Bibliomanie

Il segreto delle anguille
di , numero 57, giugno 2024, Note e Riflessioni, DOI

Il segreto delle anguille
Come citare questo articolo:
Monica Longobardi, Il segreto delle anguille, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 20, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11462

«Kircher e altri immaginano invece che nel centro del canale del Maelström, ci sia un abisso che entra nel globo terrestre per uscire in qualche altra lontanissima regione»
(Poe, Una discesa nel Maelström)

L’abime: «un monde inconnu»
La letteratura occitanica moderna e contemporanea non si insegna in Italia1. Rarissime le traduzioni. Questo dato di fatto ha sottratto agli studiosi un patrimonio di grande bellezza e interesse, anche per quanto concerne il ruolo che vi gioca l’ambiente naturale e il mondo animale.
Restando solo nell’ambito di quello che è riconosciuto come uno dei massimi poeti e prosatori, Joseph d’Arbaud (1874-1950), cantore della Camargue2, possiamo iniziare osservando il suo mondo degli animali a partire da La Bestia del Vacarés, il suo capolavoro3. La creatura ibrida che la nostra cultura mitologica ci porta a nominare Pan o fauno, in questo romanzo ambientato in Camargue, resta sempre e solo chiamata “Bestia”. Come tale il mandriano cacciatore la insegue, la stana, e, con sorpresa e orrore, gli si rivelano il volto d’uomo e le corna di un capro. È un semidio pagano fuggiasco in quest’ultima terra rimasta allo stato naturale, remota e “inaccessibile come il Tibet”:

région dont Baroncelli devait écrire qu’elle était aussi inaccessible que le Tibet et ressemblait à une Lhassa interdite, un pays à part qui, hormis les gens de taureaux, ne servait de repaire qu’à des hors-la-loi: braconniers, proscrits, déserteurs (Dibon 1975,8)4

Il “Signore degli animali” doma cavalli irriducibili e attrae, una notte, al suono del suo flauto, centinaia di tori della palude del Vacarés, che prendono ad orbitare ritualmente intorno al loro antico signore. Testimone di questo magnetismo animale, il mandriano rimane contagiato e pervaso dallo spirito panico risorgente da quest’antica forza della natura.
La Camargue ancestrale evocata da Joseph d’Arbaud, vero “mondo a parte”5 popolato da un ricca selvaggina, paradiso e riserva per «les gens de taureaux»6, è spesso descritta come una terra elettiva di «chasseurs d’images, de rêves, d’émois»:

Parmi ces braconniers il en est qui ne chassent, ne pêchent ni ne piègent, à l’affût, dès l’aube, que de songeries, dans l’heureuse contemplation de toutes les heures du jour qu’ils voient se créer sous leurs yeux. Ces chasseurs d’images, de rêves, d’émois, sont des artistes, qu’ils œuvrent ou non. Ils prennent part à cette création qui se poursuit devant leurs yeux et, en retrouvant la solitude dans cette terre toujours en gestation, ils s’émerveillent en secret du fabuleux ordre de la Genèse dans sa native et vierge nudité7.

In questa «terre toujours en gestation», l’abime (così in provenzale), profondo pozzo d’acqua e fango, è un luogo di morte che inghiotte uomini e bestie:

Il Grand Abime, si sa, è uno di quegli orrendi pozzi di fango nero dall’imboccatura non troppo ampia, ma talmente traditore che nessuna sonda potrebbe toccarne il fondo. Tutto ciò che vi cade dentro è inghiottito senza possibilità di scampo nelle profondità di quella voragine, temibile per gli uomini così come per le bestie» (d’Arbaud, 2022, p. 127).

Ne La Bestia del Vacarés, questo Grande-Abisso è il pozzo attraverso il quale il semidio ritornerà verso l’Altrove, dopo la sua erranza su una terra ormai insidiata dalla modernità.

«et le poisson de toute sorte dans toutes ces eaux, douces ou salées»
Non tradotti in italiano sono i racconti di d’Arbaud con la medesima ambientazione (1926)8. Il Palangre (pp. 97-125), in particolare, si apre con la descrizione dell’abime dei Claus-Brula «un gran pozzo d’acqua limacciosa e fango da cui il bestiame stava alla larga»9. Non se ne guarda, invece, Pèire Gargan, uomo misantropo e selvatico. Anzi, il gardian, patito per la pesca, ama riposarsi sul suo ciglio, affascinato dai segreti movimenti dei pesci che affiorano dalle sue profondità10 . A sera, vi cala il palamito. E le anguille? Tra l’acqua fonda e la melma, pullulano nelle tenebre11. Per finire prede del palamito12. Un giorno Pèire Gargan scorge le orme di un intruso intorno al “suo abisso” e legge nel rivale la figura insidiosa di un trimard13, un vagabondo, un ladro che gli ruba il palamito con le anguille. Abbattuto in un corpo a corpo, in quelle stesse acque limacciose sarà calato il cadavere dell’intruso. Riaffiorandone una notte la sua carcassa putrescente, sarà ricacciato verso il regno del buio dove le anguille lentamente lo divorano. Insomma, l’abisso si conferma nel Palangre un pozzo orrendo e magnetico, soglia tra la vita e la morte. Moti inquietanti di discesa e di risalita accadono tra il pelo dell’acqua ed il suo insondabile fondo. Pèire Gargan affonda lo sguardo nelle acque. Vi si calano anche le lenze del palamito. Vi affonda e riaffonda il cadavere del trimard zavorrato da una pietra… Dal basso alla superficie emergono a loro volta sagome di pesci e il revenant. Dall’abisso della coscienza turbata dell’assassino riaffiorano i rimorsi.
Ma alla fine, chi pesca e chi è pescato in questa lunga attesa attorno ad uno specchio d’acqua? E quei movimenti sono solo effetto della «poussée des gaz du marécage» oppure è La vie agitée des eaux dormantes?:

Ce miroir ovale d’eau plate me cache un monde inconnu. Justement, et le temps de m’accroupir, des bulles montent à la surface. Une, deux, dix, douze, puis de grands chapelets à la fois. Ce sont de grosses cloques jaunes, qui éclatent sans bruit au contact de l’atmosphère et révèlent on ne sait quel travail dans les profondeurs. C’est peut-être tout simplement la poussée des gaz du marécage, qui élaborent leur chimie dans les sous-sols mystérieux. Mais c’est peut-être aussi la Tanche en or vieux, tachetée de vert sur l’échine, et qui promène ses deux kilos à la recherche des lombrics. Ou c’est l’anguille du petit jour qui fouit le limon de son nez mince. Ou c’est seulement le poisson-chat, portant bedaine d’ivoire, et qui prend son bain de vase en remuant ses nageoires à cran d’arrêt14

La letteratura francese di questo periodo sulla pêche à la ligne ne intercetta il mistero in termini molto simili al nostro racconto15. Vi si considerano la sfida, le astuzie e la fascinazione dell’uomo nello stanare l’animale dal suo elemento naturale16, dove si declina il loro istintivo dinamismo vitale17. In tal senso, il contributo del Palangre al tema dell’ abime e della pesca delle anguille, luciferine18 abitatrici della palude, risulta essenziale, ma coinvolge al contempo i demoni segreti di una coscienza tormentata dal rimorso di un assassinio. Infatti, mentre Gargan tenta di legare il morto al nodo scorsoio, sull’orlo di un abisso in cui «Il fetore di limaccio e di marciume» si confondono, e le sue mani raggelate somigliano a quelle gonfie del cadavere19, un’anguilla, «sicuramente affaccendata attorno al ventre del morto»20, sguscia via dai panni del trimard, scivolando nell’abime. Evidentemente, in quella notte macabra, la contaminazione tra morto e vivo si completa, ministra l’anguilla che detiene, in letteratura: «una sorta di legame simbolico tra l’inizio e la fine, tra l’origine della vita e il suo spegnersi»21. Nel suo crescente rimorso, l’assassino pensa ossessivamente alle anguille, le bestie voraci che, nel fangoso sedimento, si contorcono intorno al morto22:

Un fetore nauseabondo lo perseguitava. Solo l’idea del pantano gli riaccendeva la febbre. Non pensava ad altro che al palamito, alle anguille del grande pozzo, a quelle bestie voraci che nella melma, intorno al cadavere, si attorcigliavano lentamente (d’Arbaud, 2012, p. 116 / 117).

