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La portalettere di Lizzanello: dalla letteratura alla storia. “Francesca Giannone, ‘La portalettere’, Milano, Nord, 2023”
di , numero 57, giugno 2024, Letture e Recensioni, DOI

La portalettere di Lizzanello: dalla letteratura alla storia. “Francesca Giannone, ‘La portalettere’, Milano, Nord, 2023”
Come citare questo articolo:
Giorgio Pedrocco, La portalettere di Lizzanello: dalla letteratura alla storia. “Francesca Giannone, ‘La portalettere’, Milano, Nord, 2023”, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 29, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11518



Questo che state per leggere è l’ultimo scritto di Giorgio Pedrocco. Giorgio ci ha lasciati a novembre del 2023. E’ stata una particolare figura di studioso che ha abbinato le competenze di storico e di chimico. Ha insegnato per trent’anni Storia delle innovazioni tecnologiche all’Università di Bologna. Tra i suoi primi lavori, tuttora di grande interesse, Fascismo e nuove tecnologie: l’organizzazione industriale da Giolitti a Mussolini, un filone poi sviluppato a metà degli anni Novanta indagando il rapporto tra industria e autarchia. Sul tema delle innovazioni, si è occupato di viticoltura dal XIX° al XX° secolo. Importanti sono i lavori sul distretto bresciano dell’industria del tondino, che indaga mezzo secolo di storia siderurgica, e il saggio sulle conservazione dei cibi nel tredicesimo annale Einaudi. La redazione di “Bibliomanie” lo ricorda con affetto.

1. Il successo di un romanzo d’esordio
Dall’inizio del 2023 l’opera prima della giovane scrittrice Francesca Giannone, – La portalettere1-, ha occupato saldamente le posizioni di testa nella classifica delle vendite per la narrativa italiana2.
Un’intera pagina pubblicitaria, apparsa sul “Corriere della Sera ” del 5 marzo 2023, non esitava ad affermare che La portalettere non solo aveva conquistato ottime recensioni sui media e calda accoglienza tra i librai ma aveva anche avviato un vivace passaparola tra i lettori che segnalavano il romanzo nel loro entourage con un diffuso tam tam sotterraneo. L’alto e il basso del mercato editoriale nazionale si erano sinergicamente incontrati, determinando un relativo boom di vendite. Un notevole successo per un’opera prima di una scrittrice, che alla fine del 2022 era quasi sconosciuta.
A metà luglio poi il romanzo si è aggiudicato il Premio Bancarella. Quest’importante affermazione ha ridato un nuovo impulso alle vendite3.
Francesca Giannone per scrivere questo testo a metà strada tra la fantasia della fiction e la realtà di una vera biografia, ha svolto un’indagine tra i familiari e i conoscenti superstiti ricostruendo le vicende della sua bisnonna, Anna Allavena, che per tutta la vita aveva distribuito la corrispondenza nel piccolo centro salentino di Lizzanello in provincia di Lecce.
Chi era Anna Allavena, la protagonista del romanzo di Francesca Giannone?
Era una giovane donna originaria dell’estremo ponente della Riviera ligure tra Sanremo e Ventimiglia. Lì Anna, alla fine degli anni Venti del Novecento svolgeva il lavoro di maestra nella scuola elementare, e sempre lì si era incontrata e sposata col salentino Carlo Greco, trasferitosi in Liguria per lavoro. Nel 1934 si era spostata, rinunciando al lavoro scolastico, al seguito del marito dalla Riviera ligure a Lizzanello, il paese d’origine del consorte, posto immediatamente a sud di Lecce nella penisola salentina. La coppia si era lasciata alle spalle vicende non tutte particolarmente felici. C’era con loro il figlioletto Roberto ma anche la memoria di una neonata che non era sopravissuta al parto.
Il marito, Carlo Greco, era un giovane intraprendente dotato di una forte vocazione imprenditoriale. Spostatosi in Italia settentrionale per lavoro era tornato al paese natale per mettere a frutto un’importante eredità familiare di terreni agricoli, che voleva valorizzare, impiantandovi un vigneto. A questo intendeva collegare una moderna cantina per produrre del vino imbottigliato di gran pregio, lo avrebbe chiamato Donna Anna, in onore della moglie. Nel perseguire questa scelta Carlo seguiva le orme del fratello più anziano, Antonio, che gestiva un oleificio. Si trattava di un’altra industria agricola che era basata sulla presenza diffusa d’ulivi non solo nel territorio di Lizzanello ma anche in tutto il Salento.

Finestra
L’economia salentina tra Otto e Novecento

Vigneti ed uliveti sono stati i due importanti pilastri dell’economia salentina. A Lizzanello nella seconda metà del XIX secolo ben 1985 ettari, il 70% del territorio agricolo, erano occupati dagli oliveti, mentre i vigneti ne coprivano solo il 3,2 %, pari a 91 ettari. Nello stesso periodo a Lizzanello era già presente la coltivazione del tabacco: tra il 1871 e il 1875 vennero prodotti 2.339 q.li di foglia per un valore complessivo di 101.461 lire4.
Diversamente dal resto del Salento a Lizzanello erano meno importanti sia la viticoltura così come l’enologia, confinate nel XIX secolo in un ristretto ambito di pochi ettari. Nel Salento invece, già nel XIX secolo, si confezionava una consistente quantità di vino cosiddetto “da taglio”. Si trattava di un prodotto “robusto” che per le sue caratteristiche alcoliche, aromatiche e zuccherine non era indirizzato verso il consumo ma veniva, e viene tuttora, miscelato con un vino di gradazione inferiore per migliorarne le qualità organolettiche (sapore, colore, profumo) e ovviamente anche la gradazione5.
Molte note aziende vinicole del centro-nord italiano nella prima metà del Novecento avevano aperto nel Salento delle filiali, per garantire alle proprie aziende un flusso importante di quest’indispensabile prodotto.

