Strani animali in terra di Misr. Le testimonianze dei viaggiatori medievali tra realtà, esotismo e immaginazione
Beatrice Borghi, Strani animali in terra di Misr. Le testimonianze dei viaggiatori medievali tra realtà, esotismo e immaginazione, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 4, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11306
Perché raccontare il mondo animale
Per una serie di circostanze nei primi decenni del XVI secolo Bologna fu teatro di eventi di enorme risonanza che coinvolsero personaggi e istituzioni sovranazionali e che interessarono più o meno direttamente non solo la gran parte dei paesi europei, ma anche i vasti quadranti delle terre d’Oltreoceano da poco sottoposte alle conquiste europee. A quella transitoria visibilità concorsero, oltre alle congiunture e alle opportunità politiche del momento, la fama e il prestigio internazionali che le derivavano dall’esser stata un fulcro culturale che aveva conservato una capacità di richiamo e di rispetto che travalicava le sempre più nette confinazioni degli stati europei. Si trattava di una vocazione cosmopolita che tutti le riconoscevano e che ne faceva la sede adatta per quegli incontri al vertice per i quali la scelta di una delle capitali dei negoziatori avrebbe significato un eccessivo vantaggio dell’uno sull’altro.
A rendere ancora più opportuna questa sua funzione di centro ideale per gli incontri diplomatici di carattere internazionale c’era il fatto che il papato, benché scosso dalle ricorrenti crisi di una difficile transizione, rimaneva l’interlocutore d’obbligo per tutti i grandi sovrani europei. Mentre costoro consideravano la città bolognese come il luogo migliore per incontrarvi i pontefici senza l’eccesso di reverenza che comportava una visita alla Santa Sede, il papa manteneva comunque il privilegio di ricevere nei propri domini gli illustri e potenti ospiti1.
Fu così che a Bologna per mezzo secolo si susseguirono incontri e cerimonie di portata internazionale. Nel dicembre 1515 dopo i colloqui tra papa Leone X e il sovrano francese Francesco I vi si promulgò la pace detta appunto di Bologna; tra il novembre del 1529 e il marzo del 1530 vi si svolsero gli accordi tra Clemente VII e Carlo V, suggellati dalla doppia incoronazione di quest’ultimo a re d’Italia e a Imperatore; un nuovo incontro tra questi due protagonisti si tenne tra il dicembre 1532 e il febbraio 1533; e infine dal marzo 1547 al settembre 1549 fu traslato qui il Concilio di Trento2.
Fu così che a Roma nel marzo del 1514 giunsero da Lisbona un numero ragguardevole di animali esotici3, oltre a splendidi gioielli, che il re del Portogallo Manuel I ottenne dalle sue conquiste in Africa del Nord e dall’estremo Oriente e destinate a papa Leone X. Immaginate e osservate, – lo stesso pontefice ne rimase affascinato, e chi non lo sarebbe stato! – quelle meraviglie attestavano le innumerevoli ricchezze ancora celate nei territori posti sotto il dominio musulmano oltre a fortificare il prestigioso di chi le riceveva. La curiosità per le terre dell’altro era evidente, di fatto lo era sempre stato, accresciuta ancor di più dopo l’espansione ottomana. Lo sappiamo dal viaggiatore al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan (1485-dopo 1554), meglio conosciuto col nome di “Leone l’Africano” battezzato Giovanni Leone de’ Medici, attribuitogli dallo stesso pontefice, che divenne presto il principale testimone oculare della geografia, cartografia e storia dell’Africa, colui che assolverà la funzione di divenire un operatore culturale sospeso e in dialogo tra due mondi.
Ciò interessò anche la moltitudine di comunità umane e la varietà di mondi animali che si presentarono e permasero per mesi nella città felsinea. In occasione del secondo incontro bolognese tra Clemente VII e Carlo V avvenuto tra il dicembre 1532 e il marzo 1533, apprendiamo da Leandro Alberti nelle sue Historie, quanti oggetti di oltreoceano furono presentati al pontefice da un certo “frate Domenico spagnuolo” che “veniva dalla Nuove Indie”, e tra questi:
[…] due coperte da letto fatte et tessute di pene di papagalli di diversi colori, cioè azuri, verdo, negro, giale … che pareano di veluto. […] Poscia vi diede stolle, manipuli et granite da camice fatte similmente et degnamente lavorate di dette penne … Anche li presentò alcuni libri molto ben dipinti che pareano figure hieroglifici, per le quali intendevansi fra loro, come noi faciamo per le lettere […] un pezzo di finissimo alabastro lavorato a simiglianza di un piccolo monte sopra lo quale era posto una croce alta circa mezzo piede di calcidonio4.
Tra Roma e Bologna, la città di Firenze che aveva mantenuto costanti rapporti con l’Oriente. Tra le numerose ambasciate ricordiamo quella di Felice Brancacci e Carlo Federighi del 1422 che, su invito del Sultano mamelucco Barsbay (r.1422-1438), raggiunsero Il Cairo per ottenere agevolazioni e privilegi di natura economica e commerciale5.
Al fine di mantenere un clima favorevole alla comprensione reciproca dei rispettivi paesi, l’11 novembre 1487 giunse in città, con un trionfale ingresso e stupore dei presenti, l’ambasciatore egiziano Mohamed Ibn-Mahfuz. Non solo lui e il suo ragguardevole seguito, ma perfino un numero significativo di animali esotici che il Sultano mamelucco Qāi’t Bay aveva inviato in dono a Lorenzo de’ Medici: «uno lione dimestico, una giraffa, un cavallo corridore, uno becco e una capra con orecchi grandi cascanti, uno castrone e una pecora con code grosse»6; animali forti come il leone e rari come la giraffa volevano attestare politicamente il prestigioso raggiunto dal Signore di Firenze7, strumenti stranieri per accrescerne la popolarità; oltre, come ricorda Luca Landucci, molti, preziosi e unici «fiaschi pieni di balsamo»8. La giraffa, quell’animale che Frescobaldi, qualche secolo prima, nella sua permanenza in Egitto descrive «corpulenta come comunale cammello, e mansueta come pecora, e di pelo di cervio», con i piedi somiglianti ad un bue, le cui gambe posteriori erano lunghe circa due braccia ed anteriori di quattro, la coda come quella di una capra, col lunghissimo collo e con testa simile ad una vitella con corna rivestite di pelle affini a quelle del capriolo 9.
La giraffa, l’elefante e altri animali, particolare del Trittico del Giardino delle delizie, Hieronymus Bosch, 1503-4, Museo del Prado, Madrid
Sebbene non esistessero nel medioevo discipline scientifiche autonome col nome di “botanica”, “zoologia” o “zoografia” nel senso moderno, l’apporto documentario a nostra disposizione riguardante la letteratura odeporica è considerevole e in grado di restituirci uno sguardo attento e interessato sulle scienze naturali e sullo studio degli animali.