Il suo doppio onirico, il revenant, turberà ormai i sogni del gardian, alterandone la visione del giorno: afflitto da una strana febbre, sotto il sole, egli trema come fosse nella notte fredda del fondo dell’abime. «éu avié tua»: nel piatto delle anguille, pietanza apprezzata dai gardian della Camargue23, a lui «che ha ucciso» sembra di riconoscervi un pasto cannibalico, stomachevole e macabro che gli rievoca la scena dell’assassinio:

Ma piantandoci la forchetta, Pèire improvvisamente era impallidito. L’ossessione, violenta, lo riprendeva: il vagabondo, la bastonata, la pietra gettata nell’abisso. Aveva ucciso. La bestia cotta che aveva lì davanti lo disgustava. Ci rivide, con orrore, quella che, sotto i suoi occhi, sgusciando dalla camicia, aveva rosicchiato tutta la notte la carne fetida del vagabondo» (d’Arbaud, 2012, p. 118-120 / 119-121).

La rivalsa della regina della palude sui suoi degustatori24.
E l’abime? Nella Bestia del Vacarés, il gardian Jaume Roubaud, legandosi al suo alter ego pagano di una fratellanza che mette a repentaglio la sua fede cristiana, si avvicina all’orlo del Grande-Abisso, ma non ne viene inghiottito. Ausilio spirituale all’elaborazione del suo tormento ne era stata la confessione terapeutica nel suo livre de raison. Il gardian del Palangre, invece, resta intrappolato in una disperazione senza redenzione, se non il suicidio. Nell’ultima immagine, infatti, Gargan avrà lo stesso aspetto del suo revenant: «ma arrivato sul ciglio, riconobbe Pèire Gargan, pallido e gonfio, mezzo rosicato dalle anguille, e che galleggiava in camicia in mezzo al pozzo» (d’Arbaud, 2012, p. 124 /125).
Così l’abisso, con le sue “disturbate divinità”, è la voragine in cui tutto sembra avere origine ed epilogo.

«gli occhi piccoli, d’una luce cattiva nello sguardo, luce da lucifero o da versièra»
Dunque, gli abissi e le anguille si rivelano al centro dell’immaginario di d’Arbaud, e la convinzione si corrobora grazie al concorso di un altro racconto non noto di questo grande scrittore: Lou secrèt dis Anguielo. Fa parte di La Sóuvagino (1929)25, un libro corale incentrato sugli animali parlanti della Camargue:

Sur l’étang, longuement, les Canards en jacassèrent, les Flamants en parlèrent au clair de lune; et les Tortues d’eau elles mêmes n’ignorèrent plus ce qui se passait, pour avoir entendu le Martin-pêcheur redire ce que racontaient une bande de petits Mouah blancs, de ceux qui perchent sur les arbres, au bord des grandes roubines26

Grazie a questo libro, d’Arbaud s’inserisce pienamente nel filone dei «grands auteurs animaliers, du La Fontaine des Fables au Kipling du Livre de la Jungle»:

Trois ans plus tard, les textes de La Sóuvagino présentent une approche complémentaire de la Camargue, envisagée du point de vue des bêtes qui y vivent, soumises à la cohabitation avec les gardians des troupeaux de chevaux et de taureaux. Par les voix de Ziri l’étourneau, de Mouah le héron, de Queue-Courte le lapin (Couvet, lou lapin), de Croua le flamant, mais aussi du taureau Bouah-Hou ou de Kélélé le cheval américain, on suivra les aventures d’une communauté animale où il n’est pas toujours facile de respecter la “loi naturelle” de chaque espèce…27

In una chiave narrativa che definirei di favola nera, l’abime si conferma centrale nel racconto di d’Arbaud del 1929, dove le anguille stesse sembrano «vicine / a tradire il loro ultimo segreto», per dirla con Montale.
Il racconto si distingue dagli altri poiché vanta un pedigree di tutto rispetto in merito alle acquisizioni scientifiche sul ciclo vitale di questo misterioso animale, tema d’attualità all’epoca della sua stesura, di cui costituisce un travestimento mitico. D’Arbaud, infatti, nelle note alla Sóuvagino, si dimostra ferrato e aggiornato sulle ricerche, avanzate grazie alle esplorazioni oceaniche del danese Johannes Schmidt proprio negli anni Venti del Novecento28, decisive per la scoperta del luogo dove le anguille tornano a riprodursi per poi morire29. Il dato saliente che va subito notato è la felice commistione tra il tenore fantastico del racconto e le recenti nozioni scientifiche, formula che si riscontra in seguito in autori quali Robert Goffin, per esempio, che nel 1936 continua a intitolare Le Roman des anguilles il suo lungo ed estatico saggio:

La vie mystérieuse des anguilles! C’est à la fois le plus passionnant roman policier et le plus extraordinaire livre d’aventures que l’on puisse écrire. C’est ici que la vérité scientifique dépasse les inventions de l’imagination la plus débridée […] C’est aussi le plus beau conte d’amour! […] C’est la science faite poésie (Goffin, 1936, p. 7).

Nel racconto di d’Arbaud, venato di sottile umorismo, è proprio l’Anguielo a rivelare, con un certo sussiego e con tono dottorale, la prima parte del segreto sulla loro riproduzione, «le mystère désormais élucidé», allo sprovveduto cavallo americano Kélélé:

Nos œufs, sache-le, par la loi de notre race, nous allons les faire loin, bien loin d’ici, presque dans les eaux de ton pays, à l’extremité d’une mer que les hommes appellent la mer des Sargasses (d’Arbaud, 2021, p. 81)30.

