Bibliomanie

Draghi, fenici, cicale, formiche e altre meraviglie: gli animali fantastici nella letteratura per l’infanzia
di , numero 57, giugno 2024, Saggi e Studi, DOI

Draghi, fenici, cicale, formiche e altre meraviglie: gli animali fantastici nella letteratura per l’infanzia
Come citare questo articolo:
William Grandi, Draghi, fenici, cicale, formiche e altre meraviglie: gli animali fantastici nella letteratura per l’infanzia, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 3, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11373

1. Alcune indicazioni per iniziare
Nel romanzo vittoriano per l’infanzia The Water-Babies dello scrittore inglese Charles Kingsley (1819-1875), edito per la prima volta a puntate tra il 1862 e il 1863, si trova la seguente riflessione:

«Did not learned men, too, hold, till within the last twenty-five years, that a flying dragon was an impossible monster? And do we not now know that there are hundreds of them fossil up and down the world? People call them Pterodactyles: but that is only because they are ashamed to call them flying dragons, after denying so long that flying dragons could exist».1

In queste poche righe Kingsley connette il drago volante allo pterodattilo ovvero unisce la dimensione fantastica a quella scientifica, mostrando come finzione e realtà sovente finiscano per combaciare. E l’autore fa tutto questo in un libro destinato ai bambini i quali amano moltissimo tanto i draghi, quanto i dinosauri: proprio a partire da questa considerazione il contributo intende esplorare le dimensioni narrative della presenza di animali fantastici nella letteratura giovanile. Una presenza molto antica, perché risale alle fiabe e alle leggende che accompagnano da secoli l’immaginario infantile: lupi intriganti, pesciolini magici, serpenti custodi di tesori, unicorni, enormi cetacei e tante altre stupefacenti bestie popolano i racconti sin dai tempi ancestrali, offrendo alle giovanissime generazioni un catalogo di meraviglie con cui rappresentare sogni, paure, desideri e attese. Del resto, i racconti per l’infanzia hanno sempre trovato negli animali alcuni tra i loro migliori personaggi. Come ricorda Emy Beseghi, nei libri per bambini quelle creature rivestono panni diversi a seconda delle funzioni che ricoprono: essi, pertanto, sono di volta in volta saggi maestri o affidabili guide, fantasiosi compagni di gioco o edificanti esempi da seguire, figure totemiche che fungono da aiutanti magici o membri di società animali che rispecchiano le organizzazioni umane2. In generale, nelle narrazioni per ragazzi, bestie e creature rivestono il più delle volte un ruolo di confine, sulla soglia del mondo fantastico, anche quando la trama è calata in una situazione realistica: paradigmatico è il caso del pettirosso che fa amicizia con la piccola protagonista del romanzo The Secret Garden3, guidando la bambina sino alla porta del luogo misterioso che dà il titolo al libro. Il pettirosso è un normale uccellino, ma mostra nella trama un’intelligenza e un affetto che trascendono la sua condizione naturale di passeriforme, facendo intuire al giovane lettore inedite e magiche possibilità anche all’interno della normale realtà. E sempre a questo proposito, molto noto è il caso del collie protagonista del romanzo Lessie Come-Home4 del 1940: si tratta di un cane dotato di una sensibilità così profonda da comprendere l’umano, da sfidare le distanze e gli ostacoli, divenendo nei fatti non un semplice animale da compagnia, ma parte integrante della famiglia. Elementi di questa dimensione liminale degli animali, sempre sospesi tra quotidianità e meraviglia, li troviamo in molti altri romanzi per giovani lettrici e lettori: le capre giudiziose e affettuose di Heidi, le tigri superbe e regali delle jungle salgariane, le belve astute o affettuose incontrate da Tarzan nella savana sono solo alcuni dei tanti animali “di carta” capaci di lasciar intravedere una scintilla di meraviglia dietro il profilo naturale che rappresentano.
