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Dalla teoria alla pratica. I convegni sulla guerra rivoluzionaria e la contro-insorgenza (1955-1971)
di , numero 57, giugno 2024, Saggi e Studi, DOI

Dalla teoria alla pratica. I convegni sulla guerra rivoluzionaria e la contro-insorgenza (1955-1971)
Come citare questo articolo:
Pasquale Iuso, Dalla teoria alla pratica. I convegni sulla guerra rivoluzionaria e la contro-insorgenza (1955-1971), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 11, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11427

1. Il contesto
Le teorie sulla guerra rivoluzionaria non nascono durante la guerra fredda ma di questa si alimentano, anche sulla base delle esperienze dei movimenti indipendentisti africani (soprattutto la guerra d’Algeria) e dei risultati dei conflitti indocinesi e coreani1.
Questa ripresa e diffusione è direttamente collegata all’idea che il comunismo internazionale guidato da Mosca, attraverso una penetrazione costante nel mondo occidentale e dopo aver preso il controllo di alcuni degli elementi di congiunzione delle società, della stampa, delle strutture di rappresentanza del mondo operaio, fosse sul punto di compiere il salto definitivo per la conquista del potere in alcuni degli stati occidentali più deboli o sensibili. Una conquista non necessariamente violenta, ma alla quale rispondere con una guerra psicologica, di propaganda, di condizionamento e di controllo aggressivo (fino all’uso della violenza) delle opinioni pubbliche che non potevano essere lasciate “sole”.
Il punto che toccheremo è la questione di come la guerra rivoluzionaria e la controinsorgenza siano giunte in Italia, sul finire degli anni Cinquanta, trovando un terreno particolarmente adatto alla loro diffusione e a una loro permanenza, sempre più lontana dalla dimensione internazionale e sempre più interna alle dinamiche nazionali.
Non è un tema nuovo ma, in questo caso, si cercano di porre in luce più le continuità che le differenze che intervengono nel corso degli anni Sessanta sul tema del contenimento delle sinistre in Italia. Il caso italiano, infatti, assume un peso particolare – oltre che per il posizionamento geografico e politico negli schieramenti della Guerra Fredda – per almeno tre motivi: gli strascichi del fascismo e della guerra di Resistenza, la presenza del più forte partito comunista d’occidente, la presenza di un consistente schieramento anti-comunista e anti-socialista nelle tante organizzazioni paramilitari e reducistiche nate subito dopo il conflitto. Se questi elementi di per sé ne caratterizzano il contesto, a essi vanno aggiunti: il fallimento del processo di epurazione, la nascita di un partito che si richiama al fascismo, le pressioni scelbiane. Questi fattori alimentano ancor più un terreno particolarmente permeabile alla penetrazione di teorie e tecniche centrate sulla necessità di rispondere alla presunta guerra rivoluzionaria scatenata dalle forze del comunismo internazionale e dai singoli partiti o formazioni nazionali della sinistra, con quella che viene denominata “controinsorgenza”2.
Un contesto nel quale è necessario fissare alcuni punti inziali. Il primo è senz’altro il confronto bipolare fra Usa e Urss che, di fronte al rischio di un conflitto nucleare a risultato “zero” per entrambe le potenze, rende la guerra psicologica, così come l’insorgenza e la contro-insorgenza, se non l’unica opzione una delle realtà più importanti del confronto fra i due blocchi. Secondo punto è il progressivo ingresso di queste idee nelle dottrine ufficiali di entrambi gli schieramenti, dottrine – vale sottolinearlo di nuovo – che non nascono con il secondo dopoguerra, ma affondano le loro radici in anni lontani3. Terzo elemento, le impostazioni delle amministrazioni Usa contenute nelle direttive emesse dal National Security Council e l’avvio dal 1951 a Fort Bragg (North Carolina) di specifici addestramenti per questa tipologia di conflitto4. Quarto l’influenza che ebbe in Europa e in Italia l’esperienza francese nella guerra indocinese e nella questione algerina.

2. In Francia e in Italia
Il significativo e più evidente segno di come la controinsorgenza stesse penetrando negli scenari europei della Guerra Fredda, si rintraccia nel 1955 a Parigi dove Suzanne Labin (1913-2001)5, una scrittrice francese poco nota ma molto attiva in questo ambito in entrambe le sponde dell’Atlantico, partendo dal presupposto che la guerra scatenata dal comunismo era iniziata, prende a sottolineare, a diffondere e a sostenere come fosse necessario superare il modello di uno Stato Maggiore composto solo da militari, a favore di uno che prevedesse al suo interno una componente civile. In tal modo si sarebbe creata una struttura organizzativa più flessibile e una possibilità di azione ben più efficace di quella fino ad allora condotta, in grado di recuperare il ritardo accumulato e, nello stesso tempo, di agire anche in modo preventivo.
L’interesse italiano (nello specifico da parte del Sifar e dello Stato Maggiore dell’Esercito) per i temi dell’insorgenza e della controinsorgenza risale anch’esso alla seconda metà degli anni 50, visto che nel 1958 a Fort Bragg vennero ospitati alcuni ufficiali italiani selezionati per partecipare ai corsi di guerra non ortodossa condotti dalle forze Usa6.
Vale sottolineare, per chiarezza dei tempi e per porre un punto di differenziazione molto importante, come la Stay Behind italiana (Gladio) nasce ufficialmente nel 1956, al momento dello scioglimento dell’Organizzazione O (6 aprile 1950 – 4 ottobre 1956). La riorganizzazione delle forze che la componevano (solo una parte delle quali venne recuperata nella Gladio), tuttavia, non può non essere stata preceduta da scelte e indicazioni circa gli scopi e le funzioni che la nuova struttura anti-invasione doveva assumere. Un’impostazione di tipo militare anti-invasione (destinata ad essere replicata in molti paesi dell’Europa Occidentale indipendentemente dalla loro adesione alla Nato) in larga parte differente da ciò di cui teorizzava Suzanne Labin.
Nell’ottobre del 1952 il comando Nato di Parigi organizza un primo convegno dedicato alla sicurezza civile ed al controspionaggio in tempo di pace, al termine del quale viene approvata la proposta di istituire un compitato per il coordinamento delle attività anticomuniste in Europa7. Il Comitato di pianificazione e coordinamento (Cpc), nasce poi l’anno successivo con il compito di coordinare e sviluppare questo terreno di lotta, seguendo l’impostazione delle amministrazioni Usa su un piano di prevalenza della dimensione politica e militare. Se quindi i presupposti possono essere considerati simili nell’obiettivo della lotta al comunismo, differenti sono le declinazioni (in funzione esterna ed interna) che sottostanno alla Gladio e alle strutture miste di civili/militari come verranno poco dopo definite8.
Nel giugno del 1959 a Parigi si svolge un incontro sul problema della “guerra politica dei Soviet”, alla quale partecipa con una relazione Suzanne Labin, che introduce il tema della guerra politica e del suo manifestarsi, collegando il suo intervento alle teorizzazioni dello Stato Maggiore francese9. Passano pochi mesi e, dall’l al 3 dicembre sempre a Parigi, si svolge la prima conferenza internazionale sulla guerra politica dei Soviet dove interviene la stessa Labin. È un’occasione importante perché oltre ad una significativa partecipazione francese, giungono nella capitale molti ospiti europei (tra cui gli italiani Randolfo Pacciardi, Ivan Matteo Lombardo e – non riscontrato con certezza – il Maggiore Adriano Giulio Cesare Magi Braschi del Sifar), americani, asiatici e qualche esule dall’Europa orientale. Significativo anche il fatto che la prima giornata viene organizzata nella sede parigina della Nato e tra i relatori figura l’allora Segretario Generale Paul-Henry Spaak. Un tema, quindi, che rimaneva sul piano “ufficiale” incontrando l’interesse degli ambienti Nato al punto che, l’anno seguente a Oslo, durante l’Assemblea dell’Atlantic Treaty Association, viene approvato un documento nel quale sono richiamati alcuni aspetti delle teorie sulla guerra politica definendola «battle for the minds of men»10.
Fino a questo punto ci si trova, quindi, in un contesto internazionale e istituzionale, al tempo stesso, dove la Labin tuttavia ha modo di proporre l’organizzazione di una lotta contro il comunismo basata sulla formazione di uno Stato Maggiore misto politico-militare, non molto lontana dalle riflessioni ed analisi che verranno poco dopo sviluppate in Italia.