Ma questo segreto può dirsi ormai svelato («désormais on est bien obligé de l’avouer»), ammette l’Anguilla, preparando però l’attesa solenne della rivelazione completa del “segreto dei segreti”…

«Uno armado sèns comte que s’acamino»


– Mi piacerebbe di assistere ad una rivolta di anguille, ad una loro sedizione o sollevazione armata. Autunnale o primaverile che fosse, all’epoca della monta o della calata – […] Le vedo già serrate nei ranghi, le bestiole, avanzare striscianti. Hanno mandato in avanscoperta le più snelle, quelle a foglia di salice. Si sono alleate, ammettiamo, mediante ferrei patti, con gli anofeli per l’osservazione aerea; con sanguisughe, biscie e pesci per la lotta navale. E pure con rospi e topi per l’assalto finale delle mura avversarie…[…] – Due milioni di anguille, ammettiamo, uscite dai venti campi di allevamento del Mezzano per dar battaglia ai nemici. Di contro, tutti i fiocinini della regione […] stanno schierati intorno a Comacchio per difenderla dalle assalitrici […] Le anguille, riunendosi in cumuli, penetrano dalle finestre dei piani terreni, invadono le cucine, entrano nei letti. Poi, soddisfatte, si siedono a tavola… vincitrici! (Malagú, 1967, pp. 131-132)

Nella folta letteratura del genere esplorato da Picard, dove il mondo acquatico è spesso organizzato in comunità antropomorfizzate in cui il racconto fantastico lascia «la parole aux poissons»31, le anguille figurano esperte del vasto mondo, apparendo «les voyageuses» depositarie di saperi speciali:

on s’instruit auprès de Kiss l’anguille, détentrice d’un savoir qui se construit avant tout dans une exploration du monde, une pratique de terrain, dans des interactions sociales et des rencontres et à travers la narration d’histoires qui, au lieu de fragmenter, relient, rassemblent32.

Il loro “voyage extraordinaire”, degno di Vingt mille lieues sous les mers —come abbiamo visto—anche dopo le scoperte scientifiche, è spesso ancora narrato con toni e modi della letteratura fantastica33, stregata dall’incanto per le meraviglie della Natura, risorgente necessità «de romancer la vie des bêtes» 34. Così avviene per la nostra Anguielo, sacerdotessa dei misteri della sua specie, e di quelli delle anguille della Camargue, in particolare. Il segreto dei segreti centellinato dall’Anguilla risiede infatti nella modalità specifica dell’avalaison, “calata” – descente, avvio del viaggio strenuo verso « paradisi di fecondazione» (Montale)35, che sembrerebbe imboccare in Camargue una via alquanto insolita e misteriosa. L’evento è abilmente narrato dall’Anguilla con toni epici: «Quand nous atteignons l’âge voulu, quand vient la saison, nous recevons un appel» (d’Arbaud, 2021, p. 81). Una chiamata recluta l’armata delle anguille che si mette in marcia («Uno armado sèns comte que s’acamino», ivi, p. 80), insomma un’adunata epocale per la missione ultima e suprema delle anguille («la grand partènço», ivi, p. 90). Un arrembaggio simile, in direzione contraria, «l’approche du vieux continent», narrerà con toni altrettanto epici Goffin:

Multitude aveugle et inconsciente des larves d’anguille qui, à trois mille kilomètres de l’Europe, montent à son assaut. Des milliards et des milliards d’êtres infimes qui n’ont que leur transparence comme moyen défensif, s’acheminent lentement vers un but ignoré36.

E dove avverrebbe, secondo l’Anguielo, nelle lande paludose della Camargue, l’imbarco di questi speciali “emigranti” diretti in America? Un «merveilleux passage» si aprirebbe nel fondo del loro abime e, con la forza di una corrente impetuosa, risucchierebbe le “coscritte”, trasportandole in un batter d’occhio «sur les plages de l’Amérique»:

«écoute bien, ̶ l’intérieur forme comme un merveilleux passage… ̶ Et à travers ce passage? – Circule un rapide courant qui saisit tout ce qu’on y plonge et l’emporte en quelques instants de l’autre côté, sur les plages de l’Amérique!»37.

Ma domandiamoci un attimo: perché questa rivelazione meravigliosa, insieme fosca e magnetica, del viaggio verso la Terra Promessa delle anguille, dispensata in via eccezionale ad un cavallo? In realtà, si tratta di una mistificazione malefica, costruita ad arte dalla perfida Anguilla ai danni dell’insolente e insopportabile Kélélé. E a sua volta, che ci fa un cavallo americano tra i cavalli Camargue? Ce lo anticipa lo stesso racconto, che si apre proprio su Kélélé:

Son vrai nom était Kélélé, mais les cavaliers l’appelaient l’Américain. C’était une insupportable bête. Une bande de cow-boys, venus s’exiber à l’étranger, l’avaient amené, poulain, en Angleterre et, de là, encore ailleurs; et plus tard, les chevaux restants de la tournée avaient fini par être cantonnés dans les environs du Mas-Thibert, au sud d’Arles» (d’Arbaud, 2021, p. 67).

Una tournée di cow-boys? D’Arbaud tributa qui un omaggio a Folco de Baroncelli (1869-1943), considerato “l’inventore della Camargue” nei suoi miti, nei suoi riti identitari e nei suoi simboli, come lui poète manadier. Nei primi anni del Novecento, in occasione del Wild West Show di Buffalo Bill in Francia, e in seguito al sodalizio con Joë ( Jean) Hamman, attore e regista, il marchese mise a disposizione i suoi gardian a cavallo per questo tipo di esibizioni e per i primi western girati in Provenza38. In queste circostanze, conobbe personalmente «plusieurs chefs sioux», stabilendo una fraternità duratura con la loro causa di popolo oppresso39.
Ma torniamo alla ruggine tra il cavallo e l’Anguilla: oltre che sbruffone, brutale e sprezzante verso gli animali della comunità ospite («Les autres chevaux, tous camargues, le détestaient», d’Arbaud, 2021, p. 67), era reo di averla offesa personalmente, definendola serp d’aigo; e le anguille, si sa, sono suscettibili e vendicative. Il cavallo finisce quindi vittima della congiura mefistofelica dell’Anguilla che, fingendo di rivelargli il loro passaggio segreto e ctonio40 nell’abime, mira a persuaderlo a tentare quell’imbarco per tornarsene al suo lontano paese, l’America, prossimo al Mar dei Sargassi41. O, per meglio dire, per spedirlo direttamente “all’altro mondo”. Alla fine, di fronte alle perplessità del cavallo, l’Anguielo fa un affondo, dichiarandosi pronta alla “grande partenza” e che la traversata parrebbe rapida e pure piacevole42. Persino la grosso Nouno (la giumenta complice dell’Anguilla)43 l’avrebbe già sperimentata… La perfida vince così le remore dello stolido cavallo, spingendolo verso l’insolito imbarco subacqueo («̶ Oui, en route pour l’Amérique!», ivi, p. 93), e lo sciagurato si salverà a stento dall’annegamento (« ̶ D’ajudo, à iéu, que m’ennègue!», ivi, p. 94) per l’intervento dei gardian, avvisati dalla mandria che nitrendo si mette ad orbitare intorno al pozzo44. Da questa favola nera, quindi, escono assolte la Nouno e la manade, mentre le anguille restano contumaci, indifferenti e ormai lontane45. Morte scongiurata, ma solo rimandata, però, poiché l’inviso cavallo, dopo questa brutta vicenda, sarà destinato dal baile46 ad un altro ordinario patibolo: «au marchand de saucissons», un trapasso molto meno eroico di quello che l’infernale traghettatrice, l’Anguielo, gli aveva proditoriamente prospettato.

