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Psichiatria e mondi animali. Fenomenologia della continuità uomo-animale da homo natura a homo symbolicus
di , numero 57, giugno 2024, Note e Riflessioni, DOI

Psichiatria e mondi animali. Fenomenologia della continuità uomo-animale da homo natura a homo symbolicus
Come citare questo articolo:
Eva Rizzuti, Psichiatria e mondi animali. Fenomenologia della continuità uomo-animale da homo natura a homo symbolicus, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 16, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11364

«Una volta Zhuāngzĭ sognò di essere una farfalla. – Lei non sapeva di essere Zhuāngzĭ. Di colpo si svegliò e lì era solidamente e senza dubbio, Zhuāngzĭ. Ma egli non sapeva se fosse Zhuāngzĭ che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere Zhuāngzĭ. Tra Zhuāngzĭ e una farfalla ci devono essere delle differenze. Questa è chiamata la trasformazione delle cose».

Zhuāngzĭ sogna una farfalla o una farfalla sogna Zhuāngzĭ. Zhuāngzĭ ha sognato di essere una farfalla o sta sognando di essere un uomo. Zhuāngzĭ non poteva determinare se era veramente un uomo ad aver appena finito di sognare di essere una farfalla o una farfalla che aveva appena iniziato a sognare di essere un uomo. I sogni di Zhuāngzĭ sono forse reali quanto i sogni di una farfalla. Zhuāngzĭ, mentre sognava, si vedeva farfalla, ma allo stesso tempo era anche un uomo (1).
Il filosofo e mistico cinese Zhuāngzĭ è alla ricerca della base metafisica dell’ordine naturale, il Tao (Dàojiào, “la Via” o “Il reale che esiste in sé”), consapevole della finitudine umana al cospetto dell’inarrivabile infinità della conoscenza; consapevole dell’umana inaccessibilità alle cose ultime. In una chiave epistemica, che taluni vorrebbero ante-litteram prospettivistica, Chuang-tzû (11) fra i due piani opposti del sonno e della veglia, o dell’uomo e della farfalla, pare rinviare a dimensioni o confini problematici, indecidibili. Egli sembra indicare pareti solide e definite che, nell’omogenea multiformità dello spazio (uno-accanto-all’altro) o nell’accadere privo di spazio del tempo (uno-dopo-l’altro), in qualche punto o in qualche istante delle kantiane forme fondamentali possono giungere ad assottigliarsi, perfino a sgretolarsi. Per dirla con Hegel: due estremi che si contraddicono non stanno solo l’uno accanto all’altro, ma sono in una unità, ossia l’elemento comune a entrambi, l’essere-per-sè, è pervaso dall’opposizione in generale, e perciò, ad un tempo, non è più l’essere-per-sè (A-II, 79-80) (15).

«Aber diese beiden widersprechenden Extreme sind nicht nur neben einander, sondern in Einer Einheit, oder, was dasselbe ist, das gemeninschaftliche beider, das für sich sein ist mit dem Gegensatze überhaupt behaftet, das heißt, es ist zugleich nicht ein für sich sein» (corsivi nel testo).

Da un punto di vista strettamente gnoseologico, è noto a studiosi e cultori delle dottrine taoiste il forte accento del pensiero di Chuang-tzû sull’elemento soggettivistico della conoscenza e del linguaggio, quindi sulla necessità di astenersi dal conferire a questi ultimi pretese irriflessive di assoluta verità.
Ma il ‘sogno’ di Chuang-Tzû potrebbe calarsi nel bel mezzo del dibattito contemporaneo sul nostro tema, qualora si estendesse l’orizzonte filosofico ad altri campi del sapere o qualora – rinunciando ad ogni pretesa ed ingenua verità obiettiva – lo si assumesse alla stregua di fenomeno. Sulla base dello speciale modo del percepire e del conoscere di qualsiasi fenomenologia, può dirsi fenomeno non solo “ciò che si mostra” (φαίνομεν, Aristotele; da φαίνομαι, mostrarsi); ma “ciò che si manifesta in se stesso, com’è in sé, nella sua essenza” (in seinem Wesen), che “presuppone un secondo termine ossia il soggetto pensante a cui si mostra” (Husserl); ciò che “non è mai dato nel tempo né nello spazio, ma è potenzialmente ricostruibile” (Gerardus van der Leeuw).
Per questa via, può configurarsi una dinamizzazione del rapporto fra i due piani (uomo/animale, sogno/veglia rappresentazione/realtà) o del confine fra i due territori, spinta fino ad oltrepassamenti, «commistioni» o «riversamenti» degli stessi (12) (14). Inoltre una modalità espressiva così proverbialmente oscura ed enigmatica, disvelando il limite del pensiero categoriale, può guardare oltre e additare uno degli speciali modi del percepire e del conoscere: un pensiero dimensionale o non-categoriale. In altri termini, può evocare la dimensione altra o il linguaggio altro della jaspersiana cifra: là dove la natura mi si presenta come esserci inaccessibile nelle sue parti connesse mediante relazioni incalcolabili e inconoscibili, là dove la natura mi sovrasta e mi include, in un punto del mio esserci essa si converte in cifra (16). Nella fattispecie, la sua straordinaria fecondità euristica può farsi segnale, Wegweiser, nel riconsiderare e ridisegnare il paradigma culturale del rapporto e del confine fra mondo umano e mondo animale, fra animale (ζώον) e uomo (ζώον λόγον έχον). Innanzitutto, qualora si faccia riferimento all’inviolabilità di tale confine (19), alla insanabile frattura (14) fra ζώον e ζώον λόγον έχον o πολιτικόν ζώον. Concetti che hanno percorso la storia della filosofia occidentale da Aristotele (Politica, Etica Nicomachea: l’uomo «portatore di λόγος, ragione e parola»; «animale politico») a Kant (Antropologia dal punto di vista pragmatico: speciali nell’uomo «coscienza, autocoscienza, simboli, linguaggio»), come da Tommaso (Summa Theologiae) a Descartes (Meditazioni di filosofia prima), per menzionarne alcuni fra i sommi. Concetti aventi inequivocabile fondamento scritturale veterotestamentario, decisivo specie per la tradizione filosofica cristiana.

«E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò […] (Genesi 1:26-27). «Il timore e il terrore di voi [Noè e i suoi figli] sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere» (Genesi 9:2).

Per inciso, la definizione di ζώον λόγον έχον, ove l’accento sia posto su ζώον, poggia su un altrettanto solido fondamento scritturale; il paragone con gli animali in Ecclesiaste o Qoelet, il loro comune destino evidenzia l’impossibilità di entrambi di sfuggire alla morte: animali e uomini vengono dalla polvere e tornano alla polvere.

«Poi riguardo ai figli degli uomini mi sono detto: Dio vuol provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste, muoiono quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell’uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora; tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna alla polvere. Chi sa se il soffio vitale dell’uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?» (2) (Qoelet 3: 18-21).

Discontinuità e continuità: ma, beninteso, non si vuol cadere nella trappola che la fenomenologia ha definito «caduta nell’indeterminatezza» o «aporetica ‘sintesi fra sintesi e antitesi’».

«Dice Eraclito: “L’opposto concorde e dai discordi bellissima armonia, e tutte le cose divengono secondo contesa”. Al di qua di questa metaxy vi è senza dubbio la tendenza all’assolutizzazione, ma al di là si può forse situare quella che Angela Ales Bello ha felicemente definito la “trappola del pensiero debole”, e che già Karl Jaspers aveva descritto come la “caduta nell’indeterminatezza”: l’indeterminatezza del-tutto-possibile, il luogo ove si compie l’aporetica “sintesi fra sintesi e antitesi”, quella totalità affascinante “inattendibile e sofistica” in cui teorie ed ipotesi si moltiplicano e si intersecano in ogni combinazione possibile, trasmettendo una sorta di “illusione dell’onniscienza”, affondando la mente nell’infinito» (17).

