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Legami Ancestrali – Riflessioni archeologiche sull’interazione umana con il regno animale
di , numero 57, giugno 2024, Note e Riflessioni, DOI

Legami Ancestrali – Riflessioni archeologiche sull’interazione umana con il regno animale
Come citare questo articolo:
Maria Luisa Conforti, Legami Ancestrali – Riflessioni archeologiche sull’interazione umana con il regno animale, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 22, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11466

1. Introduzione: una simbiosi antica
Nella vastità del nostro percorso storico, il legame con il regno animale ha assunto una natura intricata e multiforme. Dal periodo preistorico fino all’epoca contemporanea, gli animali hanno occupato una posizione centrale all’interno del tessuto culturale, spirituale ed economico delle società umane. In tutte le loro manifestazioni e rappresentazioni, queste creature hanno costituito un punto di connessione essenziale tra l’umanità e l’ambiente circostante, contribuendo a definire l’essenza della nostra condizione. Nel corso dei millenni, l’uomo ha esercitato una supremazia nei confronti delle altre specie, sottoponendoli a pratiche di addomesticamento, caccia, allevamento e, non di rado, venerazione. Questa complessa relazione si è manifestata attraverso una molteplicità di forme, dalle rappresentazioni artistiche ai racconti mitologici, dalle attività quotidiane alle speculazioni filosofiche.
Abbiamo imparato a osservare e interagire con gli animali, sviluppando nuove strategie di sopravvivenza e aumentando la loro capacità di adattamento ambientale, evidenziando così la natura complessa e bidirezionale della loro domesticazione. Da queste interazioni simbiotiche, entrambe le specie hanno tratto vantaggio: loro hanno ricevuto protezione e alimentazione, mentre gli esseri umani hanno ottenuto risorse vitali come nutrimento e forza lavoro. Un aspetto fondamentale di questa influenza reciproca riguarda le tecniche di allevamento che hanno influito fortemente sulle dinamiche sociali, generando nuove modalità di convivenza e collaborazione, un rapporto che ha plasmato significativamente le prime società agricole. Tali pratiche hanno contribuito alla crescita demografica e alla formazione di comunità stabili e complesse.
Tuttavia, al di là delle tradizionali distinzioni tra umano e animale, il panorama archeologico e scientifico attuale offre un’opportunità senza precedenti per esplorare le molteplici sfaccettature di questo rapporto ancestrale. Attraverso lo studio dei reperti archeozoologici, delle antiche testimonianze culturali e delle più recenti scoperte, possiamo gettare uno sguardo approfondito sulla complessità delle interazioni passate e sulle implicazioni che queste hanno avuto e continuano ad avere sulla nostra comprensione del mondo e di noi stessi.

2. Alle origini della caccia: le prime prove
La caccia rappresenta una delle attività più dibattute nella cronologia umana. Inizialmente considerata una necessità vitale per gli uomini preistorici, connotata da un profondo rispetto verso gli animali, nel corso del tempo ha trasformato la sua essenza, divenendo una pratica secondaria, un passatempo e, infine, uno sport. È da considerarsi come la prima manifestazione attraverso la quale l’uomo ha sottolineato la propria supremazia sul regno naturale. Parallelamente, si è sviluppata un’ideologia del dominio, funzionale alla giustificazione del ruolo di padrone incontrastato del pianeta Terra e delle sue creature. Da cacciatore di animali selvatici, l’uomo si è evoluto in un predatore universale (Lovato & Zengiaro, 2018).
Le prime testimonianze di caccia organizzata risalgono al momento di transizione tra il Pliocene e il Pleistocene (intorno ai 2,6 milioni di anni fa), epoca cruciale nell’evoluzione umana, durante la quale i nostri antenati elaborarono sofisticate tecniche per procurarsi il cibo. Le azioni degli ominidi non si limitavano a semplici atti di predazione, ma richiedevano una pianificazione considerevole e la cooperazione tra i membri del gruppo. Utilizzavano strumenti litici1 per abbattere prede di maggiori dimensioni, capacità che consentì loro di sfruttare al meglio le risorse disponibili (Bunn, 2001). La dieta carnivora ha svolto un ruolo essenziale nell’evoluzione umana, non solo da un punto di vista nutrizionale, ma anche nello sviluppo delle abilità cognitive e sociali. La sua inclusione ha fornito sostanze che hanno contribuito all’aumento delle dimensioni del cervello e alla riduzione dell’apparato digerente, permettendo un maggiore investimento energetico nelle funzioni cerebrali. Questo cambiamento ha stimolato anche la produzione di strumenti sempre più sofisticati che non solo migliorarono l’efficacia della caccia, ma contribuirono anche a una varietà di attività correlate (Ferraro et al., 2013).
Ricerche archeologiche recenti sulla persistenza della carnivoria nel genere Homo suggeriscono che le tecniche di macellazione furono sviluppate molto prima di quanto precedentemente ipotizzato. Uno studio condotto a Kanjera South (Kenya) ha identificato resti faunistici e manufatti in pietra risalenti a circa 2 milioni di anni fa. L’analisi approfondita delle ossa ha rivelato segni di taglio (fig. 1) e fratture caratteristiche di queste azioni, indicando un uso avanzato degli strumenti. I dati sono stati confrontati con quelli derivanti da contesti moderni o da sperimentazioni, confermando che gli ominidi possedevano già notevoli abilità nella pratica della macellazione. L’evidenza suggerisce che il consumo di carne non fosse casuale, ma costituisse una componente essenziale della dieta. La scoperta non solo retrodata l’inizio dell’impiego di questo alimento, ma solleva anche nuovi interrogativi sulle dinamiche sociali e ambientali che hanno guidato l’evoluzione umana (Ferraro et al., 2013).

Fig. 1 – Ossa animali da Kanjera South con segni di taglio (Ferraro et al., 2013)

Un altro aspetto fondamentale è l’analisi della coevoluzione tra i nostri antenati e altre specie, evidenziando come la pressione predatoria esercitata dagli esseri umani abbia influenzato lo sviluppo stesso delle prede. Questo contesto ha stimolato innovazioni tecnologiche e comportamentali, come la cooperazione nella caccia e la suddivisione del lavoro all’interno dei gruppi umani. Le pressioni selettive potrebbero aver favorito la diffusione del genere Homo, permettendogli di colonizzare una varietà di ambienti e di sviluppare società più complesse (Stiner, 2002).
Le indagini sui segni di morsi lasciati dai carnivori e dei tagli prodotti dagli strumenti in pietra sui fossili hanno permesso di dedurre che i primi ominidi dovevano competere con grandi carnivori (come leoni e iene) per l’accesso alle risorse animali. Questa intensa competizione li avrebbe spinti a sviluppare non solo tecniche di caccia più efficaci, ma anche strategie di protezione delle prede stesse, una necessità che avrebbe incentivato lo sviluppo di comportamenti difensivi, inclusa la scelta di luoghi sicuri per consumare il cibo e l’organizzazione di sentinelle per vigilare. La presenza di morsi sovrapposti a tagli di utensili indica sia che i nostri antenati arrivavano alle carcasse dopo i carnivori, ma anche che, in alcuni casi, erano i primi ad avere accesso alle prede, suggerendo una combinazione di scavenging (sciacallaggio) e caccia attiva. Questo comportamento misto avrebbe richiesto una notevole adattabilità e una buona comprensione dell’ambiente circostante, nonché abilità nella lavorazione rapida per massimizzare l’acquisizione di carne prima dell’arrivo di altri predatori (Domínguez-Rodrigo & Barba, 2006).
Ulteriori studi hanno evidenziato l’importanza, in queste primissime società, della divisione del lavoro tra i sessi. Tali pratiche erano fondamentali per la sopravvivenza quotidiana e riflettono una complessa organizzazione in cui maschi e femmine avevano ruoli complementari nella gestione delle risorse alimentari. La specializzazione delle attività non solo aumentava l’efficienza, ma contribuiva anche alla coesione sociale e alla distribuzione equa del cibo all’interno delle comunità (Lupo & Schmitt, 2002).
Una delle scoperte più significative riguarda l’uso di manufatti litici da parte dell’Australopithecus afarensis2 per il consumo della carne e l’estrazione del midollo, attestato già 3,39 milioni di anni fa. Nel sito di Dikika (Etiopia) sono state ritrovate ossa fossili di animali con segni di taglio e percussione, indicativi dell’uso di una primordiale strumentazione per la macellazione. Questi elementi sono stati analizzati e confrontati con quelli prodotti da processi naturali, come il calpestamento e le abrasioni causate da pietre, ma la loro morfologia corrispondeva a quella tipica delle lacerazioni effettuate con utensili affilati. Questa scoperta porta indietro di circa 800.000 anni il loro primo impiego rispetto alle precedenti evidenze che si limitavano a circa 2,6 milioni di anni fa. La capacità di adoperare strumenti così avanzati rappresenta un avanzamento significativo nelle abilità cognitive e manuali dei nostri antenati, fornendo nuove prospettive sulle origini della cultura umana (McPherson et al., 2010).
Queste indagini offrono una visione dettagliata e integrata delle prime pratiche di caccia, dimostrando come esse abbiano giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione del comportamento umano. Le prove archeologiche suggeriscono che non si trattava solo di una necessità per la sopravvivenza, ma rivestiva un ruolo determinante nello sviluppo delle capacità degli ominidi, influenzando profondamente la loro evoluzione e il loro adattamento a diversi ambienti.