E tuttavia nelle presenti righe gli oggetti dell’analisi non saranno gli animali reali – per quanto straordinari – bensì le creature fantastiche che si pongono direttamente oltre la natura, sfidando le norme che regolano la biologia comune: mostri, chimere e altre bestie dall’essenza spregiudicata e impossibile popolano i racconti amati dai bambini e si accompagnano ai loro sogni e ai loro timori. Si tratta di un repertorio incredibilmente ampio di creature con cui l’immaginario infantile si intrattiene, alternando timore e curiosità, ribrezzo e interesse. Pedagogicamente queste presenze narrative meritano di essere prese in considerazione, perché la loro persistenza nelle fantasie delle giovani generazioni rappresenta non solo un dato di fatto meritevole di attenzione, ma anche un elemento immaginativo in grado di agire sul lato profondo dell’evoluzione individuale: come segnala Bettelheim5, parlando proprio delle creature fantastiche presenti nelle fiabe, i bambini amano gli animali perché questi sono esseri liberi e istintuali; eppure – continua lo psicologo – i bambini allo stesso tempo temono gli animali, perché hanno paura di essere assimilati a loro, sospettando di non essere essi stessi ancora completamente umani. Le rane magiche, le bestie deformi, i mostri ripugnanti, i maiali incantati e i tanti altri sorprendenti animali presenti nelle fiabe danno voce a istanze psichiche ineludibili, offrono una forma alle tensioni interiori e aiutano così l’infanzia ad incamminarsi verso la maturità. L’animale fantastico si ricollega al concetto di monstrum – da cui il nostro “mostro” – ovvero all’idea di prodigio, di fatto o fenomeno portentoso: del resto, per lo scrittore medievale Alano di Lilla ogni essere del cosmo per quanto mostruoso o bizzarro è specchio della nostra esistenza, della nostra condizione e della nostra sorte6. E pertanto anche gli animali fantastici più strani e insoliti possiedono tracce di verità, perché essi raccontano qualcosa di profondo su noi stessi e sulla nostra vita. È bene precisare, prima di proseguire, che da un punto di vista metodologico la presente analisi è stata condotta facendo riferimento all’infanzia lettrice intesa come destinataria delle rappresentazioni narrative qui esaminate: per questo si ricorrerà alle indicazioni di ricerca ermeneutica sulla letteratura per ragazzi e sull’immaginario infantile di Antonio Faeti7.

2. Gli animali fantastici nella letteratura per l’infanzia del Seicento
Da un punto di vista storico la letteratura per l’infanzia come forma narrativa rivolta intenzionalmente alle giovani generazioni ha origine attorno al Seicento: e questo non è certo un caso dal momento che proprio in quel periodo in alcuni strati della società si stava consolidando un processo – già iniziato lentamente nei secoli precedenti – volto a riconoscere la diversa identità del bambino rispetto all’adulto8. Le narrazioni per giovani lettori rampollavano in quell’epoca da due distinte sorgenti e avevano pertanto due differenti finalità: in area protestante troviamo opere come l’Orbis sensualium pictus (1658) di Comenio, con scopi eminentemente didattici, assieme a libri di natura edificante – come Pilgrim’s Progress di John Bunyan edito nel 1678 – destinati ad accompagnare l’alfabetizzazione e l’educazione cristiana di adulti e bambini verso la lettura diretta della Bibbia; in area cattolica, invece, nella seconda metà del Seicento troviamo attorno alla corte del Re Sole autori come Fénelon, Perrault e La Fontaine che possiamo indicare rispettivamente come i fondatori dei racconti per l’infanzia nei campi della mitologia didascalica (Les Aventures de Télémaque, 1699), del racconto fiabesco (Histoires ou Contes du temps passé – Contes de ma mère l’Oye, 1697) e della narrazione favolistica (Fables choisis mises en vers, 1668); nel caso degli autori francesi la finalità della loro produzione letteraria riguardava principalmente l’educazione dei giovani aristocratici ai valori di corte, mettendo anche velatamente in luce ipocrisie e opportunismi9: e tuttavia, nonostante l’origine elitaria, questa produzione narrativa è diventata in breve tempo patrimonio comune dei racconti destinati a tutta l’infanzia e fonte di ispirazione per un gran numero di autrici e autori.
Già in questa letteratura per l’infanzia delle origini la presenza di animali fantastici è molto forte. Si va dall’unicorno e dal drago disegnati nel libro di Comenio sino ai leoni e ai giganti di Bunyan, per arrivare alle tante creature sorprendenti del Seicento francese come il gatto con gli stivali di Perrault e la cicala parlante di La Fontaine. In queste opere l’animale fantastico non è tanto la raffigurazione di un sogno d’evasione, quanto piuttosto la rappresentazione di un’idea, di un’allegoria, di un insegnamento morale e pedagogico: i draghi e gli unicorni di Comenio alludono al fatto che il creato ospita tante meraviglie inesplicabili volute da Dio, mentre i leoni e i giganti di Bunyan rammentano le debolezze e le paure cui i devoti possono incorrere nella loro quotidiana ricerca di salvezza eterna. E anche il gatto elegante di Perrault ricorda ai suoi piccoli (e grandi) lettori che, per entrare nelle grazie di un re, occorre essere ben vestiti e ben forniti di astuzie retoriche e capacità adulatorie, perché a volte l’abito “fa” il monaco. Mentre le querule cicale sciocche, le formiche avvedute dalla lingua tagliente, i lupi prepotenti di La Fontaine sono allegorie neanche tanto velate di stoltezze, virtù e arroganze che si incarnano concretamente nelle persone comuni.