I diari di viaggio sono straordinarie fonti narrative per indagare i contesti culturali, sociali, ambientali di quello che per secoli è stato categorizzato nel termine “altro”.
È ormai convinzione acquisita che se si desidera afferrare il senso profondo di qualsiasi fatto che si è verificato nel passato per pervenire a spiegazioni più generali, si debba necessariamente ricorrere all’utilizzo di tutte le fonti disponibili senza operare una distinzione pregiudiziale tra quelle di natura documentaria, memorialistica, cronachistica, letteraria e figurativa. Possiamo pertanto affermare con convinzione che la diaristica offre prospettive di analisi del passato alla pari delle fonti documentarie, che oramai è ridondante e superfluo ritornare sull’argomento e continuare a confermarne la loro validità.
Lo spirito del tempo, la visione delle società in qualsiasi parte del mondo e le sue necessarie implicazioni ideologiche e psicologiche, se non politiche – come abbiamo appena visto – non sarebbero così leggibili e cristalline senza tutte le opere letterarie che di quel periodo sono il principale strumento di rappresentazione. Fonti che sanno entrare dentro la Storia attraverso testimonianze reali che tuttavia non rinunciano alla tangibilità dell’immaginario e del magico, raramente messi in discussione. L’interesse suscitato dalla zoologia procedeva verso il senso della ricerca dell’incanto come attestato nell’imponente volume dell’enciclopedista e cosmografo Zakariyya ibn Muhammad al-Qazwini (1202-1283) Le meraviglie delle creature10, dove l’intero universo e il mondo animale obbediscono al disegno di un Artefice che lo ha donato a loro con sapienza e bellezza. Chi li osserverà non potrà che riceverne meraviglia, perché anche la natura e l’ambiente, pur con le sue dicotomie tra armonie ed estreme durezze, stimolano nel genere umano lo stupore della complessità del piano divino e l’umiltà e l’accettazione di essere interamente dipendente da tale grandezza divina.
Il saggio pone dunque l’attenzione sulle informazioni di zoologia proposte da alcuni diari di viaggio del periodo tardo medievale, a partire dalle stesse autorevoli fonti antiche come Aristotele e Plinio, da cui gli autori attingono per avvalorare la scientificità dei loro scritti, e dove l’interesse per il mondo ambientale e animale occupava uno spazio pregevole, quasi da definire, in alcuni casi, le relazioni vere opere monografiche, che si muovevano tra il letterario, l’approccio sapienziale e l’apporto teologico.
Il giurista egiziano Al-Damîrî (1344-1405) che trascorse la maggior parte della sua vita al Cairo, fu il primo autore che racchiuse nella sua opera La vita degli animali l’intera conoscenza nell’ambito zoologico del mondo arabo citando in ordine alfabetico 931 animali, molti dei quali richiamati nel Corano11, nelle leggende, poesie e nei proverbi.
Il dono del Nilo, tra fauna esotica immaginata e osservata
L’Egitto ha sempre suscitato nei viaggiatori medievali un’attrazione particolare, tra ammirazione e timore, tra fascinazione e sospetto; difficile rimanere indifferenti agli evidenti contrasti del paesaggio, dei costumi, della religione e di tutti gli aspetti del quotidiano12. Estremi opposti – dai giardini fertili e ricchi frutteti all’arido e secco deserto mortale – che compenetrandosi facevano dell’esperienza egiziaca la più ricercata e la più temuta. Tra le bellezze insospettabili sicuramente quelle ritrovate nello spettacolo della natura. L’incontro comunque con la diversità dei variegati mondi umani e ambientali – nella specie animali – ha permesso di ripensare l’universo occidentale e di ampliare l’oikoumenê, le cui fondamenta si ridefinirono nel tardo medioevo anche attraverso la necessaria e sentita conoscenza delle manifeste, e talvolta coincidenti, contraddizioni.
Immaginati, inventati, osservati gli animali hanno sempre occupato un posto rilevante nelle pagine dei racconti di viaggio.
La curiosità di confermare quanto si era sentito raccontare ha portato Erodoto in Arabia, in una località di fronte alla città di Buto per verificare l’esistenza dei leggendari “serpenti alati”.
Quando vi giunsi, vidi resti e scheletri di rettili in quantità indescrivibili: interi cumuli di spine dorsali, un gran numero di cumuli grandi, piccoli e di medie dimensioni. La località dove le ossa giacciono ammucchiate si presenta così: un passaggio fra anguste montagne verso un’ampia pianura, la quale è collegata alla piana d’Egitto. Si racconta che all’inizio della primavera i serpenti alati volano dall’Arabia in direzione dell’Egitto, ma che gli ibis li affrontano all’ingresso di questa regione e impediscono loro di entrare, anzi ne fanno strage. A ciò gli Arabi fanno risalire il grande onore tributato agli ibis dagli Egiziani; e gli Egiziani stessi sono d’accordo nello spiegare così il rispetto che portano agli ibis.
A proposito dell’uccello tutto nero con zampe simili a quelle di una gru con becco ricurvo, lo storico di Alicarnasso scrive che era grande quanto una gallinella.
Così si presentano gli ibis neri, quelli che combattono contro i serpenti alati; ma le specie di ibis sono due, e quella che gli uomini si trovano tra i piedi è così: ha nudi la testa e il collo, tutte bianche le piume tranne che sul capo, sulla gola e sulla punta delle ali e della coda, dove sono al contrario perfettamente nere; per zampe e sagoma è simile all’altra specie.
L’Egitto, in arabo Misr, è il paese delle origini, dell’antichità, dei maestosi e imponenti templi, delle sacre scritture, della rappresentazione nei millenni dell’archetipo delle origini sognato, ambito, misteriosamente attrattivo e concretamente reale, oggetto nel tempo di riscoperte e reinterpretazioni da parte dei viaggiatori. Grandi e densamente popolate risultano ai loro occhi le città del Levante ed effettivamente dovevano esserle, benché quanto prodotto dalla terra rimanesse la fonte principale della prosperità delle aree del mediterraneo orientale13. Le descrizioni pervenuteci sull’universo animale del periodo medievale sono straordinariamente ricche di dettagli.
Lo storico ‘Abd al-Latīf al- Baghdādī (1162-1231), nel suo racconto d’Egitto14, ci ha lasciato pagine di grande fascino e interesse su una molteplicità di argomenti che spaziano dall’archeologia, alla storia, alla botanica e alla zoologia, con una dovizia di particolari, quasi enciclopedici, sul mondo animale e sulle modalità di allevamento.
Originario di Baghdad, fu testimone come dice nello stesso titolo dell’opera degli “eventi visti in terra d’Egitto”, ascoltati anche da osservatori diretti.
Il terzo capitolo della sua relazione, dedicato al mondo animale che abitava la terra di Misr, si apre con la descrizione della “arte di covare i polli con il letame” anche perché era raro trovare nel paese «polli nati naturalmente dalla covatura della gallina»15.
