Bibliomanie

La lunga strada della giustizia per gli animali. Uno sguardo storico alla legislazione protezionista in Italia
di , numero 57, giugno 2024, Saggi e Studi, DOI

La lunga strada della giustizia per gli animali. Uno sguardo storico alla legislazione protezionista in Italia
Come citare questo articolo:
Giulia Guazzaloca, La lunga strada della giustizia per gli animali. Uno sguardo storico alla legislazione protezionista in Italia, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 2, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11370

1. Due piccole premesse
Una delle sfide più delicate e controverse che scaturiscono dalla nostra relazione con gli animali riguarda l’esercizio della giustizia, ovvero le modalità, gli strumenti e i limiti dei nostri interventi per garantire il rispetto delle loro vite, impedendo (o riducendo) abusi e maltrattamenti. Prima di sviluppare l’argomento nelle prossime pagine sono pertanto necessarie due premesse di ordine metodologico.
Sviluppatisi a partire dagli anni Settanta del Novecento, gli animal studies sono un campo di ricerca inter-transdisciplinare che coinvolge, assieme all’etologia e alle scienze veterinarie, la pluralità delle discipline umane e sociali. Anche rispetto al tema della giustizia e della convivenza interspecifica, la filosofia, l’etica, il diritto, la storia, l’antropologia, la scienza politica, la sociologia forniscono altrettanti approcci e interpretazioni1. Gli animali sono titolari di diritti soggettivi e, se sì, quali? Cosa significano “giustizia” e “ingiustizia” applicate ad essi? Abbiamo il dovere di proteggere gli esemplari selvatici dalla fame e dalle malattie? Quali sono le risorse legali migliori per operare in difesa delle altre specie? Qual è stato il percorso storico-politico della legislazione protezionista? È possibile, o auspicabile, attribuire ai non umani la facoltà di agire legalmente? A quale giurisdizione appartiene la più parte degli animali selvatici, impossibili da localizzare? Quali criteri deliberativi si devono adottare dinanzi ai “dilemmi tragici” in cui gli interessi umani confliggono con quelli animali?
Sono solo alcuni dei tanti interrogativi che ruotano intorno alla cosiddetta “questione animale” e non si potrà darne in questa sede un resoconto completo. Molto più circoscritto, l’obiettivo del saggio è quello di offrire una ricostruzione storica del percorso della legislazione italiana in materia di tutela animale, percorso risalente ai codici preunitari del Granducato di Toscana e del Regno di Sardegna2. Si tratta di oltre un secolo e mezzo di storia durante il quale l’interesse per la condizione animale si è via via arricchito di teorie e pratiche nuove, si è nutrito di proficui legami con altri movimenti e mobilitazioni, ha assunto una veste legale e istituzionale grazie alla normativa, oggi molto estesa e articolata, che disciplina il trattamento delle altre specie. All’interno di tale cammino una cesura importante la produsse a livello internazionale la nascita delle moderne dottrine antispeciste negli anni Settanta-Ottanta del Novecento: cambiarono le forme della militanza, si ampliò il raggio d’azione degli attivisti, emersero nuove rivendicazioni e cominciò a trasformarsi anche il punto di vista del legislatore. La Dichiarazione universale dei diritti dell’animale sottoscritta dall’Unesco nel 1978 si può considerare il simbolico inizio di questo nuovo orientamento; pur non essendo vincolante giuridicamente, attribuisce una limitata soggettività agli animali affermando che «nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza»3.
In Italia gli effetti di tale svolta sul piano legislativo si videro a partire dagli anni Novanta quando, dopo decenni di sostanziale immobilismo, si aprì una stagione di grandi riforme che dotarono il nostro ordinamento di disposizioni riguardanti tutti, o quasi, i comparti delle relazioni tra umani e animali. Concentrandosi su questa fase e sugli aspetti principali dell’attuale normativa, il saggio offrirà anche un breve excursus storico dedicato all’età liberale e a quella fascista con l’intento di cogliere continuità e rotture di un percorso che ha visto crescere progressivamente, a tutti i livelli, l’attenzione nei confronti dei bisogni e del benessere degli animali. Un paragrafo finale sarà incentrato sul raffronto tra l’approccio dell’animal welfare, grosso modo assimilabile alle politiche protezioniste vigenti, e la tesi degli animal rights attorno alla quale si è sviluppato un ampio dibattito che rappresenta probabilmente la sfida maggiore lanciata da alcuni teorici dell’animalismo agli attuali ordinamenti. Anche in questo caso si privilegeranno un’ottica di tipo storico, con l’obiettivo di sottolineare la “lunga durata” di determinate riflessioni, e i contributi portati dai principali studiosi italiani dell’argomento.
La seconda succinta premessa riguarda il case studydel saggio. La storia della legislazione protezionista italiana non presenta elementi di spiccata eccezionalità, ha conosciuto un cammino abbastanza simile a quello degli altri paesi europei e, rispetto a talune misure, può essere letta come un adeguamento normativo ai cambiamenti intervenuti nella percezione collettiva degli animali e del nostro rapporto con essi4. La scelta di concentrare il focus sull’Italia discende quindi dalla convinzione che l’esperienza del nostro Paese possa costituire una chiave di lettura per cogliere i più generali indirizzi e campi d’intervento della normativa in materia di animali. Esiste invero, soprattutto oggi, una caotica pluralità di giurisdizioni che rendono il panorama assai differenziato e producono, anche all’interno delle singole nazioni, un enorme divario tra le leggi esistenti e quelle effettivamente applicate. Lungi pertanto dal presentare l’Italia come un caso virtuoso o un modello universalizzabile, ci limitiamo a constatare che la storia del protezionismo italiano si colloca, tutto sommato, nel solco dell’animal advocacy internazionale, ovvero nel solco di quei paesi che gli zoofili ottocenteschi definivano «civili». In tal senso, la normativa italiana può darci un’idea del molto che è stato fatto per agire legalmente in difesa delle vite animali e del molto (o moltissimo) che resta da fare.

2. Opera pietosa, civile, patriottica: la legislazione zoofila in età liberale e fascista
Sebbene le origini del dibattito italiano sulla tutela animale e le prime disposizioni di legge si ritrovino già nella prima metà dell’Ottocento, un vero e proprio movimento zoofilo si strutturò solo dopo l’unificazione5. Sull’esempio della Società torinese protettrice degli animali, nata nel 1871 grazie all’interessamento di Giuseppe Garibaldi e della nobildonna inglese Anna Winter, associazioni «contra il mal governo delle bestie» videro la luce in tutte le principali città e svilupparono una fitta rete di contatti sia tra loro che con le consorelle europee. Assai lontane dall’orizzonte dei moderni gruppi animalisti, contemplavano un numero ristretto di abusi e maltrattamenti, perlopiù quelli praticati nei luoghi pubblici dalla manodopera dedita al bestiame, e si rivolgevano principalmente ai fanciulli e alle classi lavoratrici per affrancarle da «usanze barbare» e «spettacoli schifosi»6. Il loro obiettivo era diffondere i sentimenti «dell’affetto, della disciplina, della morale e dell’amor patrio»7, ma anche la consapevolezza che un uso corretto e razionale degli animali avrebbe reso «un gran servigio all’ordine della vita materiale, sia dal punto di vista della salubrità che della produzione»8. Con le vesti di autentiche officine educative, le società zoofile sentivano di partecipare al più vasto processo di nation building e i loro affiliati, provenienti perlopiù dal mondo della borghesia liberale e laica, erano spesso impegnati anche in altre cause riformatrici e filantropiche. Il protezionismo trovò quindi spazio nel discorso pubblico e nell’attivismo sociale come forma di pedagogia collettiva basata sulla convinzione che il rispetto per gli animali fosse un attributo dei «popoli civili» e servisse a «propagare i progressi dell’umanità»9.
