista anche nei periodi successivi rispetto alle origini. Per un’analisi antropologica ed etnologica del leghismo si consiglia Marco Aime, Verdi tribù del Nord. La Lega vista da un antropologo, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2012. Di carattere più storiografico sono invece le opere Roberto Biorcio, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2010 e Paolo Barcella, La Lega. Una storia, Roma, Carrocci, 2022.
  122. Cfr. Roberto Biorcio, La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo, cit., p.14.
  123. Ivi, p. XII-XIII.
  124. V. Feltri, Non potremo piacere a tutti, cit.
  125. V. Feltri, Liberi anche da Bossi?, cit., 18 febbraio 1992, p. 8.
  126. V. Feltri, Tutti pagheranno tutto, cit.
  127. V. Feltri, Se i partiti non cambiano la gente non può seguirli, cit., 11 marzo 1993, p. 27.
  128. V. Feltri, I pregiudizi dividono il Paese, cit., 10 ottobre1993, pp. 1-2.
  129. V. Feltri, Figuracce da fessi in diretta sui Raitre, cit., 27 giugno 1992, pp. 1-6.
  130. V. Feltri, Il conformismo della stampa, cit., 24 dicembre 1993, pp. 1-32.
  131. V. Feltri, Tutto è in discussione tranne la democrazia, cit., 22 dicembre 1992, pp. 1-3.
  132. Sì, Sì, Sì, Sì, Sì, Sì, Sì, Sì ABBIAMO VINTO NOI (NON I PARTITI), cit., 20 aprile 1993, p. 1.
  133. V. Feltri, Ma Salmino Martinazzoli fa già parte dell’aldilà, cit., 27 marzo 1993, pp. 1-28.
  134. V. Feltri, Bettino ha le mani pulite?, cit., 9 dicembre 1992, pp. 1-4.
  135. V. Feltri, Essere indipendente non significa continuare ad ingannare la gente, cit., 23 ottobre 1992, p. 27.
  136. V. Feltri, Recessione e secessione, cit., 1° ottobre 1992, p. 1.
  137. A. M. Imbriani, Vento del Sud, cit., pp. 10-15.
  138. Ivi, p.11.
  139. V. Feltri, Politici spazzatura, cit., 12 giugno 1992, pp. 1-2.
  140. V. Feltri, L’Italia unita dalle mazzette, cit., 8 settembre 1992, pp. 1-2.
  141. V. Feltri, Il bello deve ancora venire, cit. 29 settembre 1992, pp. 1-2.
  142. V. Feltri, Adesso paghiamo la colpa di aver trascurato la politica, cit., 21 febbraio 1993, p.27.
  143. V. Feltri, Eugenio Scalfari porta sfortuna anche al Gattosardo, cit., 4 agosto 1993, pp. 1-2.
  144. V. Feltri, Federalismo e razzismo, cit., 21 ottobre 1993, pp. 1-28.
  145. V. Feltri, Un pirla oppure tre?, cit., 8 dicembre 1993, pp. 1-32.
  146. V. Feltri, Tutta propaganda per il Carroccio, cit., 6 gennaio 1994, pp. 1-3.
  147. «Fare il direttore dopo Montanelli era come succedere a papa Giovanni, la cosa mi attizzava», dichiarazione di Feltri nella videointervista del 4/8/2023.
  148. «Io se fossi in lei farei il capo del partito sennò non farei il partito perché mettersi in mano a tre morti di fame non ne vale la pena», dichiarazione di Feltri nella videointervista del 4/8/2023.
  149. Cristiano Draghi, Gli assetti proprietari e le politiche editoriali, in C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., p. 77.
  150. G. Gozzini, Storia del giornalismo, cit., p. 275 e G. Santambrogio, Parte Quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 556.
  151. Per un approfondimento sui «giornali-partito» e sul ruolo svolto da “Il Giornale” e “Libero” si rimanda a A. Agostini, Giornalismi, cit., p.140 e pp. 193-196, G. Santambrogio, Parte Quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 349 e P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 254 e p. 323.
  152. G. Santambrogio, Parte Quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 349.
  153. Ibidem, p. 431.
  154. C. Sorrentino (a cura di), Il giornalismo in Italia, cit., pp. 190-192.
  155. P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano, cit., p. 296.
  156. A. Papuzzi, Professione giornalista, cit., p. 99.
  157. G. Santambrogio, Parte Quarta, cit., in G. Farinelli e alt., Storia del giornalismo italiano, cit., p. 398.
  158. C. Sorrentino (a cura di), Il Giornalismo in Italia, cit., p. 192.
  159. Per un approfondimento sul processo di mediatizzazione della politica si consigliano Antonio Gibelli, 26 gennaio 1994, Bari-Roma, Laterza, 2018 e Piero Ignazi, Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo, Bologna, Il Mulino, 2014.
  160. A titolo di esempio si riportano alcuni giudizi. Simona Colarizi e Marco Gervasoni considerano Tangentopoli «una svolta storica con soluzione di continuità» (S. Colarizi e M. Gervasoni, La tela di Penelope, cit., p. 32.) mentre Maurizio Ridolfi la chiama «una rivoluzione senza presa del Palazzo d’Inverno» (Maurizio Ridolfi, “Tangentopoli”: storia e memoria pubblica nella crisi di transizione dell’Italia repubblicana, in S. Colarizi, A. Giovagnoli e P. Pombeni Paolo, L’Italia contemporanea dagli anni Ottanta ad oggi, cit.). Alberto De Bernardi definisce il periodo successivo a Tangentopoli un «dopo-Prima Repubblica», sintetizzando l’idea di un processo di cambiamento irrisolto che diventa sempre più incerto e costantemente rinviato (A. De Bernardi, Un Pese in bilico, cit., pp. IX-X). Nicola Tranfaglia arriva a sostenere che, in virtù di questi mancati cambiamenti, non ha senso neanche parlare della nascita di una Seconda Repubblica e della fine di una Prima (N. Tranfaglia, Anatomia dell’Italia repubblicana, cit., p. 154.). Una interessante eccezione a tutte queste posizioni è l’opera Aldo Schiavone, L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale, Roma-Bari, GLF editori Laterza, 2009.

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