Si trattava di un mestiere redditizio e molte erano “le botteghe dedicate a questo tipo di industria” chiamate “fabbriche di polli”16. Dopo averle delineate nelle sue dimensioni, le “stanze di cova” potevano contenere ciascuna fino a 2.000 uova che erano disposte una accanto all’altra su foglie sminuzzate, coperte da strisce di stuoie (Dīs, Scirpus pianta palustre o anche di papiro) e avvolte dal calore emanato dalle stufe, nelle quali si trovavano cesti di sterco di vacca. Al complicato e dettagliato processo di incubazione, tecnica peraltro menzionata da Diodoro Siculo nella “Bibliotecha historica”17, seguiva poi la degustazione ovvero il momento in cui le uova venivano controllate un’ora dopo la cova avvicinandole agli occhi dell’esaminatore per verificarne il grado di calore: “se trovano che pizzicano l’occhio, le girano tre volte”, una pratica, ci ricorda l’autore ad «imitazione di ciò che fa la gallina facendo girare le uova con il becco e mostrando il suo grado di calore usando l’occhio. Si chiama esame del primo udito»18.
Lo scrittore ci parla degli asini ritenuti animali di lusso benché fossero comuni in Egitto. Venivano montati con selle ed erano veloci come i cavalli – la cui razza è definita dal viaggiatore “eccellente” – e i muli con i quali spesso si confondevano per la loro altezza; animali che venivano utilizzati prevalentemente dalle comunità ebraiche e cristiane. Di ampie dimensioni e di bella forma erano le giovenche le cui corna assomigliano ad archi, e producevano molto latte19.
Quanti animali avremmo incontrato lungo il Nilo, tanti, moltissimi! Sicuramente gli immancabili coccodrilli (“iguane di terra”), di diversa grandezza, presenti nella regione delle cateratte. L’autore, citando Aristotele20, tratteggia le caratteristiche della femmina che deponeva uova simili a quelle delle galline in un numero di 60, una quantità che «sembra comune per questo animale, che ha 60 denti e 60 vene, e che durante l’accoppiamento eiacula 60 volte il liquido seminale e potrebbe vivere 60 anni» 21.
Nel Nilo, nei dintorni di Tinnis e Damietta e vicino ad Assuan, avremmo trovato un variegato mondo animale e ittico grazie anche alla confluenza del fiume con il mar Mediterraneo: dal delfino allo scinco, rettile simile ad una iguana – anch’essa presente –, generato da uova depositate a terra come quelle del coccodrillo. E ancora il “pesciolino di Sidone” utilizzato, pure lo scinco, come afrodisiaco, poi l’ippopotamo chiamato “il cavallo di fiume dell’Egitto” enorme animale “spaventoso” e di una “forza sorprendente” che era in grado di rovesciare le imbarcazioni con «una grande fronte, mascelle molto irregolari, denti finemente affilati, il petto grande, la pancia prominente, le gambe corte» che aveva molto in comune con il bufalo, sebbene non dotato di corna, la cui voce era rauca come il “nitrito del cavallo, o meglio, quello del mulo”22. Al-Baghdadi cita inoltre il pesce al-Ra”ād così chiamato perché “se lo si tocca mentre è vivo si ha una scossa prorompente” che produceva un forte dolore fisico accompagnato dal formicolio delle membra e da una grande spossatezza con effetti anestetizzanti. Impossibile esporre tutti i pesci, scrive l’autore, ma tra questi una menziona particolare vanno al serpente d’acqua (Rhabdosargus sarba) che si trovava nelle rive di Alessandria d’Egitto che provocherebbe in chi lo mangia terribili incubi, soprattutto a “stranieri e a persone non abituate” a ingerirlo; alla tartaruga gigante (Tirsah o anche Lagāt) da lui avvistata e, infine, al mollusco chiamato tellina, di forma triangolare grande come un’unghia, dal sapore molto gradevole23.
Ibn Battūta (1304-1369) in viaggio verso al- Mahalla al-Kabīra descrive le molte palme, alberi da frutta, uccelli marini e un tipo di “pesce cosidetto al-būrī”24 ovvero il muggine conosciuto comunemente come cefalo. Sarà a Damietta che il viaggiatore marocchino registrerà un numero considerevole di uccelli marini di grandi dimensioni, diverse preparazioni a base di latte di bufala «che non hanno uguali per la dolcezza e la bontà del gusto, e il già ricordato pesce detto al-būrī che viene esportato in Siria, in Anatolia e al Cairo»25.
Spostandoci verso il XV secolo, sempre a proposito del policromo mondo animale lungo il fiume Nilo, il pellegrino di Bruges Anselmo Adorno (1424-1483) riporta la presenza a sud del territorio di numerose isole dove cresceva in abbondanza il legno di aloe, ricche di pietre di cornalina ed animali simili ai serpenti (con «quattro piedi corti come gli orsi e una lunga coda nella quale si concentra tutta la loro forza; essi divorano tutto quello che trovano»26) chiamati nella lingua locale “themesa”. Questi animali – evidentemente i coccodrilli – come altri, rendevano pericolosa la navigazione; ingurgitavano talmente tanto cibo che il più delle volte non riuscivano completamente a digerire, ed era per tale motivo che «la natura, maestra di tutte le cose ha creato dei piccoli uccelli»27 che entravano nelle fauci dell’animale e si cibavano del surplus assorbito.
Il castigliano Pero Tafur (1436-1437) raccontando del golfo di Damietta ci riferisce che riceveva il Nilo «que procede de Paraíso terrenal”28 per entrare nel mar mediterraneo. La città, priva di mura e castello, era paragonata per la sua grandezza a Salamanca, vi si trovavano in abbondanza pane, uva, frutta, zucchero, aveva un clima molto caldo ed era piena di “camadrejas” (donnole denominate “ratas del faraón”) che si riteneva potessero uccidere un coccodrillo e che scorrazzavano nelle vie e all’interno delle abitazioni. Anche i “cocadriz” attirarono la curiosità di Tafur. Visto l’elevato numero di loricati e in assenza di ponti che collegavano le sponde del fiume, la gente era costretta a muoversi con imbarcazioni. Aveva sentito parlare, ma mai visti dall’autore, degli ippopotami che sembrerebbero innocui 29. Tra gli animali, il viaggiatore ricorda le quaglie, numerose come in Castiglia.
Francesco Suriano (1450-1529) si recò in Egitto due volte, nel 1462 e nel 1503. Dopo aver delineato la geografia del Nilo, ne rimarca pure lui la presenza di molti coccodrilli, che giacevano fuori dall’acqua, al sole, lunghi sei braccia; animali velenosi e con le loro quattro zampe simili alle lucertole la cui pelle consistente e dura veniva utilizzata per ricoprire le porte della Roche e di ogni altra fortezza.
