Bibliomanie

Animale sarai tu, gli disse la Sirena
di , numero 57, giugno 2024, Note e Riflessioni, DOI

Animale sarai tu, gli disse la Sirena
Come citare questo articolo:
Gigi Spina, Animale sarai tu, gli disse la Sirena, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 23, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11345

« Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí», si divertì a suggerire, con assolta brevità, Augusto Monterroso nel 1959, sfidando centinaia di semiologi e filologi a ricostruire la scena: chi racconta, chi si è svegliato, dove si trovano? ecc. Avrei potuto osare anche io, col titolo che ho scelto per questo ennesimo ritorno alle Sirene, grazie a Magda Indiveri, riducendo l’enigma a una sola domanda: a chi avrebbe potuto dirlo, una Sirena? A Ulisse naturalmente. Augusto Monterroso scrisse anche di una Sirena inconforme nel 19681, unica a cedere al fascino di Ulisse, avendone un figlio,

«il favoloso Hygrós, cioè l’Umido nella nostra asciutta lingua, proclamato in seguito patrono delle vergini solitarie, delle pallide prostitute che le compagnie di navigazione ingaggiano per intrattenere i passeggeri timidi che nelle notti vagano sulle coperte dei vasti transatlantici, dei poveri, dei ricchi, e di altre cause perdute.»

Avrebbe potuto, anzi dovuto dirlo a Ulisse una Sirena ‘diaculturale’, cioè capace di essere insieme mito e contemporaneità, come cerco di sostenere da qualche tempo2. Perché nessuno si sognerebbe oggi di definire la Sirena un animale; magari ancora un ibrido, ma nel quale la parte umana, femminile, mette assolutamente in secondo piano la coda di pesce, elemento che serve a richiamare soltanto il contatto col mare, la doppia natura terrena e marina, ormai di donna marina.
Ma ripensiamo per un attimo alla Sirena anticonformista di Monterroso, che non si arrende alla furbizia di Ulisse, al fatto che quel tipo abbia potuto superare indenne il suo canto seduttivo. Rimane senza voce eppure non si arrende, perché ama quell’uomo. Le sue compagne no; fanno le Sirene, potremmo dire, per ossequio al mito; Ulisse passa e loro sono rassegnate. Anche Ulisse, in fin dei conti, segue il copione assegnatogli dal mito; solo che, quando ripassa dinanzi all’isola delle Sirene e si accorge che, delle tentatrici, una sola continua a cantare pur se con la voce roca – le altre sanno come andrà a finire e quindi non cantano neanche -, decide anche lui di forzare il racconto. Si ferma ad ascoltare il canto, ormai reso sicuro non più dallo stratagemma suggerito un tempo da Circe, ma dall’esperienza di uomo maturo; poi, con la consueta furbizia, possiede la Sirena e fugge, come un Enea qualsiasi. Il nuovo figlio di Ulisse, che si aggiunge a Telemaco, Telegono, Nausitoo e Latino3, riscatta in qualche modo la figura mitica della madre Sirena diventando patrono di tutte le sue allegorie.
Ma nessuna voce, per quanto anticonformista e originale, potrà mettere fine al mito delle Sirene. Si continua a scrivere su di loro, a comporre libri monstrum, o libri ripetitivi, che pansirenizzano, mi verrebbe da dire, tutte le figure femminili affini, a qualsiasi parallelo, secolo, cultura e universo acqueo appartengano. Le povere Sirene omeriche, se due o tre non lo sapremo mai, instancabili ispiratrici di racconti e antologie, continuano a offrire gratuitamente materiale per interpretazioni e simbologie femminili e femministe, per partiture di canti sempre più acuti e ad alta definizione.
Meri Lao (1928-2017)4, una sirenologa davvero tale, rimane un riferimento solido e imprescindibile. Sfidò il mondo degli “esperti” con una storia delle Sirene in varie versioni. Quando mi accingevo a scrivere il mio contributo al mito delle Sirene con Maurizio Bettini5, sentii la necessità di consultarla. Le rendo omaggio, rimpiangendo di non averla mai potuta incontrare di persona, attraverso la trascrizione della storia delle sue pubblicazioni, che mi fece con una mail dell’8 maggio 20056:

«Ho scritto diverse versioni delle Sirene, la prima, col sottotitolo “Da Omero ai pompieri”, che Marcel Detienne riteneva insultante per “un texte si profond”7; la seconda direttamente in spagnolo, abbreviata e ampliata, per Ediciones Era del Messico; la terza, in inglese insieme a un traduttore, 200 pagine di cui l’editor Inner Traditions ha tolto 42; la quarta in italiano, “Il libro delle Sirene”, opera di maturità e di gender, l’editing fatto da me con una mia allieva archeologa grecista per la disposizione delle foto. L’editore Di Renzo, di Roma, l’ha pubblicata nel 2000.»