3. Da Parigi al convegno di Roma del 1961
Maggiore risonanza interna ai confini nazionali italiani ebbe la seconda conferenza internazionale sulla guerra politica dedicata alla minaccia comunista sul mondo, che si svolge a Roma dal 18 al 22 novembre 1961, aperta da un messaggio augurale del Segretario Generale della Nato Dirk U. Stikker. Ad organizzarlo sempre Suzanne Labin, Ivan Matteo Lombardo (in quella fase Presidente del Comitato Italiano Atlantico e vice presidente dell’Atlantic Treaty Association), Randolfo Pacciardi con il contributo – ma non si ha un riscontro certo – di Clemente Graziani, tra i massimi esponenti di Ordine Nuovo.
All’incontro partecipano, tra gli altri, rappresentanti dell’area centrista, i ministri Guido Gonella, Giuseppe Spataro e Giulio Andreotti (poi assente), gli ex ministri Roberto Lucifredi, Gaetano Martino, Giuseppe Togni e Leopoldo Rubinacci; dall’ambito militare provengono alcuni alti ufficiali a riposo ma anche il Direttore del Centro Alti Studi Militari e il già citato Magi Braschi. Presenti per la prima volta alcuni esponenti dell’estrema destra come Giovanni Alliata di Montereale, Giano Accame, Mario Tedeschi11.
Si tratta ancora di un incontro che si colloca in un contesto occidentale di tipo istituzionale/atlantico dedicato al contenimento del comunismo, anche se – almeno per i fatti accaduti nel luglio 1960 – rivolge una particolare e significativa attenzione alla situazione interna di quei paesi nei quali più forti sembrano essere le forze di sinistra.
Scorrendo i testi di alcune delle relazioni si intuisce come il quadro del confronto fra blocco occidentale e blocco orientale, entrato in una fase di stallo per la reciproca possibilità di distruzione nucleare, si stesse spostando verso un terreno dove la componente militare e la deterrenza nucleare – pur rimanendo centrali – non potevano essere più sufficienti. Occorreva, imitando quelle che venivano considerate le tecniche di penetrazione comunista nelle società occidentali, non solo rafforzare gli impegni presi a Parigi, ma innescare una serie di risposte (simmetriche e sul medesimo terreno psicologico e propagandistico portato avanti dalle forze comuniste), tali da innalzare il livello del confronto fino al punto di ribaltare la posizione di svantaggio del mondo occidentale.
Era il terreno migliore per Suzanne Labin che, intervenendo più volte, chiarì non solo gli obiettivi ma come raggiungerli. Per la Labin il modo di «vincere la guerra politica» contro il comunismo non poteva non prendere in considerazione la necessità di istituire cinque organismi, finanziati dai paesi del blocco occidentale: a) uno Stato Maggiore con compiti di coordinamento strategico della campagna anticomunista composto da militari e civili. Questo Stato maggiore avrebbe dovuto assumere il nome di «Istituto per la difesa della democrazia»; b) una Lega Mondiale della Libertà formata da gruppi ed individui con compiti di propaganda, estesa in tutti i paesi; c) una rete di scuole ed accademie di formazione degli attivisti anticomunisti; d) un Corpo Internazionale di Missionari della Libertà, composto da medici, ingegneri, tecnici, insegnanti, disposti ad andare nei paesi in via di sviluppo a svolgere una attività da missionari laici con compiti di propaganda anticomunista; e) un centro di aiuto alle opposizioni nei paesi dell’Est, con propri agenti al di là della cortina di ferro riuniti nella Legione della Liberazione12.
Una proposta che risulterà non molto dissimile da quella indicata nel 1963 dal colonnello Renzo Rocca (dell’Ufficio Rei-Sifar, struttura ufficialmente dedicata al controspionaggio industriale ed al controllo delle esportazioni di armi, ma con attività nell’ambito del reclutamento di civili in funzione anticomunista), al generale Giovanni Allavena (capo del reparto D del Sifar) per il contenimento delle forze di sinistra in Italia.
In ogni caso non tutti i partecipanti si trovarono d’accordo con queste iniziative, che avrebbero avuto per di più un costo molto elevato in termini finanziari. Il primo scontro si ebbe con il segretario del Pli Olindo Malagodi favorevole, al contrario, all’ipotesi di un rafforzamento delle attività diplomatiche verso i paesi socialisti tale da contribuire ad una loro graduale democratizzazione. Una posizione che non poteva non incontrare la reazione di Suzanne Labin che ribadì, invece, la necessità di un confronto più duro ed incisivo, aggiungendo – in un successivo intervento in risposta alla posizione di Gonella – come fosse necessario mettere fuori legge i partiti comunisti o, quantomeno, di limitarne radicalmente l’azione attraverso inchieste fiscali, leggi speciali e limitazioni della legge elettorale13.