Lungo le vie del Cairo
Ibn Battūta arrivato al Cairo «punto di incontro di ogni va e vieni, luogo di sosta per deboli e potenti, dotti e ignoranti, seri e faceti, assennati e stolti, umili e insigni, nobili e plebei, emeriti sconosciuti e personaggi famosi», dopo aver descritto i principali edifici pubblici osserva i tanti cammelli che «a quanto dicono ci sono 12.000 acquaioli a cammello e 30.000 noleggiatori di bestie da soma»30. Dopo Luxor, il viaggio prosegue alla volta di Isnā e ‘Aydhāb, importante porto della costa occidentale del mar Rosso “dove si trovano pesce e latte cagliato in abbondanza” 31, mentre il grano e i datteri sono importati dall’Alto Egitto.
A proposito del cammello, per Leone l’Africano l’animale rifletterebbero la doppia immagine data nel Levitico (9,4) di impurezza (perché rumina, ma non ha l’unghia spartita) e regalità, quest’ultima dovuta alla funzione di essere stato montato dai Re Magi. Il geografo maghrebino ne sottolinea la sua sensibilità verso la musica e il ballo. Lui stesso apprese l’arte di far danzare un animale dal suo maestro:
[…] si elegge un giovinetto camello, il quale si lascia stare per una mezza ora in una stanza fatta aposta come una stufa, il cui terrrazzo sia riscaldato dal fuoco; e sonando uno di fuora il tamburo, il camello, non per virtù del suono, ma per cagione di quel caldo che gli offende i piedi, ora alza una gamba ora un’altra, come fanno quei che danzano. Ed essendo egli avezzo a questo per dieci mesi o per un anno, dipoi menato in un luogo publico, tosto ch’ei sente il suono del tamburo, per rimembranza di quei giorni ne’ quali sentiva il calore del fuoco, tenendosi di esser su quel battuto alza similmente i piedi e per ch’ei balli32.
Lionardo di Niccolò Frescobaldi (1324-post 1413), membro di una importante famiglia mercantile fiorentina che negli anni 1348-1385, all’età di 60 anni compì in compagnia di altri dodici toscani (tra cui Giorgio Gucci e Simone Sigoli) un lungo pellegrinaggio in Oriente.
Raggiunta Il Cairo, ci narra, tra realtà ed illusione della realtà, di pecore con quattro corna, di capre con orecchie talmente lunghe che toccavano terra e degli elefanti che animavano le vie della città. Animali definiti da Niccolò Poggibonsi “travisati” ovvero alterati, falsificati. Osservati a Damietta «come capre ch’aveano gli orecchi infono in terra lunghi» e pure «castroni che aveano la coda larga parecchi spanne, e era tonda a modo d’uno tagliere, ed è sì grave che nolla possono portare se none poco allunga»33.
Nel Cairo sono elefanti, de’ quali è la forma quasi come si dipingono; ed erane uno nel cortile d’uno ammiraglio il quale era legato per tre piedi con tre catene di ferro a tre grossi pali; e sappiate che le sue gambe non hanno giunture nel ginocchio, anzi sono d’un pezzo e sono grosse come un comunale uomo è nella cintola. Il piede suo è tondo come un aliosso e ha intorno sei dita. La coda sua è caprina, gli orecchi sono come ale di pipistrello e grandi come tavolacci d’arme e pendenti in giù come di segugi. Ha due denti di sotto ritti in su, grossissimi e larghi e lunghi circa tre braccia ciascuno.
Il suo naso è grossissimo allato alla bocca ed è lungo infino in terra, sanza avervi dentro osso, e dalla parte di sotto è come due bocche di lamprede; e con questo prende il suo cibo e avvolgendolo a modo di ruotolo all’ingiù e mettendoselo nella bocca. la quale ha dalla parte di sotto quasi come storione, e colle nari del naso gli vedemo vuotare un bacino d’acqua sanza ristare e gittarla alta più di XV braccia, e mugghiava si forte che pareva un tuono. E non è meraviglia, perocché la sua forma era per più di tre grandi buoi da carro.
Il suo gubernale gli pose addosso una grandissima sella, che dalla parte di sopra era ritratta a modo di un pergamo, nel quale sarebbono stati parecchi uomini armati.
Le giraffe attrassero lo sguardo dei viaggiatori, ritrovabili in molte parti del mondo arabo, in quanto si presentavano come un piccolo trattato di zoologia, per le loro somiglianze ad animali diversi; e poi i cammelli che lasciarono stupefatti molti degli esploratori, oltre ad essere l’unico veicolo di spostamento se si decideva di attraversare il deserto per raggiungere il Sinai e poi la Terrasanta.
Anselmo Adorno arrivò al monte Sinai il 24 agosto 1470. Fin da subito, si pose il problema di trovare un interprete fedele «è auspicabile, ma è un uccello raro in questo paese», gli approvvigionamenti e i cammelli che «li cavalcherai in due, intendo due per un cammello, in ceste appese ai lati dell’animale. All’inizio, questo può sembrarti strano e duro, perché i cammelli, come navi in tempesta, ti spingeranno avanti, ma presto l’abitudine creerà una seconda natura e non te ne accorgerai più»34.
Nel deserto si viaggiava dunque solo coi cammelli e per farli andare più veloce, Frescobaldi ci dice di “certe nenie”35 che venivano cantate per far sveltire l’andatura; certamente l’animale era il mezzo ritenuto più comodo per spostarsi nell’arido e profondo deserto, come ricorda Ibn Gubayr (1145-1217) «stante la loro resistenza alla sete». Salirci ed accomodarsi nelle ceste menzionate dal pellegrino di Bruges non doveva essere semplice. Le portantine, di cui la migliore qualità, ci dice il poeta andaluso, era quella fabbricata nello Yemen, erano come gli ašākīn (scanni), rivestiti di cuoio e comodi.
Si accoppiano a due a due con delle corde robuste e si collocano attraverso ai camelli. Intorno hanno dei sostegni piantati agli angoli, sui quali è tirata una tenda. Il viaggiatore si mette dentro col suo compagno di cavalcatura, al riparo dal calore meridiano, e se ne sta adagiato sul suo tappeto, o seduto od appoggiato sul fianco, ed insieme con lui prende quanto gli occorre di cibo o d’altro, e, volendo, legge o Corano o altro libro; e chi crede lecito giuocare agli scacchi, se desidera fare una partita col compagno per divertimento e riposo dell’animo, giuoca con lui36.
L’animale appariva docile e obbediente, tanto che «ad un cenno del padrone si piegano sulle ginocchia, scendono col ventre a terra e in questa posizione, chini e appoggiati al suolo, sono abituati ad essere tranquillamente caricati e scaricati dei pesi»37; inoltre, le portantine servivano ad alleviare le sofferenze del viaggio.
L’Evagatorium di Felix Fabri (1440 ca.-1502), resoconto del secondo viaggio del domenicano di Ulm in Terrasanta composto tra il 1484 e il 1488 con aggiunte posteriori, è un diario quasi quotidiano, scritto con uno stille brillante, che procede secondo i fatti principali, dove ogni mese costituisce un trattato dell’opera e ogni giorno un capitolo, con una straordinaria ricchezza di dettagli geografici, naturalistici, commerciali, politici e religiosi e che l’autore dedica ai confratelli del suo convento.