All’animale viene data una maschera fantastica, per poter segnalare in modo divertente ed efficace vizi e virtù, inganni e speranze che incrociano i destini umani, mettendo in guardia non solo i grandi, ma soprattutto i piccoli. È una modalità di uso narrativo dell’animale fantastico che ha avuto importanti seguiti nei secoli successivi: il gatto, la volpe, il grillo, i ciuchini e le altre bestie meravigliose presenti nelle avventure del burattino di Collodi, come pure i maiali de La fattoria degli animali di Orwell e i tanti personaggi dei fumetti disneyani sono tutte raffigurazioni zoologiche di realtà tipicamente umane rese in forma allegorica, simbolica e caricaturale. L’animale fantastico in questa prospettiva è dunque una sorta di congegno pedagogico che apparentemente sposta l’attenzione del lettore verso l’inesistente, ma invece intende parlare della realtà. Del resto, allegorie, simbolismi, emblemi parodistici e grotteschi hanno una lunghissima tradizione nella letteratura e nelle arti: ma è a partire dal Seicento che sembrano incrociare consapevolmente il percorso dell’infanzia. E questo incontro avviene anche grazie agli animali fantastici.

3. Cavalli intelligenti e rapaci lunatici nel Settecento amato dall’infanzia
Può sembrare strano, ma non tutta la letteratura per l’infanzia è stata creata intenzionalmente per le giovani generazioni: capita di offrire a bambine e bambini alcuni racconti originariamente non destinati a loro, sebbene per lunga consuetudine siano ora considerati dei classici per l’infanzia. Si tratta spesso di libri che l’infanzia attira a sé, perché essa vede in quei racconti un rispecchiamento intimo di fantasie e curiosità. Tra questi volumi passati dal mondo adulto a quello bambino vanno ricordati due libri settecenteschi ovvero Gulliver’s Travels10 pubblicato – inizialmente anonimo – da Jonathan Swift nel 1726 e Baron Münchhausen’s narrative of his marvellous travels and campaigns in Russia11 pubblicato tra 1785 e 1786 in inglese dall’erudito e avventuriero tedesco Rudolf Erich Raspe, poi rivisitato in quegli stessi anni da Gottfried August Bürger: entrambi i romanzi sono avventure fantastiche dove l’incontro con esseri e animali incredibili e chimerici occupa gran parte della trama. I due volumi hanno conosciuto numerosi adattamenti per l’infanzia nel corso degli ultimi secoli. Tantissime sono le traduzioni italiane: tra le più significative è bene segnalare quelle che comparvero nella nota collana per ragazzi “La Scala d’Oro” dell’editore torinese UTET, ovvero I viaggi di Gulliver narrati da Guido Edoardo Mottini del 1934 e Il barone di Münchhausen curato da Angelo Nessi nello stesso anno. Nel corso della storia delle edizioni per l’infanzia del libro di Swift, a lungo, si è preferito mettere in primo piano le avventure di Gulliver tra i Lillipuziani, relegando in secondo piano le imprese del nostro eroe nella terra di Brobdignag – dove abitano dei giganti – e cancellando o dedicando solo qualche accenno alle meraviglie di Laputa o del paese dei cavalli intelligenti Houyhnhnm. Fortunatamente da tempo è invalso l’uso di offrire alle giovani generazioni degli adattamenti più completi di questo classico12. In modo particolare è stato recuperato il viaggio forse più filosofico e profondo compiuto da Gulliver, ovvero quello effettuato tra i cavalli sapienti: questa avventura non è infatti solo una pungente satira sulle debolezze umane – come accade per le altre esplorazioni del medico di Swift – ma è pure una struggente riflessione sulla difficoltà di creare una civiltà davvero felice. Ricordiamo, infatti, che l’opera di Swift nasce come pamphlet satirico di natura politico-morale. All’inizio del suo quarto e ultimo viaggio Gulliver viene accolto da alcuni cavalli intelligenti i quali salvano il protagonista dalle angherie di esseri mostruosi e selvaggi, che si rivelano essere uomini degenerati. Gli Houyhnhnm mostrano al viaggiatore la loro superiorità morale e intellettuale con azioni gentili e insegnamenti pazienti: ma questi equini sapienti non sono allegorie di virtù umane – come accade, per esempio, agli animali fantastici delle favole di La Fontaine – essi in realtà sono “soltanto” degli straordinari cavalli intelligenti, superiori alla bestialità della nostra razza cui Gulliver sa dolorosamente di appartenere. Swift cambia le carte in tavola: gli animali fantastici non sono emblemi, ma sono creature dotate di una dignità che nella finzione del suo romanzo si rivela superiore a quella umana. Gli Houyhnhnm sono un’alternativa alla natura umana.