Se torniamo, allora, alle sirene omeriche, e cerchiamo di dimenticare tutto quello che sono riuscite a produrre nei secoli successivi, di racconti, di simboli e di immagini, non certo per loro responsabilità, non possiamo non annotare che davvero non sappiamo quasi nulla di loro, se non che offrivano un canto ammaliante, che poteva provocare la morte se ci si fermava presso di loro. Non si segnalavano per bellezza del corpo, né per pericolosità animalesca (tipo denti vampireschi, artigli rapaci o simili). Sapevano solo incantare con un racconto che poteva far nascere nei marinai che passavano dinanzi allo loro isola l’idea che quella fosse le meta agognata, che non valesse la pena ritornare dai familiari, che si potesse rimanere senza pericolo ad ascoltare quel canto, fino alla consunzione. Nulla di più, tanto che, se dovessi rappresentare il rapporto fra le Sirene e la ricezione del loro mito, mi verrebbe in mente una sequenza da cartone animato, in cui dalla sagoma originale, omerica, che rimane immobile, si staccano progressivamente varie silhouettes che conquistano altri spazi e racconti fino a una moltiplicazione incontrollata, come quei librettini magici che sfogliati velocemente fanno vedere le figure in movimento. La sagoma originale rimane fissa, quasi stanca di tanti racconti e di tanta ricezione, decisa a rivendicare la primogenitura, l’archetipicità, a ricordare che all’inizio c’erano loro, le Sirene omeriche. E che tutte quelle che sono venute dopo sono uguali e diverse. E che, ma questo lo aggiungo io, la fantasia può legittimamente sbizzarrirsi, l’importante è che non attribuisca a loro, alle povere e uniche Sirene omeriche, fatti e pensieri che mai avrebbero potuto avere.
Pensiamo a Partenope, l’unica Sirena antica che abbia insieme un nome e una storia complicata, molto più ricca di Ligea e Leucosia, il trio portato alla fama imperitura da Licofrone, l’oscuro autore dell’Alessandra: siamo nel IV-III sec. a.C. Una sirena già più europea, cittadina, al punto da costituire, da morta, l’occasione per la fondazione di Parhenope/Neapolis. E che solo un cantante dell’ultima generazione, Liberato, ha voluto ricordare come pericolosa donna-vampiro capace di uccidere chi volesse soggiogarla o usarla come donna-oggetto8.
Che ha a che vedere Partenope con le Sirene omeriche? Tutto e niente, potremmo dire, a meno che non abbia detto qualcosa di inedito Paolo Sorrentino, la cui Parthenope, quando questo intervento sarà pubblico, avrà già debuttato al Festival del cinema di Cannes.
Ma non possiamo congedarci dalle Sirene omeriche senza aver ricordato uno dei riceventi, o ricettori, antichi di quel mito, uno stravagante personaggio sicuramente più bizzarro di Licofrone, Tolomeo figlio di Efestione, detto Chenno, cioè la Quaglia, vissuto nel II secolo d.C9. Ebbene, e qui mi autocito, nella sintesi della sua operetta, Storie inedite, che ne fece Fozio nella Biblioteca, Tolomeo dice che i Centauri, fuggendo da Eracle, morirono di fame in Etruria, ammaliati dalla dolcezza del canto delle Sirene (Tolomeo dice poco dopo che questa notizia è l’interpretazione esatta di un verso proprio di Licofrone). Ora, i Centauri fanno parte della saga di Eracle, in particolare Nesso, che gli rapisce Deianira e che, prima di morire per una freccia scagliata da Eracle, le fa dono della veste mortale; ma soprattutto Folo, che offre all’eroe un vino di proprietà di tutti i Centauri. I quali, messi in guardia dall’odore, assalgono la caverna di Folo in cui è ospite l’eroe. Due vengono uccisi e gli altri inseguiti a colpi di freccia. Fin qui i mitografi e i poeti. Ma la delocalizzazione dalla Tessaglia all’Etruria è già un primo scarto; la comparsa in scena delle Sirene sembra il vero tocco magico, che apre una nuova possibilità narrativa, perché i Centauri entrano (come Totò contro Maciste in un film del 1962, starei per dire) nella saga delle Sirene, lasciando quella di Eracle, e subendo quindi la stessa sorte dei disgraziati che, ammaliati dal loro canto, non riuscivano a fare più niente e si lasciavano morire di fame.
I Centauri, come si sa, sono quegli esseri ibridi in cui l’intreccio fra natura umana ed equina ha una lampante funzionalità. Ma anche in questo presunto incontro fra ibridi, Centauri e Sirene, per le Sirene si parla solo del canto ammaliante che fa dimenticare la propria vita e porta alla morte. E che costituisce il solo tratto pericoloso, quasi “a loro insaputa”.
Sui Centauri voglio solo ricordare il bellissimo racconto di Primo Levi, Quaestio de Centauris, che spinge a qualche conclusione.
Il centauro Trachi, centauro pluricentenario, doveva essere sfuggito alla morte del gruppo per mano (o, meglio, per voce) delle Sirene. O forse apparteneva a un’altra parte del mito, a un altro tempo, nel quale le Sirene omeriche non erano entrate. Funziona così, direi: per il mito non ci sono regole fisse di spazio e di tempo. Tutto può avvenire contemporaneamente, o diacronicamente e diaculturalmente.
E le povere Sirene omeriche non hanno più alcun potere per dirigere e organizzare le riscritture delle proprie vite.