3. Tracce di vita: le pitture rupestri
Le prime testimonianze figurative dell’interazione umana con il mondo animale emergono dalle profondità delle grotte, dove l’arte rupestre ci racconta storie attraverso la riproduzione di creature selvatiche e domestiche. Non si tratta di semplici raffigurazioni della fauna locale, ma portano con sé significati simbolici profondi e complessi, fornendo un’opportunità unica per comprendere le credenze, le pratiche culturali e la visione del mondo delle società preistoriche. Le pareti di questi luoghi, sparsi dall’Europa all’Africa, all’Asia e alle Americhe, fungono da tela per una straordinaria galleria d’arte, dove una varietà di figure prendono vita attraverso incisioni, pitture e rilievi, trasmettendo una narrazione visiva della vita e dei pensieri di queste popolazioni (Clottes, 2016).
Attualmente, la più antica pittura rupestre che raffigura un animale è il cosiddetto cinghiale di Sulawesi (fig. 2), una rappresentazione incisa su una parete di calcare nella grotta di Leang Tedongnge, situata sull’isola di Sulawesi (Indonesia). L’analisi condotta sui campioni sovrastanti il dipinto ha fornito indicazioni fondamentali sulla sua età, con risultati che dimostrano una datazione minima di 45.500 anni3. L’immagine mostra la figura dettagliata di un cinghiale a grandezza naturale, con caratteristiche anatomiche ben definite ed evidenziate da tratti distintivi sulla testa, riconosciuti come tipici del sus celebensis4 presente in quei luoghi. La scoperta apre una finestra sulla vita e sulle pratiche delle popolazioni umane preistoriche della regione considerata. Infatti, suggerisce una profonda connessione tra gli antichi abitanti dell’isola e la fauna locale, evidenziando il ruolo centrale del cinghiale nell’immaginario e nella cultura di quei tempi: l’arte in grotta potrebbe essere stata praticata molto prima di quanto si pensasse, sottolineando una complessità cognitiva superiore a quella riconosciuta in passato (Brumm et al., 2021).

Fig. 2 – Cinghiale di Sulawesi a Leang Tedongnge (Brumm et al., 2021)

Gli artisti preistorici sfruttavano una vasta gamma di tecniche, tra cui l’incisione su superfici rocciose, la pittura con pigmenti naturali come l’ocra rossa e il carbone, la modellatura in rilievo, impiegando argilla e altre sostanze naturali. Le tecniche non solo dimostrano un’abilità artistica sofisticata, ma anche una profonda comprensione dei materiali e delle superfici disponibili. Le ragioni dietro la produzione di queste opere restano in gran parte oggetto di speculazione, ma si ipotizza che abbiano avuto scopi rituali, magici o narrativi, forse collegati a credenze religiose. Oltre a essere espressioni artistiche di straordinaria bellezza, svolgono un ruolo fondamentale nella comprensione delle società e delle culture che le hanno create. Le scene di caccia potrebbero riflettere le pratiche di sussistenza degli antichi cacciatori-raccoglitori, mentre le immagini di animali antropomorfizzati potrebbero indicare i miti legati alla trasformazione e all’identificazione umana con essi (Clottes, 2006).
Queste antiche rappresentazioni suggeriscono un’intima connessione con le pratiche degli sciamani e i rituali di trance. Le immagini, anziché essere meri riscontri realistici, contengono un significato più profondo, associato alle esperienze alterate di coscienza, raffigurando spiriti guida o totem che li accompagnavano durante i loro viaggi metafisici. Gli animali, quali bisonti, cavalli e cervi, sono interpretati come mediatori tra il piano terreno e quello spirituale, attraverso i quali gli sciamani interagivano per ricevere saggezza e potere che successivamente condividevano con la loro comunità. La disposizione e le pose nelle pitture rupestri non sono casuali, ma probabilmente riflettono le visioni e le esperienze personali che gli sciamani sperimentavano durante le loro estasi. Sovrapposizioni di diverse figure potrebbero indicare la fusione di mondi o dimensioni percepiti durante questi momenti. Tale concetto è corroborato dalle analogie con pratiche simili attualmente presenti in popolazioni indigene contemporanee, dove l’interconnessione tra esseri umani e spiriti animali costituisce un aspetto cruciale nella comprensione del cosmo. Interessante è anche la discussione sull’impiego dei simboli come strumenti di guarigione e protezione, evidenziando come gli sciamani utilizzassero queste rappresentazioni per catturarne l’essenza e impiegarla in rituali terapeutici o di difesa. I grandi predatori, come leoni e orsi, potrebbero esprimere il potere e la forza necessari per proteggere la comunità da minacce sia fisiche che spirituali (Clottes & Lewis-Williams, 1998.)
Si ipotizza che l’avvento di pratiche artistiche complesse possa essere interpretato come una forma di “rivoluzione culturale”. Queste manifestazioni vanno oltre la mera rappresentazione delle specie animali presenti nell’ambiente circostante, mostrando invece un livello di astrazione e simbolismo che suggerisce una struttura culturale elaborata Ad esempio, le pitture rupestri di Chauvet (Francia), risalenti a circa 36.000 anni fa, non solo ritraggono animali con un grado sorprendente di realismo, ma includono anche segni e simboli che potrebbero essere interpretati come rappresentazioni rituali. Questo genere di arte potrebbe indicare un significativo avanzamento nelle capacità cognitive umane, implicando non solo la facoltà di creare immagini realistiche, ma anche di attribuire loro un profondo significato simbolico. Tale processo è considerato un indicatore di una sofisticata struttura sociale e di comunicazione all’interno delle comunità preistoriche stesse, suggerendo che potrebbero aver fatto parte di un sistema di conoscenze condivise e tramandate attraverso le generazioni, contribuendo alla coesione e all’identità culturale del gruppo (d’Errico & Stringer, 2011).
Un aspetto di notevole interesse è la dimostrazione che alcune opere di questa categoria furono realizzate dai Neanderthal5. Ciò suggerisce che fossero in grado di esprimere pensieri simbolici attraverso le rappresentazioni pittoriche, come evidenziato da diversi ritrovamenti in varie grotte della penisola iberica. Questi dipinti, che comprendono forme geometriche, impronte di mani e rappresentazioni animali, indicano che non si limitavano a imitare le pratiche artistiche degli Homo sapiens, ma svilupparono proprie forme di espressione. La scoperta che i Neanderthal fossero capaci di creare arte risale a oltre 64.000 anni fa, precedendo notevolmente l’arrivo della nostra specie in Europa. Ciò suggerisce che questa capacità di attribuire significati simbolici fosse già presente in una specie differente dalla nostra, sfidando la visione tradizionale secondo cui fosse una prerogativa esclusiva degli esseri umani moderni. Le implicazioni di tali scoperte sono profonde, poiché indicano che i Neanderthal possedevano un livello di cognizione molto più avanzato. Questo suggerisce anche una forma di comunicazione e di espressione dei pensieri astratti che riflette una vera comprensione simbolica del mondo circostante, collocandoli su un piano cognitivo simile a quello dei Sapiens ed evidenziando che la distinzione in termini di capacità intellettive e culturali è più sfumata di quanto precedentemente considerato (Hoffmann et al., 2018).