Di segno diverso sono gli animali fantastici implicati nelle avventurose bugie del barone di Münchhausen13; il nobile fanfarone tedesco nel corso delle sue stupefacenti imprese incrocia numerose bestie davvero straordinarie: per esempio, il barone incappa in un prodigioso cavallo lituano che viene così bene ammaestrato dal nostro avventuriero, da riuscire a fare piroette mirabolanti su un tavolino da tè senza rompere nemmeno una tazzina14. In seguito, Münchhausen, durante uno dei suoi viaggi sulla luna, scopre che lassù enormi avvoltoi a tre teste sono usati come cavalcature dagli indigeni15. Ma il nostro barone incontra pure un’enorme balena permalosa, vola in groppa a una grande aquila e trova un cervo tra le cui corna cresce un ciliegio dai frutti deliziosi. Così tanti sono gli animali fantastici incontrati dal nostro nobiluomo che è difficile enumerarli in questa sede. Quasi tutti le bestie incredibili descritte dal barone sono grandi, portentose e in qualche modo a lui reverenti. Gli animali fantastici in queste storie consentono a Münchhausen di definire ancora meglio la sua vitalità, la sua esuberanza e, in fin dei conti, il suo genio maldestro sempre in via di perfezionamento: tutte qualità che il nostro barone condivide con l’infanzia che si è appena affacciata alla vita e vuole immergersi nelle meraviglie – vere, desiderate o immaginarie – del mondo.

4. Le fate: ibridi magici
Le fate accompagnano da sempre l’immaginario umano: tracce antiche della loro presenza sono riscontrabili nella mitologia induista16 e nella letteratura latina tardoantica17. La figura della fata ha attraversato i secoli grazie alle fiabe popolari, dove la sua presenza tradisce un’origine soprannaturale, quasi divina: la fata – il cui nome richiama il fato – può essere madrina, ovvero può essere evocata per presiedere al destino delle persone come le parche greche o le norne germaniche; ma essa può essere anche inquietante come accade nelle fiabe tradizionali più antiche, dove spesso è indistinguibile dalla strega18; proprio per questa sua natura di fattucchiera, la fata può essere seducente, misteriosa e minacciosa come Morgana, Viviana, Melusina. Infine, la fata sembra sovraintendere al mondo della natura, delle piante, degli animali attraverso legami arcani e intangibili.
La fata entra nella letteratura per l’infanzia già con le fiabe di Perrault, ma è con l’Ottocento che la sua figura si stabilizza come patrimonio immaginativo prevalentemente infantile. La cosa per noi interessante è che la fata ottocentesca non si presenta solo nelle fattezze straordinarie, ma comunque umane, di donna incantatrice (come la fata turchina di Pinocchio), bensì inizia ad ibridarsi con altre forme animali: è vero che anche la medievale Melusina poteva assumere a volte l’aspetto di un mezzo serpente, come scopre inorridito l’incauto marito19. Ma è solo nell’Ottocento che la fata assume quell’aspetto di grazioso ibrido tra l’umano e l’insetto con ali di libellula o di farfalla a noi così familiare tramite le interpretazioni disneyane de La bella addormentata o Peter Pan. Disney e i suoi disegnatori, infatti, si sono messi sulla scia di una lunga tradizione iconografica nata in Gran Bretagna nel XIX secolo, consolidatasi negli anni Venti del Novecento e ben presto accolta favorevolmente anche in altre nazioni. Illustratrici e disegnatori per l’infanzia come Eleanor Vere Boyle (1825-1916), Arthur Rackham (1867-1936), Cicely Mary Barker (1895-1973) e molti altri20 hanno contribuito a miniaturizzare e ibridare la tradizionale figura della fata, facendo di questa una sorta di custode della natura: le fate disegnate per i libri dei bambini si sono fatte piccine e aggraziate, hanno acquisito fragili ali di insetto, hanno indossato delicati vestitini simili a corolle, boccioli, foglioline e vivono caute avventure nel bosco o nel giardino vicino a casa. Le fate vittoriane e edoardiane sono, di fatto, riflessi immaginari di un’infanzia innocente e ideale: bambine e bambini destinatari di questi libri di fate possono vedere in quelle illustrazioni di evanescenti incanti e di trattenute avventure, non tanto la realtà della loro intima natura, quanto piuttosto la proiezione adulta di una certa idea di infanzia. Le fate-insetto-fiore nella loro leggiadra purezza raccontano una visione dell’età bambina percepita come ibrido non ancora sbocciato alla completezza adulta.