Note

  1. La Sirena discorde, in Augusto Monterroso, La pecora nera e altre favole, trad. di Maria Teresa Marzilla, Sellerio, Palermo 1988, pp. 70-71. La citazione che segue è a p. 71.
  2. Ho spiegato di recente cosa intendo per diacultura, difendendomi in un immaginario processo: Diacultura. Un’apologia, in “Griselda on line” 2024:, visto il 14.5.2024.
  3. Secondo Apollodoro, Biblioteca, epit. 7,24, Latino è figlio di Ulisse e Calipso; secondo Igino, fabula 127, è figlio, invece, di Circe e Telemaco. Igino, fab. 125, nomina Telegono e Nausitoo, figli di Circe e Ulisse.
  4. Voce a cura di Luciana Cisbani in enciclopediadelledonne.it, visto il 14/05/2024
  5. Maurizio Bettini, Luigi Spina, Il mito delle Sirene, Einaudi, Torino 2007. Su Bibliomanie n. 9 ne uscì una recensione.
  6. La nostra conversazione epistolare durò fino alla mia pubblicazione. Solo per poco non riuscimmo ad averla nel 2007 a Galassia Gutenberg, la fiera del libro napoletana.
  7. In una successiva mail, del 2007, Meri Lao precisava che Marcel Détienne aveva letto il libro ancora in bozze, e lo giudicava serio, originale e rigoroso, “sauf le sous-titre, ça rappelle l’art pompier”; poi lamentava di non aver più scritto, forse per “timidezza antica”, a Salvatore Settis, che si era detto d’accordo con lei adducendo che anche Warburg era criticato quando comparava la foto di una giocatrice di golf a una statua antica.
  8. Per il video di Partenope, un brano del 2022, visto il 14.5.2024. Su Partenope rinvio a un mio contributo: Parthenope on the Metro: or, Links with the Past, on the Journey to the Future, in Claudio Buongiovanni, Jessica Hughes (eds.), Remembering Parthenope. The Reception of Classical Naples from Antiquity to Present, Oxford UP, Oxford 2015, pp. 317-321.
  9. Tolomeo Chenno è un autore che frequento da molti anni, come ho raccontato di recente: Prequel e sequel mitici secondo il grammatico alessandrino Tolomeo, figlio di Efestione, detto Chenno, la Quaglia, in Alice Giannitrapani, Gianfranco Marone, Forme della serialità, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2020, pp. 201-209.

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