Il « grand trou, plein d’une eau profonde et sombre». Una discesa all’Inferno?
La descrizione del grande pozzo, pieno d’un’acqua profonda e scura47, è molto simile alle altre del Palangre e della Bestia, e palesemente simile l’immaginario. Ma nel Secrèt dis Anguielo, quel pozzo dove «Tutto ciò che vi cade dentro è inghiottito senza possibilità di scampo»48 assume addirittura la funzione di «merveilleux passage» per la misteriosa migrazione delle “figlie del fango”49. Come nel Palangre, in particolare, il regno delle anguille è anche un luogo di morte, dove esse giocano un ruolo occulto o manifesto. E qui potremmo fermarci, paghi di un racconto insolito, affascinante e ben orchestrato. Ma viene da chiederci se ci siano state altre scintille, di natura letteraria, che possano aver acceso la miccia di questo sorprendente viaggio tra una sperduta Camargue dei primi anni del Novecento e l’America. D’altro canto, come abbiamo visto, fu l’America a raggiungere l’Europa, e segnatamente la Camargue, grazie agli spettacoli di Buffalo Bill e i western di Joë Hamman, girati nella terra dei gardian. Abbiamo pure rilevato come d’Arbaud, fine letterato stregato dalla terra dei miraggi, si riveli ben al corrente della rotta delle anguille, la cui destinazione, ormai definita dal «savant docteur danois», è il Mar dei Sargassi, in qualche modo «sus li costo de l’Americo». Ma se scoperte scientifiche e gemellaggi culturali accorciano un poco le distanze tra i due paesi, non bastano ancora, a mio parere, a giustificare l’immagine potente di questo gorgo che risucchia quanto vi cada dentro, collegando direttamente i profondi abissi della Camargue agli abissi oceanici che portano verso l’America. Se una suggestione letteraria potrebbe rimandare ad atmosfere da Voyage au centre de la terre, almeno per quell’imbocco che s’inabissa nel cratere di un vulcano islandese, la rotta atlantica Camargue-America indizia plausibilmente uno scrittore che in America era nato, Edgar Allan Poe, autore culto di Baudelaire che già nel 1856 ne aveva tradotto l’opera, contagiando Francia e Europa. E l’idea suggestiva «che nel centro del canale del Maelström, ci sia un abisso che entra nel globo terrestre per uscire in qualche altra lontanissima regione»50 di A Descent into the Maelström / Une descente dans le Maelstrom51 sembra raccolta da d’Arbaud, che ne sterza il percorso, adattandolo alla migrazione delle anguille dalla «lontanissima regione» della Camargue. L’ipotesi verosimile della ripresa di un’immagine così precisa da uno dei racconti più noti dello scrittore americano contribuirebbe ad arricchire quanto sappiamo di un d’Arbaud, intellettuale e straordinario scrittore, che trasferisce il terrore in Camargue. E ci parla di una letteratura definita “regionalista”, l’occitana, che si rivela pienamente osmotica con un orizzonte letterario europeo ed extra-europeo. Insomma, nel paesaggio “réculé et solitaire” della Camargue, con un “delitto e castigo” (Lou palangre), con l’Averno del Vacarés, o con l’«abisso più profondo del pozzo di Democrito» de Lou secrèt dis Anguielo, d’Arbaud tratteggia un luogo pervio e poroso dove il mondo naturale e il soprannaturale («il varco è qui?»), la vita e la morte arcanamente comunicano. E le anguille, con il loro «legame simbolico tra l’inizio e la fine, tra l’origine della vita e il suo spegnersi», rappresentano le ministre più adatte ad officiare questo segreto trapasso.