4. Templi di pietra e fede: il culto degli animali
Le prime manifestazioni religiose erano profondamente connesse con il mondo naturale. La sua sacralizzazione permetteva agli esseri umani di connettersi con l’ambiente circostante e di cercare spiegazioni per fenomeni incomprensibili (Wunn, 2000). Proprio gli animali, con i loro comportamenti enigmatici e determinate caratteristiche distintive, erano particolarmente adatti a divenire simboli e oggetti di culto (Lovato e Zengiaro, 2018). La religione “primitiva” non era solo una questione di credenze individuali, ma aveva anche una funzione sociale fondamentale. Serviva a unire le comunità, creando un senso di identità condivisa e di coesione (Otte, 2024). I rituali, spesso incentrati su animali sacri, erano momenti per rafforzare i legami e per trasmettere conoscenze e tradizioni da una generazione all’altra (Lovato e Zengiaro, 2018).
Durante il Paleolitico inferiore e medio6 non esistono evidenze di pratiche religiose. Le concezioni di questo periodo sono spesso il prodotto di interpretazioni moderne dei reperti e dei fossili. Nonostante con l’Homo neanderthalensis si osservino capacità intellettuali avanzate, non emergono tracce di pratiche cultuali specifiche nei loro insediamenti (Wunn, 2000). Nel periodo Gravettiano (compreso tra i 29 e 20 mila anni fa), l’umanità sperimentò un complesso rapporto con il regno animale, intrinsecamente legato alla vita quotidiana. Questa fase fu caratterizzata da una diversificazione degli stili di vita, con alcuni gruppi che adottarono una semi-sedentarietà, mentre altri mantennero una maggiore mobilità. Nonostante queste differenze, emerse un significativo fenomeno: il culto degli animali, parte integrante delle credenze animistiche dell’epoca (Lovato & Zengiaro, 2018). Le prove archeologiche e antropologiche suggeriscono che le società paleolitiche attribuivano loro un profondo significato, considerandoli non solo risorse vitali per la sopravvivenza, ma anche esseri dotati di anima e poteri. Erano visti come compagni di viaggio nell’esistenza, condividendo il destino e il comportamento umano, un legame riflesso nelle pratiche religiose quotidiane (Otte, 2024).
Nelle grotte, spesso considerate luoghi sacri, si svolgevano rituali complessi. Le ossa di alcuni animali erano disposte con attenzione, omaggi agli spiriti che presiedevano quel mondo. Durante le fasi cruciali della caccia, i praticanti della magia indossavano maschere raffiguranti la belva prescelta, non solo come atto di mimetismo, ma come rito propiziatorio per assicurarsi il successo. Assumevano un ruolo centrale anche nelle cerimonie di iniziazione, dove i giovani erano introdotti al mondo adulto attraverso esperienze dirette con la natura. Il rispetto e la reverenza si estendeva anche alla dimensione mitica e cosmologica, con leggende che raccontavano storie di creature divine o totemiche, incarnando gli aspetti più profondi della spiritualità umana (Lovato & Zengiaro, 2018).
Il passaggio dall’animismo alla religione organizzata segna un cambiamento nel rapporto uomo-natura, da una fase di simbiosi e interdipendenza a una di dominio e controllo. Con l’evoluzione delle società e la formazione di caste religiose e militari, il culto si integrò nelle strutture sociali emergenti, diventando un elemento centrale delle credenze dell’epoca (Lovato & Zengiaro, 2018). Göbekli Tepe (Turchia) rappresenta un esempio emblematico di questa relazione. Risalente al Neolitico e datato tra il 9600 e l’8200 a.C., questo sito precede l’invenzione della scrittura e della ceramica, dimostrando che i gruppi di cacciatori-raccoglitori erano capaci di costruire complessi monumentali con un profondo significato ancor prima dell’avvento dell’agricoltura (Schmidt, 2006). Gli scavi7 hanno rivelato numerosi pilastri a forma di T (fig. 3), decorati con rilievi intricati raffiguranti animali selvatici come leoni, tori e uccelli, suggerendo un simbolismo rituale profondo (Peters & Schmidt, 2004).

Fig. 3 – Pilastri a T con raffigurazioni di animali da Göbekli Tepe (Peters & Schmidt, 2004)

Non si tratta di semplici decorazioni, ma parte di un linguaggio che rifletteva la cosmologia e le credenze religiose delle comunità che costruirono il sito (Schmidt, 2006). Le raffigurazioni erano collegate a miti e leggende specifiche, con ogni animale che plausibilmente possedeva un significato particolare all’interno della mitologia locale. Il serpente poteva simboleggiare rigenerazione o rinascita, mentre il grifone rappresentava una connessione tra il mondo terreno e quello celeste (Peters e Schmidt, 2004). La presenza di bestie feroci come leoni e cinghiali potrebbe indicare la dominazione di forze naturali potenti, riflettendo il ruolo di queste creature nella narrazione rituale delle popolazioni neolitiche (Schmidt, 2006).
L’orientamento e la disposizione dei pilastri all’interno dei recinti circolari indicano una conoscenza avanzata dell’astronomia e del calendario stagionale, suggerendo che Göbekli Tepe potrebbe aver funzionato sia come un luogo di culto che come un osservatorio cerimoniale. Questo sito rappresenta una chiave di lettura fondamentale per comprendere le prime forme di religione organizzata e il ruolo centrale della simbolizzazione animale nelle pratiche cultuali di queste società in formazione. La religione, in questo periodo, non era solo un mezzo per gestire l’incertezza ambientale, ma anche un potente strumento di coesione sociale. I rituali e le credenze di questo tipo costituivano un sofisticato sistema che permetteva agli esseri umani di stabilire un senso di ordine e appartenenza (Schmidt, 2006).