4. Tra il 1961 e il 1965
L’Europa e l’Italia in quegli anni attraversano una fase politica di apertura verso le componenti socialiste interne. Un aspetto non trascurabile perché non solo fa preoccupare ancor più del pericolo rosso le parti più radicali dell’atlantismo e delle forze della destra estrema o eversiva, ma anche perché radicalizza ancor più le posizioni, che tendono a configurarsi con una parte orientata al dialogo ed una, non importa se minoritaria o meno, portata ad assumere atteggiamenti sempre più pericolosi collegandosi con pezzi delle FF.AA., dei Servizi e della classe dirigente economica e politica.
Il quadro sembra così abbandonare quella cornice istituzionale internazionale nella quale bene o male si era fino a quel momento mosso, per curvare verso una declinazione interna, entrando a far parte di una sfera complessa nella quale sono evidenti sia la continuità di temi sia il radicalizzarsi delle ipotetiche reazioni. Una continuità e una curvatura, inoltre, che rendono non casuale la presenza a queste conferenze di alcuni dei protagonisti del successivo convegno organizzato dall’Istituto Pollio sulla guerra rivoluzionaria del 1965 (Ivan Matteo Lombardo, Giano Accame, Adriano Magi Braschi), mentre si concretizza anche il contatto diretto fra Ordine Nuovo e Suzanne Labin.
Mentre scorrevano questi cambiamenti, nel 1963, il colonnello Rocca scrive a Giovanni Allavena Capo del Reparto D del Sifar un promemoria dedicato alla necessità ed all’urgenza di procedere ad una lotta anticomunista molto più efficace e diretta di quella compiuta fino ad allora, sviluppando tutti i mezzi a disposizione, leciti e illeciti, creando gruppi di attivisti capaci di utilizzare qualsiasi mezzo, compreso il terrorismo, ma anche con uomini esperti nella guerra psicologica non ortodossa e clandestina14. Un’attività che doveva svolgersi tenendo conto del quadro politico nazionale, delle attività del Pci e del comunismo internazionale, ma anche degli «errori compiuti nel passato» e dei «motivi per i quali l’attività anticomunista in Italia» fino a quel momento non aveva dato grandi risultati15.
Secondo Rocca era necessario, quindi, avviare una propaganda continua e totale, in grado di superare l’atavica diffidenza degli italiani e la loro scarsa propensione alla lettura, con l’obiettivo di raggiungere coloro «che dovevano essere convinti», e non di continuare a parlare a coloro che già erano orientati o che non avevano «alcun bisogno di essere convinti perché già lo sono». Un’azione da concretizzare in convegni, incontri, dibattiti nelle fabbriche, nei mercati, «applicando la formula della cellula comunista», servendosi di gruppi in grado di utilizzare tutti i sistemi, «anche quelli non ortodossi» (lotta di piazza, sabotaggio e terrorismo).
Non più una semplice difesa, destinata a perdere terreno bensì azioni offensive e più «aggressive» (controlli fiscali, tecniche dilatorie nelle concessioni, boicottaggi delle cooperative, del sindacato e di qualunque attività riconducibile al comunismo anche in modo indiretto), con il sostegno del tessuto imprenditoriale che doveva alimentare questo scontro, senza tralasciare anche un’intensa attività culturale e intellettuale in grado di alimentare in tal direzione l’opinione pubblica.
Nulla doveva essere lasciato al caso o allo spontaneismo, ma inserito in un’organizzazione specifica, al cui vertice doveva esser posto un comitato ristretto (sostanzialmente un comitato misto civili e militari, anche se non viene descritto in questo modo) in grado di decidere sulle operazioni da compiere, ma anche mantenere rapporti e contatti confidenziali con le istituzioni di riferimento sia direttamente «sia indirettamente attraverso le organizzazione territoriali e periferiche» (parroci, ordini religiosi, organizzazioni culturali, economiche, sindacali aspetti che fanno pensare ad una estesa rete di contatti).
Esplicite le conclusioni: «vi sono in Italia organizzazioni […] che conoscono, in teoria e nella pratica, per esercitarli continuamente, i principi della guerra psicologica, della guerra non ortodossa, della lotta clandestina delle tattiche di disturbo, delle azioni preventive e repressive, della tecnica della provocazione»16.
Cosa si può osservare.
Innanzitutto le molte assonanze con i temi e le organizzazioni di cui si stava discutendo negli incontri sulla guerra politica; in secondo luogo – condividendo l’analisi di Pacini – di come Rocca scrive dopo il luglio 60, dopo gli incidenti di Piazza Statuto a Torino (dai quali non si può escludere la presenza di elementi provenienti da settori controllati dai servizi), ma due mesi prima della nascita del governo di centro sinistra guidato da Moro; terzo aspetto su come si stesse pensando in una prospettiva più aggressiva rispetto al recente passato, ma basata su organizzazioni già esistenti (soprattutto Ordine Nuovo che si era dotato nel frattempo di un Centro Studi sulla Guerra Psicologica).
Si possono poi aggiungere due aspetti più generali che permettono altrettante osservazioni sul legame nato fra spostamento a sinistra del baricentro politico nazionale e nascente rete o organizzazione interna.
Il contesto dei convegni sulla guerra rivoluzionaria e sulla sua dimensione politica, svolgendosi in una cornice particolare come quella italiana all’alba del centrosinistra, aveva alimentato e alimentava ragionamenti e azioni che trovano modo di diffondersi al di là dell’ufficialità del Governo o dell’Alleanza Atlantica, così come l’ipotesi di costruire una struttura territoriale composta da civili e militari in funzione interna differente dalla rete anti-invasione, fosse già presente in termini concettuali e forse operativi in alcuni uomini dei servizi e non solo nelle idee di Rocca17.
Nel primo caso ciò risulta chiaro osservando lo spazio dedicato dal Centro Alti Studi Militari nella sua 13^ e 14^ sessione, entrambe dedicate alla guerra psicologica (1962) e agli aspetti militari della guerra rivoluzionaria e della controguerriglia (1963). Analisi che contengono espliciti riferimenti ai convegni di Parigi, Roma e al dibattito all’interno della Nato, ritenuta l’organismo più adatto ad una forma di coordinamento delle attività psicologiche. Aspetti che mostrano chiaramente l’interesse per la particolare dimensione assunta dal conflitto bipolare. Il secondo (le strutture militari/civili) si può individuare nel Sifar. Un qualcosa di simile tra il 1964 e il 1965, infatti, stava accadendo all’interno del Servizio allorquando vengono distribuite al suo interno, ma anche agli Stati Maggiori delle forze armate e ad alcune unità scelte e scuole di guerra (tra le quali quella di Cesano dove si stavano organizzando dal 1962 i Corsi di ardimento), tre pubblicazioni dedicate alla guerra rivoluzionaria ed alla controinsorgenza: L’offesa, La parata e la risposta, La guerriglia 18 (in parte vennero poi pubblicate dal periodico Controinformazione nell’ottobre 1973)19.
La coincidenza temporale con quanto sarebbe confluito nel convegno del 1965 dell’Istituto Pollio, la provenienza dei materiali (il Nucleo di guerra non ortodossa del Sifar diretto da Magi Braschi), e la ripetuta affermazione circa la necessità di prevedere e respingere le azioni insurrezionali del comunismo, aprono uno spiraglio sul tessuto connettivo che si stava componendo. Se infatti andiamo a leggere come ad una tattica ben organizzata degli insorti, tutti i poteri dello Stato – «sin dal tempo di pace» – debbano essere già pronti ad agire sia in termini legali (attraverso una sorta di educazione dell’opinione pubblica alla forza dell’esecutivo) sia in termini clandestini (attraverso un’organizzazione interna del territorio basata su comandi decentrati di tipo politico-militare in grado di poter continuare la propria lotta indipendentemente dall’isolamento di parti del territorio nazionale, con unità di «protezione», facilmente mobilitabili, dislocate in modo da coprire tutto il territorio e formate da «elementi particolarmente addestrati» e «con compiti di ricerca e offesa») 20, non ci troviamo di fronte ad un’operazione o organizzazione militare in senso istituzionale, bensì all’interno di una struttura particolare, assai vicina alle idee di Suzanne Labin, declinata in funzione di contenimento interno, lontana dalla coeva Stay-behind/Gladio, ma ad essa parallela e da essa disgiunta della quale ricalca alcuni elementi originari poi modificatisi nel corso degli anni della sua esistenza: unità per l’impiego statico (essenzialmente informative, dislocate sul territorio, composte da soggetti non individuabili e insospettabili); unità per l’impiego mobile (per missioni o spostamenti interni fra unità fra loco compartimentate per operazioni di depistaggio o similari); unità per l’impiego clandestino (destinate ad operazioni coperte o comunque che non dovevano essere ricondotte a vertici militari o politici).