Note

  1. Dal 2015 in avanti, ho introdotto in via sperimentale il suo studio nell’ambito della Filologia romanza all’Università di Ferrara. Al 2021, si annoveravano, tra gli altri, Monica Longobardi, Viaggio in Occitania, Aicurzio, Virtuosa-Mente, 2019 e Joan Ganhaire, Voi che mi avete uccisa, Introduzione, traduzione e note di Monica Longobardi. Nota linguistica di Matteo Rivoira, Arenzano, Virtuosa-Mente («Testo a fronte»), 2021. Dopo il mio pensionamento, l’insegnamento denominato Il medioevo romanzo nella letteratura contemporanea, dove trovavano spazio la fortuna delle letterature romanze (medievalismi) e le lingue minoritarie (ricordiamo il Decennio Internazionale delle Lingue Indigene 2022-2032) è stato disattivato.
  2. Per la produzione poetica, si veda soprattutto Joseph d’Arbaud, Li cant palustre. Les chants palustres, Paris, Horizons de France, 1951. Obro pouëtico de Jóusè d’Arbaud, Enco de Mistral a Cavaioun (œuvres poétiques avec traduction française, Cavaillon, Imprimerie Mistral), 1975.
  3. Joseph d’Arbaud, La Bête du Vaccarès, Paris, Grasset, 2007 (1926). Traduzioni recenti: La Bèstia del Vacarés. Edició bilingüe. Traducció de J. Figueras i Trull, Barcelona, Galerada, 2009. The Beast and Other Tales, translated from the Provençal by J. Zonana, Evanston, Northwestern University Press, 2020 (include i tre racconti de La Caraco). Lodevole eccezione, di quest’opera c’è una recente traduzione in italiano, Joseph d’Arbaud, La Bestia del Vacarés, traduzione di Rosella Pellerino, Rocca di Papa, La Noce d’Oro, 2022, per cui si veda la recensione di Monica Longobardi, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 54, no. 23, dicembre 2022, doi:10.48276/issn.2280-8833.10239.
  4. Philippe Gardy, De la mort de Pan aux mots de la mort: la Camargue de Joseph d’Arbaud, lieu de toutes les fins,«Lengas» 61, 2007, mis en ligne le 19 septembre 2019, consulté le 22 novembre 2022. URL: http://journals.openedition.org/lengas/3185;DOI: https://doi.org/10.4000/lengas.3185.
  5. Laurent Alibert valorizza la chiave fantastica del romanzo (l’unica opera di d’Arbaud che prende in considerazione), notando solidi parallelismi tra l’immaginario di d’Arbaud e quello di Lovecraft, per quel «pouvoir des lieux», «les lieux réculés et solitaires» dove, nel completo isolamento, uomini vivono i sortilegi del soprannaturale che dal quel paesaggio promanano. Laurent Alibert, Le fantastique comme réponse au réel: La Bèstio de d’Arbaud et le mythe lovecraftien face au déclin civilisationnel, in Id., La mimesis et son refus dans la littérature occitane, et autres essais, Paris, L’Harmattan, 2021, pp. 103-114.
  6. «Les chasseurs, les pêcheurs, professionnels ou amateurs, sont ici chez eux, chacun se croyant seul tant l’espace isole et protège, chacun faisant bonne capture sans dépeupler vraiment tant pullule la sauvagine dans les bois, les taillis, les fourrés, les marais, et le poisson de toute sorte dans toutes ces eaux, douces ou salées. Chasseurs et pêcheurs, cela signifie également peuple de braconniers. Ceux-ci sont les plus pauvres, les plus passionnés et les plus rusés, en somme, de beaucoup les plus sympathiques. La vastitude est leur refuge, mais à coup sûr, ils ont l’aide de tous dans le besoin», Marie Mauron, La Camargo di Camarguen. La Camargue des Camarguais, Aix-en-Provence, Pierre Rollet, 1972, p.10.
  7. ibidem. Anche questa scrittrice (1896-1986) accusa la modernità e i profitti dell’industrializzazione e del turismo di snaturare questo ambiente naturale.
  8. Jóusè d’Arbaud, La Caraco. Raconte Camarguen, Salinelles, L’aucèu libre, 2012 (Aix-en-Provence, «Le Feu», 1926). Traduzioni: oltre a Zonana (vedi sopra), La gitana, traducció de J. Figueras i Trull, Barcelona, Galerada, 2011.
  9. «èro un grand trau d’aigo espesso emai de bolo que lou bestiau ié trevavo gaire e, sus l’orle sablous, de-longo rabina pèr la salino, jamai d’erbo avié verdeja», d’Arbaud, 2012, p. 99 (lo si confronti con la descrizione identica dell’abime, con i suoi cigli mangiati dal sale, dove non cresce l’erba, nel Segreto delle Anguille, qui, nota 47).
  10. «Steso sul ventre, la testa fra i pugni […] gli piaceva starsene là delle ore a guardare i pesci che salivano a galla: ombre agili guizzavano, emergevano di colpo dal fondo, sfioravano il pelo dell’acqua […], e il vecchio abisso, con un brivido, sembrava risvegliarsi e prendere vita», d’Arbaud, 2012, p. 98 /99. Diamo una traduzione di servizio di alcuni di questi brani; sia i tre racconti della Caraco che La Sóuvagino meriterebbero una traduzione letteraria integrale, che tenga conto delle due redazioni, la provenzale e la francese, che spesso non coincidono del tutto.
  11. d’Arbaud, 2012, p. 98/99. Si dà la doppia numerazione della versione francese e provenzale a fronte.
  12. Affascinato dalle anguille, d’Arbaud ne segue i misteri e le credenze popolari che le riguardano: «On la capture à la nasse, à l’hameçon du “palangre”, ou bien encore au saussé en faisant sautiller dans l’eau un paquet de vers fixé au bout d’une ligne. Bête inquiétante, vivant dans les ténèbres et la vase, elle a gardé longtemps, impénétrable, le mystère de sa naissance et de sa reproduction [ segue il ciclo della riproduzione secondo Yohan Schmidt] Dans les mares de Provence s’agite un gros insecte aquatique, carnassier, l’hydrophile, appelé communément la maire dis anguielo, la “mère des anguilles”. Par suite de quel hasard, de quelle interprétation, de quelles coïncidences inexpliquées, la croyance populaire lui a-t-elle attribué ce nom et ce rôle, dans l’impossibilité où l’on se trouvait, jadis, de soupçonner seulement l’extraordinaire réalité? Autre mystère. L’homme, comme la bête, a les siens et qui ne peuvent pas toujours être percés.», Joseph d’Arbaud, La Provence. Types et coutumes, dessins originaux pleine page de François de Marliave, Paris, Horizons de France, 1939, p. 85.
  13. Malvisti dai gardian della Camargue sono i trimards, figure di irregolari, senza fissa dimora, alla ricerca di lavori stagionali, ma che campano in genere di espedienti, spesso associati ai Gitani che popolano la Camargue, specie per la festa delle Sante Marie del Mare, per cui si veda Marc Bordigoni, Le paysan, le gitan et le trimard, «Le Monde alpin et rhodanien. Revue régionale d’ethnologie»,  1/3, 2000, pp. 223-242 (numero monografico Migrance, marges et métiers). Del medesimo, Le pèlerinage des Saintes-Maries-de-la-Mer. De la fête votive au pèlerinage des Gitans (xixe-xxe siècles), in R. Bertrand, e (dir.), Les fêtes en Provence autrefois et aujourd’hui, Aix-en-Provence, Presses universitaires de Provence, 2014, pp. 152-162, https://books.openedition.org/pup/15322.
  14. Georges Barbarin, La vie agitée des eaux dormantes, Paris, Stock, coll. « Les livres de Nature », 1937, p. 51.
  15. Nicolas Picard, “Pêche à la ligne et monde des poissons”, in Mondes ruraux, mondes animaux. Le lien des hommes avec les bêtes dans les romans rustiques et animaliers de langue française: ( xxe-xxie siècles), a cura di Alain Romestaing, Dijon, Éditions Universitaires de Dijon, 2014, pp. 119-130. Nicolas Picard, Le Grimoire animal. L’existence des bêtes dans la prose littéraire de langue française 1891-1938. Littératures. Université Sorbonne Paris Cité, 2019, https://theses.hal.science/tel-02329910/document (Le parole-chiave della tesi ne tracciano l’ampiezza e le molte sfaccettature: «Mots-clés: littérature de langue française, zoopoétique, bêtes, mystère animal, existence et subjectivité animales, vie animale, prédation, pêche à la ligne, chasse, histoires naturelles, formes et expressivité animales, biographies, Maurice Genevoix, Louis Pergaud, Colette, Maurice Maeterlinck»). Lou palangre non viene annoverato nello studio di Picard.