Una particolare immagine di fata-ibrido è ricorrente anche nella cultura contemporanea, soprattutto a partire dalla contestazione giovanile negli anni Sessanta e Settanta, quando si arrivò addirittura ad una sorta di “elfolatria” come forma di rivolta contro l’ipocrisia degli adulti: è la studiosa statunitense Alison Lurie21 a raccontare come nei college americani i giovani contestatori invitassero per scherzo a guidare piano per evitare di disturbare le fate. Quegli stessi studenti andavano poi goliardicamente nei boschi a cercare elfi e altre strane creature magiche con appositi manuali pubblicati all’uopo22. Il desiderio di meraviglioso, la voglia di re-incantare il mondo, la necessità di recuperare un rapporto autentico con la natura, il bisogno di superare il grigiore della società dei consumi erano tutte sollecitazioni espresse dai giovani contestatori: di lì a poco vennero pubblicati libri di successo che raccoglievano tali tensioni attraverso storie su gnomi, fate e altre creature sospese tra l’animale, il vegetale e il magico23. Si trattava di volumi dalla confezione apparentemente pensata per l’infanzia, ma in realtà occhieggiante al pubblico dei giovani-adulti desiderosi di nuove ribellioni culturali. In quegli anni spuntarono un’altra volta libri su fate-insetto simili a fanciulle, ma non erano più illustrazioni di infanzie idealizzate nella loro innocenza, come nei decenni precedenti24; queste nuove fate ibride venivano dopo Lolita di Nabokov, dopo gli studi di Freud sulla sessualità infantile, dopo la stagione del libero amore, dopo il controverso testo di pedagogia “al limite” Co-ire di Schérer e Hocquenghem25: pertanto quelle fate un po’ ragazze, un po’ farfalle e un po’ fiori sembravano rivendicare nemmeno troppo velatamente il diritto alla seduzione; un diritto che avevano già esibito nei secoli passati le loro antenate magiche Morgana, Viviana e Melusina.
La proiezione di queste fate ibride si è prolungata sino ad anni recenti con prodotti editoriali pensati esplicitamente per l’infanzia lettrice, ma disinnescando contestualmente quella carica seduttiva appena osservata: il ciclo narrativo di Spiderwick26 scritto da Holly Black e disegnato da Tony DiTerlizzi – un successo globale dell’editoria statunitense, divenuto anche film – riprende proprio questa “tradizione” delle creature magiche, facendo letteralmente esplodere in una varietà amplissima di incroci animali-vegetali il catalogo delle fate e dei folletti. In Spiderwick i giovani protagonisti si trovano a fronteggiare, attorno alla loro dimora isolata nel bosco, le insidie di un numero incredibile di specie diverse di elfi e coboldi, goblin e orchetti il cui profilo è una somma – ora armonica, ora caricaturale – di caratteristiche proprie dell’umano, dell’anfibio, del rettile, dell’insetto e del regno vegetale. In linea con questo approccio al mondo fatato è anche il sorprendente albo illustrato per giovani lettori L’erbario delle fate27 del disegnatore francese Lacombe: il libro si presenta come il diario di campo di uno scienziato che durante la prima guerra mondiale esplora la foresta bretone di Brocéliande, sacello di tante leggende antiche e di numerose varietà biologiche. Durante le sue esplorazioni il nostro scienziato scopre una natura sorprendente dove piante, acque e animali sono connessi intimamente con minuscole creature fatate capaci di assumere profili vegetali e zoomorfi, per generare una simbiosi benefica a protezione di quel ricco habitat incontaminato.
Le fate sembrano dunque avere da sempre una forte contiguità col mondo naturale: una contiguità che si è rafforzata con la contestazione del Sessantotto. Non è un caso, del resto, se proprio attorno a quell’anno fatidico vennero disegnati per la prima volta quegli esseri incredibili – sospesi tra l’animale, il fatato e l’umano – che sono i Barbapapà: d’altra parte, gli artisti Annette Tison e Talus Taylor28 stavano proprio assistendo al “Maggio francese”, quando tracciarono la sagoma inconfondibile delle loro creature. I Barbapapà riprendono diverse istanze della contestazione e le rielaborano in forma fantastica: essi manifestano infatti un’intensa sensibilità ecologica, una forte ricerca di libertà individuale, un consapevole riferimento a nuove tipologie di convivenza familiare e comunitaria. La capacità dei Barbapapà di poter mutare forma a piacimento – e quindi di poter scegliere di volta in volta una diversa identità – sembra anticipare metaforicamente l’attuale tensione verso la fluidità di ruoli, appartenenze e rappresentazioni personali, sociali o individuali.

5. Gli animali fantasy e dove trovarli
Uno dei generi narrativi attualmente più amati dalle giovani leve di lettori è senza dubbio quello Fantasy: infatti, è un’evidenza difficile da smentire il successo ampio e duraturo di libri come Le Cronache di Narnia, Il Signore degli anelli, Il trono di spade e tutto il ciclo dedicato a Harry Potter. In questa forma di racconto la presenza di animali fantastici è molto forte; del resto, il Fantasy ha uno stretto rapporto di discendenza e affinità con la fiaba, il mito e la leggenda: tutte tipologie di narrazioni dove mostri, chimere e bestie meravigliose sono di casa.