Del pari non si è affatto inclini ad assumere le ipotesi ardite (18) o le posizioni bellicose, che talora si osservano nell’agorà animalista, come nelle frange più radicali dell’antispecismo, insieme con le correnti del postumanesimo, del transumanesimo e relativi manifesti programmatici o testi più moderati (20). Va da sé che esula dal discorso l’argomento delle apprezzabili ricadute etiche e sociopolitiche connesse alla crescente istanza ambientalista.
Per contro, ove l’uomo ad imaginem Dei si ponga in antitesi all’animale ad naturam ma, euristicamente, la natura dell’esserci si converta in cifra, in quest’ottica si intende decostruire la perfezione geometrica (22a) di tale dualismo manicheo, percorrendo il confine fra i due mondi (22) nella sua dinamica, nelle reciproche e complesse intersezioni, nella soglia critica che produce l’umano, che distingue e insieme approssima umanità e animalità nell’uomo (23). In altri termini: «tagliar fuori l’animalitas dall’umano significa mantenere la separazione fra corpo e mente» (13). Infatti, il binomio uomo-animale in termini dicotomici rinvia in essenza ad altre concezioni dualistiche: prima fra tutte, il dualismo mente-corpo.
Orbene, alla filosofia e alla neuropsichiatria è noto da tempo come mente e corpo siano contrapposti in rappresentazione, ossia nella vita psichica che è scissa in contrasti, riconosciuti e guardati come simboli (Hegel, Bleuler, Freud, Jaspers). Mentre essi, i due termini della contrapposizione polare influenzati dalla funzione separatrice, manifestano nel reale il carattere di elementi dialoganti, correlativi, reciproci, che interagiscono e si costituiscono bidirezionalmente in continuità, in «sinapsi» (σύναϕις, Aristotele, Met. XI, 12, 1069a) (4). Così, dal piano semantico al piano fisico-fenomenico, il contrasto polare oscilla, mediante una complessa dinamica, fra dualità e unità o «sinapsi». Dunque: mente e corpo; ma unità psicofisica.

Entro la dimensione della continuità, tre argomenti sono apparsi significativi in materia psichiatrica e un quarto in appendice: §) le sindromi psichiatriche a ideazione teriomorfa; §) la diffusione della simbologia teriomorfa e le risposte animali al test di Rorschach; §) le malattie neurologiche e psichiche negli animali; §) la questione della formula di Haeckel. Va precisato: la psichiatria sia intesa come “terra di confine”, Grenzland, che urtando contro il proprio stesso limite apre la via agli altri saperi; sia intesa come “caso emblematico” delle scienze dell’uomo, il quale non può esser compreso nella sua totalità – nel suo essere tanto naturale quanto esistentivo – ove non si attinga all’antropologia e alla filosofia da un lato, alla neurologia e alla biologia dall’altro; quindi ad ogni altra scienza che può afferirvi (24).

§) La questione della teoria di Haeckel. Solo un cenno orientato a sollevare qualche dubbio sull’ostracismo che da più di un secolo colpisce lo zoologo prussiano Ernst Haeckel (1834-1919) e la sua formula o legge biogenetica fondamentale: «l’ontogenesi ricapitola la filogenesi» (3a). L’ontogenesi, la morfogenesi dell’individuo, ricapitola la filogenesi, ossia la successione ‘evolutiva’ di tutti gli animali dell’albero filogenetico (3); quindi l’ontogenesi dell’uomo ‘ripercorre’ le tappe e le configurazioni migratorie cellulari di tutti gli animali (i Metazoi, pluricellulari; esclusi i Protozoi, unicellulari) a partire dai Cordati, metazoi dotati di notocorda. Vero è che negli stadi ontogenetici precoci, gli embrioni del phylum dei vertebrati più diversi presentano omologie impressionanti in senso morfologico, divergendo sempre più negli stadi successivi.
Una sola tessera dell’intricato mosaico: nel primo cordato, l’anfiosso, la notocorda permane come struttura definitiva di sostegno; mentre nell’embrione umano la stessa, comparsa al 16° giorno, già al 17° si trasforma nel canale cordale, il quale via via si differenzia in colonna vertebrale (2). Vero è che l’embriologia moderna, anziché su basi morfologiche, poggia solidamente sulla genetica molecolare, con evidenti ricadute altresì sull’analisi di certe ‘somiglianze’. Vero è che la teoria della ricapitolazione – assai rigida nonché direzionata a strumento di supporto scientifico della macroevoluzione darwiniana prima e del razzismo nazionalsocialista poi – così fortemente ideologizzata, soffre di capziosità, distorsioni, estrapolazioni arbitrarie plurime e diacroniche, plurideterminate e multistratificate, come si può facilmente capire. Vero è che osservazioni analoghe sugli embrioni dei vertebrati – con le anzidette omologie – hanno radici antiche e più recenti anche in Germania (Carl Friedrich Kielmayer, 1793; Karl Ernst von Baer, 1828; Johann Friedrich Meckel, 1811-1821; Walter Garstang, 1922) e altrettante formulazioni e denominazioni.
Tali osservazioni si basano sul fatto che nell’embriogenesi i processi di segmentazione e gastrulazione sono condivisi da tutti i metazoi (dalle scimmie antropomorfe anche parte dell’organogenesi). Orbene, da ciò non consegue affatto il concetto di «ricapitolazione»; per dirla con Garstang: «Ontogeny does not recapitulate phylogeny, it creates it». Pertanto può parlarsi semmai di un ‘ri-creare’, del sapiente ‘ripetere’ una «sorta di impalcatura» di «fasi precoci» necessaria alla morfogenesi di altre strutture nelle fasi successive (2a).
Infatti è proprio la ricapitolazione a rappresentare il costrutto legittimamente screditato e abbandonato, assieme alla rigida gerarchia fra gradini o livelli, che tale concetto sottintende e riassume, con tutto quel che ne consegue. In altri termini, dire che l’ontogenesi ‘ricapitola’ è interpretare; dire che ripete ed economizza è il rasoio di Occam. Il rasoio di Occam o principio di economia è una delle basi generalissime della scienza moderna.

(§)Malattie neurologiche e psichiche negli animali. Se oggi è pacifica l’esistenza di forme neuropatologiche e psicopatologiche negli animali, è limpido altresì che siano da reputare innovativi gli scritti germanofoni del primo Novecento inerenti una ‘neuropsichiatria’ animale (Blum, Dexler, Sommer, Lorenz, Jaspers) (25).
Vi erano già descritte «malattie cerebrali e nervose»: epilessia, trombosi, ischemie cerebrali, idrocefalo; forme infettive e parassitarie, neoplastiche e degenerative – come encefaliti, meningiti, siringomilia; insieme con le cosiddette «psicosi sintomatiche», dovute cioè a malattie cerebrali organiche: disturbi della percezione sensoriale, della statica, dei movimenti, come il ‘modo di correre o di mordere’, apatia. È perfino reperibile una Tierpsychologie (Robert Sommer, Leipzig, 1925) ed è già nota la patologia da cattività, nonché fenomeni come l’imbizzarirsi dei cavalli, la c.d. ipnosi degli animali, le reazioni da spavento.
D’altro canto inizia a farsi strada la questione delle «psicosi funzionali», la quale tuttavia si presenta assai più complessa: «tuttora è un problema aperto se esistano realmente malattie mentali negli animali», evidenzia Karl Jaspers; nondimeno e, singolarmente per l’epoca, egli riporta un gran numero di osservazioni e altrettanti rimandi, stimando assai interessanti in questo tema «la psicologia e la psicopatologia» giacché «soltanto in contrapposizione agli animali possiamo avvicinarci al concetto di quanto è specificamente umano».

BLUM osservò «attacchi di eccitamento selvatico durante i quali il gatto correva come ossesso in giro per lo stabulario, saltava sulla parete liscia, aggrediva un altro gatto pacifico e lo mordeva, per accasciarsi infine esausto», e parlò di «una zona di contatto fra manifestazioni motorie e psichiche». Osservò poi «cani e gatti arrestarsi in posizioni inabituali o scomode; riprendere poi con movimenti a scatti, improvvisi, o in marcia a passo di parata o simile a quella del cavallo, oppure una posizione del capo come quella del toro nell’atto di aggredire, o un barcollare fino a cadere, un correrre o uno strisciare all’indietro, anche quando avrebbero dovuto avvertire l’ostacolo di una parete. Un cane, in delirio allucinatorio, annusava in giro e guardava fisso dove non c’era da vedere nulla, raspava sulla latta della gabbia o scavava col muso profondamente in un angolo vuoto, vi guardava dentro senza fare attenzione all’ambiente. Il gatto sembrava seguire con lo sguardo una visione e ritirava lentamente la zampa» (25) (corsivo nostro).