5. Rivoluzione Neolitica: allevamento e società
La Rivoluzione Neolitica, segnando il passaggio dalle società di cacciatori-raccoglitori a quelle agricole e pastorali, rappresenta un fenomeno complesso e prolungato, iniziato circa 12.000 anni fa nel Vicino Oriente. Questo periodo, noto anche come Neolitico, si estende fino a circa 3.000 anni fa, a seconda delle regioni (Liverani, 1995). Il mutamento climatico alla fine del Pleistocene, che vide un aumento delle temperature generali, comportò numerose variazioni nella disponibilità delle risorse naturali, spingendo le comunità umane a sperimentare la coltivazione di piante selvatiche e la gestione di animali (Zeder, 2008).
La transizione non fu uniforme e simultanea ovunque, ma si sviluppò progressivamente attraverso diverse fasi (Russell, 2002). In alcune zone, come la valle del Nilo e la valle dell’Indo, agricoltura e allevamento apparvero quasi simultaneamente, mentre in altre, come l’Europa settentrionale, queste pratiche si diffusero molto più lentamente, spesso tramite contatti con popolazioni già neolitiche piuttosto che attraverso innovazioni autonome (Liverani, 1995). Le differenze possono essere attribuite a vari fattori, tra cui la disponibilità di specie vegetali e animali adatte alla domesticazione, le condizioni climatiche e geografiche, le dinamiche sociali ed economiche delle popolazioni locali (Larson & Fuller, 2014). Ad esempio, nel bacino del Mediterraneo, l’adozione dell’allevamento di ovini fu facilitata dalla presenza di terreni collinari e montuosi, ideali per il pascolo di questi animali (Zeder, 2008).
L’addomesticamento fu un processo cruciale, comportando la selezione di specie per tratti desiderabili come docilità, produttività e utilità per l’uomo (Larson & Fuller, 2014). Questo richiese generazioni di selezione per ottenere animali che rispondessero adeguatamente ai nostri bisogni (Russell, 2002). Pecore e capre furono tra i primi a essere allevati per la loro capacità di fornire non solo carne, ma anche latte e lana, risorse fondamentali per le comunità neolitiche. I bovini divennero essenziali come animali da lavoro, contribuendo significativamente all’agricoltura e al trasporto (Zeder, 2008).
Questo processo trasformò radicalmente l’economia, portando a un incremento della produttività agricola e della disponibilità di risorse alimentari (Liverani, 1995). Il miglioramento permise di sostenere una popolazione più numerosa e diversificata in termini di occupazioni e specializzazioni (Zeder, 2008). Oltre agli aspetti economici, ebbe profonde implicazioni sociali e culturali. La gestione e il controllo degli animali domestici richiesero nuove forme di cooperazione e divisione del lavoro, contribuendo anche alla sedentarizzazione e favorendo lo sviluppo di villaggi e, successivamente, di città (Liverani, 1995). Inoltre, divennero simboli di status e ricchezza, influenzando le strutture di potere e le gerarchie all’interno delle comunità neolitiche (Russell, 2002).
Una scoperta significativa è stata effettuata ad Abu Hureyra (Siria) (fig. 4), noto per la sua estesa sequenza di occupazione che copre la transizione dal Paleolitico al Neolitico. Questo sito offre una prospettiva unica nella storia dell’agricoltura e della domesticazione degli animali. Gli archeologi hanno scoperto che gli abitanti di quest’area portavano animali vivi, probabilmente pecore, nei loro insediamenti tra 12.800 e 12.300 anni fa. Questo rilevamento è stato reso possibile grazie all’analisi degli sferuliti di sterco rinvenuti nell’area, ovvero microscopiche sfere di calcio che si formano nell’intestino di molti erbivori e che possono conservarsi nel suolo per millenni. La presenza di grandi quantità di questi elementi intorno alle abitazioni suggerisce che gli animali erano tenuti in prossimità degli insediamenti umani, indicando un primo tentativo della loro gestione, quasi 2.000 anni prima rispetto le precedenti evidenze di domesticazione. L’identificazione di tali attività durante il periodo Epipaleolitico8 , quando le comunità erano ancora prevalentemente formate da cacciatori-raccoglitori, evidenzia un iniziale cambiamento nelle interazioni umane con l’ambiente naturale (Smith et al., 2022).

Fig. 4 – Il sito di Abu Hureyra e la ricostruzione di un’abitazione (Smith et al., 2022)

Uno dei primi animali a essere addomesticato fu il cane. Le evidenze archeologiche suggeriscono che accadde prima dell’avvento dell’agricoltura, probabilmente a partire da lupi selvatici che si avvicinarono agli insediamenti umani in cerca di cibo (Frantz et al., 2016). Questo processo si sviluppò in modo incrementale, attraverso la selezione naturale e artificiale di individui meno timorosi e più socievoli nei confronti dell’uomo. Il rapporto simbiotico risultante ebbe numerose implicazioni pratiche: i cani fungevano da guardiani contro predatori e intrusi, aiutavano nella caccia e, in alcuni casi, erano coinvolti nel pastoreggio di altri animali domestici (Larson & Fuller, 2014). Questo contributo alla sicurezza e alla sussistenza umana consolidò il legame tra le due specie. Inoltre, occupava anche un ruolo importante dal punto di vista emotivo, diventando non solo un aiuto pratico ma anche un compagno nella vita quotidiana. La sua domesticazione, quindi, non fu solo un processo biologico ma anche culturale con le comunità umane che svilupparono nuove competenze, conoscenze e tradizioni legate alla cura e all’uso di questo animale, trasmesse di generazione in generazione (Shipman, 2010).
Uno studio recente ha fornito nuove intuizioni sulla domesticazione dei cani. L’obiettivo principale era di indagare le origini genetiche utilizzando sequenze genomiche antiche e moderne, oltre ai dati archeologici, per determinare se i cani fossero stati addomesticati una sola volta o in più occasioni e in diverse regioni del mondo. La metodologia ha incluso l’analisi del DNA antico, proveniente da resti di cani trovati in diversi siti archeologici, e il confronto con il DNA di cani moderni e di lupi selvatici. Sono stati esaminati i reperti ossei di cani domestici provenienti da siti neolitici in Europa e Asia, con particolare attenzione alla cronologia e alla distribuzione geografica. I risultati suggeriscono che la domesticazione di questi animali abbia avuto due origini separate: una in Asia orientale e l’altra in Europa, indicando che è avvenuta in maniera indipendente. Le analisi genetiche hanno mostrato una significativa diversità tra i cani delle due aree, supportando l’ipotesi di una duplice origine. Questa ricerca ha profonde implicazioni per la comprensione della relazione tra esseri umani e cani, sfidando le teorie precedenti di un singolo punto di partenza e suggerendo, invece, una complessa interazione attraverso le epoche (Frantz et al., 2016).
Da questo momento storico in poi, le tecniche di allevamento si diffusero rapidamente da un’area all’altra attraverso una combinazione di migrazione delle popolazioni e scambio culturale (Zeder, 2008). Questa diffusione non fu unilaterale, ma piuttosto un processo dinamico che coinvolse interazioni complesse tra diverse comunità e culture (Russell, 2002). Coloro che adottarono le nuove pratiche agricole e zootecniche spesso le adattarono alle proprie condizioni locali, integrandole con tradizioni e conoscenze preesistenti. Tale processo contribuì alla diversificazione delle attività e alla formazione di sistemi unici in ogni regione (Liverani, 1995, p. 904).