  16. Contemplazione solitaria della vita degli animali negli stagni («Les anguilles dans nos étangs») e scene collettive di pesca si avvicendano, per esempio, in Robert Goffin, Le Roman des anguilles, Paris, Gallimard/NRF, coll. « La vie des bêtes », 1936: «Combien de fois, aux jours d’école buissonnière, n’ai-je pas erré au long du ruisseau ombragé d’aulnes et regardé impénétrablement toute la vie mystérieuse et inconnue de l’étang, qui vibrait dans une prairie comme une bourgade autochtone avec ses habitants, ses lois et ses coutumes. Une fois par an, vers la fin de l’hiver, des hommes chaussés de bottes en caoutchouc asséchaient les étangs et en transportaient les poissons vers la ville. Roches, perches, tanches, animaux muets sortis d’un monde liquide dans de grandes épuisettes, carpes dorées avec des museaux coniques en fusils sciés qui buvaient la redoutable mort aérienne, anguilles frétillantes comme des éclairs dans l’eau couleur de ciel ! […] je les vois encore ramper, flotter, se débattre, se tordre, s’insinuer, se blottir, se révolter contre le destin», pp. 75-77.
  17. «Ce que je vois c’est comme un sous-bois très enchevêtré, plein de présences suspendues et de cachettes, plein de frôlements et de fuites, une sorte de plan d’imminence […]: respirer, passer, trembler, écarter, courir, bondir, tomber, regarder, fuir, guetter, frayer, se perdre, attendre, traverser, mourir», Picard, 2019, p. 119 (Jean-Christophe Bailly ).
  18. «Scivolavano di mano quando le afferrava per tagliarle a pezzi, unte e viscide: gli occhi piccoli, d’una luce cattiva nello sguardo, luce da lucifero o da versièra. Si muovevano ancora, sulla tavola. Non erano mai morte del tutto», Arturo Malagú, Il paese dell’acqua brulicante. I fiocinini, Bologna, Cappelli, 1967, p. 42.«versièra1s. f. [aferesi dell’ant. avversiera, femm. di avversi ero = avversario (eufemismo con cui viene spesso indicato il diavolo)], […] 2. fig. Donna molto brutta e cattiva; strega», https://www.treccani.it/vocabolario/versiera1/. Romanzo ambientato nelle valli di Comacchio verso gli anni ’20 del XX secolo, mostra analogie di temi, realistici e fantastici, con il Delta della Camargue quale ci appare nell’opera di d’Arbaud. Lo stesso concetto («Tagliarle a pezzi non basta / per farle cessare di vivere») è espresso da Giorgio Orelli, Le anguille del Reno: «Le anguille che ci arrivano dal Reno / sono dure a morire. Stimolate / dal pescivendolo si agitano / nerastre in scarso ghiaccio / tra un bianco di polistirolo. / Il compaziente fatto compratore / ne chiede due. Le pesa una donna / che a un tratto grida: è scappata. / Con un guizzo più certo la più piccola / è balzata dal piatto sul porfido / della piazza, ma è subito calma, / è facile riprenderla. / Tagliarle a pezzi non basta / per farle cessare di vivere.», Giorgio Orelli, Spiracoli, Milano, Mondadori, 1989, p. 87.
  19. «Ma trafficando intorno al vagabondo tremava di paura e di ripugnanza. Il fetore di limaccio e di marciume lo nauseava. L’acqua, l’aria della notte gli gelavano le mani come le mani gonfie del cadavere», d’Arbaud, 2012, p. 114 /115.
  20. L’anguilla è animale saprofago. «Venez anguilles, venez poissons, Manger la chair de ce bon drôle, Venez anguilles, venez poissons, Manger la chair de ce larron !», Victor Smith, Chants populaires du Velay et du Forez. Vieilles complaintes criminelles, «Romania», tome 10, n°37-38, 1881, pp. 194-211, citato da p. 199.
  21. Patrik Svensson, Nel segno dell’anguilla, Parma, Guanda, 2019 è un libro appassionante in cui si alterna una narrazione di registro autobiografico, con pagine di divulgazione scientifica sui misteri del ciclo vitale dell’anguilla. La presenza sinistra dell’anguilla in letteratura, al crocevia tra vita e morte, vi è ben documentata. Tra le altre occorrenze, cita Il tamburo di latta di Günter Grass, dove le anguille pullulano nel viluppo che spolpa la testa di cavallo usata come esca dal pescatore (Svensson, 2019, pp. 126-127). Agnes, che nasconde la sua gravidanza, assistendo alla scena, vomita, come per espellere, insieme alla nausea, il feto indesiderato (ivi, p. 128). Seguiterà ad abbuffarsi di pesce e di anguilla, vomitando e deperendo fino a morirne (ivi, p. 129). Svensson, a proposito dell’immagine dell’anguilla in questo romanzo, parla di «una sorta di legame simbolico tra l’inizio e la fine, tra l’origine della vita e il suo spegnersi», ivi, p. 130. Günter Grass, Il tamburo di latta, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 180-196 (Il menu del venerdì santo) e 197-208 (Convergenza della bara). Bella recensione di Marco Belpoliti, Il silenzio dei mari / L’anguilla e l’antropocene, https://www.doppiozero.com/languilla-e-lantropocene, 29 settembre 2019.
  22. A proposito del tanfo di putrido del fango della palude, che evoca decomposizione e fantasmi: «Altra parte di quei terreni, di più recente bonifica, invece, era ancora nera, acida e forte. Il dottor Magri sapeva che certi fuochi, sorti spontaneamente lungo i fossi durante torride sere d’estate, erano il segno della torba o cuora o terra giglia. La gente più ingenua, stupita per quei fuochi fatui, riconsiderava l’esistenza dei fantasmi. Potassa e zolfo emanavano da quelle zolle formate da rizomi e da bulbi di canne palustri decomposte, di asparagàcee o gigliàcee. Rammentavano un inferno melmoso, duro a morire. Certe volte si accendeva il mito, cresceva il mistero per via della fosfina di quelle azzurre fiammelle», Malagú, 1967, p. 12.
  23. «Una sera d’inverno, tornati dalla caccia, mentre davanti al fuoco scoppiettante di tamerisco assaporavamo un sorso di assenzio fresco in attesa del catigot d’anguilla che sobbolliva nella pentola sul fuoco […]», d’Arbaud, 2022, pp. 32-33. «Ah! Si un catigot d’anguilles peut faire leur félicité … […] Puis, arriva le catigot, où le bâton d’un pâtre se serait tenu droit, ̶ salé comme mer, poivré comme diable», Frédéric Mistral, Mémoires et Récits. Mes origines, Paris, Plon, 1906, (La ribote de Trinquetaille) pp. 276-292, in part. pp. 284-285.
  24. La carne tenera dell’anguilla sotto i denti dei gardian, i denti della forchetta: altri denti assassini attendono le anguille nella pesca: «Non appena le anguille si affacciavano sotto il cono della luce a petrolio, emergendo con le code dal regno del buio, trovavano i denti della fiocina pronti a infilzarle», Malagú, 1967, p. 176.
  25. Joseph d’Arbaud, La Sóuvagino, La Sauvagine. Contes camarguais, Texte provençal et version française, Montfaucon, A l’asard Bautezar!, 2021 (Paris, Grasset, 1929), in particolare, pp. 65-97.
  26. «Sus lis estang, à soun aise, li Canard n’en barjaquèron, li Flamen n’en charrèron à la lunado; e li Tartugo d’aigo tambèn couneiguèron de que viravo en ausènt lou Bluiet rapourta li papafard d’uno bando de pichot Mouah blanc, d’aquéli que trèvon lis aubras, en ribo di grand roubino», d’Arbaud, 2021, p. 114 / 115. Simile coralità la si ritrova, per esempio, in Georges Ponsot, Le Roman de la rivière, Paris, Les Editions G. Crès et Cie, 1922. « Le Roman de la rivière (1922) de Georges Ponsot, donne la parole aux poissons de la Seulette, à Narcisse le brochet, à Kiss l’anguille, aux chevesnes, tanches, brèmes, carpes, gardons, hotus, barbeaux, vairons qui la peuplent.», Picard, 2019, p. 192.