5. Il convegno dell’Istituto Pollio
Con il convegno organizzato dall’Istituto di Studi Politici e Militari Alberto Pollio si entra in una fase molto più concreta, che pone al centro la connessione fra contro-insorgenza e Stati Maggiori combinati (composti cioè da militari e civili). Un passaggio al cui interno si ritrova non solo e non tanto una delle radici del fenomeno golpista, quanto un allargamento di pericolose intese con la componente eversiva della destra.
L’Istituto Pollio, nato nel maggio 1964 in coincidenza con la crisi del primo governo di centrosinistra in base a finanziamenti provenienti dallo stesso Sifar ma anche dall’area industriale lombarda21, organizza di fatto solo quell’incontro, ma sembra essere concepito tutto all’interno della risoluzione generale della conferenza di Roma del 1961 (votata a grande maggioranza) durante la quale era stato auspicato che ogni singolo Stato costituisse «propri istituti nazionali ed anche uno internazionale per la difesa della libertà, che operi come centro di studio e di strategia politica, e che possa allo stesso tempo essere il quartier generale di quei Governi, con lo scopo di informare e offrire i concetti-guida per la necessaria controffensiva sul suddetto fronte della guerra fredda.»22.
La cornice nella quale si colloca il convegno è ampia, ed è costituita dagli ambienti vicini allo Stato Maggiore della Difesa, al Sifar, alla destra (da quella eversiva a quelle aree fortemente conservatrici presenti nei partiti di centro), al mondo industriale e del cattolicesimo intransigente. Da un punto di vista organizzativo l’iniziativa parte da due giornalisti, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, affiancati da Edgardo Beltrametti, poi curatore degli Atti. Tra i partecipanti – sotto le mentite spoglie di avvocato e docente universitario – Magi Braschi inviato direttamente da Aloia, allora Capo dello Stato Maggiore dell’Esercito. Nella lettera di invito vengono indicati i temi sui quali verteranno i due giorni, sottolineando la riservatezza ed il ristretto numero di invitati23.
L’incontro romano, quindi, rappresenta una sorta di saldatura “ufficiale” dei legami fra pezzi degli apparati istituzionali, segmenti dei vertici militari, parte del mondo industriale ed estremismo di destra24, ponendosi in continuità con quello del 1961, di cui ne rappresenta un pericoloso aggiornamento, perdendo gran parte del legame con la dimensione della Nato e con la cornice centrista-conservatrice. Continuità che si rintraccia in molte delle relazioni ma è diviene esplicita nell’intervento di Guido Giannettini che si conclude con un forte riferimento a Suzanne Labin: «La decisione, dunque, dipende molto da noi […]. Se sapremo […] aprire gli occhi sulla guerra rivoluzionaria, se sapremo reagire in misura adeguata […] soltanto allora, potremo riprendere e vincere. Ma attenzione: è tardi. Molto tardi»25.
Non è possibile ripercorrere analiticamente i contributi dei relatori26, ma vale soffermarsi su alcuni passaggi che aiutano ad inquadrare le teorie sulla guerra rivoluzionaria e la contro-insorgenza nella loro declinazione italiana e l’incrocio che viene posto in essere fra estrema destra, parte dei servizi di sicurezza e delle FF.AA., attraverso quattro osservazioni compatibili con la vicenda dei Nuclei per la difesa dello Stato27.
La prima è una semplice constatazione. Quando si svolge il convegno del Pollio, la Stay Behind e la sua articolazione italiana (Gladio) sono già strutturate da quasi un decennio sia a livello euro-atlantico sia a livello italiano. A parte le progressive modifiche che subisce la Gladio, quindi, non è necessario e nemmeno possibile andare alla ricerca di agganci che leghino quell’incontro alla struttura segreta contro-invasione. È implausibile inoltre che in quell’assise semipubblica – con una parte ristrettissima dei presenti che quella struttura direttamente o indirettamente conosceva – si parlasse di un segreto rimasto tale fino al 1990. È del tutto conseguente, quindi, che le attenzioni e le riflessioni si rivolgessero verso un qualcosa di differente.
Viene così logica la seconda osservazione. La questione della controinsorgenza, letta attraverso le relazioni dei presenti, assume caratteristiche del tutto interne ai confini nazionali. Non si rivolge quindi solo a una possibile invasione e a un conflitto dietro le linee del nemico che ha invaso il territorio nazionale, bensì alla creazione di punti di contatto e di formazione di una rete composta con quegli elementi civili di sicura fede anticomunista, disposti ad una lotta senza esclusioni di colpi, in tutte le forme compatibili a una insorgenza interna. Sono tre, infatti, le eventualità da prendere in considerazione e per le quali prepararsi: un’insurrezione in appoggio a tentativi di invasione da est; una crescita ed una vittoria elettorale delle sinistre; uno scivolamento a sinistra delle maggioranze di governo. Un aspetto non secondario considerando come ci si trovi in quel momento nel pieno del centro sinistra di Moro e Nenni, dopo gli episodi del 1960 e del 1964, e con una prospettiva – ritenuta molto concreta – di spostamento delle maggioranze politiche verso posizioni ritenute inconciliabili con il vincolo atlantico e con gli interessi del Paese.
Terzo elemento. Leggendo fra le righe degli interventi e proiettandoli sugli avvenimenti successivi, alla luce della documentazione resa disponibile all’indomani delle nuove inchieste degli anni Novanta, quel convegno avvia in concreto la definizione di un qualcosa (operazione o organizzazione in questo caso poco importa) che potesse congiungere la componente militare con il mondo civile, in pratica con quell’area della destra eversiva che offriva le maggiori garanzie di lealtà anticomunista, sotto una sorta (come emergerà molti anni dopo) di cappello assicurato anche dai servizi civili e militari Usa di stanza in Italia, che erano a conoscenza della questione attraverso una costante opera di infiltrazione. Un qualcosa che non coinvolge Gladio ma ha esclusivi scopi di condizionamento interno.
Ne consegue una quarta osservazione cui facciamo solo cenno. Nessun elemento documentabile e riscontrabile fino ad oggi, permette di porre sullo stesso piano teorico ed organizzativo Gladio con le ipotesi avanzate al convegno del maggio 1965, e poi realizzate attraverso i Nuclei difesa dello Stato. Nessuna delle testimonianze e delle ordinanze che si sono occupate della destra eversiva in Italia, permettono di tracciare un percorso comune, ma nemmeno riferimenti compatibili fra le due operazioni. Sembra invece potersi osservare un parallelismo: la Gladio rivolta all’esterno e alla difesa militare e i Nuclei rivolti all’interno in funzione anticomunista e di contenimento.

6. Alcune relazioni
Le relazioni che in modo diretto ed indiretto supportano queste osservazioni sono quelle di Magi Braschi, Beltrametti, Rauti e Filippani Ronconi.
Inaugurando il convegno, Gianfranco Finaldi presidente dell’Istituto, inquadra il tema lungo il tracciato iniziato a Parigi e poi seguito nel 1961 a Roma ponendo in luce come fosse

«in corso di svolgimento una vera e propria guerra guerreggiata, condotta secondo dottrine, tecniche, procedimenti, formule e concetti totalmente inediti. Una guerra rispetto alla quale tutti i vari conflitti (caldi o freddi) succedutisi in questi anni […] non rappresentano che altrettanti “episodi”. Si tratta di un fenomeno nuovo che opera su scala mondiale, articolandosi – nel tempo e nello spazio – in manifestazioni di varia natura e intensità. Un nuovo tipo di guerra, una “guerra non-ortodossa” o “guerra rivoluzionaria”, cui è ispirata, […] la condotta non soltanto degli Stati comunisti, ma anche dei partiti comunisti che operano nei Paesi del mondo libero»28 .

Un conflitto che si configura in modo diverso dai precedenti cui è necessario trovare risposte adeguate in grado di porre le forze occidentali sullo stesso piano di quelle comuniste, indipendentemente dagli eserciti. Un invito chiaro a porsi il problema in termini di controllo del territorio, condizionamento dell’opinione pubblica e repressione interna delle forze di comuniste, ripreso da Magi Braschi29:

«Se la prima guerra mondiale si ricavò la necessità di avere comandi composti delle tre armi vale a dire Stati Maggiori che ragionassero in funzione tridimensionale; se dalla seconda guerra mondiale sono usciti gli Stati maggiori integrati, cioè Stati maggiori che comprendono personale di più nazioni; questa guerra vuole gli Stati maggiori allargati, gli Stati maggiori che comprendano civili e militari contemporaneamente. Vuole ordinamenti nuovi, vuole unità nuove. […] Temo che le vecchie generazioni non troveranno una risposta adeguata alla nuova guerra, Ma le nuove generazioni sono già al davanzale della storia e sono quelle cui appartengono i nostri amici del gruppo di studio. […] Io spero che questi patrioti, questi uomini che non hanno come noi un passato che scotta, possano tranquillamente, senza remore di sorta, combattere la nuova guerra nel nome dell’unico sostantivo che crea e indica le patrie di tutti: la libertà»30.

Beltrametti si spinge ancora più avanti, sottolineando l’estrema necessità di prevenire un attacco sottraendo «ai movimenti, ai partiti ed ai gruppi al servizio della g.r. la libertà d’azione […] Radicalizzare la lotta è il modo più corretto per impostarla a nostro vantaggio»,aiutando il diffondersi di una «omogeneità politica che preceda e prepari la formazione di un fronte ideologico compatto sul quale basarsi per contrapporsi alla compattezza dell’ideologia comunista. Prevenire vuole anche dire […] preparare uno strumento militare adeguato alle tecniche ed ai procedimenti della g.r. Uno strumento che comprenda la creazione di gruppi permanenti di autodifesa che sappiano contrastare la penetrazione avvolgente, clandestina o palese, della g.r. e non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l’energia e la spregiudicatezza necessaria».
Dopo aver sottolineato come in Italia si debba fare i conti con il più grande partito comunista del mondo occidentale e che lo stesso sia ormai giunto nell’anticamera del governo attraverso l’apertura della stagione del centrosinistra, Beltrametti sottolinea come la minaccia sia ormai globale e come si debba agire sia in senso tradizionale con forze armate più flessibili e mobili, sia attraverso un approccio nuovo che prenda in considerazione l’opinione pubblica e il nemico interno:

«Schematicamente si può prevedere un attacco nucleare, un attacco tradizionale alla frontiera orientale con lo sbarco in profondità di truppe aviotrasportate, una guerra sovversiva. […] Insomma noi ci troviamo di fronte agli stessi problemi che ha tutto l’occidente con qualche preoccupazione di più all’interno. Alla domanda se noi siamo in condizioni di organizzarci su queste tre dimensioni, la risposta è no. Noi non abbiamo un armamento nucleare […] Noi abbiamo un apparato convenzionale per una guerra tradizionale, la quale è poco probabile. Per quanto si riferisce poi alla risposta alla guerra sovversiva […], il nostro apparato rappresenta indubbiamente un deterrente, ma non uno strumento ad hoc. In linea di principio occorrerebbe crearlo, come è nei progetti francesi, onde affrontare la terza dimensione della g.r. […] Le autorità militari hanno dimostrato sensibilità […]. Ma manca un organismo di fondo che abbracci la situazione e la ponga in termini realistici […]. È inutile nasconderci che in Italia la guerra sovversiva rappresenta un pericolo maggiore di un conflitto tradizionale. Perché, allora, stando così le cose non si fa una scelta radicale orientando il nostro apparato bellico più in questo senso che in quello tradizionale? […] Innanzi tutto un’organizzazione siffatta copre tutta la nazione in modo tale che tutti i cittadini sono nelle liste di mobilitazione e distinti per le loro attitudini non soltanto militari. È così possibile fare una scelta di coloro che debbono formare i gruppi di autodifesa. Gli Stati maggiori possono essere misti, cioè assistiti da civili. L’armamento tradizionale viene ridimensionato, sacrificando almeno una parte dei mezzi pesanti, per formare gruppi di commando e gruppi di combattimento flessibili […], dotati di mezzi di trasporto e di comunicazione abbondanti […]. Se il nemico attacca la frontiera, non si accetta la battaglia in senso tradizionale, lo si lascia avanzare per strozzarlo […]. Nelle zone controllate dal nemico il nuovo apparato reagisce piombando nella clandestinità e si avvale delle basi rimaste sicure e delle basi logistiche clandestine predisposte, e si organizza per logorare moralmente e fisicamente il nemico […]. Voglio accennare anche alle conseguenze di ordine morale di questa trasformazione, perché è evidente che il cittadino, ed intendo ovviamente il cittadino leale, troverebbe il clima adatto a fare il suo dovere ed a farlo nel campo che è più vicino alla sua professione ed alle sue attitudini. Cosicché. l’agente della g.r. può essere paralizzato, la popolazione rimane sotto il controllo morale delle forze della legge e le forze nemiche non alimentate e combattute sullo stesso loro terreno si ridurrebbero a quella minoranza che di fatto sono»31.

Con Beltrametti lo scenario assume le caratteristiche di un conflitto interno a bassa intensità, da preparare se non da condurre preventivamente. Un’impostazione ripresa in alcuni passaggi dell’intervento di Pino Rauti che, allargando il ragionamento al metodo rivoluzionario perseguito dal comunismo e non credendo all’idea che il Pci volesse realmente tentare uno sbocco rivoluzionario in Italia quanto una progressiva penetrazione, sottolinea l’inadeguatezza degli apparati a disposizione delle forze anti-comuniste, che perdono quotidianamente terreno (un’argomentazione molto simile a quella del colonnello Rocca nel 1963). A questa debolezza era necessario dare risposte concrete al di fuori degli schemi politici tradizionali:

«Occorre considerare anche l’importanza che hanno le iniziative settoriali, le organizzazioni parallele, lo studio approfondito di queste nuove tecniche di indottrinamento e di condizionamento delle masse […]. Spetterà poi ad altri organi, in senso militare, in senso politico generale, trarre da tutto questo le conseguenze concrete, e far sì che alla scoperta della guerra sovversiva e della g. r. segua l’elaborazione completa della tattica contro-rivoluzionaria e della difesa»32.

Infine l’intervento di Filippani Ronconi che, nella seconda parte della sua relazione, si concentra su come predisporre anche da un punto di vista organizzativo una efficace azione difensiva ed offensiva:

«Lo studio dei metodi della guerra eterodossa ci deve […] indurre a elaborare un piano di difesa e contrattacco rispetto alle forze della sovversione che, se al livello clandestino sono già perfettamente organizzate e pronte alla soluzione totale del problema del potere, al livello palese ed ufficiale si sono già impadronite di buona parte dei centri di governo del nostro Paese (Amministrazione statale, parastatale, stampa, radio-televisione, agenzie d’informazione, università, ecc.). Perdurando le condizioni attuali, è facile intuire che lo stato borghese può trovarsi da un momento all’altro di fronte alla sua crisi finale […]. Ora, la relativa tranquillità di cui provvisoriamente disponiamo […] dovrebbe indurci a preparare, sin d’ora uno schieramento differenziato, su scala nazionale ed europea, delle forze disponibili per la difesa e per l’offesa. Questo schieramento differenziato obbedisce al criterio di fare agire su tre piani complementari, ma tatticamente “impermeabili” l’uno rispetto all’altro, le tre categorie di persone sulle quali si può in diversa misura contare, assegnando ad ogni categoria compiti commisurati alle sue reali possibilità. […] Schematicamente si tratta di ciò: a) su un piano più elementare disponiamo di individui i quali, seppure bene orientati e ben disposti nei riguardi di un’ipotetica controrivoluzione, sono capaci di compiere un’azione puramente “passiva”, […]. Fra costoro, che formano la massa dei funzionari, professionisti, docenti, piccoli industriali, commercianti […], dovrà crearsi una seria e coerente intesa […], la quale funzioni in modo tale per cui ogni suo membro, nel proprio campo, si limiti a troncare e molestare le iniziative provenienti dal campo opposto aiutando contemporaneamente i propri membri nei loro settori particolari e giovandosi, necessariamente, di un ufficio centrale d’informazioni e di uno schedario, che si andrà lentamente formando. Questa prima, rudimentale rete, oltre a significare un vantaggio pratico per i suoi aderenti, potrà servire per una prima “conta” delle persone delle quali si potrà disporre nei diversi settori della vita attiva nazionale, le quali, alla loro volta, formeranno lo “schermo di sicurezza” per gli appartenenti ai due livelli successivi; b) il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone […] adatte a compiti che impegnino “azioni di pressione”, come manifestazioni sul piano ufficiale, nell’ambito della legalità, anzi, in difesa dello Stato e della legge […]. Queste persone che, suppongo, potrebbero provenire da Associazioni di Arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo […], dovrebbero essere pronte ad affiancare, come difesa civile […], le forze dell’ordine nel caso che fossero costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza […]; c) A un terzo livello, molto più qualificato e professionalmente specializzato, dovrebbero costituirsi – in pieno anonimato sin d’adesso – nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contro-terrore e di “rotture” eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere. Questi nuclei, possibilmente l’un l’altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti in parte da quei giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato, in nobili imprese dimostrative, che non riescono a scuotere l’indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale. Sulla costituzione e sulla formazione di questo “terzo livello” credo che si potrebbe utilmente discutere; d) di là da questi livelli dovrebbe costituirsi con funzioni “verticali” un Consiglio che coordini le attività in funzione di una guerra totale contro l’apparato sovversivo comunista e dei suoi alleati, che rappresenta l’incubo che sovrasta il mondo moderno e ne impedisce il naturale sviluppo» 33.