La vasta letteratura sull’argomento e l’esperienza di cui attualmente si dispone consentono senz’altro di sciogliere la riserva degli illustri studiosi. Ma il presente contributo non verte su una sistematica, bensì sul riscontro di quelle relazioni analogiche fra i due termini – Mensch und Tier – di contiguità o continuità (4) le quali, fra l’altro, inducono a rettificare l’analisi di circuiti neuromotori elementari e dispositivi psicomotori fondamentali della vita, in quanto comuni all’uno e all’altro. Si considerino in merito le abitudini, l’apprendimento per tentativi ed errori di comportamenti o abilità, le risposte pavloviane, le condotte mimetiche, gli automatismi, le stereotipie.
Alla luce di tali dinamiche comportamentali non sorprende la relazione di similarità della tossicodipendenza umana con il locoismo, riscontrato in bovini, equini e ovini. Essi sviluppano dipendenza verso un gruppo di erbe selvatiche (diverse leguminose, p.e. Fabacee) le «erbe pazze», locoweed o crazyweed, a segno che, acquisita la capacità di reperire le crazyweed, ne diventano ricercatori abituali e spasmodici, ed evitano ogni altro cibo (26): l’appetizione maniaca della letteratura psichiatrica classica.
L’encefalopatia spongiforme bovina o malattia della “mucca pazza” (BSE, 1986) e la sua variante umana o malattia di Creutzfeldt-Jakob (1996) integrano le “encefalopatie spongiformi trasmissibili” (TSE), le quali poggiano sulla stessa base istopatogenetica e causale: la neurodegenerazione microvacuolare con perdita di neuroni e astrocitosi causata da prioni (PRoteinaceous Infective ONly particle=particella infettiva non virale); in entrambe le varianti la disorganizzazione del comportamento è grave e l’esito spesso letale (27).
Lo stato di cattività o stereotipia da costrizione osservabile perlopiù in animali selvatici allontanati dal loro habitat naturale condivide con la patologia carceraria e le sindromi da prisonizzazione il fattore ambientale restrittivo a valenza eziopatogenetica. – Rientrano nella stessa categoria concettuale, ossia di risposta a determinati fattori ambientali patogeni, le Reazioni psicogene, nelle varie forme: reazioni di allarme, di adattamento, post-traumatiche; perdipiù nelle stesse varietà neuromotorie: di torpore fino all’arresto o di eccitamento fino alla grave agitazione psicomotoria. Beninteso, con le particolarità espressive e sintomatologiche di ciascun singolare soggetto, sia esso animale o umano; assieme ad altri elementi relativi alla multifattorialità causale di qualsivoglia patologia.
Vi sono poi altri casi. Entità nosografiche ove l’impianto dottrinale è complesso e tuttora dibattuto; il paradigma diagnostico indiziario, basato com’è sulla valutazione statistica di sintomatologia esplorabile solo con la mediazione del linguaggio (deliri, allucinazioni, alogie) in mancanza di modelli causali istopatogenetici, neurochimici, genetici stabiliti una volta per tutte: così per la schizofrenia e la ciclofrenia (psicosi dissociative e bipolari). Forme psicopatologiche condizionate da specifiche determinanti culturali: le sindromi culture-bound; quadri caratterizzati da paralogismo noetico, vale a dire da ferree costruzioni paralogiche puntellate da nessi interpretativi pseudologici o complessuali: la follia parziale o paranoia lucida; o infine costrutti sindromici caratterizzati da ideazione altamente astratta e simbolizzata, come le ossessioni aritmomaniche, i deliri a tema inventorio, politico, religioso.
Allo stato attuale delle conoscenze, qui non si danno analogie. Del resto sulla medesima cornice concettuale si basano le critiche mosse alla sperimentazione animale in psichiatria da associazioni e movimenti ambientalisti (28). Un passo meritevole:

«Per comprendre meglio l’artificiosità e l’irrazionalità dei modelli animali in campo psichiatrico possiamo analizzare, ad esempio, le ricerche riguardanti la schizofrenia. Per porre diagnosi […] devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato […], appiattimento dell’affettività, alogia, abulia. Ad eccezione dell’abulia e in parte dell’appiattimento affettivo, nessuno di questi sintomi può essere indagato attraverso gli animali. […] Ragionamento analogo vale per le allucinazioni, che sono percezioni sensoriali in assenza di stimolazione esterna dell’organo sensoriale in questione. Qualsiasi tipo di allucinazione, visiva, uditiva, olfattiva, può essere comunicata solo attraverso il linguaggio. Anche gli animali potrebbero percepire allucinazioni, ma noi non potremmo essere sicuri che ciò accada» (corsivo nostro).

Pertanto, annunci come quello de Le Scienze (5 luglio 2003), che titola “Topi schizofrenici”, sono da ritenersi quanto meno prematuri, poggiando su modelli nueurochimici e genetici a dir poco riduttivi e comunque ancora ipotetici (29).

§) La diffusione della simbologia teriomorfa e le risposte animali al test di Rorschach. Fra tutte le figure dell’immaginario, quelle teriomorfe sono le più numerose e le più comuni: basti menzionare l’universalità e l’elevato contenuto simbolico di ogni Bestiario; i libri illustrati per bambini, i sogni, gli incubi, le allucinazioni ipniche; il totemismo e gli epigoni delle religioni teriocefale o zoolatriche; la tradizione fiabesca, mitologica e agiografica; le arti figurative (21a), l’architettura, la poesia. Infine, le risposte al test di interpretazione delle ‘forme casuali’ o delle ‘macchie d’inchiostro’, specchio di tale immenso e popoloso repertorio iconografico; in verità, meglio ancora, specchio della sua scaturigine: l’immaginazione umana o la funzione simbolica con il suo potere di rivelare gli aspetti più segreti e mascherati della realtà, i più refrattari al concetto. Entro un repertorio siffatto, di animali concreti e archetipi visionari, per nulla stupisce il rimando ad avvaloramenti sia positivi (21) sia negativi: rispettivamente, la colomba e l’agnello, ovvero i rettili e gli uccelli rapaci o i mostri zoomorfi o zooantropomorfi delle rappresentazioni popolari e colte (21b). Si noti tuttavia che non si danno equazioni simboliche, tantomeno se ipostatizzate. Gli oggetti del catalogo fantastico, sovrainvestiti, calamitano significazioni polivalenti o addirittura iperdeterminate a segno che la stessa animalità decade ad un piano accessorio: a questa stregua lo sterminato simbolismo ofidico sta al serpente.
La manifesta e arcaica universalità della presenza animale reale o allegorizzata – nel mundus imaginalis collettivo e individuale, in società tradizionali e complesse – testimonia incontestabilmente la «disposizione associativa per gli engrammi delle forme animali» (31a); altrimenti detto «orientamento teriomorfo dell’immaginazione», il quale «forma uno strato profondo» di «astratti spontanei» che «l’esperienza non potrà mai contraddire» (30a).
Orbene: la disposizione associativa per gli engrammi delle forme animali dell’immaginario insieme con l’elementare coazione proiettivo-interpretativa della psiche e con le «forme casuali» (Zufallsformen) delle ‘macchie’ – come elemento trigger – realizzano il circuito neuropsichico nonché il fondamento teorico del più complesso e versatile fra i test psicodiagnostici, nonché una solida base alla sua potente valenza ecforica (εκ-φέρω: porto fuori), evocativa di contenuti interni, intimi, occultati. Contenuti afferrabili solo mediante la forma del simbolo e la sua valenza allusiva e rievocativa; mediante l’idioma cifrato del pensiero simbolico come sapere fondamentale atto a rivelare gli aspetti più profondi della realtà, a mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere (16).
La travagliatissima storia della creazione delle 10 tavole (I –X) così come la vicenda umana e scientifica del suo geniale ideatore, Hermann Rorschach, qui non può trovar luogo. In specie se dovesse comprendere la leggenda centenaria che ha avvolti e consegnati entrambi alla cultura di massa (cinema, fumetti, cartoni animati), incline ad attribuire alle macchie poteri magici, sotto forma di incantesimi, sortilegi e prodigi di ogni sorta (31a).
A dispetto dell’estrema difficoltà si tenterà un percorso tematico avvalendosi di termini tecnici per lo stretto necessario ai fini di una valida comprensione. Si esporranno taluni fra gli aspetti salienti delle risposte animali (A) e taluni fra i ‘valori sintomatici’ rispettivi, ma solo in modalità esemplificativa e inevitabilmente frammentaria e approssimata. Nell’analisi di un ‘protocollo’ (la registrazione delle risposte), infatti, una variabile deve essere prima siglata poi computata ed incrociata con altre variabili nonché ponderata per elementi anagrafici e personali, clinici e situazionali, e poi ancora decodificata secondo certi paradigmi dottrinali e in stratificazioni successive al fine di giungere dallo spoglio dello psicogramma alle conclusioni – inerenti quadri psicopatologici, entità clinche o clinico-forensi, declinazioni caratteriologiche o psicodinamiche o singole funzioni psichiche.
Innanzitutto si computa il numero di risposte animali (A%), comparato principalmente alle risposte umane (U%) ed al rapporto fra risposte banali (Ban) e originali (Orig), potendo così esplorare sia la capacità del soggetto di aderire al pensiero comune sia la qualità della rete intersoggettiva: A% alto (> 50%) può indicare rigidità o stereotipia di pensiero, mentre A% basso (< 35%) ricchezza di idee fino all’ideorrea degli stati maniacali.
È poi significativo riscontrare in A solo una parte del corpo (“corna di cervo”), rinviante a tematiche di minaccia esterna o di angoscia di rapporto; oppure figure indeterminate (“creatura”) o contaminate, zooantropomorfe (“orco”), sovente nelle psicosi schizofreniche o negli stati di impoverimento affettivo-noetico.
Anche il tipo di animale è sintomatico: se innocuo (“topolini”) ovvero terrifico (“tarantola con denti animali”), come in patologie fobiche o attitudini aggressive inibite o sadiche; i piccoli animali invece (“insetti”, “ragni”), specie se molti, stanno per una complessualità persecutoria, inscrivibile o meno in personalità paranoidee o schizofrenia paranoide.
Imprescindibile il contributo di A nel computo di IR, ‘indice di realtà’, nodale anche nel tortuoso confine salute/malattia, inquantoché atto a graduare la coscienza di realtà. IR si evince da 4 risposte di cui ben 3 sono A, ma il conteggio si basa su certe sfumature delle A: A Ban. alla tavola V; A generica alla tav. VIII; A Ban oppure Orig alla tav. X. Così se si riscontra: “farfalla schiacciata” alla V anziché “farfalla”; “iene” all’VIII anziché “animali”; nessuna A alla X (“quadro astratto” anziché p.e. “meduse”) oppure A devitalizzate, contaminate, impressionistiche (“animale ucciso”, “lumaca con le ali”, “insetto mite”) allora IR è basso, ossia il controllo del reale è ipoplasico o aplasico, come nelle psicosi dissociative o affettive.
Allorquando il soggetto proietta l’engramma cinestesico, il movimento (M) nella A anziché nella U (“scimmie che guardano la coda” anziché “uomini che si scambiano qualcosa”) si avrà allora MA : la proiezione di M su A può indicare passività, suggestibilità; una carica affettiva coartata, latente; immaginazione puerile non atta alle realizzazioni creative mature. – Solo due esempi di incrocio di A con altre variabili: se A% è nella norma ma il rapporto Ban/Orig non lo è = A% perde il significato fondamentale di “contatto con la realtà” o “sintonia” – contrapposto a “schizoidia”; se A% è normale ma A/U invertito, A% perde il significato di “coesione nell’ambiente intersoggettivo”.
Appare chiaro qui che le risposte animali – con l’immenso catalogo di figure teriomorfe che le rappresentano – rivelano comunque la carica simbolica che sostanzia la risposta percettiva veicolante elementi psichici subiettivi proiettati nelle forme casuali delle tavole, ossia l’immaginario. In tal caso la funzione immaginale – quale sfera «ontologicamente reale», intermedia fra sensibile e intelligibile, e sfera del passaggio dallo stato di potenza allo stato manifesto (30d) di una particolare simbologia, quella teriomorfa – mette in scena una vera e propria epifania del mondo animale, fra realtà e rappresentazione.