Pur inclini a pensare che «l’istruzione e l’educazione possono più delle leggi»10, gli zoofili si mossero anche sul terreno politico e già nel 1873 chiesero di introdurre nella legislazione penale un articolo contro i «mali trattamenti o atti di crudeltà» verso gli animali. Lo fece, 16 anni dopo, il nuovo codice penale redatto da Giuseppe Zanardelli che inserì tra i reati contro la pubblica moralità quello di maltrattamento di animale. L’art. 491 prevedeva un’ammenda fino a 100 lire per «chiunque incrudelisce verso animali o, senza necessità li maltratta ovvero li costringe a fatiche manifestamente eccessive»; la stessa pena era fissata per chi, «fuori dei luoghi destinati all’insegnamento, sottopone animali ad esperimenti tali da destare ribrezzo»11. Se, da un lato, si recepiva parzialmente il principio della sensività animale – «il martoriare, con animo spietato, esseri sensibili […] non cessa di essere un male perché quelli che ne soffrono sono privi dell’umana ragione» –, dall’altro Zanardelli disse che le violenze sugli animali suscitano nell’uomo «affetti feroci e barbari» e lo «induriscono anche contro i suoi simili»12, secondo la vecchia “tesi della crudeltà” di San Tommaso. Che fosse una norma di stampo antropocentrico lo dimostravano altresì i richiami al pubblico ribrezzo e ai maltrattamenti inutili, segno che il legislatore aveva a cuore soprattutto la protezione della sensibilità collettiva dai turbamenti suscitati dalla spietatezza verso gli animali. Con un’impostazione pedagogica e civilizzatrice, l’art. 491 costituì comunque una novità importante, anche perché tutta la legislazione zoofila dell’epoca era ancora incentrata prevalentemente sulla tutela degli interessi umani. Più che nei contenuti della norma, il problema risiedeva semmai nella sua applicazione e nell’assenza di ausili o riconoscimenti per le società protettrici; le pressioni degli attivisti in tal senso sarebbero state in parte recepite dalla legge del 1913.
Presentato alla fine del 1910 da Luigi Luzzatti, il disegno di legge scaturiva dalla consapevolezza che nei «più civili Stati del mondo» si stavano estendendo le misure contro le crudeltà, mentre in Italia l’attuazione dell’art. 491 era lasciata «allo zelo di associazioni di privati cittadini»13. Rispetto al progetto originario, tuttavia, il Senato respinse sia la possibilità per le società zoofile di costituirsi parte civile nei processi penali, sia molte delle restrizioni inizialmente previste per l’esercizio della sperimentazione; la legge fu infine approvata dalla Camera il 6 giugno 1913 con 206 voti favorevoli e 23 contrari. Tutt’altro che perfetta – ammise Luzzatti –, era comunque l’«inizio di una cosa buona e […] santa, il rispetto degli esseri più deboli», e nel complesso risultava abbastanza innovativa e dettagliata. Proibiva «gli atti crudeli», l’impiego di animali anziani o malati non «più idonei a lavorare, il loro abbandono, i giuochi che importino strazio […], le sevizie nel trasporto del bestiame, l’accecamento degli uccelli» e in generale le «inutili torture» di ogni specie animale; non conteneva più i vecchi richiami al pubblico ribrezzo e corroborava le iniziative delle società protettrici, conferendo loro la personalità giuridica e il compito di promuovere l’applicazione delle norme14. Il suo merito maggiore consisteva proprio nell’aver attribuito «la consacrazione del governo e del Parlamento» all’operato degli zoofili, rendendo i loro sforzi una «virtù pubblica»15. Sebbene dopo due anni l’ingresso dell’Italia in guerra ne avrebbe compromesso l’applicazione, l’importante contributo degli animali sui campi di battaglia finì per rafforzare nell’immaginario collettivo il connubio tra civiltà, orgoglio patriottico e rispetto per tutte le creature viventi.
Non stupisce pertanto che Benito Mussolini si sia appropriato della causa della tutela animale per farne un vanto della “modernità fascista”. Declinata in chiave nazionalista, autoctona e virile, la «sana zoofilia» mussoliniana doveva, da un lato, portare alla completa fascistizzazione del movimento protezionista e, dall’altro, alimentare il mito della grandezza nazionale. «Chi maltratta gli animali non è italiano»16, soleva dire il duce, che aveva «simpatia» per tutti gli animali17 e costituiva la prova vivente che tale attitudine non rende incapaci «di azioni virili ed eroiche»18. Il successivo avvicinamento alla Germania nazista, dove nel 1933 era stata varata una legge anti-crudeltà tra le più avanzate dell’epoca, fece dire a Mussolini che il popolo tedesco, «senza dubbio un popolo militare», aveva «naturalmente insito il rispetto verso gli animali fino a mostrare talvolta un vero culto per esso»19. Nell’ottica del regime gli animali erano comunque «beni» della nazione e «fattori necessari dell’autarchia»20. Trasferita «sopra un piano nazionale e coordinato», la zoofilia diventava così indistinguibile dalla zootecnia, la bontà si legava all’utile, la gratitudine al profitto e la disciplina morale del singolo si trasfondeva negli interessi della patria21. Gestire e disciplinare il rapporto tra gli italiani e il mondo animale divenne pertanto uno degli obiettivi dell’esperimento totalitario mussoliniano e in questa direzione si orientarono le sue disposizioni legislative22.
La legge più autenticamente fascista – ma altresì decisiva per le sorti del movimento zoofilo dopo la fine della Seconda Guerra mondiale – fu quella che nel 1938 istituì l’Ente nazionale fascista per la protezione degli animali. Eretto in ente morale autorizzato a fregiarsi del fascio littorio, assorbì le preesistenti società zoofile con il compito di concorrere alla «difesa del patrimonio zootecnico», svolgere un’«efficace propaganda di sana zoofilia» e vigilare sull’attuazione delle disposizioni di legge23. Organo «parastatale, unitario e totalitario»24 celebrato come «una nuova provvidenza del regime»25 che istituzionalizzava la zoofilia «nel grande quadro corporativo della nazione fascista»26, il nuovo ente costituì l’acme del dirigismo mussoliniano in materia di tutela e, più in generale, uno dei tasselli del programma di integrazione totale della società nello Stato. Anche la cosiddetta legge Acerbo, il testo unico delle disposizioni sulla caccia varato nel 1931, mirava essenzialmente alla fascistizzazione del comparto venatorio; le vecchie associazioni furono incorporate dalla Federazione nazionale fascista dei cacciatori italiani che, sotto la vigilanza del Ministero dell’Agricoltura, divenne l’effettivo strumento di gestione della caccia da parte del governo27.
Delle tre leggi promulgate in tema di sperimentazione animale, la più importante fu quella del 1931 che, lievemente modificata dieci anni dopo, sarebbe rimasta in vigore fino al 1992. Per la prima volta utilizzava il termine «vivisezione», vietandola assieme a tutti gli esperimenti su mammiferi e uccelli quando non avessero «lo scopo di promuovere il progresso della biologia e della medicina sperimentale»; quella su cani e gatti, «normalmente vietata», era permessa solo qualora non fosse «assolutamente possibile» avvalersi di altre specie. Anche l’obbligo di anestetizzare gli animali poteva non essere rispettato in casi di estrema necessità. Nel complesso le numerose deroghe, poco specificate e lasciate alla libera decisione dei ricercatori, finivano per disciplinare solo limitatamente l’uso degli animali negli esperimenti28.