7. Il convegno dell’Istituto Marselli
Ci siamo volutamente dilungati sul convegno dell’Istituto Pollio per ciò che esso rappresenta come congiunzione di due fasi della diffusione delle teorie sulla controinsorgenza in Italia. Passaggio che si sostanzia attraverso il collegamento esplicito tra componente militare e civile nella lotta interna al comunismo negli anni della Repubblica, supportato da ripetuti suggerimenti e indicazioni, rivolte alla necessità ed all’urgenza di agire attraverso strutture nuove, sostanzialmente occulte e parallele agli organismi militari, in grado – per formazione e per la forte coesione ideologica – di condurre qualunque operazione.
La cornice che si determina da quell’incontro in avanti, infatti, tende a comporsi con elementi le cui componenti non appartengono solo a elaborazioni teoriche o a spirito di rivalsa riconducibili ad anziani gerarchi o reduci della Rsi, ma cercano di rapportarsi con il contesto internazionale proprio del confronto bipolare, inquadrando teoria ed azione in un ambito interno mediato da una parte della componente militare operante nei servizi di intelligence e di guerra psicologica. Si tratta di un quadro che tende a determinare un interesse diffuso in modo trasversale nella classe dirigente repubblicana sia sotto il profilo economico (vista la presenza di Confindustria e i legami con la Fiat), sia sotto il profilo politico (vista la presenza di alcuni esponenti dei partiti di governo), convinte dell’esistenza di una quinta colonna del comunismo sovietico, pronta all’insurrezione o alla conquista legale del potere.
L’attività più evidente dell’Istituto Pollio termina con questo convegno ma dalle sue ceneri, sul finire del 1967 a Roma, nascerà un altro Istituto di storia militare, Niccolò Marselli, fondato da Beltrametti che dal 1968 pubblicherà la rivista Storia Militare e che – l’anno successivo – intreccerà parte delle sue vicende, tramite Gino Ragno allora presidente dell’Associazione Italia-Germania, con il Comitato per lo studio dei problemi della difesa civile (non più intesa nel senso ampio previsto dal disegno di legge Scelba del 1950, bensì in senso riduttivo, circoscritto alla sola protezione civile) costituito dai democristiani Possenti e Zamberletti34. Da questo incontro nascerà, nella stessa sede dell’Istituto Marselli, l’Associazione parlamentare di studi per le Forze armate, alla quale aderiscono Giuseppe Zamberletti, Bartolomeo Ciccardini, Rodolfo Tambroni, Ruggero Vi1la, Gustavo De Meo, Umberto Bonaldi, Ugo D’Andrea e Randolfo Pacciardi. Segretario viene nominato Paolo Possenti. Contestualmente, gli stessi promotori danno vita alla Associazione amici delle Forze armate, sempre con sede in corso Vittorio Emanuele n. 18, di cui viene nominato segretario generale Gino Ragno. Organo di stampa di entrambe le associazioni è il periodico Rassegna militare, dove viene nominato come direttore responsabile il generale di brigata della riserva Vincenzo Fasanotti, inizialmente responsabile dell’Istituto.
Anche se siamo lontani dalla cornice del 1965 – pur trovandoci nel pieno della strategia della tensione, dopo Piazza Fontana, all’indomani del tentativo Borghese ma prima dell’inchiesta sulla Rosa dei Venti – l’Istituto Marselli riprende il tema della guerra rivoluzionaria organizzando, nel giugno del 1971, un nuovo convegno dedicato al rapporto fra Guerra non ortodossa e Difesa. Presenti ancora una volta Beltrametti, Giannettini e Lombardo (tutti presenti nel 1965)35. Un incontro meno noto di quello del Pollio, ma che si colloca nel medesimo tentativo di sollecitare le forze armate rispetto al pericolo comunista, iscrivendosi in una fase in cui stavano emergendo i primi elementi relativi al tentato golpe del dicembre 1970 e rimanevano, nemmeno troppo velate, voci su un possibile sviluppo autoritario nel Paese36. Nonostante ciò, queste giornate si svolgono di fronte ai vertici delle FF.AA. e a un significativo schieramento politico, rispecchiando in termini di contenuti, «anche se esposti in termini meno rozzi», i concetti illustrati nel maggio 196537.

8. Dalla teoria alla pratica
Un primo aspetto da considerare è relativo al persistere di una linea di fondo che collega la metà degli anni Cinquanta con l’inizio degli anni Settanta attraverso l’evidente e forte continuità fra i convegni del 1959, 1961, 1965 e 1971, che transitano in una declinazione italiana i contenuti della guerra politica e della controinsorgenza discussi e teorizzati da Suzanne Labin, entrati parzialmente a far parte della strumentazione della Nato. Se infatti i primi due incontri si svolsero in un contesto riconducibile all’Alleanza, il terzo non può essere ridotto al solo momento di inizio della strategia della tensione (marcando invece un significativo passaggio di fase), mentre il quarto– forse – da una parte evidenzia il declino dell’ipotesi golpista, o quantomeno un suo riproporsi immobile nei primi anni Settanta, per poi trasformarsi nel tentativo di svuotamento delle istituzioni operato dalla P2, dall’altro una modifica parziale dei temi chiaramente espressi negli anni precedenti.
Secondo aspetto. Al Parco dei Principi si incontrarono associazioni atlantiste (Ivan Matteo Lombardo era in quella fase presidente del Comitato Atlantico Italiano), ambienti militari, settori industriali ed eversione di destra, mentre le teorie sulla guerra rivoluzionaria e sulle risposte che dovevano essere date originavano in un contesto di più lungo periodo all’interno del complesso mondo delle relazioni fra le associazioni atlantiche e atlantiste che ponevano al centro la Nato e mediavano con i comandi militari. Un percorso lungo, quindi, stretto fra il contenimento politico e la controinsorgenza, non necessariamente destinato al golpe (che gli Usa non volevano), ma sufficiente a premere in modo aggressivo sull’evoluzione ordinaria della Repubblica. Non ci si trova quindi di fronte ad una scelta improvvisa, riconducibile solo alla proposta di Borghese o di altri al momento della nascita del Fronte Nazionale, bensì ad un percorso radicato sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista organizzativo, che avrebbe condotto ad un intersecarsi con segmenti esterni al nucleo originario rappresentati in questa seconda fase dalla destra eversiva e stragista, ma anche dalle strutture di intelligence italiane e statunitensi.
Esiste quindi un momento in cui si passa da una fase in teorica e ristretta nei numeri, ad una più esplicita. Nel 1966, in parallelo alla durissima polemica fra Aloja, in quel momento Capo di Stato Maggiore della Difesa, e il generale Giovanni De Lorenzo, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, sulla politicizzazione delle FF.AA. che, a detta del primo, non potevano rimanere al di fuori di una guerra che era ormai di natura politica, vengono diffusi – ad una platea ben più vasta di quella cui erano rivolti i fascicoli del Sifar cui abbiamo fatto cenno – un volantino ed una pubblicazione38. Nel primo caso si tratta in realtà di due volantini leggermente differenti che giungono, in tempi e modi diversi, a circa 2000 ufficiali e sono firmati dai Nuclei per la difesa dello Stato («già costituiti in seno alle Forze Armate») con i quali si invitava all’adesione ed all’azione39; nel secondo di un piccolo volume fortemente voluto da Aloja, poi fatto ritirare dalla circolazione dallo stesso generale – intitolato Mani Rosse sulle Forze Armate i cui autori – sotto lo pseudonimo di Flavio Massalla – erano Pino Rauti e Guido Giannettini40. Scorrendo le pagine del volume (almeno dell’edizione del 1975 pubblicata da Savelli e curata dalla Commissione Pid di Lotta Continua) il quadro di riferimento è il medesimo che abbiamo descritto rispetto ai convegni di Parigi e Roma. Dato che la guerra rivoluzionaria era già cominciata occorreva rispondere: politicizzare le forze armate e avviare la fase della Parata e della Risposta in conseguenza dell’Offesa.
Siamo così arrivati ad altrettanti punti dai quali ha inizio una fase attuativa interna della lotta al comunismo, ma soprattutto per il contenimento delle sinistre, secondo il criterio della destabilizzazione stabilizzante. All’avvio di quelle operazioni/organizzazioni che la resero concreta e praticata fra il 1966 ed il 1973; due estremi cronologici che rappresentano l’arco di vita per così dire “ufficiale” (è un ossimoro voluto) della vicenda dei Nuclei difesa dello Stato.