  27. «En 1897, le jeune écrivain provençal Joseph d’Arbaud (1874-1950) rejoint son cousin Folco de Baroncelli aux Saintes-Maries-de-la-Mer et, comme lui, il entreprend de se constituer une manade de taureaux, au cœur de la Camargue, notamment au Bois des Rièges, ainsi qu’au Plan-du-Bourg (entre Arles et Port-Saint-Louis) où il s’installera en 1902, aux Cabanes des Clos-du-Radeau. Cette période heureuse, durant laquelle il compose les poèmes de ses Cant Palustre (Les Chants Palustres), est interrompue en 1905 par la maladie, qui lui interdit de résider dans ces contrées propices aux fièvres. C’est désormais dans ses écrits que Joseph d’Arbaud va perpetue le souvenir de ce “paradis perdu”, de cet univers camarguais et de ses sortilèges, notamment dans La Bèstio dóu Vacarés (La Bête du Vaccarès) qu’il publie en 1926 […] Dans ces sept récits familiers, nourris d’une fine observation personnelle, Joseph d’Arbaud déploie ses qualités bien connues de conteur, avec humour et délicatesse, en se situant dans la lignée des grands auteurs animaliers, du La Fontaine des Fables au Kipling du Livre de la Jungle», d’Arbaud, 2021, quarta di copertina.
  28. In merito alle scoperte di Johannes Schmidt, si legga Graham Swift, Il paese dell’acqua, Milano, Garzanti, 1986, cap. 26: “Dell’anguilla”, pp. 190-198 e Svensson, 2019 («Il danese che scoprì dove si riproducono le anguille»), pp. 69-88, in part. «Nel dettagliato resoconto che alla fine pubblicò nel 1923 su Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Johannes Schmidt descrisse il lavoro svolto in circa vent’anni», p. 86. «Si le zoologue applique la méthode de Sherlock Holmes (dont Ginzburg précise qu’elle est issue de la sémiotique médicale), il se mue aussi en juge, tel Johannes Schmidt dont Goffin écrit un éloge appuyé: “Avec la patience et la sagacité d’un juge qui doit recommencer une instruction, il débuta par des études très précises sur les conditions des courants marins”. Ailleurs il précise que Schmidt élucida le problème de la naissance des anguilles “avec une patience d’Indien et un flair de vrai détective”. Ainsi utilise-t-il plusieurs procédés métaphoriques: l’enquête policiaire, l’instruction judiciaire, la chasse, autant de pratiques prédatrices régies par le même modèle épistémologique indiciel, servent à définir la quête naturaliste», Picard, 2019, p. 106 (a proposito di Goffin).
  29. «Il n’y a pas très longtemps que ce secret est connu, grâce aux travaux du savant docteur danois Yohan Schmidt […] elles se rassemblent toutes dans la mer des Sargasses […] Là, les voyageuses mourront, épuisées […] Mais là, aussi, sur des fonds de 2 ou 300 mètres, dans les eaux tièdes, des œufs innombrables écloront pour donner naissance à des larves microscopiques. Ce sont ces larves qui, nous dit Paul Becquerel, entreprennent un formidable voyage de plus de 6 000 kilomètres vers les côtes d’Europe […] Tel est le mystère désormais élucidé, que la perfide anguille du Landre exploite, non sans le sophistiquer à sa manière, pour se venger du crédule Kélélé», d’Arbaud, 2021, Glossaire, pp. 260-261.
  30. «Nòstis iòu, saupras, pèr la lèi de nosto raço, lis anan toumba liuen, bèn liuen d’eici, quasimen dins lis aigo de toun païs, à la pouncho d’uno mar que lis ome i’ an mes la mar di Sargasso […] «t’esclargigue, au coumplèt, tout lou Secrèt dis Anguielo», d’Arbaud, 2021, p. 80.
  31. «Avec Le Roman de la rivière (1922) Georges Ponsot utilise le conte merveilleux pour donner la parole aux poissons de la Seulette qui vivent leur vie loin des humains, quoique sous leur menace, comme celle du pêcheur contre qui sont mis en garde les jeunes poissons. On plonge dans un univers aquatique, le royaume de Clé, le seigneur brochet, assez précisément inspiré par la hiérarchie naturelle et les moeurs des poissons de nos rivières. La base zoologique du récit, le respect global des relations réelles de prédation entre les poissons, et de leurs moeurs, facilitent la projection imaginaire dans cet univers par ailleurs nettement anthropomorphisé, où les bêtes parlent, dialoguent comme nous, et nous incite à connaître plus précisément, en retour, la vie des poissons de nos cours d’eau, à concevoir leur monde avec émerveillement. Pêcheurs, naturalistes, conteurs, l’enfant (en nous), partagent ce sentiment qui pousse à la découverte et à la rencontre de l’autre, qui imagine, reconstitue, en bordure ou au sein même de notre monde (désenchanté), des espaces édéniques», Picard, 2019, p. 346.
  32. Riferendosi ancora a Ponsot, 1922, Picard, 2019, p. 398: «Kiss raconte les histoires suivantes: “Histoire de Kiss “, “Histoire de la vallée”, “Histoire du ruisseau rouge”, “Histoire de la bête”, “Histoire de l’esturgeon et du saumoneau”, “Histoire des poisssons lumineux”, “Histoire du captif”, “Histoire de la cathédrale”, respectivement p. 31-33, p. 45-48, p. 82-84, p. 182-185, p.185-188, p. 188-190, p. 215-220, p. 229-233», nota 1047. Benché funzionale alla congiura tra la giumenta e l’anguilla ai danni del cavallo, la grosso Nouno così si esprime a proposito dell’Anguielo: «c’est un animal plein de sagesse et qui ne plaisante jamais», d’Arbaud, 2021, p. 89.
  33. «Face au mystère animal qu’il expose pourtant à travers l’écriture littéraire, le langage humain se confronte à ses limites heuristiques, il semble qu’il ne puisse au fond que traduire l’expressivité des bêtes, non déchiffrer l’énigme figurée par leurs formes. Goffin insiste sur cette idée lorsqu’il nous raconte le fantastique voyage des anguilles: dans les abysses océaniques, très loin des côtes d’Europe où elles arrivent enfin, se rencontre “une zoologie compliquée, atroce, épouvantable; nous sommes dans la contrée de l’indicible” où se déroule “un film infernal si étrange, que nos rêves n’auraient pu l’imaginer”», Picard, 2019, p. 169 (Goffin, 1936: « Au fond des océans », p. 172).
  34. «Goffin reconnaît la nécessité de la reconstitution fictionnelle, de romancer la vie des bêtes. Après tout, ses deux essais s’intitulent Le Roman des anguilles et Le Roman de l’araignée; les titres des chapitres sont éloquents : “Première piste”, “La première métamorphose”, “L’invasion des anguilles”, “Croissance vers la puberté”, “Vers la mer promise”, “Le grand rendez-vous”, “Au fond des océans”; “Une chute dans la nuit”, “La croisade aéronautique”, “Un aterrissage mystérieux”, “La nouvelle Pénélope”, “Le baiser empoisonné”, “Le pont d’amour”, “L’araignée prisonnière”. Les vies animales sont mises en intrigue, le récit de leurs aventures visant dans les deux cas à élucider le mystère animal ou problème d’histoire naturelle posé en introduction», Picard, 2019, p. 369.
  35. «L’anguilla, la sirena / dei mari freddi che lascia il Baltico / per giungere ai nostri mari, / ai nostri estuarî, ai fiumi / che risale in profondo, sotto la piena avversa, / di ramo in ramo e poi / di capello in capello, assottigliati, / sempre più addentro, sempre più nel cuore / del macigno, filtrando / tra gorielli di melma finché un giorno / una luce scoccata dai castagni / ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta, / nei fossi che declinano / dai balzi d’Appennino alla Romagna; / l’anguilla, torcia, frusta, / freccia d’Amore in terra / che solo i nostri botri o i disseccati / ruscelli pirenaici riconducono / a paradisi di fecondazione; / l’anima verde che cerca / vita là dove solo / morde l’arsura e la desolazione, / la scintilla che dice / tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi, bronco seppellito; / l’iride breve, gemella / di quella che incastonano i tuoi cigli / e fai brillare intatta in mezzo ai figli / dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu / non crederla sorella?» (E. Montale, La bufera ed altro). L’immagine dell’anguilla segna la poesia di Montale sin dagli Ossi di seppia: «Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzanghere / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla» (I limoni). Francesco Zambon, L’iride nel fango. L’anguilla di Eugenio Montale, Parma, Pratiche, 1994.