6. L’Età dei Metalli: simbolismo nei contesti funerari
La presenza degli animali nelle tombe e nelle necropoli dell’Età dei Metalli offre un’importante finestra sulle credenze, sui rituali e sulle pratiche funerarie delle antiche civiltà. Che siano sepolti con i defunti o rappresentati nei manufatti, non avevano soltanto un valore simbolico, ma riflettevano anche l’importanza sociale, economica e religiosa di queste creature per le popolazioni dell’epoca.
L’Età del Rame che si estende approssimativamente dal 4500 al 3300 a.C.9, rappresenta un periodo di transizione caratterizzato dall’introduzione e dalla diffusione della metallurgia di questo elemento. Tale periodo comportò significative trasformazioni sociali, economiche e tecnologiche, insieme all’introduzione di nuovi stili di vita e interazioni culturali tra diverse comunità, come evidenziato dalla diffusione di oggetti di prestigio in rame che suggeriscono reti di scambio a lunga distanza (Heyd, 2013).
Le prime evidenze dell’uso di tale metallo in Europa si manifestano in siti come Varna (Bulgaria), dove sono state rinvenute ricche sepolture contenenti manufatti in rame. La necropoli offre una prospettiva affascinante sulle pratiche funerarie e sul simbolismo dell’epoca (Krauß et al., 2017). Si evidenzia la presenza di animali, sia come offerte che come raffigurazioni metaforiche, suggerendo un significato che va oltre la semplice funzione di sussistenza. I ritrovamenti sono in prevalenza di bovini che, secondo gli studi, rappresentavano concetti come forza, fertilità e status sociale, spesso associati a figure maschili nelle sepolture stesse, indicando un legame profondo tra il potere virile e la potenza rappresentata dal toro. Non solo un segno di ricchezza e prestigio, ma riflette anche l’importanza economica e culturale di questi animali nelle società dell’Età del Rame (Georgieva, 2022).
Parallelamente, le ricerche sulla cronologia e lo sviluppo del sito, condotte attraverso studi dettagliati delle diverse fasi di utilizzo della necropoli, mostrano come la presenza degli animali si sia evoluta nel tempo. Le analisi isotopiche degli ossi indicano che gli individui sepolti possedevano bestiame proveniente da aree molto distanti, suggerendo l’esistenza di reti e contatti piuttosto estesi: non si trattava di un luogo isolato, ma parte di interazioni culturali più intricate (Krauß et al., 2017). Questo elemento indica non solo un’interconnessione tra diverse comunità, ma anche un’economia basata su scambi a lungo raggio, riflettendo una complessità sociale avanzata per l’epoca. Questo movimento non solo facilitava l’accesso a risorse diverse, ma contribuiva anche alla diffusione di idee, tecnologie e pratiche (Heyd, 2013).
L’evoluzione della presenza di determinati animali può indicare cambiamenti nelle pratiche rituali e nelle concezioni spirituali. Inizialmente legata a sacrifici o simbolismi specifici, col passare del tempo questa diversificazione iniziò a riflettere l’evoluzione delle credenze religiose e l’adattamento a nuove influenze culturali ricevute attraverso gli scambi. Il significato si collega quindi a una visione cosmologica e religiosa delle comunità dell’età del Rame, oltre che ad aspetti pratici della loro economia e delle loro relazioni sociali. La presenza di animali nelle tombe non solo sottolinea l’importanza della pastorizia, ma anche il loro uso come simboli di potere, evidenziando la complessità delle gerarchie sociali emergenti (Georgieva, 2022).
L’Età del Bronzo (circa 3300-1200 a.C.) è un periodo dinamico e complesso, caratterizzato da continui progressi tecnologici e cambiamenti che hanno avuto un impatto duraturo sulle comunità del tempo. Segna l’introduzione e la diffusione di tecnologie metallurgiche avanzate, in particolare l’abilità di lavorare questa lega10. La produzione di armi, strumenti agricoli e ornamenti ha rivoluzionato la vita quotidiana delle popolazioni europee e del Vicino Oriente. Si sono verificate profonde trasformazioni sociali che hanno portato alla formazione di élite potenti che detenevano il controllo delle risorse. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi ha dato origine a gerarchie più strutturate, con l’instaurazione di regni e altre forme di organizzazione politica centralizzata. Le scoperte archeologiche, tra cui necropoli e complessi monumentali, forniscono preziose informazioni sull’importanza dei rituali funerari e delle credenze religiose durante questo periodo (Harding, 2000).
La cultura di Sintašta, presente nel tardo III millennio a.C., estesa tra l’altopiano del Kazakistan fino alla regione del Mar Caspio, è celebre per i suoi avanzamenti tecnologici e culturali, particolarmente nell’uso del cavallo e del carro (Anthony, 2007). Ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo delle società eurasiatiche, influenzando profondamente le successive civiltà grazie all’innovazione nel trasporto e nella guerra. Le necropoli di questa cultura sono ricche di simbolismi, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione degli animali. Gli scavi archeologici, in particolare quelli effettuati nel sito di Kamennyi Ambar-5 (Russia), hanno rivelato la presenza di numerosi resti, principalmente cavalli, che rivestivano un’importanza centrale nei rituali funerari (Frikke et al., 2020).
Le sepolture equine spesso includevano bardature elaborate e carri interi, sottolineando la rilevanza non solo in vita ma anche nella morte. I cavalli erano un chiaro indicatore del loro ruolo di “mezzi” per condurre i defunti nel loro viaggio post-mortem, sottolineando la loro importanza non solo per attività come la guerra o il lavoro, ma anche come elemento fondamentale nella cosmologia e nella religiosità (Anthony, 2007). Le tombe spesso ospitavano uno o più di questi animali sacrificati, accuratamente disposti all’interno del sepolcro per evocare l’immagine di una processione in movimento. L’attenzione meticolosa nella collocazione suggerisce l’importanza rituale di questo elemento. È interessante notare che variava significativamente da una tomba all’altra, il che implica l’esistenza di un simbolismo complesso legato alla loro disposizione in relazione al defunto. Tali pratiche erano probabilmente influenzate da fattori come il rango sociale, il contesto storico e le credenze spirituali prevalenti al momento della sepoltura (Frikke et al., 2020).
Altri animali trovati avevano significati sia figurativi che pratici. I cani, spesso associati alla protezione e alla guida, simboleggiavano la custodia del defunto nel viaggio verso l’aldilà, suggerendo che fossero visti come guardiani e accompagnatori dell’anima. Il bestiame, invece, rappresentava ricchezza e prosperità, elementi che la comunità desiderava trasferire al defunto per garantirgli un posto di rilievo nel mondo dei morti ma che indica anche un desiderio di continuità della ricchezza e dello status sociale (Frikke et al., 2020). L’organizzazione delle tombe e il loro contenuto offrono ulteriori indizi sui riti e sulle credenze di questa cultura. La disposizione degli oggetti come armi, utensili e ornamenti, suggerisce una preparazione meticolosa, riflettendo una società con una visione già più complessa e strutturata (Anthony, 2007).
L’Età del Ferro è un periodo storico caratterizzato dall’uso predominante di questo metallo per la fabbricazione di strumenti e armi. La cronologia è stata oggetto di numerosi studi e dibattiti, specialmente riguardo alle datazioni precise e alle interazioni culturali tra le diverse civiltà, ma ha inizio approssimativamente nel XII secolo a.C. e termina intorno al IV secolo a.C. (Bruins et al, 2011).
Durante quest’epoca, i contesti funerari etruschi offrono una panoramica ricca e complessa delle pratiche religiose, sociali e culturali di questa civiltà, nota per la cultura raffinata e l’arte elaborata. Questo popolo, che fu presente in Italia centrale tra l’IX e il I secolo a.C., possedeva una visione complessa e articolata della vita e dell’aldilà, come evidenziato dalle numerose tombe riccamente decorate (Naso, 1996). La loro convinzione in un’esistenza ultraterrena si rifletteva nelle pratiche funerarie: le necropoli non erano solo luoghi di sepoltura, ma anche spazi sacri dove si celebravano riti e si preservavano memorie (Steingräber, 2006). Il simbolismo nelle tombe abbonda di riferimenti agli animali, spesso utilizzati come rappresentazioni delle credenze religiose e della concezione dell’aldilà, rappresentando vari aspetti della vita e della morte. In particolare, leoni, cervi e anatre erano comuni, ciascuno con il proprio significato figurativo (Naso, 1996).
Un esempio emblematico è la Tomba delle Anatre di Veio11, databile al VII secolo a.C., presenta una decorazione pittorica che raffigura molteplici anatre (fig. 5), simboli di transizione e rinascita. Sono dipinte con colori vivaci e posizionate in modo da creare un’illusione di movimento, come se stessero volando attraverso la camera funeraria (Brocato, 2012). Questi animali, spesso associati all’acqua, rappresentano per gli Etruschi il passaggio verso l’aldilà: il legame richiama l’idea del viaggio verso il mondo dei morti, un tema ricorrente nelle credenze funerarie di questa civiltà (Steingräber, 2006).

Fig. 5 – Particolare della Tomba delle Anatre di Veio (Naso, 1996)

Le decorazioni mostrano un’attenzione particolare per i dettagli naturalistici, sottolineando l’importanza della natura e della fauna nella vita quotidiana e nell’aldilà (Naso, 1996). Le scene dipinte sembrano evocare una continuità tra la vita terrena e quella ultraterrena, rafforzando l’idea di un ciclo eterno di vita, morte e rinascita. Questo tipo di raffigurazione, con la sua vivacità e realismo, suggerisce una visione positiva e serena della morte, vista come un ritorno all’origine dell’esistenza (Brocato, 2012). Inoltre, la presenza delle anatre può essere interpretata come un simbolo di protezione per il defunto. Gli Etruschi credevano che gli animali potessero fungere da intermediari tra il mondo dei vivi e quello dei morti, accompagnando e guidando l’anima nel suo viaggio (Steingräber, 2006).
La tomba non è solo un esempio di arte funeraria, ma anche un documento significativo delle loro credenze religiose. La scelta delle anatre non è casuale, ma fortemente simbolica: questi uccelli erano considerati guide spirituali capaci di facilitare il passaggio sicuro attraverso l’oltretomba (Brocato, 2012). La loro associazione con l’acqua li rendeva particolarmente adatti a rappresentare il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, una barriera fluida e permeabile che l’anima doveva attraversare per raggiungere la pace eterna. Questa decorazione diventa una chiara testimonianza di un desiderio di continuità e di speranza in un’esistenza pacifica e protetta anche nel mondo dei morti (Naso, 1996).