§) Le sindromi psichiatriche a ideazione teriomorfa. Vi sono tre esperienze psicopatologiche, deliranti o allucinatorie, in cui le configurazioni di animali, nelle più diverse forme e dimensioni, costituiscono un rilievo di particolare interesse dal punto di vista psichiatrico clinico e culturale: anzi, della già evidenziata “dinamizzazione del rapporto uomo/animale e del confine fra i due territori, spinta fino ad oltrepassamenti, commistioni o riversamenti” (v. supra), la psicopatologia può dirsi autentico experimentum naturae.
Le tre entità: la Allucinosi zooptica; il Deliroide dermatozoico di Ekbom o parassitosi tattile o allucinosi sinestesica tattile; il Delirio zooantropico o zoopatia interna. Esse infatti paiono dimostrare efficacemente la potenza strutturale della presenza animale nel vissuto corporeo dell’esserci (32d) e nel livello spaziale che l’esserci abita e in cui è situato: lo spazio esterno, lo spazio interno, lo spazio di confine quale «frontiera che le ordinarie relazioni di spazio non oltrepassano» (33). Ed ancora: nelle tre sindromi a tematica zoomorfa in primo luogo l’animale infrange l’«impenetrabilità» del corpo, la sua «insuperabile» barriera: si aggira e incombe all’esterno, nel mondo esterno (ferne Welt); occupa il confine, lo invade, minaccia di entrare nel mondo vicino (nähe Welt); infine entra nel mondo interno (innere Welt) e ne fuoriesce da ogni orifizio: mi penetra, mi invade, mi trasforma. Al tempo stesso la presenza animale dissolve i luoghi della presenza, dell’esserci-nel-mondo come esperienza spazializzata, fra cui l’immagine corporea strutturata e situata nello spazio (aschematia); consustanzialmente poi, mediante l’aschematia e la despazializzazione, disgrega il mondo dei significati.
Nell’Allucinosi zooptica – da causa tossica o cerebrale, p.e. delirium tremens alcolico o epilessia – l’animale compare nel mondo lontano (ferne Welt), nella sfera visuo-uditiva o della «distantia» (34), palesandosi come struttura più o meno complessa, piccola o grande (micro/macrozoopsia), ma ben riconoscibile, spazialmente e numericamente individuabile: «vedo tanti scorpioni tutt’attorno». L’atteggiamento reattivo è il «sentirsi assaliti» quindi tentare più o meno freneticamente di sottrarvisi; ma, potendo identificare l’animale, il contenuto semantico ed emotivo della reazione attiene al tipo zoologico: si è solo intimoriti o sorpresi (gatto nero; topolino), o francamente atterriti (serpente, drago); in ogni caso si tratta di esperienza meno patica (angosciosa) rispetto al Deliroide dermatozoico poiché l’animale si offre sì con la sua corporeità vitale «nel suo essere-libero di fronte a noi», ma non vi è contatto (32d).
Nel Deliroide dermatozoico o sindrome di Ekbom la situazione è più complessa, l’esperienza più patica, accadendo nel mondo vicino (nähe Welt) o spazio somatico di confine, nella dimensione percettiva del contatto (sfera o percezione aptica, άπτω=tocco), come parestesia tattile ma anche illusione visiva, ossia nella plurivocità percettiva della sinestesia («sento e vedo») (35).
L’animale che nell’Allucinosi zooptica s’aggirava «attorno», qui «striscia sul corpo»; perde in strutturazione di forma; si moltiplica; non è più individuabile, se non tramite una ristrutturazione delirante. Ecco che la sinestesia aptico-ottica informe ora, mediante la tematizzazione a contenuto teriomorfo, afferra la sua figura: la superficie corporea appare ora «invasa» da forme percepite come viventi, libere e numerose: piccoli parassiti, «animaletti» identificabili che colonizzano la cute. La persona va dal medico accusando pizzicore, formicolio, prurito; è convinto di essere affetto da una parassitosi che crede di documentare su frammenti di epidermide, ‘vedendovi’ (talora mediante lenti d’ingrandimento) pulci, acari, pidocchi, zecche. Di qui il susseguente comportamento reattivo: si sottopone a depilazioni, frizioni con sapone, alcol, polveri insetticide, medicamenti topici; si provoca lesioni da grattamento, dermatiti o dermatosi più o meno complicate.
Anche l’aschematia e la despazializzazione nell’Ekbom sono più imponenti: non solo l’animale assale e «invade», ma anche la spazialità incombe e «invade» Si constatano raggruppamenti sensoriali riferiti a parametri spaziali statici o cinematici in una puntuale topografia corporea: vi sono «nidi» in punti precisi, «ragnatele» emilaterali (32b), «camminamenti» diretti trasversalmente o dall’alto in basso o bidirezionali.
Di qui oltre a spulciarsi, grattarsi, lavarsi, frizionarsi, il paziente ricerca e vuol dimostrare al medico con o senza strumenti ottici gli «animaletti» che ‘vede’: invero si scorgono puntini, macchioline, piccole lesioni (autoprovocate), nevi, capillari. Come detto infatti, non si tratta di allucinazioni, non già di percezioni senza oggetto, ma di percezioni deliranti sinestesiche: giusto ciò che distingue lo zooptico dal dermatozoico, ossia le microallucinazioni tattili di origine tossica esogena. Va tuttavia evidenziata la possibile confluenza del dermatozoico nello zooptico, ossia la cosiddetta «trasmigrazione percettiva» dall’uno all’altro e perfino nello zoopatico (32c).
Il Delirio zooantropico o zoopatico interno, il più grave, sotto forma di delirio a tema somatico o alienata capacità di vivere lo spazio interno, certo di marca psicotica, dissociativa o timica: qui l’animale o gli animali (serpi, gatti-demoni, lupi) sono «entrati» nello spazio interno o provengono dall’interno ma ne possono anche uscire, dal cavo orale o aborale; hanno infranto e violato le invalicabili barriere, l’impenetrabilità del corpo interno, dell’innere Welt. Ne consegue parallelamente un grado di destrutturazione somatopsichica di tal sorta che il trapassare dal mero insediarsi di animali nel proprio interno (“ho dei serpenti nello stomaco”) all’influenzamento (avverto “i movimenti” dei “demoni-gatti nelle braccia, nelle gambe, nel collo, nella pancia”) e poi dalla possessione alla trasformazione in animale dispiega una nota e inquietante catàbasi verso l’archetipo demoniaco. Pertanto non sorprende come si sconfini nelle demonopatie: argomento che di per sé porterebbe lontano (32e; 36b).
Innegabilmente emblematico in quest’ambito il raro quadro della zoopatia licantropica o semplicemente Licantropia (36a). – Il licantropo (λύκοϛ-άνθροπος=lupo-uomo;were-wolf=uomo-lupo), una volta espunto da mitopoiesi, stregoneria o demonologia, rientra a pieno titolo nel capitolo dei deliri teriantropici (32–36), manifestandosi talora in forma estrema. Forma estrema ed esemplare, ma altresì singolarmente e genuinamente archetipale: per l’immaginario occidentale il lupo è l’animale feroce per eccellenza (30a).