  36. « s’agit-il de l’action extérieure d’un être ou d’une volonté créatrice omnipotente (la nature, dieu) qui gouvernerait le destin des bêtes en organisant leurs cycles vitaux, en commandant les impulsions qui les régissent ? Ou bien est-elle le fruit du métabolisme animal, d’une conjonction de facteurs internes à l’organisme ? “Pourquoi ?”, s’interroge l’auteur, mettant l’accent sur la dimension “fantastique” du problème que pose ce mouvement migratoire, donc, au sens défini plus haut, sur sa dimension énigmatique et surnaturelle, poétique et philosophique. Voici l’extrait concerné :
    Multitude aveugle et inconsciente des larves d’anguille qui, à trois mille kilomètres de l’Europe, montent à son assaut. Des milliards et des milliards d’êtres infimes qui n’ont que leur transparence comme moyen défensif, s’acheminent lentement vers un but ignoré. Quelle est cette correspondance fatidique entre la maturation des larves et l’approche du vieux continent ? […] Je sais que les savants répondent divinité, évolution ou maturation, ou accord continu entre le milieu et les conditions organiques des léptocéphales. Mais cela ne me semble pas une réponse. C’est cette réponse même qui m’étonne et me fait reposer la même question. Pourquoi ? […] notre logique humaine nous fait frémir pour peu qu’on essaie d’élucider ce problème fantastique», Picard, 2019, p. 133 (Goffin, 1936, pp. 49-51)
  37. «escouto bèn, ̶ lou dedins fai, diriés, uno mancho espetaclouso…
    –E dins aquesto mancho?
    –Ié viro un courrènt viéu qu’aganto tout ço que ié pico e lou carrejo dins un vira-d’iue, de la man d’eila, sus li costo de l’Americo!», d’Arbaud, 2021, pp. 82-84 / 83-85.
  38. «En 1905, notre marquis “monta” à Paris assister au Wild West Show de Buffalo Bill, alors en tournée européenne, et fit la connaissance de plusieurs chefs sioux, Jacob White Eyes, avec qui il maintint par la suite une correspondance épistolaire, Iron Tail et Lone Bull. Il invita ces deux derniers au Cailar, sur ses pâturages d’été de “La Mecque”, à assister au triage d’une abrivado. Au comble de sa fertile imagination, il crut alors voir entre ces Indiens et les gardians un “rapport caché qui nous lie à leur destinée, eux qui sont les derniers représentants d’une race superbe et mystérieuse que les Blancs sont en train d’exterminer au nom de ce qu’ils croient être la civilisation”», Frédéric Saumade, Le Marquis de Baroncelli et Buffalo Bill. Spectacles du sauvage et fêtes tauromachiques en Camargue et en Amérique du Nord, in R. Bertrand e L. S. Fournier (dir.), 2014, pp. 192-204, https://books.openedition.org/pup/15347. Bernard Bastide, Aux sources du cinéma en Camargue. Joë Hamman & Folco de Baroncelli, Avignon, Palais du Roure, «Les Écrits du palais», 2018. François Amy de la Bretèque, Bernard Bastide, Aux sources du cinéma en Camargue: Joë Hamman Folco de Baroncelli, «1895. Mille huit cent quatre-vingt-quinze» [En ligne], 86, 2018, mis en ligne le 01 décembre 2018, consulté le 03 mai 2024. URL: http://journals.openedition.org/1895/7214; DOI: https://doi.org/10.4000/1895.7214.
  39. Folco de Baroncelli, Car mon coeur est rouge. Des Indiens en Camargue, Gaussen, Marseille, 2010.
  40. «Ma il lungo viaggio dell’anguilla verso la sua destinazione, verso i suoi arsi e desolati “paradisi di fecondazione” […] si svolge per intero in un ambiente ctonio, lungo itinerari acquei e terrestri, tra mari, fiumi, macigni, fossi, botri e ruscelli; il suo medium per eccellenza è appunto la commistione di terra e acqua, la “melma”, il “fango”», Zambon, 1994, p. 65.
  41. Ovvero, nell’approssimazione accattivante dell’Anguilla, «quasimen dins lis aigo de toun païs / presque dans les eaux de ton pays», d’Arbaud, 2021, p. 80/ 81.
  42. « ̶ E tu mi vorresti far credere che in un batter d’occhio, passando, io, per quell’abisso, potrei, da parte a parte, traversare la terra e andare a sbucare nel mio paese? ̶ Io non voglio farti credere un bel nulla, replicò l’Anguilla con tono altezzoso. Ti dico quel che so. Anguille a migliaia, tra quelle che conosco, hanno già fatto la traversata. La prossima volta che lanceranno la chiamata, io stessa, senza esitare, l’intraprenderò. È facile, ci si tuffa nel mezzo, proprio nel mezzo e poi, pluf! Prima che uno se ne accorga, ci si trova dall’altra parte. Non si ha il tempo di soffrire. Anzi, c’è chi dice che è pure piacevole», d’Arbaud, 2021, pp. 84-85.
  43. L’intento della giumenta era solo di dare una lezione a Kélélé, che aveva fatto del male al suo puledro, ma la regia dell’anguilla va oltre i piani. Ogni animale obbedisce alla sua natura.
  44. Comportamento della mandria davanti al pericolo di morte che ricorda la bramadisso taurina: «Un chant funèbre. Autour du cadavre de l’un des leurs ou d’une autre bête, les taureaux se groupent en cercle, grattent le sol, font entendre de douloureux mugissements en entrechoquant leurs cornes. Comment s’empêcher de voir, dans cette impressionnante mêlée, un éveil du sens de la mort et comme un premier effort vers un rite funéraire?», d’Arbaud, 2021, Glossaire, p. 258.
  45. In effetti, le anguille si dileguano appena finita l’opera di persuasione fraudolenta ai danni del cavallo, sparendo del tutto dalla scena del delitto. Quàsi negadis, il cavallo porta i segni della morte per annegamento schivata per un soffio, e quelli della corda (nœud coulant) stretta al collo dai gardian per tirarlo in salvo (il seden / lasso che invece nel Palangre era servito per assicurare il cadavere al fondo dell’abime): «Kélélé resta sur le bord, à demi noyé, les flancs agités comme un grand soufflet, le ventre ballonné d’eau sale et barbouillé jusqu’au museau de fange puante et noire. Sa gorge était toute meurtrie par le nœud du lasso de crin, ses jointures endolories et, humilié sous le regard de la manade, en lui-même, il maudissait les anguilles», d’Arbaud, 2021, p. 95.
  46. « C’est le baile-gardian qui dirige la manade, ayant, sous ses ordres, les gardians ou compagnons», d’Arbaud, 2021, p. 258.
  47. «counèisses aquéu grand trau tant founs, plen d’aigasso encro, qu’alin, bado sus li raro de l’Estournèu? Sus la sablo esterlo de l’orle, salanto mai qu’à la mar, ges d’erbo, jamai jé verdejo, mai lou dedins […] »; «tu connais ce grand trou, plein d’une eau profonde et sombre, qui dort, le long de la petite digue, là-bas, vers les terres de l’étourneau? Nulle herbe ne pousse autour de ces bords de sable aride, plus salés que ceux de la mer, mais l’intérieur […]», pp. 82 /83.
  48. «Fondrière de boue mouvante», d’Arbaud, 2021, p. 258.
  49. «Aristotele e l’anguilla che nasce dal fango», Svensson, 2019, pp. 23-38. Sul mistero che vigeva sino agli inizi del ’900 sulla loro natura e la loro riproduzione, curiosa questa credenza comacchiese: «Dentro le paludi, le anguille. Quelle anguille che il latino Isidoro considerava nate dal fango – origo huius ex limo – e che i vecchi pescatori credevano nate da impossibili copule fra seppie e polipi», Malagú, 1967, p. 13.
  50. Edgar Allan Poe, Tutti i racconti del mistero, dell’incubo e del terrore, Roma, Newton Compton, 2014, pp. 435-450, citato da p. 439.
  51. Edgar Poe, Histoires extraordinaires, traduction de Charles Baudelaire, Paris, Michel Lévy frères, 1856, pp. 221-244.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2024 Monica Longobardi