Note

  1. In tal senso si rinvia tra gli altri a Angelo Ventrone, La strategia della paura, eversione e stragismo nell’Italia del 900, Mondadori, Milano, 2019 e a Francesco Benigno, Terrore e terrorismo, saggio storico sulla violenza politica, Einaudi, Torino, 2018.
  2. La controinsorgenza è stata affrontata in modo particolare in studi di natura politologica e militare nel mondo anglosassone e francese con analisi rivolte ad analizzare le cornici dei molteplici conflitti non regolari che si sono sviluppati in molte parti del mondo. Per un quadro generale vale richiamare David Galula, Counterinsorgency Warfare. Theory and Practice, Ed. Prager Security International, Washington DC (USA), 1964 (II ed. 2006). Galula, ex colonnello dell’esercito francese stabilitosi negli Usa ad inizio degli anni 60, descrisse i contorni della nuova guerra. In sintesi uno scontro tra forze insurrezionali e forze contro-insurrezionali dove l’origine insiste nell’azione scatenata dagli insorgenti, che sono dotati di un’ideologia rivoluzionaria (il comunismo) in grado di mobilitare le opinioni pubbliche ma anche di un supporto esterno (Mosca e l’Urss), potendo agire all’interno di un territorio non del tutto sfavorevole a fronte di un apparato statale ed amministrativo non troppo efficiente o giovane. La guerra rivoluzionaria – prosegue – si divide essenzialmente in due fasi; la prima nella quale le attività insurrezionali si muovono all’interno della legalità, la seconda in cui viene valicato questo limite, divenendo violenta ed esplicita. In entrambe, ma soprattutto nella prima quando il pericolo è ben poco visibile ma molto efficace, è indispensabile – prosegue – il supporto ed il coinvolgimento dell’opinione pubblica che deve essere raggiunto e mantenuto attraverso le azioni di una minoranza attiva di essa, che deve sostenere le forze legittime per agire entrambe su una popolazione in maggioranza incerta o neutrale. In questo senso mezzi e risorse di ogni genere devono essere significativamente importanti, ma soprattutto essenziali, concentrati in un’area specifica e non diluiti in attività a pioggia, per essere poi spostati in un’altra zona, mentre le attività devono investire la dimensione militare, quella giudiziaria, quella di polizia ma – soprattutto – mantenere un chiaro compito politico, perché la guerra rivoluzionaria è politica. Cfr. anche Gregory Fremont-Barnes, A history of counterinsurgency, 2 vol., From South Africa to Algeria, 1900 to 1954; from Cyprus to Afghanistan, 1955 to the 21st century, Ed. Prager Security International, Washington DC (USA), 2015; Anthony James Joes, Resisting rebellion. The history and politics of counterinsurgency, University Press of Kentucky, 2004.
  3. [Angelo Ventrone, La strategia della paura, cit.
  4. Fort Bragg per lungo tempo è stata la sede dell’82^ Divisione Aviotrasportata delle US Force, ma anche il centro per la guerra non convenzionale con la creazione del Centro per la Guerra Psicologica nell’aprile (1952). In quella struttura vennero addestrate le forze destinate alla contro-insorgenza (compresa la Delta Force e i reparti impiegati nelle aree di tensione est/ovest o di maggior crisi come le operazioni a Granada, Honduras, Panama), ma anche ufficiali provenienti da paesi Alleati destinati agli incarichi di formazione, gestione e addestramento delle reti Stay-Behind.
  5. Suzanne Labin (da nubile Devoyon) dopo aver maturato, 1937, posizioni nettamente anti-staliniane e anticomuniste, partecipa brevemente alla resistenza nelle file golliste, per poi emigrare e soggiornare in Argentina, dove ha modo di incontrare Carlos Lacerda, esponente della destra brasiliana, di cui diviene una convinta sostenitrice. Con il dopoguerra, rientra in Francia, per diventare una delle più attive e ascoltate propagandiste del contenimento del comunismo e della lotta che era necessario scatenare contro la potenza sovietica e quella cinese. Autrice di numerosi saggi, entra in contatto diretto con l’amministrazione Usa (1959) e partecipa al decennale della Nato a Londra come componente della delegazione francese. Negli USA incontra anche il direttore della Cia Allan Dulles cui segnala la possibile esistenza di una base sovietica a Cuba. La sua attività di relatore ed organizzatrice di convegni e incontri sulla guerra politica dei Soviet, nonché la rete di contatti ed amicizie che riuscì a stendere, la rendono ancora oggi una delle figure più interessanti per addentrarsi nelle vicende europee della controinsorgenza e delle sue penetrazioni in Italia.
  6. Stefania Limiti, Doppio livello. Come si organizza la destabilizzazione in Italia, Chiare Lettere, Milano, 2013, p. 89.
  7. Sergio Flamigni (a cura di) Dossier Gladio, Milano, Kaos edizioni, 2012, p. 10.
  8. In merito alle premesse organizzative e teoriche di Gladio, oltre la documentazione di provenienza parlamentare (soprattutto la Commissione Stragi), archivistica ed a quella disponibile attraverso le indagini giudiziarie di Guido Salvini e Carlo Mastelloni, si vedano fra i molti volumi, Sergio Flamigni (a cura di) Dossier Gladio, cit.; Giacomo Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia, Einaudi, Torino, 2014.
  9. [Archivio del Senato della Repubblica (ASA), Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi (Commissione Stragi), doc. XXIII, n.64, vol.1, tomo IV, p.284.
  10. Il primo richiamo a questa frase in sede Nato proviene dal segretario Lionel Ismay Hastings in un discorso tenuto il 15 maggio 1956. Sulla riunione di Oslo: Ivan Matteo Lombardo, Guerra comunista contro l’occidente, dall’intervento al Convegno organizzato dall’Istituto di Studi Militari Alberto Pollio tenutosi a Roma nel maggio del 1965.
  11. ASA, Commissione stragi, doc. XXIII, n.64, vol.1, tomo IV, pp.284-286.
  12. ASA, Commissione stragi, doc. XXIII, n.64, vol.1, tomo IV, pp.284-286, cit.
  13. La minaccia comunista al mondo occidentale, in “Stampa Sera”, anno 93, numero 275, 20-21 novembre 1961, p.9.
  14. Giacomo Pacini, Settembre 1963: così i Servizi pianificavano la strategia della tensione, in Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea disponibile al sito www.isgrec.it visto il 31 gennaio 2024. Pacini pubblica un documento a firma del Colonnello Renzo Rocca del Rei/Sifar del 12 settembre 1963, che fa parte degli atti dell’ultimo processo per la Strage di Brescia del 1974 (contenuto nel fascicolo 1962-2-21-32, intestato Aspetti dell’azione anticomunista in Italia e suggerimenti per attuare una politica anticomunista).
  15. Enzo Rocca, Idee e suggerimenti cit., in G. Pacini, settembre 1963, cit.
  16. E. Rocca, Idee e suggerimenti, cit., in G. Pacini, settembre 1963, cit.
  17. Aldo Giannuli e Elia Rosati, Storia di Ordine Nuovo, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI), 2017; Saverio Ferrari, I denti del drago. Storia dell’Internazionale Nera tra mito e realtà. I rapporti con il neofascismo italiano, BFS, Pisa, 2013; S. Flamigni (a cura di) Dossier Gladio, cit.; G. Pacini, Le altre Gladio, cit.; M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione. 1965-1974, Laterza, Roma-Bari, 2015; A. Ventrone, La strategia della paura, cit.; Angelo Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi. Le trame eversive nella ricostruzione dei magistrati protagonisti delle inchieste (1969-1980), Donzelli, 2019.
  18. M. Dondi, L’eco del boato…, cit. p.49
  19. Controinformazione, numero unico in attesa di autorizzazione, ottobre 1973, Un documento SIFAR. La parata e la risposta. Larga parte dei tre fascicoli sono stati resi disponibili da Aldo Giannuli nel suo lavoro peritale del 1996, III parte perizia. Documentazione all’indirizzo https://storiaveneta.it/inchieste/142-stay-behind-tutti-i-piani-degli-stati-maggiori-per-limitare-la-democrazia-in-italia.html visto nel luglio 2021.
  20. Controinformazione, numero unico in attesa di autorizzazione, ottobre 1973, cit.
  21. Aldo Giannuli e Elia Rosati, Storia di Ordine Nuovo, cit., pp.32-35.
  22. II conferenza internazionale sulla guerra politica dedicato alla Minaccia comunista sul mondo, Roma 18-22 novembre 1961, mozione conclusiva.
  23. ASA, Fondi Federati/Fondazione Spirito, Fondo Concetto Pettinato 3.3.163, Lettera di invito al Convegno dell’Istituto Pollio di Gianfranco Finaldi a Concetto Pettinato, 14 aprile 1965. Consultabile all’indirizzohttps://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/concetto-pettinato/IT-AFS-055-002252/i-convegno-studio-istituto-alberto-pollio#:~:text=unit%C3%A0%20163%20I%20convegno%20di,aprile%201965%20%2D%208%20maggio%201965) visto il 31 gennaio 2024.