7. Presagi e profezie: animali nelle arti divinatorie
Nel mondo antico, le arti divinatorie occupavano una posizione centrale, in particolare tra Etruschi, Romani e Greci. Queste culture attribuivano agli animali un ruolo primario nei rituali, interpretando i loro comportamenti, le viscere o altri aspetti come segni divini. Questa connessione profonda tra l’uomo e la natura rifletteva una visione del mondo in cui le divinità comunicavano attraverso ogni elemento dell’ambiente.
Tra le pratiche divinatorie etrusche, l’aruspicina è forse la più nota. Gli aruspici, i sacerdoti specializzati in quest’arte, interpretavano i segni presenti sugli organi interni degli animali, in particolare il fegato, per trarre auspici e fornire consigli sugli affari pubblici e privati (Bonfante, 1986). Un esempio emblematico è il Fegato di Piacenza, un modello in bronzo rinvenuto nel 1877 e datato al II secolo a.C. Quest’organo era considerato la sede dell’anima e lo strumento attraverso il quale gli dei comunicavano con gli uomini (Pallottino, 1984).

Fig. 6 – Fegato di Piacenza (Massimo Pittau – Il Fegato di Piacenza)

Il manufatto è suddiviso in sedici settori, ciascuno dei quali associato a una divinità specifica o a un concetto religioso, riflettendo così una visione cosmologica complessa in cui ogni parte del fegato corrisponde a una porzione del cielo e, di conseguenza, a differenti influenze divine. Gli aruspici interpretavano le anomalie riscontrate in queste aree per prevedere il futuro e prendere decisioni importanti (MacIntosh Turfa, 2012). La precisione e la complessità di questa ripartizione dimostrano un alto livello di conoscenza astronomica e religiosa. Il modello fungeva probabilmente da ausilio didattico per addestrare degli aruspici. Le iscrizioni rappresentano una sorta di manuale di istruzioni per i sacerdoti, illustrando i collegamenti tra le diverse regioni del fegato e le divinità corrispondenti. Questa funzione educativa sottolinea l’importanza della trasmissione del sapere religioso all’interno della società etrusca (MacIntosh, 2012).
Queste tipologie di pratiche svolgevano un ruolo essenziale non solo nella sfera religiosa, ma anche nella vita politica e sociale. Gli aruspici influenzavano significativamente le decisioni belliche, le alleanze politiche e le questioni quotidiane come l’agricoltura. Gli animali selezionati per i sacrifici erano attentamente scelti in base alle loro caratteristiche specifiche, rivelando così una connessione intrinseca tra la loro spiritualità e il mondo circostante (Pallottino, 1984). Oltre all’esame dei fegati, i sacerdoti consideravano anche altri organi interni, nonché i comportamenti e le condizioni degli animali durante i sacrifici (MacIntosh Turfa, 2012). L’interpretazione dei segni era considerata essenziale per mantenere l’equilibrio e l’armonia tra gli uomini e gli dei (Bonfante, 1986).
La divinazione romana occupava un ruolo preminente nella religione e nella politica anche nell’antica Roma. Un esempio noto è l’augurium, basato sull’osservazione del volo e del comportamento degli uccelli. Gli àuguri interpretavano i segnali celesti per trarre auspici favorevoli o sfavorevoli riguardo a decisioni politiche, militari o civili. Questo si articolava in vari riti, tra cui il più comune era l’auspicium ex avibus, che si concentrava principalmente sull’interpretazione del volo degli uccelli (Linderski, 1986, p. 102). I sacerdoti si collocavano in luoghi particolari, spesso su colline o alture, da dove potevano osservare meglio il cielo e identificare i segni inviati dagli dèi (Beard et al, 1998). L’auspicium ex tripudiis, invece, si basava sul comportamento dei polli sacri. Questi animali venivano nutriti con del grano e, in base alla loro voracità, era data una diversa interpretazione: se mangiavano con avidità, era considerato un buon auspicio; se rifiutavano il cibo o lo mangiavano senza entusiasmo, era visto come un cattivo presagio (Linderski, 1986).
L’importanza politica era evidente soprattutto nelle cerimonie pubbliche e nelle decisioni cruciali dello Stato. Prima di intraprendere una campagna militare o di convocare i comizi, era prassi comune consultare gli auspici (McBain, 1982). Una risposta positiva era interpretata come un segno del consenso divino, mentre segnali sfavorevoli potevano portare al rinvio o all’annullamento delle azioni pianificate (Beard et al.,1998).
Le credenze nei poteri degli àuguri e delle pratiche divinatorie permeavano ogni sfaccettatura della vita romana, influenzando non solo gli affari pubblici ma anche le scelte personali (beard et al., 1998). L’interpretazione si estendeva anche alla sfera privata e per le decisioni quotidiane dei cittadini. Questa stretta interconnessione tra religione e vita civile era un tratto distintivo di questa cultura antica, in cui ogni evento, grande o piccolo, era considerato potenzialmente influenzato dalla volontà divina. Questo approccio rifletteva una profonda convinzione nell’intercessione degli dei nella vita umana, plasmando le norme sociali e i comportamenti individuali. La presenza costante delle divinità conferiva un senso di sacralità e responsabilità a ogni azione compiuta dai romani (Linderski, 1986).
Le pratiche greche intrecciavano profondamente gli animali nei rituali e nelle profezie, essenziali per comprendere, anche in questo caso, la volontà degli dèi e prevedere il futuro. Una delle forme più celebri era la consultazione degli oracoli, tra cui l’oracolo di Delfi era il più rinomato. La Pizia, sacerdotessa di Apollo, pronunciava le sue profezie in uno stato di trance, spesso influenzata dal volo degli uccelli o dal comportamento dei serpenti, entrambi sacri a questa divinità (Johnston, 2008). Per ogni sua consultazione, veniva immolata una capra come offerta, scelta sia per la sua purezza che per il suo status, considerata uno degli animali più profetici esistenti. Prima del sacrificio, veniva posta su un altare e dell’acqua fredda era versata sulla sua schiena. Il tremore della capra era interpretato come un segno favorevole per procedere, in caso contrario, invece, si interrompeva la procedura perché la profezia non sarebbe stata considerata accettabile (Parke, 1967).
Le ceramiche attiche del periodo classico12 sono una fonte ricca di informazioni sulle pratiche divinatorie. Questi vasi dipinti mostrano scene di sacrifici, con sacerdoti che esaminano le viscere per trarre auspici (Parke, 1967). Le rappresentazioni non solo illustrano le pratiche religiose, ma sottolineano anche l’importanza degli animali nella vita quotidiana e spirituale degli antichi Greci Questo serviva a ricordare e celebrare le storie sacre, rendendole visibili e tangibili (Johnston, 2008). Le immagini raffigurano spesso animali in contesti divinatori, come Apollo circondato da corvi (a lui sacri) o dettagli che evidenziano l’attenzione riservata agli organi interni degli animali. La frequenza con cui appaiono nelle rappresentazioni artistiche suggerisce la loro importanza non solo nei rituali ma anche nella coscienza collettiva e nell’identità culturale, dimostrando la divinazione fosse integrata profondamente nella vita quotidiana (Parke, 1967).
La necromanzia, altra forma di predizione praticata nel mondo antico, prevedeva la comunicazione con i morti per ottenere conoscenze del futuro, spesso coinvolgendo offerte animali come parte dei rituali per evocare le anime. Nel contesto greco-romano, queste azioni erano viste come un mezzo per placare e attirare i defunti. Le vittime scelte, come pecore o capre, erano utilizzate per garantire che le ombre dei morti fossero propizie e disposte a rivelare i loro segreti. I sacrifici erano anche osservati attentamente durante e dopo il rituale per interpretare segni e messaggi: la reazione dell’animale, il modo in cui il sangue scorreva, i movimenti degli insetti attratti dalle carcasse, potevano essere letti come indicazioni della volontà degli spiriti. Questo legame con la necromanzia sottolinea ulteriormente l’importanza degli esseri viventi come intermediari tra il mondo umano e quello soprannaturale, sia esso il regno degli dèi o quello dei defunti (Ogden, 2001).