Non erano disposizioni davvero originali e cogenti neppure quelle contenute nel codice penale promulgato da Alfredo Rocco nel 1930. L’articolo più importante, il 727 sul reato di maltrattamento, riprendeva sostanzialmente il testo dell’articolo del codice Zanardelli e lasciava indefinito e discrezionale il concetto di “maltrattamento”; anche l’articolo sull’uccisione o danneggiamento di animali altrui continuava a vedere l’animale come un bene economico salvaguardato dallo Stato negli interessi del proprietario. Se fra le norme penali la sola novità di rilievo consistette nell’introduzione del reato di «omessa custodia o mal governo di animali» (art. 672)29, più significativo fu il regolamento sulla vigilanza delle carni del 1928 con cui il regime, dietro le pressioni degli zoofili, stabilì che per la macellazione si dovessero adottare «procedimenti atti a produrre la morte nel modo più rapido possibile»; l’impiego di pistole a proiettile captivo, un «sistema di macellazione umanitaria, assolutamente accettabile sotto tutti i punti di vista»30, sarebbe diventato una delle grandi battaglie dell’Enfpa. Con l’introduzione delle leggi razziali nel 1938, il regime impose il divieto di macellazione per dissanguamento secondo il rito ebraico, una misura «illuminata» – scrisse la stampa – che metteva fine a una «barbara pratica» indegna di «una razza civile»31.
In generale, le disposizioni introdotte dal fascismo si rivelarono durature ma non così radicali come le presentava la roboante propaganda mussoliniana. La centralizzazione statalistica non comportò una reale semplificazione normativa, non eliminò le deroghe in materia di vivisezione, non chiarì la definizione del reato di maltrattamento, mentre la sovrapposizione delle competenze continuava a costituire un limite alla razionalizzazione efficientistica cui aspirava Mussolini32. Inoltre, benché si dicesse che il rispetto per gli animali era stato elevato a «dovere sancito dalla legge»33, la tutela giuridica restava indirizzata principalmente ai sentimenti umani di pietà e all’inviolabilità del patrimonio. Con la nascita della Repubblica sopravvisse comunque la maggior parte dei provvedimenti fascisti, compreso l’Ente nazionale per la protezione degli animali che nel 1945 il governo decise di non sopprimere perché «in ogni paese che si rispetti, il senso di umanità nei riguardi degli animali fa parte dell’educazione civile»34. La creatura tanto voluta da Mussolini, sebbene per motivi lontani dal riconoscimento della dignità animale, sarebbe rimasta un ente di diritto pubblico fino alla fine degli anni Settanta.

3. Dalla parte degli animali: la nascita dell’animalismo moderno
Quando nel 1982 Alberto Pontillo, teorico e organizzatore del movimento antivivisezionista, coniò il termine “animalismo” lo fece per sottolineare la cesura con l’approccio compassionevole della vecchia zoofilia e per dimostrare che l’attivismo in favore degli animali stava cambiando volto anche in Italia35. Mentre l’Enpa – all’epoca la più grande realtà organizzativa del settore con oltre 110 sedi e migliaia di volontari – attraversava una grossa crisi interna e la sezione italiana del WWF aveva cominciato a promuovere il passaggio dal vecchio conservazionismo al moderno ecologismo, nell’ambito della tutela animale la frattura fu data dalla pubblicazione nel 1976 di Imperatrice Nuda dell’italo-svizzero Hans Ruesch. Pietra miliare dell’antivivisezionismo italiano e internazionale, il volume portò alla nascita di nuove organizzazioni – tra le altre, la Lega anti-vivisezione istituita a Roma nel 1977, la Lega antivivisezionista italiana, l’Organizzazione internazionale per la protezione degli animali, la Lega italiana dei diritti dell’animale – caratterizzate sia dall’impegno per «l’abolizione totale della vivisezione», e non già solo per la sua regolamentazione, sia dal credo antispecista, paradigma teorico centrale di tutte le nuove etiche animaliste36.
Il termine “specismo” era stato introdotto nel 1970 dallo psicologo inglese Richard Ryder per indicare la diffusa discriminazione praticata dall’uomo verso i membri delle altre specie e divenne il concetto portante di Animal Liberation (1975), il volume del filosofo australiano Peter Singer considerato la bibbia dell’animalismo moderno. Se Animal Liberation fece decadere la discriminazione in base all’appartenenza di specie tramite l’argomento della sofferenza, The Case for Animal Rights (1983) dello statunitense Tom Regan formalizzò su basi giusnaturalistiche la teoria dei diritti animali37. Si trattò di una rivoluzione copernicana che investì tutti gli ambiti della “questione animale” a partire dal lessico: il concetto di specismo, l’assimilazione della vivisezione a un moderno “olocausto”, il nuovo linguaggio liberazionista furono il detonatore di un nuovo inizio nella storia della protezione animale. Allontanatasi dalla mera lotta alle crudeltà, cominciò a rivendicare la difesa dei non umani in base al medesimo «principio etico su cui si fonda l’eguaglianza umana»38.
Mettersi «dalla parte degli animali», come affermava Pontillo, non rappresentò il solo elemento di rottura delle nuove leghe con la tradizione zoofila precedente; lo furono anche l’ampiezza dei campi di intervento, la radicalità delle rivendicazioni, le modalità discorsive, le strategie propagandistiche. Gli allevamenti intensivi, il massacro degli animali da pelliccia, la caccia, l’uccellagione, il randagismo, gli zoo, le corride, gli spettacoli con animali, le corse dei cavalli diventarono altrettanti fronti di un’attività massiccia e capillare che mirava a sensibilizzare tanto l’opinione pubblica quanto la classe politica. Da un lato, infatti, i militanti utilizzavano tutti i repertori dell’azione collettiva (presidi, petizioni, picchetti, boicottaggi, sit-in, scioperi della fame) per suscitare la solidarietà dei cittadini, interessare i mass media e fare pressione sui governi. Dall’altro, facevano circolare una gran quantità di materiali dai contenuti spesso crudi e scioccanti per squarciare il velo di ignoranza che ancora copriva le pratiche di sfruttamento e creare un forte impatto emotivo nei destinatari. I «manifesti strappalacrime» delle campagne anti-pellicce ad esempio, evocando «senza mezzi termini l’omicidio», crearono polemiche, imbarazzi, sensi di colpa39; il fortunato slogan lanciato dalla Lav (Lega anti-vivisezione) negli anni Novanta Tua madre ha una pelliccia? La mia non l’ha più, con l’immagine di un cucciolo di volpe, è giunto fino ai giorni nostri.
Cuore pulsante del moderno animalismo, fu comunque l’antivivisezionismo a dare notorietà alle nuove leghe e a fare da collettore alle diverse anime dell’universo associazionistico. Già nel 1978 gli attivisti riuscirono a raccogliere 270.000 firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare che chiedeva l’abolizione totale della sperimentazione animale in Italia40; l’anno successivo “Il Resto del Carlino” scrisse che il tema della vivisezione teneva ormai banco «dalle colonne dei giornali ai consessi accademici, dalle aule consiliari a quelle giudiziarie»41. Nell’aprile del 1984 la Settimana dell’antivivisezione, organizzata a Roma dalla Lav con il patrocinio dell’assessorato alla Cultura, fu un successo inaspettato con migliaia i visitatori e una grande eco sui mezzi di comunicazione. L’antivivisezionismo cominciò a coinvolgere anche la classe politica, inserendosi trasversalmente agli schieramenti; furono soprattutto Adele Faccio del Partito radicale, il socialista Filippo Fiandrotti e Gianni Tamino di Democrazia proletaria ad appoggiarlo attivamente e a promuoverlo presso i colleghi parlamentari. Quando, nel 1984, Fiandrotti riuscì a far passare alla Camera un ordine del giorno sul blocco triennale dei fondi pubblici destinati alla vivisezione, il trimestrale della Lav titolò In Parlamento una maggioranza antivivisezionista42.
Sul finire degli anni Ottanta partirono anche in Italia le mobilitazioni contro l’uso degli animali nei test dell’industria cosmetica e le campagne di boicottaggio dei prodotti delle aziende che li impiegavano. Nel 1989 all’istituto Rizzoli di Bologna, dove era prevista l’apertura di un centro di ricerca con animali, una trentina di tecnici si dichiararono obiettori di coscienza alla vivisezione e l’ospedale ne accolse la richiesta43. Quello fu anche l’anno in cui la Lav acquistò una pagina del supplemento culturale di “la Repubblica” titolandola La vivisezione è un crimine; intervenne, tra gli altri, il premio Nobel Rita Levi Montalcini che definì «giusta» la sperimentazione controllata e «barbari» gli antivivisezionisti44.