A proposito dei volatili, Fabri ci descrive l’abilità degli egiziani nell’allevare i piccioni, principali messaggeri del re38; competenza sottolineata anche dall’Adorno appena sopraggiunto ad Alessandria d’Egitto. Poco dopo il suo arrivo, infatti, alcuni ufficiali dell’emiro ispezionarono la nave proveniente da Tunisi informandosi sulle merci trasportate e sul comandante. Notizie che tramite l’uso di piccioni39 viaggiatori furono poi trasferite all’emiro, il quale, dopo aver appreso della consistenza del carico, accordò all’istante al pellegrino di Bruges l’autorizzazione ad entrare in città.
Ibn Battūta ci attesta l’impiego dei colombi viaggiatori nel barīd – servizio postale – già in uso parzialmente in epoca ayyubide e che venne istituzionalizzato poi in Egitto e Siria dai Mamelucchi40. Ugualmente Pero Tafur ci informa che i numerosi piccioni viaggiatori erano dotati nella coda di molte piume che permettevano di racchiudere i foglietti di carta per comunicazioni diplomatiche e riservate.
Il racconto della visita di Fabri al dār dell’emiro di “Tanguardin”41 è quasi un trattato di zoologia. Dapprima l’autore si focalizza sulla descrizione di una delle tante stanze che lo compongono, quella che conteneva al centro una grande gabbia dove era rinchiuso lo zibetto africano definito una «bestia selvaggia, dalle dimensioni di una volpe, di un colore simile al pelo del lupo, ma con zampe più corte e con la testa da gatto». Ci informa che quest’esemplare femmina era chiamata “saweta” e che, secondo quanto riportato del turcimanno presso il Sultano, era fonte di guadagno (un ducato a settimana) dal momento che l’animale produceva una preziosa sostanza ogni sette giorni ovvero un’essenza torbida di color cenere, il cui profumo era simile al muschio. Molti pellegrini, ci dice Felix, erano disposti a pagare diversi ducati pur di ottenere il prodotto che assomigliava per consistenza alla farina d’avena42. Ma, le sorprese non erano ancora finite per il forestiero. All’interno del palazzo del sultano, Fabri vide infatti un leopardo – “risultato dell’accoppiamento di un leone e di un pardus” – attaccato ad una catena, addomesticato ed utilizzato soprattutto per cacciare. Ci riporta l’autore che i predatori venivano catturati vicino alle città del Cairo e di Alessandria e acquistati, generalmente quelli più giovani, al costo di un ducato. All’interno di un piccolo atrio, Fabri scorse tre grandi struzzi (“cavalieri pronti all’attacco” per Leone l’Africano43), portati dal deserto dove vivevano, come lui stesso aveva potuto riscontare durante l’attraversamento del Sahara. Richiamando l’opera di Vincent de Beauvais “Speculum naturale”, Felix osserva che per dimensione l’uccello, incapace di volare, era molto simile ad un asino, sebbene quelli da lui scrutati assomigliavano per taglia più alle pecore; e citando la Genesi sarebbero dotati di un carattere freddo, distaccato e crudele probabilmente determinato dal luogo della loro provenienza44.
Più familiare risultò per l’autore l’incontro con la bellezza colorata dei “nobili” pappagalli, comunemente presenti in Egitto e originari delle rive dell’oceano indiano. Definito un uccello “sensuale”, che si “inebria di vino che beve con piacere” e si nutre con la zampa “come un uomo con la sua mano”, era provvisto di un’“ammirevole abilità per stimolare l’ilarità degli uomini”. Fabri si ritrovò a parlare con uno dei volatili, tanto da insegnargli qualche parola in tedesco “ragazzo, vieni qui da me!”, che il pennuto riuscì, poco dopo, appena lo rivide a pronunciare45. Dagli “uccelli del paradiso terrestre” originari, secondo Diodoro Siculo dall’Assiria, si passa ad ammirare nelle scuderie del sultano i cavalli da corsa, i destrieri e i palafreni di cui l’Egitto vantava le migliori razze equine e da cui provenivano, come ci tiene subito a rimarcare Fabri, quelli di Salomone (Chroniques, 1, 16-17)46. E poi lo stupore, anche per lui, nell’incontrare una giraffa, “bella, dolce” e grandissima tanto che se fosse stata sulla piazza di Ulm, davanti alla casa dei governanti (“Maestri fiduciari della città”) “avrebbe potuto prendere il cibo dalla finestra della stufa”47; e infine gli incontri col temuto e minaccioso leone (“non mi farebbero mai ritornare al Cairo per ricontrare questa bestia”48), e con l’orso e le scimmie.
Animali visti, osservati, indagati, tra realtà e immaginario, fantastico e mostruoso. Da Plinio, Solino e dai Bestiari, in particolare dal Physiologus attinse anche il viaggiatore del XIV secolo Jean de Mandeville nel suo Voyage d’outre mer, fondato anche sull’osservazione diretta in Egitto, in Terrasanta e Levante. Ad Eliopoli chiamata “la città del sole”, il viaggiatore ci descrive il tempio “fatto a modo di quello di Gierusalem” dove si trovava un prete che «à perscritto el tempo d’uno uccello chiamato Fenice, e mai non è stato altro che uno al mondo». Animale mitologico (lat. phoenix, “rosso porpora”) definito anche con l’epiteto di “uccello di fuoco” capace di domare il fuoco e di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte è «certo questo è un gran miracolo di Dio!». Avvistato in Arabia,
non già più grande che una aquila, e à una cresta sopra la testa più grande che non à el pagone. E à el collo giallo, do color d’uno oro be’ lucente; e à el dosso indo, e à le alie di purpura colorite, e à la coreggia rossa per traverso, e il collo rosso, ed è bello da vedere al sole, però che luce molto nobilmente49.
La fenice, miniatura tratta dal Bestiario, ms. Harley 4751, c. 45v, XIII sec., British Library, Londra
Diversa accezione viene data da Suriano, che definisce il rapace “phenice” un semplice volatile, come se ne sarebbero incontrati tanti in Oriente, il quale avevano «in cappo la corona come lo pavone, grande di corpo, oghie, ochio, e de piuma bellissima. El collo è d’oro; de soto rossa; la coda azura, e vive longo tempo»50.
Fabri, citando Albert le Grand e il suo Libro degli animali (XXIII, c. 4), rimarca che l’uccello non era originario dell’Egitto ma dell’Arabia e si dice vivesse oltre cinquecento anni51.
Tra i tanti animali mitologici, una menzione merita l’unicorno. Felix incontrò nel deserto il “rhinocerotem”, da lui identificato con l’unicorno, animale di grande forza che né l’astuzia né il valore dei cacciatori era sufficiente per catturarlo, «dal corpo di cavallo, con zampe elefantesche, coda di maiale, di colore del bosso, con un orribile ruggito. Combatte l’elefante e lo porta su di sé scavando col suo corno nella parte più tenera del suo corpo […]»52.