Aslan (il leone parlante protettore di Narnia), Shelob (la grande aracnide mostruosa dei monti di Mordor) e il Basilisco (enorme serpente dimorante nelle segrete di Hogwarts) sono solo alcuni dei numerosi animali fantastici che popolano le pagine dei volumi Fantasy.
Le creature di questi romanzi sembrano uscite direttamente dai bestiari medievali: il loro aspetto, il loro temperamento e le loro azioni non nascono dagli istinti – come accade per i normali animali – ma derivano da inclinazioni etiche a loro connaturate che sono dettate da implicazioni magiche e da vincoli del fato; proprio come gli animali dei bestiari antichi, anche le creature dei romanzi Fantasy richiamano allegorie, significati simbolici, emblemi di vizi e virtù, di inclinazioni e destini. Paradigmatico a questo proposito è il confronto tolkieniano tra le nobili e grandi aquile salvatrici di Frodo29 opposte ai cosiddetti orrendi “uccelli dei Nazgûl”30 (demoniaci draghi volanti di Mordor): tanto le prime incarnano e simboleggiano il coraggio virtuoso, quanto i secondi rappresentano l’emblema della forza bruta e vigliacca al servizio del Male. Similmente l’ippogrifo Fierobecco31 (Buckbeak, nell’originale) cavalcato da Harry Potter è un animale segnato da orgoglio, dignità e lealtà, mentre Nagini32 (il serpente gigantesco del malvagio Voldemort) è l’essenza stessa delle insidie e delle spire violente del potere. Tutto nel Fantasy è estremizzato e portato a contrapposizioni quasi manichee: e ciò si vede molto chiaramente non solo nei protagonisti, ma pure negli animali presenti nel racconto che finiscono per partecipare anch’essi pienamente a quella lotta tra Bene e Male così fondamentale per tutte le trame Fantasy.
Proprio a proposito degli animali fantastici, la letteratura Fantasy ha dato vita a una serie di pubblicazioni “sussidiarie” che integrano il ciclo narrativo di riferimento, informando su aspetti relativi alle creature vicine ai protagonisti dei racconti: queste peculiari pubblicazioni sono dei veri e propri bestiari moderni dove sono diligentemente descritti e elencati in ordine alfabetico o tematico gli animali presenti nelle diverse saghe. Si possono ricordare Il bestiario di Tolkien di David Day33, Gli animali fantastici: dove trovarli steso dalla stessa J.K. Rowling34 per i fan di Potter, Le creature del Mondo Emerso35 scritto per l’omonima saga da Licia Troisi, autrice di quell’apprezzato ciclo Fantasy. Ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo. La struttura stessa di questi volumi ricalca quella degli antichi bestiari: per ogni animale fantastico viene fornita l’immagine completa – accompagnata talora dall’ingrandimento di alcuni dettagli – unitamente ad un’ampia descrizione testuale che non si limita a riportare i dati già presenti nel romanzo di riferimento, ma aggiunge ulteriori note, curiosità e divagazioni, senza dimenticare di accennare a elementi etici ed etologici. Si tratta di pubblicazioni che non solo hanno una funzione esplicativa, ma contribuiscono ad arricchire la trama, a integrare le avventure narrate, a aggiungere dettagli per soddisfare le tante curiosità ricorrenti nei fandom di giovani lettrici e lettori.
La costante presenza di così tanti animali fantastici nei cicli Fantasy sembra suggerire che tali creature abbiano, da un lato, un compito strumentale-ornamentale molto importante all’interno delle trame magiche e, da un altro lato, un ruolo insostituibile di controparte e disvelamento dell’umano. Detto in altri termini, i draghi, le fenici e gli altri essere stupefacenti contribuiscono a rinforzare agli occhi del lettore l’incantamento delle avventure Fantasy, ma contestualmente quegli stessi animali fantastici accompagnano e rafforzano l’espressione dei caratteri afferenti ai personaggi “umani”: per esempio, il mezzo di trasporto di un villain non può essere un semplice stallone, ma più verosimilmente un rettile che è emblema di orrore e paura, amplificazione esteriore delle mostruosità interiori del personaggio antagonista. Allo stesso modo, le bestie che si accompagnano ai “buoni” ne devono riflettere la virtù e il coraggio, completando l’impressione che il lettore ricava dalla lettura della trama Fantasy: e così una luminosa fenice sta accanto a Silente, mentre un nobile leone vigila sui piccoli viaggiatori di Narnia. La corrispondenza tra animali fantastici e personaggi dei mondi Fantasy è ancora più evidente nella trilogia Queste oscure materie di Philip Pullman36: nel suo Altrove narrativo tutti i personaggi umani sono dotati di un daimon ovvero di un animale parlante sempre vicino al proprietario come anima estroflessa di quest’ultimo. Pullman non si limita a creare coppie fantastiche umano-animali in cui l’uno si richiama all’altro: egli rende le due entità un’unica cosa, essendo congiunte in un flusso stretto e continuo di coscienza e dialogo. Nella finzione dell’autore inglese i bambini hanno daimon mutevoli, in quanto capaci di cambiare forma per esprimere stati d’animo e sguardi sempre diversi sul mondo circostante: del resto, l’infanzia è l’età delle sperimentazioni, dei giochi, delle esplorazioni, delle variazioni. Tuttavia, una volta raggiunta l’adolescenza, i daimon tendono a stabilizzarsi in una precisa forma animale che continuerà ad accompagnare gli umani per tutta l’esistenza, rivelandone la vera essenza. Attorno alla mutevolezza dei daimon infantili, alle connessioni profonde tra anima e libertà, si gioca tutta la trama di uno dei cicli Fantasy più vasti e allo stesso tempo più affascinanti degli ultimi anni.