Tra polemiche, dibattiti, boicottaggi a circhi e zoo, campagne per Natali e Pasque «senza sangue», le istanze degli animalisti avevano ormai conquistato le luci della ribalta. Nel 1985 il presidente della Lega italiana protezione uccelli, dal divano di «Pronto, Raffaella?», iscrisse la Carrà alla sua associazione in diretta nazionale. Nell’edizione di «Fantastico» del 1987, alla vigilia di una tornata referendaria, Adriano Celentano invitò gli italiani a scrivere sulla scheda elettorale «la caccia è contro l’amore», finendo incriminato per attentato contro i diritti politici45. Nel 1988 migliaia di persone, compresi attori e star del mondo dello spettacolo, sfilarono a Roma in compagnia dei loro cani per sensibilizzare gli italiani contro la piaga degli abbandoni e chiedere una nuova legge sul randagismo46. Qualche anno dopo Marina Ripa di Meana fece scandalo facendosi ritrarre nuda in una campagna anti-pellicce dell’International Fund for Animal Welfare. Non solo la difesa degli animali aveva cambiato volto, linguaggio, strategie, ma stava ottenendo una sempre più vasta legittimazione pubblica; il passo successivo sarebbe stato trasferirne le istanze sul terreno politico e giuridico.

4. In difesa del popolo maltrattato: la legislazione degli anni Novanta-Duemila
Frutto delle grandi mobilitazioni degli anni precedenti, ma anche dei fermenti riformatori che segnarono il passaggio alla cosiddetta Seconda Repubblica, il rinnovamento legislativo in materia di tutela animale si aprì con quella che è stata definita una sorta di «costituzione per animali»47: la legge quadro n. 281 del 1991 sulla protezione di cani e gatti e sulla prevenzione del randagismo. All’avanguardia nel panorama internazionale e ancora oggi, almeno sulla carta, «una delle normative più avanzate al mondo»48, introdusse il principio che il controllo delle popolazioni lo si attua non con la soppressione ma mediante la prevenzione e la sterilizzazione. Stabilì che i cani e i gatti randagi o ospitati nei rifugi non possono essere destinati alla sperimentazione né soppressi, se non in caso di gravi malattie o pericolosità e in modo esclusivamente eutanasico; istituì l’anagrafe canina con l’obbligo di iscrizione per tutti i cani, affidò alle regioni il compito di provvedere alla costruzione dei rifugi, fissò multe per l’abbandono dell’animale di proprietà, la mancata iscrizione all’anagrafe, il commercio di cani e gatti destinati alla vivisezione. Ai gatti randagi riconobbe il diritto di vivere in libertà, assegnando alle autorità locali il compito di sterilizzarli e ricollocarli nel loro ambiente. Se, sul piano pratico, mise fine alla triste pratica della soppressione in massa degli animali nei rifugi (circa 100.000 esemplari uccisi ogni anno per gassazione), a livello teorico plasmò una nuova visione dell’animale e dell’obbligo di tutela: i randagi protetti come “categoria” e la tutela non più vincolata all’offesa della sensibilità umana49.
La modernità della legge anti-randagismo la si riscontra in parte anche nei documenti della commissione ministeriale preposta alla riforma del codice penale, che infatti suggerì di elevare «l’animale medesimo a oggetto primario della tutela stessa»50. Tra le novità più rilevanti del nuovo art. 727, introdotto nel 1993, vi erano l’estensione dei criteri di valutazione del maltrattamento, una serie di previsioni specifiche dei casi in cui l’offesa verso gli animali sia più grave del semplice maltrattamento, la punibilità dell’abbandono degli animali domestici, delle forme di detenzione incompatibili con la loro natura, dell’organizzazione e partecipazione a spettacoli che ne causano «strazio o sevizie». A fronte di alcune «novità in senso propriamente animalistico»51, la disposizione riformata non modificava però l’impianto sostanziale del vecchio articolo, mantenendo ancora vaga la definizione di maltrattamento, contravvenzionale la natura del reato e non trattando settori come la caccia, la pesca, la sperimentazione. Negli anni successivi sarebbero state le interpretazioni giurisprudenziali a estendere il campo applicativo della norma, mediante la progressiva affermazione dell’idea di una soggettività animale a cui legare il principio di tutela52.
Proprio al fine di superare le insufficienze dell’art. 727 e di contrastare lo sfruttamento criminale degli animali, nel 2004 fu approvata la legge n. 189 sul «divieto di maltrattamento». Intestando il nuovo titolo del codice penale ai «delitti contro il sentimento per gli animali» si confermava la tradizionale visione antropocentrica, ma la legge risultò innovativa perché inaspriva le pene per i reati più gravi e conferiva una nuova soggettività all’animale quale «essere vivente capace di soffrire» e pertanto oggetto di tutela specifica. Rispetto all’uccisione, punita col carcere, eliminò la distinzione tra quella di un animale altrui e quella di un animale proprio o di nessuno; il maltrattamento fu trasformato da contravvenzione in delitto e si decise di sanzionare il procurare lesioni crudeli, sottoporre l’animale a fatiche insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, somministrargli sostanze stupefacenti. Per i combattimenti clandestini la legge aggiunse la sanzione anche per addestratori, organizzatori, scommettitori e per l’abbandono di un animale domestico la possibilità della reclusione fino a un anno53. Difformi furono tuttavia le reazioni del mondo animalista; la soddisfazione di Enpa, Animalisti italiani, Legambiente, Lav non fu condivisa da molte altre leghe che criticarono la scelta legislativa di non punire le condotte colpose, di aver collocato le nuove disposizioni tra i delitti «contro il sentimento per gli animali» e di non averle applicate in materia di caccia, allevamento, macellazione, sperimentazione, circhi, zoo. Per quanto impossibile ottenere da un articolo del codice penale l’abolizione completa di tutte queste pratiche, si tratta effettivamente di limiti che indeboliscono le prospettive di garanzia e tutela54.
Nel settore della sperimentazione animale, ancora regolamentato dalla legge fascista, si intervenne nel 1992 recependo tardivamente la direttiva europea 86/609/CEE. I principali elementi di novità, tali da rendere la legge in apparenza molto restrittiva, riguardavano l’attenzione per la salute e il benessere delle cavie, le responsabilità del veterinario e del ricercatore, l’obbligo di comunicazione o autorizzazione, l’introduzione del concetto di «metodi alternativi», il ricorso agli animali solo quando non è utilizzabile «altro metodo scientificamente valido» e «praticamente applicabile»55. Insoddisfatte, però, le leghe animaliste denunciarono le numerose deroghe, le lacune nella definizione di “esperimento” e nella quantificazione del dolore e le iniziali carenze nella rete dei controlli e nella ricerca dei metodi alternativi56. Fu invece coronata da un pieno successo la lunga battaglia degli animalisti italiani ed europei per vietare i test sugli animali nell’industria cosmetica: nel 2013, a vent’anni dalla prima direttiva comunitaria che ne proponeva l’abolizione, entrarono in vigore le ultime disposizioni previste, tra cui il divieto di commercializzare all’interno della Ue i cosmetici testati su animali57. Per gli attivisti italiani, che da anni sostenevano le proteste di medici e ricercatori indisponibili all’uso degli animali, fu altresì una grande vittoria la legge 413/1993 sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale. Legge «originalmente italiana» e «altamente significativa», dal punto di vista giuridico può essere letta sia come una forma di tutela della libertà di pensiero del singolo, sia come la protezione di un bene di rango elevatissimo, ovvero l’integrità e la non sofferenza dell’animale. Secondo quest’ultima interpretazione, la legge collocherebbe «il bene animale, almeno nel perimetro della coscienza», a un livello così alto da renderlo «bilanciabile con il bene costituzionalmente superprotetto della salute/vita umana»58.