L’animale “rarissimo” – sempre il rinoceronte – fu avvistato anche da Ludovico di Varthema (1470-1517) nel suo viaggio dei primi anni del XVI secolo in Egitto, Siria, Arabia, Persia, India, Etiopia, in particolare, in prossimità della Mecca:
Dall’altra banda del detto tempio è una corte murata, nella qual vedemmo duoi unicorni: e li si mostrano per cosa maravigliosa, come nel vero è cosa da prenderne admirazione. E sono fatti in questo modo: il maggiore è fatto come un poledro di trenta mesi, e ha un corno nella fronte di lunghezza cerca tre braccia; l’altro unicorno era minore, come saria un poledro d’un anno, e ha un corno lungo circa quattro palmi. Il color del detto animale è come un cavallo sasinato scuro, e ha la testa come un cervo e il collo non molto lungo, con alcune crine rare e corte che pendono da una banda, e ha le gambe sottili e lunghe come il capriolo, e il suo piede è un poco fesso davanti e l’unghia è caprina, e ha molti peli di drieto delle gambe, li qual son tanti che fa parer questo animal molto feroce: ma la sua ferocità è coperta da una mansuetudine che in sé dimostra. Questi duoi animali furono presentati al soldano della Mecca come cosa de molto prezio e rara e che si trova in pochi luochi, e furono mandati da uno re di Etiopia, il qual li fece questo presente per far amicizia con lui53.
Mostruosi apparvero anche i pesci con sembianze umane, come quelli visti da Roberto da Sanseverino (1418-1487) durante la sua visita al Cairo fatti «como omo con la boca, ogi, denti, braze e mano, stricti nel mezo, e avevano ancora le gambe e piedi proprie come fussero omini de grandeza de uno puto de anni X»54; e richiamati tra l’altro da Niccolò da Poggibonsi e avvistati lungo la riva del mar Rosso55.
Una straordinaria vivacità di forme, colori, comparazioni umane e animali che, come sostiene Suriano «tanto allegra la natura umana guardandola, che è cossa incredibile»56.
Conclusioni
Pierre Belon (1517-1564) compì nel 1546 una esplorazione attraversando tre continenti, visitando la Grecia, l’Egitto, la Palestina e l’Arabia Saudita. Fu uno dei primi viaggi naturalistici della storia, la cui attenzione fu dedicata principalmente alla natura e alla diversità dell’universo ittico. Tra le relazioni che ci ha lasciato57– le prime nel panorama zoologico e dell’ornitologia – l’eredità degli scritti degli autori classici, tra cui Aristotele e Plinio58
, viene rivista, corretta a partire dall’osservazione diretta del viaggiatore, proponendo classificazioni di molti animali ancora sconosciuti in Europa. Saggi di grande valore scientifico, studiate da Ulisse Aldrovandi, primi esempi di anatomia comparata tra esseri umani ed uccelli.
L’intreccio tra umanità, alterità e mondo naturale ripreso nelle testimonianze dei diari di viaggio del tardo medioevo (e non solo) si mantiene e si rafforza nei decenni successivi, condividendo nuovi spazi di interesse che produrranno saggi scientifici dedicati unicamente all’universo zoologico e botanico. Le eredità diaristiche di esplorazioni si trasformano in costrutti scientifici puntuali, settoriali, presupposti delle discipline specifiche moderne, pur tuttavia mai rinunciando alla esposizione della vivacità degli incontri. Ad Alessandria d’Egitto e al Cairo la curiosità dello sguardo del naturalista, oltre alle vestigia del passato, riguardò la comunità, l’abbigliamento, le botteghe, i mercati e la visione di piante ed animali: gli ippopotami, le gazzelle e molte specie di pesci. Belon rimase colpito dalle coltivazioni di papiro, dai sicomori, dai bananeti, dalle piante palustri delle colocasie e dall’icneumone “il topo del faraone”, ovvero la mangusta egiziana 59.
Dal XV al XVIII secolo, oltre duecento cinquanta sono stati gli autori occidentali che hanno pubblicato una relazione di viaggio delle loro avventure in terra d’Egitto. Fonti che attestano l’interesse della scoperta e le fasi di una ricerca attraverso la quale l’altro, al di qua delle sponde del Mediterraneo, cercò sempre di più un contatto con l’altro – il confondente esotismo –, che sta al di là delle rive del “mare nostrum”, con l’obiettivo di approfondirne la conoscenza. Racconti che rilevano un tentativo di approccio all’analisi e alla comprensione, offrendo intuizioni di una fraternità che, nutrendosi della diversità, risultava possibile. Dunque, non solo documenti che attestano storie di viaggi, ma narrazioni che sempre di più si muovevano verso uno scambio e un confronto costruttivo a livello umano. Le motivazioni che spinsero i nostri protagonisti del saggio ad andare “ire per agros” sono note: l’interesse, la curiosità e talvolta anche il caso hanno sviluppato le possibilità di una maggiore conoscenza e comprensione dei mondi geografici, ambientali e relazionali.
Le testimonianze letterarie, sebbene in parte ancora ancorate a visioni stratificate nel tempo e in grande parte influenzate dai contesti politici e dalle relazioni, offrono, dunque, descrizioni che cercano di andare oltre le ‘cartografie mentali’ 60e di raccontare l’esperienza personale.
I viaggiatori del pieno medioevo descrivono la realtà vissuta, fanno memoria delle loro esperienze. Le terre in mezzo al mare erano percepite ed esperite come realtà sociale. I pellegrini, i mercanti, gli ambasciatori, i naturalisti, semplicemente i viaggiatori, diventarono portatori e promotori culturali di visioni del mondo col tentativo di allargare gli orizzonti, cercando di andare oltre la semplice comparazione con la propria scala di valori. Le differenze dei mondi occidentale e orientale sono fondate primariamente su diversità religiose, e di conseguenze culturali, ma queste ultime, vengono, sempre di più, riconosciute e indagate.
Quanto emerge dalle descrizioni del mondo animale permette di valutare l’evoluzione del tempo del valore attribuito allo spazio di relazione tra i continenti, tra l’Africa e l’Europa cristiana.
L’importanza della diaristica del tardo medioevo risiede tutta lì: essa fa emergere i meccanismi attraverso i quali il termine geografico di Mediterraneo si riveste di un carattere culturale distinto da paese a paese il cui comune denominatore è l’appartenenza ad una coscienza e ad una identità mediterranea.
Note
- Beatrice Borghi, Rolando Dondarini, Bologna. Storia volti e patrimoni di una comunità millenaria, Minerva edizioni, Bologna, 2011.