8. Alla ricerca del passato: l’archeozoologia
L’archeozoologia si dedica allo studio dei resti animali rinvenuti nei siti archeologici. Questa branca della ricerca offre informazioni fondamentali su economia, dieta, pratiche culturali e ambiente delle società antiche, focalizzandosi sull’esame di ossa, denti, conchiglie e altri materiali organici per ricostruire le interazioni tra esseri umani e altre specie nel passato (Reitz e Wing, 1999). Tali studi rivelano pratiche di caccia, allevamento e utilizzo della fauna, contribuendo alla comprensione delle strategie di sussistenza delle popolazioni che ci hanno preceduti (De Grossi Mazzorin, 2008).
Gli archeozoologi impiegano diversi metodi di analisi, tra cui l’identificazione delle specie e il conteggio dei frammenti ossei, per individuare la frequenza di determinati animali. Questo permette di capire meglio quali fossero presenti in uno specifico sito e se maggiormente cacciati o allevati. Lo studio delle tecniche di macellazione esamina i segni di taglio sulle ossa e può fornire informazioni sulle pratiche di lavorazione delle carcasse e sull’utilizzo delle varie parti degli animali, indicando preferenze alimentari e aspetti culturali legati alla preparazione e al consumo del cibo (Reitz e Wing, 1999).
Un altro metodo essenziale è l’analisi isotopica stabile, che risulta particolarmente utile per studiare sia domestici che selvatici. Si basa sulla misurazione delle proporzioni tra gli isotopi stabili di alcuni elementi (come carbonio, ossigeno o azoto), varianti che hanno lo stesso numero di protoni di quell’elemento, ma differiscono per il numero di neutroni nel loro nucleo. L’accumulo di isotopi stabili nei tessuti di un organismo dipende dal tipo di cibo consumato e dall’ambiente in cui vive. Integrandosi in quelli ossei, forniscono una sorta di “firma chimica” che può essere esaminata per ricostruire la dieta e i movimenti degli animali nel tempo (Katzenberg, 2000).
L’analisi tafonomica viene utilizzata per comprendere meglio i processi di deposizione e conservazione dei resti animali, vagliando come si sono accumulati, alterati e preservati nel tempo (De Grossi Mazzorin, 2008). Ad esempio, lo studio delle ossa di mammiferi e uccelli provenienti dal sito archeologico di Lachish (Israele) ha permesso di comprendere meglio le pratiche agricole e le risorse alimentari della popolazione locale, rivelando la presenza di diverse specie di animali (Croft, 2004). Analogamente, lo studio dei resti di mammiferi da Çatalhöyük (Turchia) ha fornito dettagli significativi sulle interazioni tra gli abitanti e il loro ambiente circostante, mostrando un insieme di allevamento e caccia che suggerisce un’economia diversificata e flessibile (Russell & Martin, 2005).
I resti faunistici possono anche rivelare informazioni sulla tipologia di caccia utilizzata. Le tracce di macellazione e i modelli di frattura sulle ossa possono indicare l’uso di strumenti specifici per la lavorazione delle carcasse, fornendo indicazioni sul livello tecnologico delle comunità (Reitz & Wing, 1999). Inoltre, possono contribuire alla ricostruzione dei cambiamenti climatici e ambientali nel tempo. Le variazioni nella composizione delle specie faunistiche presenti in un sito possono indicare trasformazioni nell’ecosistema, come mutamenti della vegetazione, della disponibilità d’acqua o delle condizioni climatiche (De Grossi Mazzorin, 2008).
L’archeozoologia, quindi, non si limita allo studio degli animali in sé, ma estende le sue ricerche anche alla dieta umana, determinando quali venissero consumati e in quale quantità. L’analisi della frequenza dei resti può indicare le specie che erano più comunemente consumate e altre che invece erano riservate per scopi speciali. Questo studio consente agli archeozoologi di tracciare i cambiamenti nell’alimentazione, riflettendo variazioni ambientali, economiche, culturali o l’introduzione di nuove specie attraverso il commercio che potrebbe aver portato a modifiche nelle abitudini locali (Reitz & Wing, 1999).
Oltre alle informazioni economiche e ambientali, può contribuire alla comprensione della struttura sociale, delle gerarchie e delle dinamiche di genere all’interno delle società antiche, suggerendo anche se determinate attività fossero prevalentemente svolte da uomini o donne. La distribuzione differenziale dei resti animali in vari settori di un sito archeologico può invece indicare una stratificazione sociale basata sull’accesso a risorse alimentari specifiche oppure fornire indicazioni sulla divisione del lavoro all’interno delle comunità, mostrando come la macellazione e la lavorazione delle carcasse potessero essere attività specializzate affidate a determinati gruppi o individui (De Grossi Mazzorin, 2008).
L’archeozoologia rappresenta un campo di studio essenziale per comprendere il rapporto tra l’uomo e l’ambiente nel passato. Le ricerche continuano a espandere le nostre conoscenze, offrendo nuove prospettive sulla vita dei nostri antenati e sulle loro interazioni con il mondo naturale. Le scoperte non solo arricchiscono la nostra comprensione storica, ma contribuiscono anche a preservare il patrimonio culturale e a promuovere una maggiore consapevolezza della complessità delle interazioni uomo-animale nel corso del tempo. Questo campo interdisciplinare continuerà a evolversi, integrando nuove tecnologie e metodi per esplorare il passato in modo sempre più approfondito e significativo.

9. Conclusioni
L’analisi dei legami ancestrali tra l’uomo e il regno animale, esaminata attraverso le diverse prospettive archeologiche, rivela una relazione complessa e sfaccettata che ha influenzato profondamente lo sviluppo culturale e sociale dell’umanità.
Le prime evidenze della caccia indicano che le interazioni iniziali erano essenzialmente utilitaristiche, mirate alla sopravvivenza. Tuttavia, la scoperta delle pitture rupestri dimostra che, già in epoche remote, iniziavano a occupare un ruolo significativo nell’immaginario umano, venendo rappresentati in contesti simbolici e rituali. Questi reperti artistici suggeriscono una dimensione spirituale nel rapporto tra le specie, che va oltre il semplice bisogno materiale. Il successivo emergere del culto degli animali rappresenta una svolta fondamentale, introducendo una dimensione religiosa in cui essi assumono significati sacri e cosmologici. Questi culti riflettono non solo una venerazione, ma anche il riconoscimento del loro ruolo nell’equilibrio delle comunità preistoriche, sottolineando l’importanza di tali esseri nel sostenere e proteggere le società umane antiche.
La Rivoluzione Neolitica segna una trasformazione epocale con l’inizio dell’addomesticamento, che non solo modifica l’economia, ma cambia radicalmente anche le dinamiche e le relazioni tra uomo e animale. Il passaggio dalla caccia all’allevamento indica l’inizio di una coesistenza più stretta e interdipendente, evidenziando un cambiamento nella percezione e nel trattamento degli animali. Questa nuova relazione implica una maggiore gestione e cura, con gli animali che diventano parte integrante della vita quotidiana e delle strutture sociali.
Durante l’Età dei Metalli, l’importanza simbolica si riflette nei contesti funerari, dove diventano elementi centrali nelle pratiche rituali e nei simbolismi legati alla morte e all’aldilà. Non sono più solo risorse o soggetti di culto, ma anche compagni nel viaggio dell’anima, suggerendo un legame profondo che persiste oltre la vita terrena. Le sepolture indicano una credenza in una connessione spirituale tra esseri umani e animali, sottolineando il loro ruolo nell’ideologia e nelle pratiche rituali delle comunità antiche. Nel campo delle arti divinatorie, fungono da intermediari tra l’umano e il divino, utilizzati per presagi e profezie che guidano le decisioni delle comunità. Questo ruolo rinforza l’idea di un legame multifunzionale che va oltre il mero utilizzo pratico, evidenziando una comprensione complessa delle relazioni uomo-animale, in cui sono visti come possessori di saggezza e poteri trascendenti.
L’archeozoologia, in ultima analisi, consente di ricostruire e comprendere in modo dettagliato le queste interazioni, fornendo evidenze concrete di come questi ultimi abbiano influenzato le strutture sociali, economiche e spirituali delle antiche civiltà. Questa disciplina offre strumenti indispensabili per interpretare i resti e il loro contesto, contribuendo a una visione più completa e articolata del passato umano.
In conclusione, è un tema di fondamentale importanza che attraversa l’intera storia dell’umanità, riflettendo la complessità delle relazioni tra uomo e natura. Queste riflessioni archeologiche non solo illuminano il nostro passato, ma forniscono anche preziose lezioni per il presente e il futuro, invitandoci a riconoscere e rispettare il ruolo cruciale che gli animali continuano a svolgere nella nostra vita e incoraggiandoci a considerare con maggiore attenzione e rispetto le nostre azioni.