A partire dagli anni Novanta si è molto sviluppata in ambito nazionale e comunitario anche la legislazione su allevamento, trasporto e macellazione, per quanto le prime riforme risalissero alla fine degli anni Settanta. Fu allora che cominciò a farsi strada l’attenzione del legislatore per la sofferenza animale e quando, nel 1978, l’Italia introdusse l’obbligo di stordimento prima della macellazione per diverse specie di animali, la legge menzionava esplicitamente la necessità di evitare loro «ogni sofferenza inutile»59. La successiva normativa, in molti casi differenziata a seconda delle specie, da un lato presenta lacune, inesattezze espressive, deroghe, carenze sul piano dei controlli e del sanzionamento, ma dall’altro evidenzia il tentativo di valorizzare il benessere degli animali in quanto «esseri senzienti»; un importante principio, quest’ultimo, incluso nel Trattato di Lisbona come valore condiviso dell’Unione europea. Anche in questo settore furono decisive le pressioni degli attivisti – massiccia, ad esempio, la campagna contro gli allevamenti in batteria delle galline ovaiole, conclusasi con la decisione europea di vietarli a partire dal 201260 –, le nuove acquisizioni scientifiche in materia di animal welfare e la crescente sensibilità dell’opinione pubblica. Il regolamento europeo del 2009 sull’abbattimento degli animali sottolineò infatti che la macellazione era ormai diventata «una questione di interesse pubblico» e che i consumatori si aspettavano il rispetto delle «norme minime in materia di benessere degli animali» in tutte le fasi del ciclo produttivo61. Resta tra le questioni più delicate e controverse, sotto il profilo sia politico che giuridico, quella relativa alla macellazione in osservanza a credi religiosi che non ammettono lo stordimento dell’animale e ne prescrivono la morte per dissanguamento. Tale pratica, sulla quale intervenne nel 2003 anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, è attualmente consentita in Italia in ottemperanza al diritto di libertà religiosa62.
Oltre alla legge 157/1992 sulla protezione della fauna selvatica omeoterma (mammiferi e uccelli) e sul prelievo venatorio, giudicata dagli animalisti ancora troppo favorevole ai cacciatori63, meritano di essere menzionati il divieto di produzione, importazione e commercio di pellicce di cane e gatto introdotto nel 2001 e ribadito dalla legge 189/200464 e il decreto legislativo del marzo 2014 che ha vietato l’allevamento di cani, gatti e primati da laboratorio, gli esperimenti su scimmie antropomorfe e l’impiego di animali nelle ricerche per la produzione di materiale bellico. Dal 2022, infine, sono proibiti anche in Italia l’allevamento, la riproduzione in cattività e l’uccisione di animali di qualsiasi specie per la finalità di ricavarne pellicce.
Ben più estesa di quella qui presentata e in continua evoluzione, l’odierna legislazione protezionista risulta qualitativamente innovativa rispetto al passato e copre, in modo più o meno efficace, tutti gli svariati ambiti della relazione tra umani e non umani. Tale corpus comprende convenzioni internazionali, direttive e regolamenti europei, leggi nazionali e locali, articoli del codice civile e penale, disposizioni di igiene pubblica e, oltre ai settori già menzionati, disciplina il commercio degli esemplari esotici, l’uso degli animali negli spettacoli, la gestione di quelli presenti nei giardini zoologici e negli acquari, le modalità di trasporto, i compiti della polizia veterinaria e molto altro. Sebbene le organizzazioni animaliste continuino a denunciarne lacune, deroghe, carenze nella vigilanza, l’attuale impostazione normativa è abbastanza attenta ai bisogni e alle caratteristiche etologiche degli animali e in tal senso si distanzia, anche concettualmente, dalle vecchie leggi anti-crudeltà. Resta tuttavia aperta la complicata questione del collegamento tra diritti e doveri: gli esseri animali sono portatori di diritti?

5. Quale giustizia per gli animali? Uno sguardo al dibattito
Mentre si può intuitivamente capire quando c’è ingiustizia nei confronti di una creatura vivente – quando le viene arrecato un danno ostacolando, per negligenza o in modo deliberato, un suo «sforzo significativo»65 –, assai più difficile è stabilire che cosa sia la “giustizia” soprattutto se ci si riferisce ai non umani per i quali non esiste, a livello internazionale, un documento sui diritti giuridicamente applicabile. Su questo punto nemmeno le etiche animaliste offrono risposte concordi e la locuzione “diritti degli animali”, pur entrata nell’uso corrente da diversi decenni, è formalmente impropria: tutti gli ordinamenti, compresi quelli più inclusivi, assegnano infatti la qualifica di “persona” e la titolarità dei diritti soggettivi ai soli individui umani. Gli animali, viceversa, per la giurisprudenza restano “cose mobili” o “beni” ai quali anche la normativa più recente offre una protezione concettualmente non molto diversa da quella applicata a paesaggi, monumenti, opere d’arte66. Va anche detto però che, a differenza delle vecchie norme incentrate sulla salvaguardia degli interessi economici e del sentimento di empatia per gli animali, la nuova legislazione ha generalmente accolto il principio della loro rilevanza giuridica, dando riconoscimento e tutela alla capacità animale di soffrire. Lo ha fatto tramite il ricorso alla categoria del dovere, ossia imponendo agli esseri umani doveri e obblighi, talvolta molto onerosi, di cui gli animali sono i diretti destinatari.
Il primo a postulare in modo compiuto la tesi dei legal rights per gli animali fu Regan, fondandola sul «valore inerente» dei «soggetti-di-una-vita»: sono tali gli individui con desideri, interessi, speranze, memoria, con una vita emotiva e un’identità psico-fisica, dotati pertanto di un valore intrinseco che nessuna contingenza può alterare. Per Regan sono «soggetti-di-una-vita» tutti gli appartenenti alla classe dei mammiferi, dei quali occorre quindi cessare ogni tipo di oggettivazione67. Molto prima di lui aveva già utilizzato il concetto di diritti animali Jeremy Bentham, uno dei padri dell’utilitarismo moderno; il suo rifiuto dell’antropocentrismo, basato sul principio etico e giuridico della sensività, lo portò a dire che gli animali hanno il diritto di non essere trattati con crudeltà, indipendentemente dalla presenza di una legge che glielo riconosca, e che solo la «mano della tirannia» aveva negato loro tale diritto68. Il giacobino scozzese John Oswald, in The Cry of Nature del 1791, alludeva esplicitamente alla possibilità che l’affermazione dei diritti umani e la rivendicazione di quelli animali fossero parte di un medesimo percorso di emancipazione dal vecchio ordine politico di «dominio»69. Un secolo più tardi Henry Salt, filosofo e riformatore inglese, formulò un vero e proprio ius animalium di stampo razionalista e anti-antropocentrico che preludeva a quello delle attuali dottrine animaliste: «battersi per i diritti degli animali va molto al di là di implorare misericordia e giustizia per le vittime di maltrattamenti»70. Come Oswald, era convinto che fosse stata l’età delle grandi Rivoluzioni a diffondere un umanitarismo destinato a diventare la «caratteristica essenziale della democrazia»; un umanitarismo fondato sull’altruismo e su un’idea inclusiva di giustizia che, una volta applicata agli esseri umani, non si può non estendere ai membri delle altre specie. «Gli animali inferiori hanno diritti? Sicuramente, se ce li hanno gli esseri umani»71: così esordiva il suo Animals’ Rights Considered in Relation to Social Progress, secondo Singer il testo chiave di tutto questo dibattito rispetto al quale ben poco si può aggiungere.