- Massimo Donattini, Il mondo portato a Bologna: viaggiatori, collezionisti, missionari, in Storia di Bologna, diretta da Renato. Zangheri, vol. III: Adriano Prosperi (a cura di), Bologna nell’Età Moderna, tomo 2: Cultura, istituzioni culturali, Chiesa e vita religiosa, Bononia University Press, Bologna, 2008, pp. 537-682. Disponibile anche online.
- Fu François Rabelais il primo che usò il termine “esotico” associato al mondo animale nel 1552.
- Leandro Alberti, Historie di Bologna, 1511-1543, II vol., (a cura di) Armando Antonelli, Maria Rosaria Musti, Costa edizioni, Bologna, 2006, 1541, pp. 629-30.
- Tratto da Patricia Lurati, Animali meravigliosi. Orientalismo e animali esotici a Firenze in epoca tardogotica e rinascimentale: conoscenza, immaginario, simbologia, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2021, p. 25. Cfr. Dante Castellacci (a cura di), Diario di Felice Brancacci ambasciatore con Carlo Federighi al Cairo per il Comune di Firenze (1422), «Archivio Storico Italiano», vol 8. N. 125 (1881), pp. 157-88.
- Citato in Lurati, Ibidem, p. 78 e tratto da Ricordi storici, Ricordi storici di Filippo di Cino Rinuccini, dal 1282 al 1460, colla continuazione di Alamanno e Neri suoi figli, fino al 1506, Piatti, Firenze, 1840, CXLII. Cfr.: Marina Montesano, In missione dal Sultano: ambascerie e pellegrinaggi alla fine del XV secolo, in Silvia Agnoletti (a cura di), I fiorentini alle crociate. Guerre, pellegrinaggi e immaginario “orientalistico” a Firenze tra Medioevo ed età moderna, Meridiana, Firenze, 2007, pp. 282-91.
- L’ambasciata di Mohamed Ibn-Mahfuz aveva lo scopo oltre a consolidare i rapporti commerciali ma risolvere la questione del trasferimento del principe ottomano Djem da Parigi, dove era in carcere per volere del fratello Bayezid II a Roma, sede del pontefice; cfr. Lurati, Ibidem, p. 225.
- Citato in Lurati, Ibidem, p. 78 e tratto da Landuccci, 1989.
- Lionardo di Niccolò Frescobaldi, cit. in Beatrice Borghi, Laura Galoppini (a cura di), Andar per lo mondo. Antologia di viaggi attraverso i secoli tra realtà e immaginario, Pàtron, Bologna, 2022, pp. 161-62.
- Zakariyya Al-Qazwini, Le meraviglie delle creature e le stranezze degli esseri, (a cura di) Syrinx von Hees von, trad. di Francesca Bellino, Mondadori, Milano, 2008.
- Il Corano attribuisce al mondo animale diversi capitoli, intitolando a precisi animali cinque sure: la giovenca (II), le api (XVI), le formiche (XXVII), il ragno (XXXIV) e l’elefante (CV). Essi, sono prima di tutto utili all’uomo, sono doni del divino. La sura VI (Gli armenti) si riferisce alle specie a quattro zampe. Sull’opera di Al-Damîrî: Carl Brockelmann, Geschichte der arabischen Literatur, II (Weimar, 1902), p. 138, e suppl. II (Leiden, 1938), p. 170. Lothar Kopf, “al-Damīrī,” in Encyclopédie de l’Islam, 2 ed., II, Paris–Leiden, 1965, pp. 109–10. Sulle scienze della vita e i rapporti tra mondo animale e medicina nel mondo islamico, si veda l’inquadramento di Herbert Eisenstein, La civiltà islamica: scienze della vita. Zoologia, zoografia e medicina veterinaria, «Enciclopedia Treccani», Storia della Scienza (2002).
- Jeanne Guérin dalle Mesem Egypte. La mémoire et le rêve itinéraires d’un voyage, 1320-1601, Leo S. Olschki editore, Firenze, 1991; Ugo Tucci, Mercanti e pellegrini in Africa settentrionale, in Africa. Storie di viaggiatori italiani, Electa, Milano, 1986, pp. 13-27.
- Sebbene sia difficile fare una stima del numero di persone che in passato abitavano i vari territori indagati, J.-C. Russel calcola in quattro milioni di abitanti la popolazione dell’Egitto prima della peste del XIV secolo. La Francia ne contava dodici milioni di abitanti, l’Italia nove milioni: un Occidente che restava sempre meno urbanizzato rispetto al Levante e le cui cifre rilevano un evidente squilibrio tra le due realtà continentali. Le popolazioni urbane dell’area araba rimangono per la maggior parte di origine locale con progressive aperture di accoglienza ai gruppi provenienti da realtà lontane e distinte.
- Ahmed F. Kizzo, Nikola D. Bellucci, Racconto d’Egitto. Trascrizione e traduzione del manoscritto di ‘Abd al-Latīf al- Baghdādī (con brevi note di commento), Archaeopress, Oxford, 2020.
- Ibidem,p. 59
- Ibidem, p. 59.
- Diodori Siculi, Bibliotheca historica Libri XVII, Lugduni, apud Haered Seb. Gryphii,1559.
- Kizzo, Bellucci, cit., pp. 61-2.
- Ibidem, p. 65.
- Sul rapporto tra Aristotele e ‘Abd al-Latīf al- Baghdādī, Ibidem, pp. 16-19.
- Ibidem, p. 66.
- Ibidem, pp. 68-9. Jacopo da Sanseverino li cita nel suo Libro delle piccole meraviglie 1416-1418, ms. Palatino n. 115 della Biblioteca Medicea Laurenziana, (a cura di) M. Guglielminetti, Serra e Riva, Milano, 1985, p. 115. Pietro Martire d’Anghiera descrive il ventre del coccodrillo, Relationi del S. Pietro Martire Milanese. Dalle cose notabili della provincia dell’Egitto scritte in lingua latina alli Sereniss. di felice memoria Re Catolici D. Fernando e D. Isabetta et hora recate nella lingua italiana da Carlo Passi, Giorgio de’ Cavalli, Venetia, 1564, ff. 67b-68a.
- Ibidem,pp. 72-73.
- Ibn Battūta, cit., p. 31.
- Ibidem, p. 33.
- Beatrice Borghi, Il Mediterraneo di Anselmo Adorno. Una testimonianza di pellegrinaggio del tardo medioevo, Pàtron Editore, Bologna, 2019, p. 316.
- Ibidem.
- Pero Tafur, Andanzas y viajes, (a cura di) Miguel Ángel Pérez Priego, Cátedra, Madrid, 2018, p. 136. Il Nilo, come i fiumi Gange, Tigri e Eufrate, si riteneva nascesse nel Paradiso (San Isidoro, Étimologias, XIII, 21), proveniente dal deserto di Giudea, si eleva fino alla montagna Aloch, tra la Giudea e l’Etiopia, e infine, vicino a quest’ultima e a Morentenie arriva in Egitto presso Alessandria, per entrare infine nel mare mediterraneo. Cfr. De Mandeville, op. cit., cap. XI.