Non si tratta solamente della strordinaria diffusione dell’archetipo – nella tradizione popolare, letteraria, cinematografica, ma anche dotta – bensì del radicato consapere circa la reale trasformazione dell’uomo in lupo come del generale terrore che sia il lupo-animale sia il lupo-uomo perlopiù demonizzati, hanno generato sin dall’antichità occidentale e orientale, dal basso Medioevo in avanti e fino al secolo XVIII, sino cioè alla fondata medicalizzazione. Meritevole di trattazione a sé tanto sono numerose le varianti del fenomeno da una cultura all’altra e da un’epoca all’altra: magnitudine; morfologia, condizioni esterne, modalità, tipo di animale, significato della trasformazione; misure apotropaiche private o sanzionatorie pubbliche; non mancano peraltro voci critiche (5).
Più attinente il caso celeberrimo di Peter Stubbe (1525-1589) non solo per le feroci atrocità dei suoi crimini ma altresì per le modalità dell’esecuzione capitale, non meno spietata e sanguinaria. Donne gravide; bambini, tra cui i suoi figli; capi di bestiame erano le sue vittime. Le uccideva strangolandole o dilaniandole con asce o coltelli o mordendo loro la gola o sventrandole; ne estraeva le viscere, ne beveva il sangue, ne divorava le parti squartate. Dopo la cattura, venne torturato, poi depezzato mediante amputazione di arti e decapitazione, infine i resti bruciati sul rogo e la testa infilzata in un palo (6).


Due aspetti capitali sono da evidenziare ai fini del presente contributo: la dinamica psicopatologica della ‘trasformazione’ e la particolare figura archetipale in campo: il lupo.
È già stata sottolineata nei paragrafi precedenti l’efficacia modellante, patoplastica, dell’elemento figurale nell’informare la caotica potenza deflagrante della sfera patica (fase apofanica o rivelante di Klaus Conrad); elemento figurale attinto dal catalogo simbolico-metaforico dell’immaginario. In estrema sintesi: l’assenza della vigorosa forza contenitiva, salvifica, della messa in forma di un grave e acuto processo destrutturante del patico (fase del trema di Conrad), potrebbe essere esemplata dagli stati di perplessità o frammentazione psicotica, potenti motori distruttivi dal possibile esito infausto di una bouffée delitante acuta, transiente o meno per quadri vistosi come quelli della catatonia letale. Esiste anche la morte psichica.
La seconda questione riguarda la convergenza in quella particolare immagine archetipale delle due epifanie dell’animalità. È il lupo a rivestire gli schemi dell’animazione agitata e quello della voracità sadica: nel lupo l’imperversare rapace di fiera assetata di sangue transita nella crudeltà delle fauci mutilanti, sadiche e devastatrici (30a). Epigoni del “grande lupo cattivo” sopravvivono ancor oggi come simbolo infantile di minaccia e punizione. La Mormolyke (“lupa cattiva”) della Grecia antica è vestita di pelle di lupo; fra i tratti animali del diavolo figurano il muso di lupo e il corpo peloso talvolta provvisto di coda (30e). Nella religione romana Marte-Ares, il dio guerriero per eccellenza, nell’appellativo Gradivus è “colui che guida, che va”, “che va in battaglia”, Mars “agitato che corre”, talora associato al fulmine, alla forza giovanile e al lupo (hirpus), animale consacrato che guida gli Irpini nell’azione militare (30f). Nel Bestiario alchimistico una chimica dell’ostilità aggressiva e crudele brulica di lupi e leoni divoranti (30c). Fungerebbero da transizione fra voracità sadica e animazione aggressiva i sinistri versi animali – come ruggiti, grugniti, ululati; così alle “figlie della voracità”, o “sirene”, si accostano i lupi da una radice significante “ululare”. Spiegherebbe come nelle campagne francesi si dica indifferentemente che un cane (doppione domestico del lupo) “ulula alla luna” ovvero “ulula alla morte” (30a). – A sostegno dell’iperdeterminazione del lupo come archetipo della bestialità violenta, distruttrice e ululante, così come della sua demonizzazione, i riferimenti si potrebbero moltiplicare.

Qui in appendice a motivo dell’indebita annessione alla licantropia (7a) ma di grande interesse ai nostri fini, la misteriosa follia di Nabucodonosor (7) narrata nel quarto capitolo del libro di Daniele, vv 20-34. La suggestiva vicenda è tuttora al centro di dispute interminabili sia sulla natura del disturbo psichico ivi descritto (8) sia sulla sua esistenza (7a), più la miracolosa guarigione e la singolare teriantropia (30a). Il racconto non è breve, di qui le numerose dissolvenze.

«Il re ha pure visto scendere dal cielo un Santo che diceva “Abbattete l’albero e fatelo a pezzi, però lasciate il ceppo e le sue radici nella terra” […] Dodici mesi dopo […] il re andava dicendo: “Non è forse questa la grande Babilonia che io ho edificato […] con il mio immenso potere e per rendere gloriosa la mia maestà?” Queste parole erano ancora sulla bocca del re, quando dal cielo si udì una voce. “A te mi rivolgo o re Nabucodonosor: tu sei privato del regno; sarai scacciato dal consorzio umano, la tua dimora sarà con le bestie dei campi. Ti pascerai di erba come i buoi e trascorreranno su di te sette tempi, finché tu abbia riconosciuto ch L’Altissimo domina sul regno degli uomini e lo può dare a chi vuole”. E subito si compì su Nabucodonosor la predizione: fu scacciato di mezzo agli uomini, cominciò a mangiare l’erba come un bue e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo, finché i suoi capelli crebbero simili alle penne di aquile e le unghie come artigli di uccelli. Ma trascorso quel tempo io, Nabucodonosor, levai gli occhi al cielo: allora mi tornò la ragione, e benedissi l’Altissimo e lodai e glorificai il Vivente in eterno […] In quel momento la mia ragione tornò dunque in me […] e mi fu data una potenza molto maggiore» (Daniele 4:20-33) (corsivo nostro).