In realtà, attorno al tema della giustizia e dei diritti degli animali si è sviluppata negli ultimi decenni una riflessione molto articolata di cui, in questa sede, ci limitiamo a illustrare i due orientamenti principali e il contributo dato dai maggiori studiosi italiani dell’argomento. Da un lato, vi è l’etica della responsabilità umana che pone l’accento sui doveri dell’uomo nei confronti della natura e degli altri viventi; dall’altro, la teoria della liberazione animale dove invece è centrale la nozione di “diritto” e vi rientrano le posizioni favorevoli alla concessione dei legal rights a talune specie72. Finora il legislatore, non solo italiano, si è ispirato principalmente al primo approccio, spesso identificato dalla locuzione inglese animal welfare, e ha focalizzato gli interventi sulle modalità di trattamento e su tutele di tipo oggettivo. L’implementazione di queste leggi è l’obiettivo dei gruppi animalisti di stampo protezionista, come l’Enpa, secondo cui gli animali devono essere trattati con rispetto e, laddove utilizzati per gli scopi umani, assicurando loro il massimo benessere possibile. Tale posizione viene respinta con forza dagli attivisti di area liberazionista che, rifacendosi allo slogan di Regan «gabbie vuote e non gabbie più grandi»73, intendono abolire progressivamente l’utilizzo di talune specie e interi comparti di sfruttamento.
La tesi degli animal ritghs muove dall’equiparazione tra lo specismo e le altre ideologie della discriminazione, dall’argomento singeriano dei «casi marginali» – se fosse la razionalità il criterio per stabilire la classe dei detentori dei diritti ne sarebbero esclusi anche gli infanti e i minorati mentali –, dalla correlazione fra i nostri doveri diretti, come non causare agli animali sofferenze gravi, e i loro conseguenti diritti. I suoi sostenitori ricorrono spesso all’immagine dell’expanding circle per includere, al pari di Bentham e Salt, la liberazione animale nel medesimo percorso storico che ha permesso a gruppi umani originariamente oppressi di accedere alla sfera della considerazione morale e giuridica. Non ammettere che «gli animali non esistono in funzione dell’uomo», come «le donne non esistono in funzione degli uomini, i neri dei bianchi», darebbe vita – secondo la filosofa del diritto Silvana Castignone – a una morale «monca» e a un sistema giuridico «cieco», mentre solo la categoria dei diritti «permette di egualizzare l’idea che dobbiamo difendere gli animali per loro stessi»74. Castignone, che a metà degli anni Ottanta portò in Italia i testi dei padri dell’antispecismo, suggerisce di partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’animale del 1978 per attribuire ai non umani quei diritti soggettivi che costituiscono «uno strumento giuridico psicologicamente molto efficace per la loro salvaguardia»75.
Anche Valerio Pocar, sociologo del diritto e membro del Movimento antispecista, è un convinto sostenitore degli animal rights. Rigetta l’«asserzione della priorità degli umani» sugli altri viventi, accomuna l’antropocentrismo alle «ideologie discriminatrici del razzismo e del sessismo» e propone di includere gli animali nel patto di cittadinanza sia perché hanno tratti comuni con gli umani, sia perché gli uni e gli altri sono «portatori di interessi convergenti», primo fra tutti la tutela dell’ambiente76. È una «teoria allargata dei diritti umani» quella che propone la filosofa Paola Cavalieri, promotrice assieme a Singer del Progetto Grande Scimmia che da anni si batte per ottenere l’attribuzione dei diritti fondamentali a tutti i primati. Convinta che, «sulla base della dottrina stessa che li fonda, i diritti umani non sono umani», ne auspica l’estensione perlomeno a mammiferi e uccelli applicandoli come diritti «negativi o alla non interferenza». Non farlo, a suo avviso, non solo priva le vittime di diritti a cui hanno titolo, «ma costituisce un attacco diretto nei confronti dei diritti stessi»77.
Chiara nelle sue finalità, a differenza dell’etica della responsabilità umana assai meno prevedibile rispetto agli esiti finali, la teoria degli animal rights è però controversa, di difficile applicazione e viene respinta da molti studiosi con svariati tipi di obiezioni. Si evidenziano, ad esempio, le difficoltà oggettive di estendere a soggetti “altri” un sistema strutturalmente autoreferenziale come quello giuridico, aggirando il principio pattizio che ne è alla base. Uno degli ostacoli tecnicamente insuperabili, perlomeno nei sistemi democratici, riguarda il diritto alla vita che, se riconosciuto agli animali in forma assoluta, richiederebbe l’introduzione dell’obbligo del vegetarianismo. Si sottolineano altresì la natura spesso conflittuale e spietata del nostro rapporto con le altre specie e il fatto che la preferenza per i propri simili sia dovuta a fattori biologici, non già culturali o ideologici come nel caso del razzismo78. Un ulteriore rischio dell’egualitarismo interspecifico è quello di annullare le peculiarità delle singole specie e le naturali rivalità fra esse, finendo per “umanizzare” l’animale e attribuire agli animal rights un carattere di universalità che i diritti umani possiedono solo perché riferiti ad un’unica specie. È questa la posizione della filosofa Luisella Battaglia che invita pertanto a elaborare un’etica interspecifica fondata sulla «diversità» e non sull’«assimilazione». Mentre «rispettare qualcuno solo nella misura in cui è simile a noi è una concezione ben misera del rispetto», una «filosofia della diversità» potrebbe giungere a riconoscere il valore degli animali «in quanto tali e non in quanto umanizzabili, o aspiranti all’umanità»79.
Anche senza ricorrere ai legal rights, non mancano soluzioni giuridiche in grado di accoglierne parzialmente le istanze e ampliare quel principio di soggettività che la più recente normativa in parte già riconosce agli animali. Secondo alcuni giuristi, infatti, il percorso de iure condendo della legislazione protezionista può progredire fino a convergere su posizioni, se non uguali, almeno affini nei contenuti a quelle suggerite dalla teoria del rightism animale. Lo dimostrano, ad esempio, le leggi superprotettive introdotte da alcuni paesi per la tutela delle grandi scimmie, leggi che di fatto ne garantiscono i diritti fondamentali alla vita, alla libertà, a non subire tortura. Un’altra strada può essere l’inserimento della «dignità animale» in Costituzione come hanno fatto, tra gli altri, Svizzera, Germania, Austria, India; tale misura, secondo la giurista Francesca Rescigno, «non rappresenta una forzatura né svilisce le previsioni relative ai diritti fondamentali riconosciuti all’essere umano»80. In Italia è entrata in vigore nel 2022 la modifica dell’art. 9 della Costituzione che inserisce fra i compiti dello Stato la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e il disciplinamento dei modi e delle forme di tutela degli animali81. Le associazioni animaliste, che pure avrebbero voluto un testo più esplicito circa il riconoscimento della dignità e della sensività animale, auspicano che l’art. 9 riformato si possa tradurre in atti concreti da parte del legislatore: il rafforzamento della tutela penalistica, il potenziamento degli obblighi di protezione in capo all’uomo, l’inasprimento dei controlli, l’adozione di criteri più severi di valutazione del benessere animale.
Non è però solo attraverso la legge che potranno diffondersi nella coscienza collettiva l’idea della dignità animale e il rispetto verso tutte le creature senzienti; molto potrà venire dall’educazione, dalla sensibilità dei singoli, dalla consapevolezza critica dei problemi legati alla sostenibilità ambientale, dallo sviluppo di nuove tecnologie. La nostra relazione con le altre specie, molto più complessa oggi di quanto sia mai stata in passato, è comunque destinata a reggersi ancora a lungo su equilibri fragili fatti di contraddizioni, conflitti, compromessi82. Un «animalismo democratico» – come quello profilato dal filosofo Simone Pollo – deve portare alla luce gli interessi degli animali e promuovere «riforme e trasformazioni circostanziate», ma non può assumere le «declinazioni dell’assolutismo morale e politico», né invocare cambiamenti drastici nel governo delle nostre società83. La gestione degli animali pone difficili problemi di ordine morale e pratico, emotivo e giuridico, culturale e politico, le etiche animaliste non danno risposte univoche e le inclinazioni dei singoli sono estremamente differenziate. Che non sia pensabile, né auspicabile, che un sistema liberale e pluralista risolva tutte queste questioni in modo unilaterale e assoluto lo aveva già capito Zanardelli più di un secolo fa, quando a proposito della vivisezione disse che bisognava mettere d’accordo «la pietà pubblica verso le bestie […] con le esigenze della scienza»84. È un dilemma che ci portiamo dietro da allora, anche se di passi avanti verso la giustizia per gli animali ne sono stati fatti molti.

