Apuleio, Le metamorfosi. Saggio introduttivo, nuova traduzione e note di Monica Longobardi
Magda Indiveri, Apuleio, Le metamorfosi. Saggio introduttivo, nuova traduzione e note di Monica Longobardi, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 48, no. 18, dicembre 2019
Ci sono buoni segnali per affermare che l’asinità sia una qualità della vita. Una dote rara e preziosa, la capacità di travalicare, di connettere, di trasformare con la leggerezza di un salto: forse lo stesso balzo di Guido Cavalcanti portato ad esempio nella prima lezione calviniana. Un “hop” che prima innalza e ti fa vedere a volo d’uccello, poi atterra e rivela le cose a muso basso, e insomma, come Machiavelli ci indica all’inizio del Principe «a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et, a conoscere bene quella de’ principi, conviene essere populare».
Infine, l’asinità pare comporsi di una sorta di potenza alchimistica che trasforma il ferro in oro, o meglio il legno in carne, come successe a quel certo Pinocchio che di asini se ne intendeva non meno di Machiavelli.
Allora riaccostiamolo, il prototipo di tutti gli asini, quel Lucio mago che da asino scopre il mondo, anche se avrebbe voluto scoprirlo da gufo, e mette così ben a frutto i nuovi mezzi, le orecchie fini, da trasformare un abisso in apoteosi e da saperlo raccontare alle orecchie altrettanto fini del fratello lettore…. E che esultanza, aprire un libro in cui la promessa più desiderabile è a bordo pagina: «Lector, intende: laetaberis!» – «Prestami attenzione, lettore, e ti divertirai!»
Come è destino dei classici scolastici (che Rusconilibri, nell’impegno assunto dalla direttrice di collana Anna Giordano Rampioni, sta meritoriamente riportando in vita con nuove traduzioni; si pensi ad esempio a quella ottima delle Favole di Fedro da parte di Lorenzo Montanari, o alle Poesie di Saffo ritradotte da Federico Cinti), si sarà forse fissato in memoria il ricco testo di Apuleio solo per lacerti, per ahinoi “versioni”, per letture sintetizzate: il cadavere mutilato dalle donnole a spese del soldato addormentato, la burla degli otri, la sortita dei briganti e la fiaba nella fiaba, quei due capitoli sublimi con la storia di Amore e Psiche che è una madreperla in un forziere di pietre multicolori. Vale la pena invece rileggerlo per intero, senza impazienza, cogliendone la struttura sinfonica, perché ogni pagina rivela le sue meraviglie, e trasforma, come nota Lucio appena approdato in Tessaglia, i ciottoli, gli uccellini, le chiome degli alberi, le fontane, in esseri viventi (II,1), ovverossia in racconti. Gian Biagio Conte proprio questo confessa, in prefazione, di aver fatto: «Mi sono preso il piacere di leggere la sua traduzione come fosse un testo d’autore, poi ho riletto l’originale». Si riscopriranno così avventure dimenticate e si potrà apprezzare l’impianto narrativo che è giunto integro fino a noi dal secondo secolo dopo Cristo. La lettura distesa sarà in alcuni casi tanto coinvolgente e sorprendente che cominceremo a rallentare e a posarci sulle singole parole. Apuleio ha scritto questo? È così moderno, così ficcante, così tagliente? Ed ecco che il secondo filo comincerà ad avviarsi nel telaio della mente lettrice. Questa NUOVA TRADUZIONE di novità ne mette in campo parecchie, e la corposa ma interessantissima introduzione della traduttrice stessa ne dà conto come in un secondo romanzo.
Apuleio e Petronio sono antichi amori di Monica Longobardi, ho le prove (che produrrò a suo favore, nel caso di un processo per magia che le si possa intentare, come avvenne all’autore latino), ma credo che negli anni la sua capacità di entrare nella casa dell’Altro, come Antonio Prete definisce la traduzione, e dargli ospitalità, si sia ancor più affinata con lo studio della filologia romanza (di cui ha la cattedra, a Ferrara) e l’attenzione per le culture di confine, per i passaggi linguistici mai neutrali, per parodie e giochi letterari (Vanvere, 2011). .Una specie di porporina traduttoria le si è posata sulle dita, unita a una personalissima indole umoristica, dove l’humour è sottigliezza, rapidità, gioco. Ecco, le giocolerie verbali di Apuleio aspettavano proprio questa operazione funambolica per essere disseppellite, e dunque se di cadaveri sempre si parla nella traduzione, qua parliamo di resuscitati. Viene in mente quel che un altro svagatissimo traduttore come Gianni Celati diceva di amare: «lasciar andare le frasi per vedere cosa si inventano». Questi amici della vita segreta delle parole sembra che le vedano in rilievo, che le catturino come bestioline, e dissezionandole o nutrendole le rendano a nuovi significati.
Guido Ceronetti sente «odore di animale abbattuto» accanto a ogni traduzione, e sostiene che tradurre dalle lingue antiche (lo dice nella prefazione alla sua traduzione da Catullo) è sempre «danzare con un decapitato». La sua tremebonda e potentissima visione del tradurre è un «esercitarsi a morire», uno «scostare la tenebra», mentre nel lavoro di traduzione di Monica Longobardi quel che viene messo in scena è il versante luminoso di una giornata chiara, di una gloriosa rinascita. Dove «l’equivoco è regola aurea della scrittura di Apuleio», la traduttrice deve farsi “strabica” o “bifocale” per cogliere tutte le allusioni ed onorare i rimandi fonici. Viene dunque portato in primo piano un nuovo tipo di traduzione, quella “emulativa”, in cui chi traduce gareggia con l’autore per rendere, ad altezza lettore, tutte le implicazioni di un testo meritoriamente “complicato”. Proposta interessante anche a livello didattico: a scuola si pratica da tempo, accanto alla traduzione di servizio, quella “creativa” che punti a rendere l’emozione prodotta dal testo di partenza. Ecco che questa traduzione “emulativa” potrebbe diventare, dopo quella “consapevole”, un ulteriore grado di rielaborazione e mettere letteralmente in gioco le competenze trasversali dello studente: la sua apprezzabile asineria.
Di fronte alle giocolerie apuleiane la Longobardi sente la stessa sfida che Calvino impattò di fronte ai calembours di Queneau, e come lui, non sa resisterle. Calvino nella sua nota del traduttore aveva indicato nella traduzione “reinventiva” l’unico modo di essere fedele a un certo tipo di testo: quello in cui l’autore usa le parole come il giocoliere i suoi attrezzi (lo riferisce ad Apuleio Alessandro Fo). Il dado è dunque tratto e la traduzione della Longobardi, devota a Vertumno, dio della trasformazione, si fa tarlo che si insinua nel testo latino coniugando scrupolo e fantasia.
L’asino traduttore non raglia ma (secondo il delizioso calembour proposto in I,1) DEraglia: cioè traducendo trasforma, accosta, interpreta, fa intravedere miriadi di possibilità, lancia il filo e aspetta che altri passino, godendo del risultato raggiunto e più ancora della promessa di nuovi traguardi. La traduzione è l’arte più empatica del mondo! Il traduttore è un pontifex maximus! E il lettore se ne allieterà, offrendo sicuramente corone di rose ad Apuleio…e a quella maestra di asineria che è la sua novella traduttrice.
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