  24. Tutti coloro che si sono occupati di strategia della tensione e, in particolare del convegno del 1965, hanno posto in luce l’elenco dei partecipanti e dei presenti. Diverse le posizioni invece se considerare il convegno il punto di avvio della strategia della tensione, ovvero – più probabilmente – un passaggio determinante di un qualcosa di preesistente.
  25. Guido Giannettini, La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria, intervento tenuto al convegno organizzato dall’Istituto Pollio in Edgardo Beltrametti (a cura di), La guerra rivoluzionaria, Volpe editore, Roma, 1971.
  26. Cerchiamo di inquadrare il complesso dei partecipanti, mettendo in luce alcune loro attività svolte prima e dopo il convengo del 1965: Enrico De Boccard (giornalista, ex appartenente alla Gnr, organizzatore del convegno, appartenente ai FAR nel dopoguerra, secondo Giannuli fu collaboratore dell’Oas e “molto prossimo” al Noto Servizio (Aldo Giannuli, Il Noto servizio, Castelvecchi, Roma, 2013, pp.102-103 e id. La strategia della tensione, Ponte alle Grazie, Milano, 2018), Edgardo Beltrametti (Giornalista. Collaboratore del Borghese. Con il nome di Ennio Giolli collaboratore de Il Tempo. Relatore anche al convegno del 24-26.6.71 dell’istituto di studi militari Nicola Morselli (cfr. https://www.archivio900.it/it/nomi, visto il 30 gennaio 2024), Vittorio De Biasi (imprenditore stretto collaboratore di Giorgio Valerio, amministratore delegato della Edison, responsabile della lotta al Pci all’interno di Confindustria. Pino Rauti (volontario nella Rsi, giornalista, politico, esponente di altissimo rilievo della destra italiana; fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo con Stefano Delle Chiaie, Paolo Signorelli e Clemente Graziani; in rapporto con Aginter Press; autore di numerosi volumi; deputato dal 1972 al 1992), Renato Mieli (politologo, giornalista, con esperienza come agente nel PWB durante la guerra, abbandona il Pci dopo i fatti d’Ungheria facendo proprie le idee di Friedrich von Hayek e di Ludwig von Mises, i due grandi economisti liberali fermi oppositori di qualunque cosa fosse vagamente riconducibile al socialismo. Marino Bon Valsassina (giurista, docente universitario, autore di saggi sul sistema rappresentativo e costituzionale della Repubblica), Carlo De Risio (giornalista de Il Tempo), Giorgio Pisanò (membro della X mas, giornalista, saggista storico, politico. Fu tra i fondatori del Msi e fu tra i maggiori esponenti di quel partito. Senatore, dal 1972, per cinque legislature), Giano Accame (aderente alla Rsi, e poi esponente di punta del Msi fino al 1968, partecipa anche al convegno del 1961, collabora con Istituto Marselli, giornalista de Lo Specchio, attivo anche con l’Aginter press, inserito da Edgardo Sogno – per le sue posizioni da tempo favorevoli ad una evoluzione presidenziale della Repubblica – nella lista dei ministri per il governo che sarebbe nato dal golpe bianco del 1974; è stato considerato uno degli intellettuali di maggior rilievo della desta italiana. Gino Ragno (giornalista de Il Tempo, aderì nel tempo ad Ordine Nuovo, organizzatore dei giovani missini, segretario dell’Associazione Amici delle forze armate, con sede in corso Vittorio Emanuele n. 18, presso la stessa sede dell’Istituto Marselli) – https://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/ visto il 30 gennaio 2024. Alfredo Cattabiani (intellettuale, convinto oppositore dell’egemonia marxista nella letteratura e nell’editoria, collaboratore di giornali e periodici, direttore editoriale dal 1969 della Rusconi libri, studioso di simbolismo, storia delle religioni e di tradizioni popolari), Guido Giannettini (giornalista, agente dei servizi, coinvolto nelle indagini su Piazza Fontana, in contatto con molti esponenti della destra eversiva italiana e no), Giorgio Torchia (giornalista de Il Tempo, direttore dell’agenzia giornalistica Oltremare, agente dei servizi tedesco occidentali e dell’apparato informativo di Confindustria), Giuseppe Dall’Ongaro (giornalista de Il Tempo, successivamente risultato nelle liste della P2), Vanni Angeli (giornalista), Fausto Gianfranceschi (presidente nel 1957 dell’associazione studentesca Giovane Italia, giornalista de Il Tempo, nel 1966 si ritira dalla vita politica per dedicarsi esclusivamente al giornalismo), Ivan Matteo Lombardo (partigiano, dirigente d’azienda, tra i rifondatori del PSI, segue la scissione socialdemocratica del 1947; ripetutamente ministro e deputato; di chiaro orientamento atlantico ed anticomunista, firmerà nel 1963 il manifesto per una Nuova Repubblica presidenziale con Randolfo Pacciardi), Dorello Ferrari (componente dell’Istituto e coordinatore del gruppo di studio dei giovani), Osvaldo Roncolini (generale), Pio Filippani Ronconi (docente universitario, storico delle religioni, esperto e studioso di lingue orientali e della cultura indiana; rimase coinvolto nelle vicende della strategia della tensione durante le inchieste degli anni ’90, a seguito della sua relazione al convegno del Pollio; fu completamente escluso qualunque suo coinvolgimento), Adriano Giulio Cesare Magi Braschi (ufficiale, dal 1962 responsabile del nucleo del Sifar sulla guerra non ortodossa). Nel pubblico alcuni studenti destinati a formare un primo gruppo di studio sugli argomenti che saranno trattati dai relatori (per i nomi citati si rinvia soprattutto a Mirco Dondi, L’eco del boato, cit. ad nomen). Cosa emerge da un’analisi di queste presenze. Innanzitutto 16 dei 23 partecipanti sono giornalisti, non necessariamente di testate o riviste neofasciste, tutti in grado di guardare allo schieramento politico di centro destra (M. Dondi, L’eco del boato, cit. pp.64 e seg.), con i quali si combinano ufficiali superiori ed esponenti della componente economica e industriale. Un mix in grado di sviluppare una rete molto vasta, rivolgendosi a quella vasta e incerta area dell’opinione pubblica, particolarmente sensibile (per ragioni economiche, sociali e ideologiche) al pericolo comunista.
  27. Questo contributo si inserisce in uno studio più ampio sull’operazione/organizzazione dei Nuclei difesa dello Stato.
  28. Gli atti completi del convegno sono consultabili al sito https://eholgersson.wordpress.com/2017/09/01/la-guerra-rivoluzionaria-il-convegno-pollio-atti-completi/ visto il 31 gennaio 2024.
  29. Magi Braschi ha rappresentato in quegli anni il plausibile anello di congiunzione fra la componente civile di estrema destra e quella parte militare più sensibile ai temi della contro-insorgenza; un personaggio rimasto quasi sconosciuto fino alle inchieste degli anni Novanta su Piazza Fontana e sulla Strage alla Questura di Milano.
  30. https://eholgersson.wordpress.com/2017/09/01/la-guerra-rivoluzionaria-il-convegno-pollio-atti-completi/, cit.
  31. ibidem
  32. ibidem.
  33. ibidem.
  34. ASA, Commissione Stragi, Doc. XXIII, n.64, Vol.I, tomo III, pg.43.
  35. In merito a questi Convegni rinvio tra gli altri a Aldo Giannuli e Elia Rosati E., Storia di Ordine Nuovo, cit.; S. Ferrari, I denti del drago, cit.; S. Flamigni (a cura di) Dossier Gladio, cit.; G. Pacini, Le altre Gladio, cit.; M. Dondi, L’eco del boato, cit.; A. Ventrone, La strategia della paura., cit.; Aldo Giannuli, La strategia della tensione, cit.
  36. Francesco Maria Biscione, Dal golpe alla P2. Ascesa e declino dell’eversione militare 1970-75, Castelvecchi, Roma, 2022.
  37. Gianni Flamini, Il partito del golpe, vol.3.1, Italo Bovolenta, Bologna, 1983, pp.60-61.
  38. La polemica nasce attorno all’organizzazione dei Corsi di ardimento presso la scuola di fanteria di Cesano (Roma) nel quadro di una dottrina strategica che prevedeva, contro offese provenienti dall’esterno come dall’interno, l’impiego di reparti militari appositi per azioni di guerriglia e di antisabotaggio. Questa dottrina, chiaramente influenzata dalle teorizzazioni francesi, doveva essere integrata con gli strumenti della guerra psicologica (sinteticamente informazione e controinformazione). Non è difficile individuare le assonanze con le teorizzazioni della Labin e le declinazioni contenute nei convegni sulla guerra politica.
  39. Per l’episodio dei volantini fra gli altri che vi fanno riferimento cfr. Guido Salvini, Gli anni 1969-1974 in Italia. Stragi, golpismo, risposta giudiziaria, relazione tenuta al convegno La rete eversiva di estrema destra in Italia e in Europa (1964-1980), Padova, 11 novembre 2016).
  40. Pino Rauti e Guido Giannettini, Le mani rosse sulle Forze Armate, Savelli, Roma 1975.

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