Note

  1. È impossibile citare tutta la letteratura concernente gli animal studies. Una breve rassegna si trova in Giulia Guazzaloca, L’«animale politico»: uno sguardo interdisciplinare alla relazione tra uomo e animale, in «Ricerche di Storia Politica», XVIII, 2015 pp. 323-334. In chiave storiografica l’animal turn è analizzato da Mieke Roscher, André Krebber, Brett Mizelle (ed. by), Handbook of Historical Animal Studies, Berlin, De Gruyter Oldenbourg, 2021. Un importante contributo recente, di taglio filosofico e giuridico, è quello di Martha C. Nussbaum, Giustizia per gli animali. La nostra responsabilità collettiva, Bologna, il Mulino, 2023 (ed. or. 2022).
  2. La prima anti-cruelty law fu varata nel 1641 dalla Corte della colonia inglese del Massachusetts; ad aprire la strada alla moderna legislazione zoofila fu tuttavia il Cruel Treatment of Cattle Act promulgato in Gran Bretagna nel 1822.
  3. Cfr. www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_205_2_file.pdf.
  4. Cfr. Anna Mannucci, Mariachiara Tallacchini (a cura di), Per un codice degli animali. Commenti sulla normativa vigente, Milano, Giuffrè, 2001; Francesca Rescigno, I diritti degli animali. Da res a soggetti, Torino, Giappichelli, 2005; Maurizio Santoloci, In nome del popolo maltrattato. La tutela giuridica degli altri animali, Torino, Satyagraha,1990.
  5. Sugli albori del movimento zoofilo italiano cfr. Tommaso Petrucciani, Per una più mite servitù. Protezione degli animali e civilizzazione degli italiani (1800-1913), Milano, Mimesis, 2020, pp. 41-108.
  6. Rapporto annuale della Società napoletana per la protezione degli animali, Napoli, 1898, p. 6.
  7. Relazione morale della presidentessa Angela Diana Costetti, Bologna, 1903, p. 4.
  8. Resoconto dell’assemblea generale tenuta in Firenze il 15-1-1873, Firenze, 1873, p. 15.
  9. Statuti della Società Triestina contro il maltrattamento degli animali, Trieste, 1854, p. 3. Sul protezionismo dell’età liberale cfr. T. Petrucciani, Per una più mite, cit.; Giulia Guazzaloca, Primo: non maltrattare. Storia della protezione degli animali in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2018, pp. 3-52.
  10. Giovanni Rostagni di Bozzolo, Resoconto storico della Società torinese protettrice degli animali, Torino, 1873, p. 25.
  11. Cfr. F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 161-163.
  12. Progetto del Codice Penale per il Regno d’Italia presentato alla Camera dei deputati della tornata del 22-11-1877, Roma, 1888, pp. 714-715.
  13. Senato del Regno, Leg. XXIII, Relazione dell’Ufficio Centrale. Protezione degli animali, 8-6-1911.
  14. Camera dei deputati, Leg. XXIII, Discussioni, 6-6-1913. Per una ricostruzione del dibattito in Parlamento cfr. Andrea Maori, La protezione degli animali in Italia. Storia dell’ENPA e dei movimenti zoofili ed animalisti dalla metà dell’Ottocento alle soglie del Duemila, Roma, Enpa, 2016, pp. 61-82.
  15. Luigi Luzzatti, Prefazione, in Augusto Agabiti, L’umanità in solitudine (per la protezione degli animali), Roma, Voghera, 1914, p. xi.
  16. L’espressione, attribuita al duce, era molto ricorrente sulla stampa e negli opuscoli zoofili; cfr., ad esempio, Michele De Matteis, Proteggere gli animali, Brescia, Opera Pavoniana, 1941, p. 107.
  17. Rachele Mussolini, La mia vita con Benito, Milano, Mondadori, 1948, p. 105.
  18. Disse così di Mussolini la presidente dell’Enfpa Maria Vezzani Bottai in un discorso radiofonico del 1938; cit. in Hans Reger, Cinque storie di animali, Bamberg, Buchners Verlag, 1941, p. 22.
  19. Cit. in Ibidem, p. 20.
  20. M. De Matteis, Proteggere, cit., p. 45.
  21. Cfr. Nella sfera dell’autarchia. L’azione della zoofilia, in “Corriere della Sera”, 9-6-1938.
  22. Cfr. Giulia Guazzaloca, «Anyone who Abuses Animals is no Italian»: Animal Protection in Fascist Italy, in «European History Quarterly», vol. 50, 2020, pp. 669-688.
  23. Camera dei deputati, Leg. XXIX, Discussioni, 16-3-1938.
  24. Dott. Alfa, La Giornata degli animali, in “Corriere mercantile”, 7-2-1938
  25. Una nuova provvidenza del regime, in “Il Nuovo Torrazzo”, 6-11-1937.
  26. H. Reger, Cinque, cit., p. 17.
  27. Cfr. Zeffiro Ciuffoletti, Storia dell’associazionismo venatorio in Italia, Bologna, Greentime, 1997, pp. 43-63.
  28. Per il testo della legge 924/1931 cfr. www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/90/zn97_01_002.html
  29. Per un’analisi giuridica delle norme cfr. F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 163-167.
  30. Archivio centrale dello Stato (ACS), Polizia amministrativa e sociale (POLAM), 1940-1975, b. 96, Relazione del presidente sull’esercizio 1940, s.d. Cfr. anche Giuseppe Gasco, La macellazione eutanasica od «umanitaria», Lucca, Lippi, 1939.
  31. Cfr. Il rituale ebraico è vietato da oggi, in “La Gazzetta del Popolo”, 19-10-1938; La proibizione di un disgustoso e incivile rito ebraico, in “Il Piccolo”, 20-10-1938.
  32. Nel 1936 non fu accolta la proposta di Giuseppe Gregoraci, coordinatore delle società zoofile, di raccogliere in un testo unico l’insieme delle norme e dei decreti in tema di animali; Giuseppe Gregoraci, Progetto di legge per la protezione degli animali (Testo unico delle leggi e dei decreti per la protezione degli animali), Roma, Saturnia, 1936.
  33. Umberto Maggi, Presentazione, in M. De Matteis, Proteggere, cit., p. 7.
  34. ACS, POLAM, 1907-1986, b. 775, Nota del Ministero dell’Interno alla Segreteria particolare del Capo della polizia, 11-11-1945.
  35. Per Pontillo la novità principale consisteva nel modo di «definire razionalmente, moralmente, il nostro rapporto con gli animali, vedendolo anche, e soprattutto, dalla parte loro»; Alberto Pontillo, Introduzione, in Peter Singer, Liberazione Animale, supplemento di “Liberiamo la cavia”, IV, 4-1986, pp. vii-viii.
  36. Cfr. G. Guazzaloca, Primo: non maltrattare, cit., pp. 136-146.
  37. Per una sintesi delle dottrine animaliste cfr., tra gli altri, Barbara de Mori, Che cos’è la bioetica animale, Roma, Carocci, 2007. Sugli orientamenti del nuovo movimento animalista cfr. James M. Jasper, Dorothy Nelkin, The Animal Rights Crusade. The Growth of a Moral Protest, New York, Free Press, 1992.