L’irriducibile complessità del racconto veterotestamentario induce a soffermarsi sui due punti salienti: l’insolita figura teriomorfa; la natura del disturbo psichico e il suo significato teologico-morale.
L’entità chimerica del passo suindicato è descritta coi seguenti tratti: si nutre di erba come i buoi; ha capelli simili alle penne di aquile e unghie come artigli di uccelli. Trattasi dunque di creatura singolarmente ibrida in relazione non solo alla teriantropia ma altresì al miscuglio di parti anatomiche di animali reali. Secondo illustri demonologi (Édouard Langton, cit. in Durand, cit.) di ibridi siffatti vi sono tracce nella demonologia teriomorfa veterotestamentaria, ma semitica in generale, araba, fenicia e assiro-babilonese. Langton aggiunge che tali entità sogliono vagare in luoghi remoti e deserti e così Teodoreto: «scacciato di mezzo agli uomini, vagando dimorava in luoghi deserti».
La diagnosi di licantropia aleggia assieme a tante altre: melanconia, epilessia, esaltazione religiosa, personalità maniacale con senso di onnipotenza, iperfagia e bulimia. – Tuttavia né una diagnosi retrospettiva (8a) né una parola definitiva appare fondata e degna d’intereresse nell’accuratissima e insuperata analisi di Teodoreto di Cirro. L’esegeta infatti elenca minuziosamente la sintomatica e ne fornisce una lettura approfondita e coerente, che verrà qui riassunta.
Nonostante gli avvertimenti il re non tiene a freno la tracotanza e la superbia, la presunzione tronfia contro l’unico dio: infatti proprio «nel momento in cui si vantava» e queste parole erano ancora sulla bocca del re (v. 28) «Dio non solo lo castigò, ma colpì con la pazzia e la demenza». Un quadro di follia con agitazione furiosa (μανία), delirio furente dei Coribanti (κορυβαντιασμός) e perdita della sensibilità (αναλγήτος): beninteso, mania ispirata dalla divinità, in base alla bipartizione platonica fra μανία somatica e μανία divina o derivante da colpa e mezzo di purificazione; paragona poi il delirio coribantico insieme con il dimorare in luoghi deserti ed i tratti di ferinità sino all’«imbestiamento» con le condizioni di squilibrio mentale degli indemoniati del suo tempo.
Ecco che la parabola discendente di un decadimento mentale siffatto è frenata da un atto estremo di recupero della coscienza: Nabucodonosor alza gli occhi al cielo (v. 31) e ritorna in sé, recupera il senno dopo aver riacquistato la sensibilità (cfr. αναλγήτος) e l’intendimento. Il lessico è in tal caso più religioso che medico: il re viene «liberato» (ελευφθέρωσις=liberazione) alla maniera delle Baccanti: Cadmo compie un analogo esorcisma su Agave. Del resto gli esegeti cristiani interpretano la vicenda come punizione della hybris di Nabucodonosor nei confronti di Jahvè: la finalità di questa punizione è il riconoscimento dei limiti umani e della potenza del Dio d’Israele. Né mancano le concordanze intratestuali: una fra tante in Giobbe 12,24: «Egli toglie il senno ai capi della terra, li fa errare in un deserto senza via: brancolano nelle tenebre senza luce e barcollano come ubriachi».

Un’ultima osservazione in merito alle ‘metamorfosi teurgiche’ conseguite al peccato di hybris, di sfida tracotante alle divinità, da cui prenderanno le mosse le considerazioni finali inerenti una continuità apparente o, lo si preferisse, un punto di discontinuità. Exempla come Licaone trasformato in lupo da Zeus, o Aracne mutata in ragno da Atena, additano in tutta evidenza una parabola discendente nella catena dell’essere, che è la degradazione inferiorizzante dell’humanitas nell’animalitas, per entro la nota visione a matrice gerarchica della scala naturae e della superiorità umana che ne consegue.
Invero anche il termine «imbestiamento» andrebbe appropriatamente inteso come una forma di coazione psichica che potrebbe definirsi “interpretazione teriomorfa” di processi di ben più ardua concettualizzazione. Alla stessa stregua i termini «bestiale» o «bestialità» di uso fin troppo comune finiscono per rappresentare una categoria onnivora, omnicomprensiva, quindi designificata e vacua nel voler esplicare ogni umana bassezza, violenza, turpitudine.
Meglio sarebbe diffidare di codesta semantizzazione astratta nel lessico quotidiano, al fine di poter comprendere l’umanità dell’uomo nella sua quidditas, nel sublime e nell’abietto della sua libera creaturalità, nel suo essere incompiuto, «incomplet» (Sartre), in quanto svincolato dall’imperativo statuto biologico dell’Istinto (Istinkt); nell’essere mero progetto in quanto aperto alle possibilità; condannato a scrivere il proprio destino nella Geworfenheit, nell’«essere-gettato» nel mondo fra dover essere e libertà.
Di ciò può aversi intendimento dopo aver precisato analiticamente il concetto di «Istinto»: sceverarlo una volta per tutte dal banale ‘riflesso’ o dall’umana ‘pulsione (Trieb)’; definire il complesso rigore del suo paradigma come un «destino naturale che si compie automaticamente per leggi naturali», nella cornice di una «originaria perfezione» (25). Per questo l’animale deve dirsi perfectum, compiuto.

Secondo la «teoria obiettivista dell’istinto» della scuola etologica di Lorenz (10) infatti il complesso del comportamento animale è basilarmente una «costruzione fatta da elementi parziali stereotipati e geneticamente determinati». Tali comportamenti realizzati per disposizione congenita (innata, angeboren, secondo gli Autori germanofoni), di «origine ereditaria», assumono valore tassonomico, classificatorio, proprio come se fossero caratteristiche somatiche. In altri termini, gli animali avrebbero in loro stessi la tendenza congenita a compiere determinati atti, i quali nell’insieme costituiscono i comportamenti di «copulazione, allevamento della prole, conquista del territorio». I diversi atti e comportamenti sono collocati in «sistemi gerarchici coordinati», rigorosamente sequenziali, indotti dal «bisogno», a sua volta basato su quella che Konrad Lorenz (10) definisce «energia specifica di azione», ossia un «comportamento appetitivo fissato» indotto da segnali o stimoli, in risposta ad un ben determinato bisogno e tramandato dalla darwiniana selezione naturale (9).
L’istinto quindi comprende sia la spinta interna (internal drive) sia i patterns ereditari di coordinazione: da ciò e dallo stretto collegamento con l’anzidetta energia motivazionale di azione, la deviazione minimale e prevedibile dei fixed action patterns anche in caso di deflessione dell’energia di azione verso altre vie. Due esempi: in seguito a prolungata mancanza di stimoli l’animale compie attività ripetitive ed apparentemente afinalistiche (in assenza di cibo, l’uccello continua a beccare); in presenza di stimoli confliggenti l’animale compie le c.d. «attività trasferite» (nel contrasto fra spinta ad aggredire e spinta a fuggire l’animale compie atti di autopulizia). In altri termini, gli schemi di comportamento sono così rigidamente stabiliti che persino le deviazioni si manifestano con qualche altro automatismo comportamentale. Addirittura elementi acquisiti mediante influssi ambientali, i riflessi condizionati od ogni altra forma di apprendimento, non fanno altro che sovrapporsi al nucleo centrale geneticamente determinato: fixed action patterns (corsivo nostro). Persino gli scenari biblici restano inscritti nella rigorosa cornice di tale complesso insieme di direttive comportamentali che guidano l’intera parabola vitale dell’animale, derivate a loro volta da leggi rigorose e immodificabili, un’infallibile bussola, recante ad una configurazione fissa, stabile, imperitura. Infatti nelle visioni profetiche post-apocalittiche di Isaia, ove «il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà con il capretto» (Isaia 11:6) si descrive una novella mansuetudine, ma non si narra di evoluzioni trasformative ineffabili, come invece per gli uomini che «non si sposano né le donne sono date in matrimonio, ma sono come gli angeli dei cieli» «voi errate dunque poiché non conoscete né le scritture né la potenza di Dio» (Marco 12: 24-25).


Ed ecco la «posizione speciale» dell’uomo deprivato del rigido codice prestabilito che l’animale possiede, già precisamente inscritto nell’έντελέχεια creaturale dell’«Istinto», ecco la superiorità della sua «coscienza infelice»: essere posto fuori dal recinto sacro di un destino già scritto, nudo, solo, incatenato alla brama ambigua e incessante di essere altro da sé, esposto al rischio costante di cadere ancora più in basso o di perdersi nell’infinità dei mondi e nei profondi abissi del male nel volersi titanicamente elevare, inerpicarsi, volare.
Eppure «uno sprone» «gli punge», una penosa nostalgia lo assedia: la nostalgia della «perfezione originaria», la pena e la bellezza del paradiso perduto, o forse, a causa di un peccato, una colpa, una seduzione maligna, smarrito. Smarrito dunque al dilemma delle possibilità giacché in nessuno stato si può sfuggire: «aut aut», l’anelito della salvazione o il cupio dissolvi della perdizione, lo streben di riconquistare l’aurorale innocenza o la mesta consapevolezza di essere per la morte. «Aut aut» tormentoso, assillante, inestinguibile, poiché in nessuno stato l’esserci riesce a trovare un accordo con se stesso, in nessuno stato egli è compiuto, perfetto, felice; ma in ogni stato è incompiuto, infelice, imperfectus.