È complesso interpretare la presenza degli animali fantastici nella letteratura per l’infanzia e l’adolescenza: il breve percorso ora velocemente attraversato è, in verità, solo un frammento di un discorso che avrebbe dovuto essere assai più ampio. E tuttavia, emerge chiaramente che solo a fatica le narrazioni per le giovani generazioni possono prescindere da quelle presenze stupefacenti, perché esse sole – come ippogrifi ariosteschi – sembrano in grado di portare i piccoli lettori in volo verso nuove e sorprendenti consapevolezze. E questo, pedagogicamente, non è poco.

Note

  1. Charles Kingsley, The Water-Babies, London-Cambridge, Macmillan and Co., 1864, pp.80-81. Nella traduzione italiana di Aldo Traverso (Charles Kingsley, I bambini acquatici, 1990, Milano, Mursia, pp. 44-45), questo brano è reso come segue: «I dotti non credettero fino a circa venticinque anni fa che un drago volante fosse un mostro fantastico? E non sappiamo adesso che se ne trovano a centinaia, fossilizzati, sopra e dentro la terra? Soltanto li chiamiamo Pterodattili, perché ci vergogniamo di chiamarli draghi volanti, dopo averne negata l’esistenza per tanto tempo».
  2. Emy Beseghi, Il pilota e il bambino. Itinerari ermeneutici, in Emy Beseghi, Cosimo Laneve (a cura di), Lo sguardo della memoria. Rileggendo Il Piccolo Principe, Pisa, ETS, 2014, p.31.
  3. Frances Hodgson Burnett, The Secret Garden, London, The Folio Society, 1911, pp. 61-69.
  4. Eric Knight, Lassie Come-Home, Philadelphia-Toronto, The John C. Winston Company, 1940.
  5. Bruno Bettelheim, The Uses of Enchantment: The Meaning and Importance of Fairy Tales, New York, Knopf, 1976; trad. it. Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Milano, Feltrinelli, 2002 [1^ edizione 1977], p. 279.
  6. Umberto Eco, Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, 2013, pp. 100-101.
  7. Antonio Faeti, Letteratura per l’infanzia, Firenze, La Nuova Italia, 1977.
  8. Norbert Elias, Über den Prozeß der Zivilisation, Basel, Verlag Haus zum Falken, 1939; trad. it. Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 287. Vedi anche: Philippe Ariés, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien Régime, Paris, Seuil, 1960; trad. it. Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Bari, Laterza, 1968.
  9. Jack Zipes, Fairy Tales and the Art of Subversion. The Classical Genre for Children and the Process of Civilization, New York, Routledge, 1983; trad. it. Chi ha paura dei fratelli Grimm? Le fiabe e l’arte della sovversione, Milano, Mondadori, 2006, pp. 51-95.
  10. Jonathan Swift, Gulliver’s Travels. London, Benjamin Motte, 1726.
  11. Rudolf Erich Raspe, Baron Münchhausen’s narrative of his marvellous travels and campaigns in Russia, London, Booksellers of Piccadilly, 1786.
  12. A questo proposito tra le proposte editoriali più recenti per ragazzi che offrono un adattamento dell’intera trama si veda: Jonathan Swift (autore), Roberto Morgese (curatore), I viaggi di Gulliver, Firenze, Giunti, 2019.
  13. Sulle storie e le bugie di Münchhausen vedi: Chiara Lepri, Di bugia in bugia tra le pagine di narrativa per bambini e ragazzi, Ospedaletto (PI), Pacini Editore, 2020, pp. 85-87.
  14. Angelo Nessi (a cura di), Il barone di Münchhausen, Torino, Utet, 1934, pp. 74-75. Confronta con Rudolf Erich Raspe e Gottfried August Bürger, Le avventure del barone di Münchhausen, Firenze, Giunti, 2003, pp. 25-26.