  38. Peter Singer, Liberazione animale, Milano, Il Saggiatore, 2003 (ed. or. 1975), p. 17.
  39. Alessandra Longo, Ma che vergogna… va in giro in pelliccia, in “la Repubblica”, 17-12-1989.
  40. Camera dei deputati, Leg. VII, Disposizioni sulla ricerca e sperimentazione scientifica con particolare riguardo alla vivisezione, proposta di legge d’iniziativa popolare presentata il 6-4-1978.
  41. Gli esperimenti sui conigli fanno ribrezzo al pretore, in “Il Resto del Carlino”, 26-9-1979.
  42. In Parlamento una maggioranza antivivisezionista!!!, in “Liberiamo la cavia”, II, 4-1984, p. 3.
  43. Cfr. Stefano Cagno, Gli animali e la ricerca. Viaggio nel mondo della vivisezione, Roma, Editori Riuniti, 2002, pp. 129-130.
  44. Amo “follemente” e da sempre gli animali. Ma, se controllata, la vivisezione è giusta, in “Corriere della Sera”, 21-7-1989. Cfr. Alberto Pontillo, L’incantevole vivisettrice, in “Liberiamo la cavia”, VII, 2-1989, p. 1.
  45. Cfr. Franco Scottoni, Fantastico inquisito, in “la Repubblica”, 21-11-1987.
  46. Cfr. Vip in Piazza a difesa degli animali, in “Corriere della Sera”, 17-4-1988.
  47. Paolo Quark, Abbandonare Fido diventa reato, in “La Stampa”, 1-9-1991.
  48. Margherita D’Amico, La legge sui randagi c’è, basta volerla applicare, in “la Repubblica”, 21-8-2012.
  49. Cfr. Anna Mannucci, Leggi italiane e contesto culturale, in Silvana Castignone, Luigi Lombardi Vallauri (a cura di), Trattato di biodiritto. La questione animale, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 343-344.
  50. Cit. in Valerio Pocar, Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 95.
  51. Ibidem, p. 97.
  52. Cfr. F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 170-180; G. Fiandaca, Prospettive possibili di maggiore tutela penale degli animali, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., pp. 79-91.
  53. Cfr. Maurizio Santoloci, La nuova legge sulla tutela degli animali: finalmente una protezione diretta in linea con l’Europa, in Gianluca Felicetti (a cura di), Animali, non bestie. Difendere i diritti, denunciare i maltrattamenti, Milano, Ambiente, 2004, pp. 109-127.
  54. Cfr. ibidem, pp. 115-116; Santoloci fu tra gli estensori del testo e lo definì «un grande passo avanti in nome del popolo maltrattato». Cfr. anche F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 180-189.
  55. Il termine “alternativi” fu introdotto nel 1978 dal fisiologo David Smyth rielaborando il principio delle 3R, replacement, reduction, refinement, formulato nel 1959 da due ricercatori britannici. Cfr. Gilberto Corbellini, Chiara Lalli, Cavie? Sperimentazione e diritti animali, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 89-101; S. Cagno, Gli animali, cit., pp. 144-161.
  56. Cfr. Roberta Bertocci, La vivisezione: a quando i metodi alternativi?, in G. Felicetti (a cura di), Animali, cit., pp. 79-84; Michela Kuan, La vivisezione in Italia regione per regione, in “Impronte”, n. 7, 2013.
  57. Cfr., ad esempio, Monica Rubino, Stop ai test sugli animali per i cosmetici, in “la Repubblica”, 9-3-2013.
  58. Luigi Lombardi Vallauri, L’obiezione di coscienza legale alla sperimentazione animale, ex-vivisezione, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., p. 270 ,p. 276.
  59. Norme di attuazione della direttiva CEE n. 74/577 relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, legge 439/1978. L’obbligo dello stordimento fu ribadito dal decreto legislativo n. 333 del 1998.
  60. Cfr. Franco Travaglini, Il benessere animale e il caso della gallina ovaiola, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., pp. 177-197.
  61. Regolamento (Ce) n. 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento, 24-9-2009.
  62. Per un’analisi teorica cfr. Federico Zuolo, Etica e animali. Com’è giusto trattarli e perché, Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 99-109.
  63. Cfr. Giuseppe Paolillo, Tutela della fauna o massacro legalizzato?, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., pp. 131-160.
  64. L’Italia fu tra i primi paesi al mondo a sancirlo, dopo che la Lav aveva portato alla luce l’esistenza di un mercato responsabile della morte di almeno 2 milioni di cani e gatti all’anno, allevati e uccisi perlopiù nei paesi asiatici.
  65. Cfr. la tesi in M.C. Nussbaum, Giustizia, cit., pp. 29-48.
  66. Cfr. ad esempio Cosimo M. Mazzoni, I diritti degli animali: gli animali sono cose o soggetti del diritto?, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., pp. 111-119; F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 89-160.
  67. La prima edizione italiana di The Case for Animal Rights (1983) fu pubblicata da Garzanti nel 1990.
  68. Jeremy Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Torino, Utet, 1998, p. 422. Per un’analisi critica dell’utilitarismo applicato alla giustizia per gli animali cfr. M.C. Nussbaum, Giustizia, cit., pp. 75-94.
  69. John Oswald, Il grido della Natura, Roma, Parte in Causa, 2018 (ed. or. 1791).
  70. Henry Salt, Animals’ Rights Considered in Relation to Social Progress, Macmillan, 1894, p. 88.
  71. Ibidem, p. 3, p. 1.
  72. La questione di quali categorie di animali includere nella comunità morale ed eventualmente giuridica è molto dibattuta; seguendo i criteri della sensività, della coscienza e delle emozioni, alcuni studiosi ritengono che uno statuto etico spetti a tutti gli animali con un sistema nervoso centrale. Cfr. B. de Mori, Che cos’è la bioetica, cit., 2007, pp. 46-51.
  73. Tom Regan, Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali, Casale Monferrato, Sonda, 2005 (ed. or. 2004), p. 36.
  74. Silvana Castignone, Oltre la grande catena dell’essere per un’etica interspecifica, relazione riportata in “Liberiamo la cavia”, IV, 3-1986, p. 9.
  75. Silvana Castignone, Introduzione, in Id. (a cura di), I diritti degli animali. Prospettive bioetiche e giuridiche, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 33.
  76. Cfr. V. Pocar, Gli animali, cit..
  77. Paola Cavalieri, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 165, pp. 169-170. Cavalieri riprende le teorie del giurista americano Gary Francione che, tra i primi a contestare la qualifica giuridica dei non umani come res, ritiene illegittimo e da abolire qualsiasi uso degli animali per fini umani. Cfr. Gary L. Francione, Animals as Persons. Essays on the Abolition of Animal Exploitation, New York, Columbia UP, 2008; Gary L. Francione, Anna Charlton, Animal Rights. The Abolitionist Approach, Logan, Exempla Press, 2015.
  78. Sulle prospettive del welfarism e del rightism animale cfr., tra i tanti, Mariachiara Tallacchini, Appunti di filosofia della legislazione animale, in A. Mannucci, M. Tallacchini (a cura di), Per un codice, cit., pp. 35-46; J.M. Jasper, D. Nelkin, The Animal Rights, cit., pp. 167-176; F. Rescigno, I diritti, cit., pp. 120-160.
  79. Luisella Battaglia, Etica e diritti degli animali, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 57.
  80. F. Rescigno, I diritti, cit., p. 272.
  81. Per un commento in chiave giuridica cfr. Diana Cerini, Elisabetta Lamarque, La tutela degli animali nel nuovo articolo 9 della Costituzione, in “federalismi.it”, n. 24, 2023, pp. 32-65.
  82. Sui paradossi e le contraddizioni del rapporto tra umani e non umani cfr. Hal Herzog, Amati, odiati, mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali, Torino, Bollati Boringhieri, 2012 (ed. or. 2010).
  83. Cfr. Simone Pollo, Manifesto per un animalismo democratico, Roma, Carocci, 2021.
  84. Progetto del Codice Penale per il Regno d’Italia, cit., p. 714.

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