Note bibliografiche
1. ZHUANG-ZI, CHUANG-TZÛ (369-286), «Zhuāngzĭ sogna di essere una farfalla», cap. 2 “Sull’organizzazione delle cose”, in Zhuang-zi, trad. it., Adelphi, Milano, 1982.
2. Qualche riferimento in materia embriologica: OLIVO O.M., Embriologia generale, Patron, Bologna, 1967; HAMILTON W. J., MOSSMAN H.W., Embriologia umana, Piccin, Padova, 1977; HUETTNER A.F., Comparative Embriology of the Vertebrates, Mcmillan, New York, 1949; MINELLI A., Ontogenesi e filogenesi. Storia e destino dell’idea di ricapitolazione, “Pikaia. Il portale dell’evoluzione”, 14 febbraio 2022, .
2a. GARSTANG W., The Theory of Recapitulation: A Critical Re-statement of the Biogenetic Law, “The Journal of the Linnean Society of London”, Zoology vol. 35, 1922.
3. Albero filogenetico, che ancora risente della scala naturae poi grande catena della vita o dell’essere. La rappresentazione degli esseri come gradini o livelli di una rigida scala gerarchica – dal mondo minerale al divino, attraverso quello vegetale, umano, angelico – è la prima concezione ‘tassonomica’ che ha dominato la storia dall’antichità classica (Aristotele, Platone, Lucrezio), attraverso medioevo (Agostino, Dante) e rinascimento (Ficino), fino alla prima metà dell’ottocento, sostituita poi dal diagramma dell’albero, poi ancora da strutture reticolari; tuttora allo studio.
3a. La legge biogenetica fondamentale (Biogenetische Grundgesetz) così formula: «Die Entwicklung von Embryonen die evolutionäre Geschichte widerspiegelt», in Generelle Morphologie der Organismen: Allgemeine Gründzuge der organischen Formen-Wissenschaft, mechanisch begründet durch die von Charles Darwin reformierte Descendenz-Theorie, 1866, Berlin.
4. ARISTOTELE, Metafisica (libro XI, capitolo 12, 1069a: “definizione di: separato, contrario, consecutivo, contiguo, continuo”), a cura di Giovanni Reale, Rusconi, Milano, 1993.
5. Qualche riferimento a campione. – Il plenilunio come elemento condizionante è assai frequente. In una delle versioni del mito di Licaone, nelle Metaformosi di Ovidio, la trasformazione in lupo avviene per punizione di Zeus. Possono riscontrarsi il gatto selvatico, la volpe, il bue, ma il lupo è nettamente il più frequente. La trasformazione può essere volontaria (tema ripreso nella moderna figura di Animagus in Harry Potter) o repentina (Satyricon). Plinio il Vecchio si chiede nella Naturalis Historia se «bisogna credere falso che gli uomini si trasformano in lupi».
6. Su Peter Stump, chiamato anche Stubbe o Stübbe-Peter (ed altre varianti), si cita una delle fonti principali: KREMER P., Der Werwolf von Bedburg. Versuch einer Rekonstruction der Werwolfprozesses von 1589, Düren, 2005. – Gli studi storici, socioantropologici, psicoanalitici sono numerosi, a partire dal saggio del biblista austriaco EISLER R. (1882-1949), presentato alla Royal Society of Medicine e poi pubblicato: Man into Wolf. An Anthropological Interpretation of Sadism, Masochism and Lycanthropy, 1951 (trad. it., Uomo diventa lupo, Adelphi, Milano, 2019).
7. L’unica fonte è biblica: a) la World History Encyclopedia, afferma l’inesistenza di tracce di tale pazzia, basandosi su Giuseppe Flavio, Diodoro Siculo et alii; b) GRAYSON K., Babylonian historical-literary texts (Toronto, 1975) e GOLDINGAY J., Daniel. World Biblical Commentary (Texas, 1989) si richiamano ad una tavoletta cuneiforme del British Museum (BM 34113) recante una debole traccia dello squilibrio mentale di Nabucodonosor; c) La Cronaca di Nabonedo (BM 35382) riporta il temporaneo allontanamento del re da Babilonia e la reggenza di Baldassarre.
7a. Fin troppi i riferimenti: a) il Dictionnaire des sciences médicales, par une société de médicins et de chirurgiens (Paris, 1818, vol. 29), rinvia alla licantropia; b) ZENZALE F., Daniele in breve. Licantropia?, ; c) cfr. anche BORRELLI, cit., la menziona fra altre patologie mentali.
8. BORRELLI D., La follia di Nabucodonosor nel Commento a Daniele di Teodoreto di Cirro, in “Studia Ephemeridis Augustinianum”, 101, “La cultura scientifico-naturalistica nei padri della Chiesa (I–V sec.), Institutum Patristicum Augustinianum, Roma, 2007. – Lo studio di Teodoreto è considerato eccellente già dal patriarca di Costantinopoli Fozio il Grande; MONTEFAMEGLIO G, La pazzia di Nabucodonosor, Biblistica online, .
8a. Sull’estrema difficoltà di diagnosi retrospettiva fra i tanti: GRMEK M.D., Le malattie all’alba della civiltà occidentale (Parigi, 1983), trad.it., Il Mulino, Bologna, 1985.
9. BALESTRIERI , DE MARTIS D., SICILIANI O., “Il concetto psicoanalitico di istinto di fronte alla etologia”, “Riferimenti etologici per la clinica psichiatrica”, in Etologia e psichiatria, Laterza, Bari, 1974.
10. LORENZ K., Das sogenannte Böse. Zur Naturgeschichte der Aggression (1963), trad. it., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano, 1967; Studies in Animal and Human Behavior, Harvard University Press, 1970-1971, . – Vale la pena di accennare al fatto che il metodo di osservazione di Lorenz (diversamente da quello di studiosi coevi, come Ivan Pavlov) è stato applicato da altri due naturalisti: l’olandese Nikolaas Tinberger e il tedesco Karl von Frisch. I tre etologi ricevettero insieme il Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1973.
11. La Scuola di Chuang-tzû e Lao-Tzû dopo la loro morte (datazioni controverse) fu denominata “Scuola taoista” e posta dai più alle origini del taoismo, inteso come religione, etica, visione del mondo (LARRE C., alla voce “Tao” in POUPARD P., Grande Dizionario delle religioni, Cittadella Editrice, 1988). Altri sostengono la distinzione fra taoismo ‘religioso’ e taoismo dei ‘filosofi’, Chuang-tzû, Lao-Tzû e Lieh-tzû, sottolineandone le controversie (KALTENMARK M., alla voce “taoismo” in BONNEFOY Y., Dizionario delle mitologie e delle religioni, Rizzoli, 1989).
12. Suggestivo a tal proposito il concetto di «deterritorializzazione» (13a), il processo che, confondendo i territori, apre nuove frontiere, nuovi territori, aggregazioni, flussi: «l’orchidea apre il proprio territorio, esce da sé, assumendo una forma che verrà completata dalla vespa». Cimatti (13) applica il concetto deleuziano al «divenire-animale» come «modo per pensare individualità non soggettivate» non «imprigionate nella scatola dell’identità»: ciò consentirebbe l’apertura a possibilità del tutto impensate, «commistioni che travalicano i confini corporei», formando «flussi in cui non ha più senso distinguere chi agisce e chi subisce» «chi è umano e chi non lo è».
13. CIMATTI F., “Divenire-animale”, “L’animale è mancante”, “Farsi vedere”, “Divenire umano”, in Filosofia dell’animalità, Laterza, Bari, 2013. – (13a) DELEUZE G., GUATTARI F., Mille plateaux. Capitalisme e Schizophrénie (1980), trad. it., Mille piani, Roma, 2003.
14. CASTANÒ E., Agamben e l’animale. La politica dalla norma all’eccezione, Edizioni Novalogos, Roma, 2018.
15. HEGEL G. W. F., A-I, “La certezza sensibile, il Questo e la mia opinione”; A-II, “La percezione, la cosa e l’illusione”, “Gli errori dell’intelletto percipiente” in Phänomenologie des Geistes (1807), trad. it., Fenomenologia dello spirito, Rusconi Milano, 1995.
16. JASPERS K., “Lettura della scrittura cifrata”, “L’essenza delle cifre”, “Simbolismo e conoscenza”, “Il mondo delle cifre” (La natura: l’esser cifra della natura; L’uomo: la cifra dell’unità dell’uomo con la sua natura, la cifra dell’unità dell’uomo con il suo mondo, la cifra della libertà) in Philosophie (1932), trad. it., UTET, Torino, 1978.