- Tafur, Andanzas y viajes, cit, p. 138.
- Battūta, cit., p. 37.
- Ibidem.
- Leone Africano, Descrizione dell’Africa, in Giovan Battista Ramusio (a cura di), vol. 2, Zanichelli, Bologna, 2009, pp. 441-41, citato in Guérin delle Mese, cit., p. 377.
- Niccolò da Poggibonsi, Libro d’oltramare, (a cura di) Alberto Bacchi della Lega, Romagnoli, Romagnoli, 1881, pp. 193-196.
- Borghi, Mediterraneo, p. 338.
- Leonardo di N. Frescobaldi, Viaggio in Terrasanta, (a cura di) Cesare Angelini, Le Monnier, Firenze, 1999, p.189.
- Ibn Guabyr, Viaggio in Ispagna, Sicilia, Siria e Palestina, Mesopotamia, Arabia, Egitto compiuto nel secolo XII, disponibile anche online, Casa Editrice Italiana, Roma, 1906, p. 78 (online).
- Jost Von Meggen, Pellegrinaggio a Gerusalemme. Avventure d viaggio per mare e a cavallo di un gentiluomo svizzero del Cinquecento, Asefi editrice, Milano, 1999, p. 134; cfr. Duccio Balestracci, Terre ignote strana gente. Storie di viaggiatori medievali, Laterza, Roma, 2015, p. 115.
- Felix Fabri, Voyage en Egypte de Félix Fabri 1483, (a cura di) Jacques Masson, Institut français d’Archéologie orientale, Paris, 1975, vol. II, pp. 482-84.
- Sui piccioni viaggiatori, si veda: Norbert Ohler, I mezzi di trasporto terrestri e marittimi, in Viaggiare nel medioevo, (a cura di) Sergio Gensini, Pisa, 2000, pp. 92-119. Ibidem, Viaggi nel Medio Evo, Milano, 1988.
- Ibn Battūta, I viaggi, a cura di Claudia M. Tresso, Einaudi, Torino, 2008, p. 26, n. 34.
- Cfr. Jean Meyer, L’Evagatorium de Frère Félix Fabri: de l’errance du voyage à l’errance du récit, in «Le Moyen Âge», CXIV (2008/1), pp. 9-36.
- Fabri, cit., vol. II, pp. 409-10.
- Natalie Zemon Davis, La doppia vita di Leone l’Africano, Laterza, Roma-Bsri, 2008, p. 27.
- Ibidem, p. 417. I passi della Genesi richiamati da Fabri sono Giacobbo, 39,16, Lamentazioni (4,3) e Isaia (13,21 e 34,13).
- Ibidem, p. 419: Bübli, kum her zù mir. Fabri rimase colpito nel vedere che un pappagallo sapeva riconoscere e pronunciare correttamente tutti I nomi dei membri della famiglia del sultano.
- Ibidem, p. 420. Fabri cita anche i libri di Ezechiele (17,15) e Isaia (31, 1-3).
- Ibidem, p. 422.
- Ibidem, p. 425.
- I viaggi di Gio. d Mandavilla, (a cura di) Francesco Zambrini, Gaetano Romagnoli, Bologna, 1870, pp. 60-61. Citato in Guérin Dalle Mase, Égypte, cit., pp. 343-344.
- ll trattato di terra Santa e dell’Oriente di frate Francesco Suriano, missionario e viaggiatore del secolo XVI: Siria, Palestina, Arabia, Egitto, Abissinia, ecc., (a cura di) Girolamo Golubovich, Tip. Edit. Artigianelli, Milano, 1900, p. 235. Citato in Guérin Dalle Mese, cit., p. 345.
- Fabri, cit., p. 747. Da Albert le Grand: «La fenice ha l’apertura alare di un’aquila; è un bellissimo uccello con una testa di pavone sormontata da una garzetta; intorno al collo è di color violo con bagliori d’oro; ha una lunga coda viola punteggiata da piume rosa, più o meno come la coda del pavone è punteggiata di cerchi a forma di occhi, e questa diversità è di mirabile bellezza» trad. Borghi.
- Fabri, cit., trad. Borghi, p. 161.
- Ludovico de Varthema, in Giovan Battista Ramusio (a cura di), Delle navigatione et viaggi nel qual si contienz la descrittione dell’Africa, et del paese del Preti Ianni, con varii viaggi, dal mar Rosso a Calicut, & infin all’isola Molucche, dove nascono le Spetierie, et la Navigatione attorno del mondo, Heredi di Lucantonio Giunti, Venetia, 1563, cap. XVII, p.
- Roberto da Sanseverino, Viaggio in Terra Santa, Romagnoli dall’Acqua, Bologna, 1888, p. 152. Citato in Guérin dalle Mese, p. 356.
- Niccolò da Poggibonsi, Libro d’Oltramare, (a cura di) Alberto Bacchi della Lega, Romagnoli, Bologna, 1881, pp. 107-8, citato in Guérin dalle Mese, p. 356.
- Suriano, Trattato, p. 234. Citato in Guérin dalle Mese, cit., p. 375.
- Gli studi naturalistici di Belon si concentrarono prevalentemente sul mondo ittico: L’histoire naturelle des estranges poissons marins (Imprimerie de Regnaud Chaudiere, Paris, 1551); Les observations de plusieurs singularitez et choses mémomarbles trouvées en Grèce, Asie, Judée (Guillaume Cauellat, Paris, 1554) e La nature et diversité des poissons (Charles Estienne, Paris, 1555). Si ricorda il suo interesse sui riti funerari nell’età antica, in particolare la mummificazione (De medicato funere seu cadavere condito et lugubri defunctorum ejulatione, Gulielmum Cavellat, Paris, 1553).
- Oltre alle opere di Aristotele e Plinio, si ricorda che il Physiologus, redatto tra il II e il III sec. d.C. ad Alessandria d’Egitto, fu l’opera più letta, dopo la Bibbia dalla quale l’autore attinge con diverse citazioni. Si tratta di un bestiario che contiene la descrizione simbolica di animali e piante – reali e immaginari –, in chiave allegorica. Francesco Zambon (a cura di), Il Fisiologo, Adelphi, Milano, 1975.
- La prima vista da Belon fu ad Alessandria d’Egitto, accanto alle rovine del castello: Le Voyagae en Egypte de Pierre Belon du Mans, 1547, Istitut Français d’Archéologie orientale du Caire, Le Caire, 1970, 95b. Cfr. Anne Wolff, How Many Miles to Babylon? Traverls and Adventures to Egypt and Beyond from 1300 to 1640, Liverpool Univeristy Press, Liverpool 2003, pp. 88-9.
- Thierry Bianquis, La gestion politique de l’espace et des hommes, in États, sociétés et cultures du Monde musulman médeival, X-XV siècle, ed. by Jean Claude Garcin, Helena Belosta, e altri, Puf, Paris, 2000, pp. 5-36, in part. p. 9.
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