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10. Volker Heyd, L’Europa nell’età del Rame: la ‘calcolitizzazione’ di un continente, in L’età del Rame. La pianura padana e le Alpi al tempo di Ötzi, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, 2013, pp. 23-38

Presagi e profezie: animali nelle arti divinatorie
1. Bruce MacBain, Prodigies and Prodigy: A Study in Religion and Politics in Republican Rome, Cornell University Press, Ithaca,1982
2. Daniel Ogden, Greek and Roman Necromancy, Princeton University Press, Princeton 2001
3. H. W. Parke, Greek Oracles, Hutchinson University Library, London, 1967
4. Jerzy Linderski, Roman Questions: Selected Papers, Franz Steiner Verlag Wiesbaden gmbh, Wiesbaden, 1986
5. Larissa Bonfante, Etruscan Life and Afterlife: A Handbook of Etruscan Studies, Wayne State University Press, Detroit,1986
6. Mary Beard, John North, Simon Price, Religions of Rome: Volume 1, A History, Cambridge University Press, Cambridge, 1998
7. Massimo Pallottino, Etruscologia, Hoepli, Milano, 1984 [1947 prima edizione]
8. Sarah Iles Johnston, Ancient Greek Divination, Wiley-Blackwell, Chichester, 2008
9. Turfa J. MacIntosh, Divining the Etruscan World: The Brontoscopic Calendar and Religious Practice, Cambridge University Press, Cambridge, 2012

Alla ricerca del passato: l’archeozoologia
1. Jacopo De Grossi Mazzorin, Archeozoologia. Lo studio dei resti animali in Archeologia, Laterza, Roma-Bari, 2008
2. Elizabeth J. Reitz, Elizabeth S. Wing, Zooarchaeology, Cambridge University Press, Cambridge, 1999
3. M. Anne Katzenberg, Stable Isotope Analysis: A Tool for Studying Past Diets, Demography, and Life History, in M. A. Katzenberg and S. R. Saunders, Biological Anthropology of the Human Skeleton. New York: Wiley-Liss, New York, 2000, pp. 413-441
4. Paul Croft, The osteological remains (mammalian and avian), in The Renewed Archaeological Excavation at Lachish (1973-1994), 5, 2004, pp. 2254-2348
5. Nerissa Russell, Louise Martin, The Çatalhöyük mammal remains, in Ian Hodder (ed.), Inhabiting Çatalhöyük: Reports from the 1995-1999 Seasons, McDonald Institute for Archaeological Research / British Institute of Archaeology at Ankara Monograph, Cambridge, 2005 pp. 33-98.

Note

  1. Realizzati principalmente in pietra, prodotti tramite la lavorazione di rocce come selce, ossidiana o quarzo, per ottenere lame, punte di freccia, raschiatoi o altri utensili indispensabili per le diverse necessità quotidiane. La lavorazione richiedeva abilità e conoscenze specifiche e rappresentava un importante sviluppo tecnologico nelle società preistoriche.
  2. L’esemplare più celebre di questa specie è noto come Lucy, uno dei fossili più studiati nella paleoantropologia. Ha offerto informazioni cruciali sull’anatomia e il comportamento degli antenati umani, soprattutto ha fornito prove tangibili delle prime fasi della nostra evoluzione e della transizione verso la bipedalità.
  3. La datazione minima rappresenta l’età più bassa stimata per un materiale. Non significa che sia esattamente di quell’età, ma che non può essere più recente. La pittura rupestre menzionata ha almeno 45.500 anni, ma potrebbe essere anche più vecchia. Rappresenta, dunque, una sorta di “limite inferiore” dell’età del reperto.
  4. Il cinghiale dalle verruche di Celebes è un suide selvatico diffuso in Indonesia. Il suo areale originario comprendeva solamente Sulawesi e alcune piccole isole circostanti. Attualmente è classificato dalla IUCN come specie prossima alla minaccia (Near Threatened).
  5. Appartenenti al genere Homo, vissero prevalentemente in Europa e Asia occidentale. La loro comparsa risale a circa 400.000 anni fa, mentre la loro estinzione è datata intorno a 40.000 anni fa. Sebbene presentassero notevoli somiglianze con l’Homo sapiens, con cui condividevano un antenato comune, possedevano caratteristiche morfologiche distintive, tra cui una corporatura robusta e un cranio di maggiori dimensioni.
  6. Il Paleolitico viene suddividono in diverse epoche, caratterizzate da specifici sviluppi culturali e tecnologici. Il Paleolitico inferiore si estende approssimativamente da 3,3 milioni di anni fa fino a circa 300.000 anni fa, periodo durante il quale si assiste all’emergere degli strumenti in pietra e dei primi rappresentanti del genere Homo. Il Paleolitico medio, datato all’incirca tra 300.000 e 40.000 anni fa, vede l’affermazione di tecnologie più sofisticate (come quelle associate ai Neanderthal) e lo sviluppo di pratiche culturali più complesse, inclusi i primi esempi di comportamento simbolico e artistico. Infine, il Paleolitico superiore, che si estende tra 40.000 e 10.000 anni fa, è caratterizzato dallo sviluppo di tecnologie avanzate come l’arte rupestre e una maggiore complessità sociale e culturale.
  7. Göbekli Tepe è stato riconosciuto come un sito archeologicamente significativo già nel 1963, ma è stato solo nel 1994 che sono iniziati gli scavi sistematici sotto la direzione dell’archeologo tedesco Klaus Schmidt. Le ricerche condotte da hanno rivelato la sua straordinaria importanza, portando alla luce strutture monumentali e manufatti che hanno radicalmente trasformato la nostra comprensione delle prime società umane e delle loro capacità architettoniche e sociali.
  8. Un periodo di transizione tra il Paleolitico superiore e il Neolitico, caratterizzato da cambiamenti significativi nelle pratiche culturali e nell’organizzazione sociale delle popolazioni umane. Si estende approssimativamente tra 12.800 e 7.800 anni fa. Rappresenta una fase verso modelli di vita più sedentari e l’inizio della domesticazione delle piante e degli animali, preludio alla comparsa delle prime società agricole nel Neolitico.
  9. Le date esatte (come anche per l’Età del Bronzo e del Ferro) possono variare notevolmente a seconda della regione. La cronologia generalmente è basata sull’evoluzione tecnologica in Europa e nel Vicino Oriente.
  10. Composta principalmente da rame e stagno, con una percentuale di quest’ultimo che solitamente varia tra il 5% e il 20%. È noto per la sua resistenza alla corrosione, la durezza e la capacità di essere facilmente lavorato.
  11. A circa 15 chilometri a nord-ovest di Roma, fu fondata nel IX secolo a.C., una delle più potenti città etrusche, fino alla conquista da parte dei Romani avvenuta nel 396 a.C. Oggi, le rovine si trovano vicino all’attuale località di Isola Farnese.
  12. Prodotte tra il V e il IV secolo a.C. ad Atene, sono famose per la loro qualità artistica e tecnica. Spesso raffigurano scene mitologiche, storiche e di vita quotidiana, caratterizzate da uno stile raffinato e dettagliato.

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