17. RIZZUTI E., Comprendere e comprendere. L’ideale delle Scienze dello spirito e il suo ethos, “Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane”, 11, 2003.
18. SINGER P., Animal liberation: a new ethics for our treatment of animals (1975), trad. it., Il Saggiatore, Milano, 2010; PEPPERELL R., The posthuman manifesto. To understand how the world is changing is to change the world, http://www.kainos.it, 2000; A.I.T., Transumanesimo. Manifesto fondativo (2008), su transumanisti.org, archiv. 16/2/2017; «SE TRA UOMO E ANIMALE SPARISCE IL CONFINE», Festival filosofia, Modena 15-17 settembre 2006, Comunicato stampa del 19/7/2006, Sala stampa Comune di Modena.
19. SPERANZA M. T., L’animale che dunque sono? Intorno a Derrida per una genealogia del rapporto uomo-animale, Scienza & Filisofia, n. 6, 2011.
20. MARCHESINI R., (a) Il tramonto dell’uomo: la prospettiva post-umanista, Bari, Dedalo, 2009; (b) Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista, Ed. Sonda, Milano, 2014.
21. Ad es: NERUDA P., Bestiario, con prefazione di Giuseppe Bellini, Mondadori, Milano, 2022. – Qui Pablo Neruda si fa albatros, venuto a morire nelle umide sabbie cilene e a dedicare un inno a ciascun animale, dal più grande al più piccolo, dal più maestoso al più umile, fino ai rettili ed agli insetti: conversare coi cavalli, celebrare la bellezza delle farfalle, l’ingegno dei ragni, la danza delle pulci, il canto delle rane.
21a. BOSCH H., Trittico del giardino delle delizie, 1503-1504. – GOYA F., Saturno che divora i suoi figli, 1820-1823; Capricci, 1799.
21b. Un esempio per tutti: l’Orco, mostro zooantropomorfo gigantesco e divoratore di carne umana della tradizione folcloristica e mitologica; ma anche demone, dio infero o rappresentazione degli inferi stessi (Virgilio, Eneide; Esiodo, Le opere e i giorni; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia).
22. Sul ‘confine’ uomo-animale: (a) TONUTTI S., Antropologia di frontiera: il confine uomo-animale, “La ricerca folklorica: contributi allo studio della cultura nelle classi popolari”, fasc. 53, “Intorno ai confini”, aprile 2006; (b) MEO-EHLERT M. de, (a cura di), “L’anima e l’animale. Prospettive e problematiche”, in Confini animali dell’anima umana. Prospettive e problematiche, “Lo Sguardo – rivista di filosofia”, n. 18, 2015; DE MORI B., Il confine permeabile: la negoziazione del confine animali-umani, Etica & Politica, XII, 2010; (c) Uomo-animale: un labile confine, https://www.pawtherapy.it, agg. 15/6/2020.
23. AGAMBEN G., L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino, 2002; Dio, uomo, animale, “Quodlibet”, http://www.quodlibet.it, 18/3/2024. È noto l’interesse dell’Autore al tema dell’uomo πολιτικόν ζώον sin dai primi scritti (Homo sacer, 1995; Stato d’eccezione, 2003).
24. CALLIERI B., “Antropologia e psichiatria clinica”, in Percorsi di uno psichiatra, E.U.R., Roma, 1995.
25. BLUM F., Arch. Psichiatr. [Archiv für Psychiatrie und Nervenkrankheiten], 96, 215, 1932; DEXLER H., Die Erkrankungen des Zentralnervensystems der Tiere, Ueber die psychotischen Erkrankungen der Tiere, 1932-1943; LORENZ K., Durch Domestikation verursachte Störungen arteigenen Verhaltens, 1940; SOMMER R., Tierpsychologie, Leipzig, 1925; citt. in JASPERS K., “Mensch und Tier” (Uomo e animale), Allgemeine Psychopathologie (1913), trad. it., Il Pensiero Scientifico, Roma, 1965.
26. Animali che si drogano, ; Il locoismo/The locoism, .
27. BROWN P., Bovine spongiform encephalopathy and variant Creutzfeldt-Jakob disease, “British Medical Journal”, aprile 2001.
28. CAGNO S., Analisi critica dei modelli animali in psichiatria, , articolo tratto dal volume Sperimentazione animale e psiche: un’analisi critica, dello stesso autore, Ed. Cosmopolis, 2001.
29. JONES H.M., PILOWSKI L.S., Dopamine and antipsychotic drug action revisited, in “British Journal of Psychiatry”, 181, 2002.
30. Su simboli e archetipi animali: (a) DURAND G., “Simboli teriomorfi”, in Les structures anthropologiques de l’Imaginaire (1960), trad. it., Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale, Dedalo, Bari, 1972; (b) L’immaginazione simbolica (1964), trad.it., Adelphi, Milano, 1977; (c) BACHELARD G., La terra e le forze. Le immaginazioni della volontà (1948), trad. it., Ed. Red, Como, 1989; (d) CORBIN H., L’imagination créatrice dans le sufisme d’Ibn Arabi, Flammarion, Paris, 1976; (e) Enciclopedia dell’arte medievale, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1994, alla voce “diavolo”, di Jérome Baschet; (f) DUMÉZIL J., La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 1977.
31. Solo qualche riferimento: (a) RORSCHACH H., Psychodiagnostik, a cura di W. Morgenthaler (Bern, 1921), trad. it., Psicodiagnostica. Metodologia e risultati di un esperimento diagnostico basato sulla percezione (Interpretazione di forme casuali), Ed. Kappa, Roma, 1981; (b) BOHM E., Manuale di psicodiagnostica (Bern, 1949), trad. it., Giunti, Firenze, 1969; (c) LOOSLI-USTERI M., Manuale pratico del test di Rorschach (Paris, 1960), trad. it., OS, Firenze, 1972; (d) Rorschachiana, rivista della International Society for the Rorschach (pubblicata in Europa e USA da circa un secolo).
31a. ELLENBERGER H.E., The Life and Work of H. R., in Bull. Menninger Clinic, 18, 1954; – From Justinus Kerner to H. R., The History of the Inkblot, in Rorschachiana japonica 23, 1981; HULDRICH M.K., Rorscach, Hermann. Neue Deutsche Biographie, Berlin, 2005; CARAVELLI T., Vita di Hermann Rorschach, l’inventore del Test delle Maccchie, https://testrorschach.it, 19/1/2017; SEARLS D., The Inkblots: Hermann Rorschach, His Iconic Test, and the Power of Seeing (New York, 2017), trad.it, Macchie d’inchiostro. Storia di Hermann Rorschach e del suo test, Il Saggiatore, Milano, 2018.
32. CALLIERI B., (a) Considerazioni sul deliroide dermatozoico di Ekbom, “Lav. Neuropsich.”, 22, 1958; (b) L’esperienza illusionale tattile nel deliroide dermatozoico, in “Lav. Neuropsich.”, 27, 1960; (c) CALLIERI B. e PRIORI R., Contributo allo studio dell’esperienza psicotica dermatozoica, zooptica, zoopatica, in “Arch. Psicol. Neurol.Psich.”, 23, 1962; (d) “L’animale nel vissuto corporeo”, in Quando vince l’ombra. Problemi di psicopatologia clinica, EUR, Roma, 2001; (e) Contributo al problema psicopatologico delle demonopatie, in Arch. di Neurol. Psich., 22, 1961.
33. MERLEAU-PONTY M., “La spazialità del proprio corpo e la motilità” (I,3: Il corpo), “Lo spazio” (II,1: Il mondo percepito) in Fenomenologia della percezione (Paris, 1945), trad. it, Il Saggiatore, Milano, 1965.
34. Sulla psicopatologia dello spazio, oltre al già citato Merleau-Ponty: FISCHER F., Zur Klinik und Psychologie des Raumlebens, “Schweiz. Arch. f. Neurol. Psych.”, 31, 1933; BACHELARD G., La poétique de l’espace, P.U.F., Paris, 1961; CARGNELLO D., Sul problema psicologico della «distanza», in “Arch. Di Psicol. Neur. Psich.”, 14, 1953.
35. VELLA G., L’esperienza illusionale tattile nel deliroide dermatozoico, in “Lav. Neuropsich.”, 27, 1960.
36. DAVINI V., (a) Contributo alla conoscenza del delirio zooantropico, in “Sistema nervoso”, 2, 1950; Clinica e psicopatologia del delirio di zoopatia interna, ibid., 4, 1952; (b) Sui deliri demoniaci, in “Sistema nervoso”, 4, 1962

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