  15. Angelo Nessi (a cura di), Il barone di Münchhausen, cit., pp. 146-148. Confronta con R. E. Raspe e G. A. Bürger, Le avventure del barone, cit., p. 136.
  16. A proposito delle connessioni tra deva induisti, fate europee, racconti popolari e immaginario spiritualista si veda: Geoffrey Hodson, The Kingdom of the Gods, Adyar (India), The Theosophical Publising House, 1966.
  17. Una delle prime tracce scritte sulle fate nella cultura europea risale all’opera enciclopedica scritta al tramonto dell’impero romano da Marziano Capella, Le Nozze di Filologia e Mercurio, Milano, Bompiani, 2001, p. 95 (Libro II, 171).
  18. Paradigmatico è il caso del folklore romagnolo dove i diversi termini per indicare le fate e le streghe sono praticamente sinonimi. A questo proposito si veda: Elide Casali, Introduzione, in Elide Casali, Sebastiano Vassalli (a cura di), Fiabe romagnole e emiliane, Milano, Mondadori, 1986, p. 22.
  19. Laurence Harf-Lancner, Les fees au Moyen Age. Morgane et Mélusine. La naissance des fees, Paris, Editions Champion, 1984; trad. it. Morgana e Melusina. La nascita delle fate nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1989, pp. 186-187.
  20. Jane Martineau (a cura di), Victorian Fairy Painting, London, Marrell Holberton, 1997.
  21. Alison Lurie, Don’t Tell the Grown-ups: Subversive Children’s Literature, New York, Little Brown & Co, 1990; trad. it. Non ditelo ai grandi, Milano, Mondadori, 1993, pp. 35-42.
  22. A questo proposito vedi: Katharine M. Briggs, Encyclopedia of Fairies, New York, Pantheon Books, 1976; Nancy Arrowsmith, George Moorse, A Field Guide to the Little People, London, Macmillan, 1977.
  23. Paradigmatico a questo proposito il fortunato volume di Wil Huygen, Rien Poortvliet, Leven en werken van de Kabouter, Bussum – NL, Unieboek Bv – Van Holkema & Warendorf, 1976; trad. it. Gnomi, Milano, Rizzoli, 1978.
  24. Ci si riferisce principalmente al volume – anch’esso editorialmente fortunato come quello indicato nella nota precedente – di David Larkin (a cura di), Brian Froud (testo), Alan Lee (ill.), Faeries, New York, Rufus Publications Inc., 1978; trad. it. Fate, Milano, Rizzoli, 1979.
  25. René Schérer, Guy Hocquenghem, Co-ire: album systématique de l’enfance, in “Revue Recherches”, 22, avril 1976; traduzione italiana di riferimento con prefazione di Paolo Mottana, Co-ire: album sistematico dell’infanzia, Roma, Edizioni Efesto, 2021.
  26. Holly Black (testo), Tony DiTerlizzi (ill.), The Spiderwick Chronicles, New York, Simon&Schuster, 2003-2004; trad. it. Spiderwick. Le Cronache, Milano, Mondadori, 2008.
  27. Benjamin Lacombe, Sebastien Perez, L’Herbier des Fées, Paris, Albin Michel Jeunesse, 2011; trad. it. L’erbario delle fate, Milano, Rizzoli, 2012.
  28. Henri Filippini, Dictionnaire encyclopédique des héros et auteurs de bd, Grenoble, Glénat, 1998, p. 504.
  29. John Ronald Reuel Tolkien, The Lord of the Rings, London, George Allen & Unwin Ltd., 1950; trad. it. Il Signore degli anelli, Milano, Bompiani, 2003 [1^ edizione italiana completa presso Rusconi, 1970], p. 1026.
  30. Ibidem, p. 910-911.
  31. Joanne K. Rowling, Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, London, Bloomsbury Publishing, 1999; trad. it. Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Milano, Salani, 2006, pp. 97-104.
  32. Joanne K. Rowling, Harry Potter and the Goblet of Fire, London, Bloomsbury Publishing, 2000; trad. it. Harry Potter e il calice di fuoco, Milano, Salani, 2001, pp. 12-19.
  33. David Day, A Tolkien Bestiary, London, Mitchell Beazley Publishers Ltd, 1979; trad. it. Il bestiario di Tolkien, Milano, Bompiani, 1979.
  34. Joanne K. Rowling, Fantastic Beasts and Where to Find Them, London, Bloomsbury Publishing, 2001; trad. it. Gli animali fantastici: dove trovarli, Milano, Salani, 2017.
  35. Licia Trosi, Le creature del Mondo Emerso, Milano, Mondadori, 2008.
  36. Particolarmente interessante per le finalità del presente contributo è il primo volume della trilogia di Philip Pullman, Northern Lights, London, Scholastic, 1995; trad. it. La bussola d’oro, Milano, Salani, 1996.

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