“Tra le tante [filiali] vale la pena di ricordare quelle della Martini, della Lomazzi e della Montanelli ubicate a Novoli. A Galatina troviamo quelle della Folonari, della Stasi e della Mongiò; a Gallipoli quelle della Brunetti e della Boari. A Squinzano, che divenne uno dei centri più importanti della provincia per gli insediamenti industriali, quelli della Macchi e della Caracciolo. Quest’ultima vantava l’installazione della prima pigiatrice Garolla in Puglia. Sempre a Squinzano da parte dei Folonari era stato impiantato il più grande stabilimento vinicolo della provincia, capace di produrre 160.000 ettolitri di vino” (Ragosta, p. 47).

A queste iniziative, promosse da imprese vinicole extraregionali, s’affiancarono importanti interventi d’imprenditori leccesi: nobili e ricchi proprietari terrieri. Questi appartenevano alla parte finanziariamente più solida di quella società. Essi cercarono di trarre un profitto maggiore dalle qualità delle uve salentine.

“A Salice Salentino vennero realizzati i moderni stabilimenti dei De Castris e dei Valletta; a Copertino quelli dei Venturi e dei Del Prete; a Squinzano quelli dei Sansonetti e dei Bianco; a Trepuzzi quelli dei Guerrieri e dei Metrangolo; ad Alezio quelli dei Cataldi e dei Coppola; quelli degli Zuccari e dei Donno. Sorsero anche alcuni stabilimenti per la distillazione. Tra questi va ricordato quello della ditta De Giorgi a San Cesario” (Ragosta, p. 47).

L’affermarsi di un fatto complessivamente positivo ma che inchiodava la produzione salentina ad un ruolo sussidiario e meno redditizio nelle filiere vinicole.
Il pregio dell’iniziativa di Carlo Greco negli anni ’30, così come la descrive Francesca Giannone nel romanzo, è stato quella di uscire dalla logica di un sottoprodotto per arrivare a confezionare il prodotto finito, il vino imbottigliato pronto per la vendita e per il consumo e quindi realizzare grazie al controllo dell’intero ciclo maggiori ricavi ed utili interessanti.
Carlo, forte dei consigli di un esperto possidente locale, aveva così realizzato nella seconda metà degli anni Trenta i suoi progetti, fondando un’importante azienda vinicola. Già negli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale gli affari procedevano al meglio. La bottiglia di Donna Anna si presentava sul mercato con le attraenti caratteristiche organolettiche di un vino dolce e liquoroso.

“[Il vino] era di un [color] rosa trasparente, fine e signorile. [Aveva] il profumo fruttato delle ciliegie e delle fragoline di bosco” (Giannone, p. 158).

Già alla vigilia del Natale 1938 nella cantina di Carlo si festeggiava il decollo delle bottiglie di Donna Anna. I Greco si erano messi in gran gala per l’occasione.

“Quando ci furono tutti, Carlo stappò una bottiglia di Donna Anna e riempì i bicchieri e, chi seduto sul divano, chi accanto al caminetto, chi in piedi, levarono i calici al Natale del 1938″ (Giannone, pp. 158-159).

2. Da maestra a postina
L’unico problema per Carlo era stato in quegli anni passati a Lizzanello il carattere indipendente della moglie. Le tensioni erano frequenti, ma alla fine la reciproca passione finiva per tenere la coppia ancor più saldamente unita.
Anna era, a metà degli anni Trenta, troppo colta e laica per Lizzanello un paese immerso nei pregiudizi dell’arretrata campagna salentina. Non nascondeva il suo atteggiamento di “non credente”, mentre faticava a mimetizzare le sue convinzioni antifasciste che rimanevano per sicurezza inevitabilmente sotto traccia.
La donna, che alimentava antichi pregiudizi e critiche feroci nell’opinione pubblica di Lizzanello, però, già ad un anno dal suo arrivo, aveva vinto nel locale Ufficio Postale un concorso per ricoprire l’incarico di portalettere. I suoi titoli, insieme soprattutto ad una caparbia determinazione, avevano sconfitto sia la corale disapprovazione del clan famigliare del marito sia di una parte dei suoi futuri colleghi sia ovviamente anche dell’opinione pubblica locale. Tutti consideravano quel lavoro come prettamente maschile e non riuscivano ad accettare l’idea che fosse stato affidato ad una donna.
Anna riuscì, proprio grazie a tutte le chanches che quel lavoro allora offriva, a ribaltare la situazione. Divenne una vera e propria mediatrice culturale. Là dove c’erano anafalbetismi endogeni, striscianti, di ritorno… la postina si adoperava con forte impegno per rendere la corrispondenza fruibile al meglio.

“Le lettere, – questi piccoli romanzi che arrivavano dentro le case-, diventavano uno dei suoi mondi, insieme alle storie delle persone che le ricevevano e le inviavano, magari grazie a lei, se analfabeti. Il mondo di Anna si scollava sempre di più per diventare tanti mondi altri, e intanto Francesca Giannone ha lasciato piccoli ritratti che rendevano la portalettere un personaggio indelebile: una che al mattino per riscaldarsi beveva al bar un caffè corretto con la grappa come i maschi, che indossava i pantaloni e preparava il pesto che la cognata buttava via, perché non era roba del sud, non era un cibo conosciuto (…)”6.

Anna, dunque, leggeva le lettere agli analfabeti, scriveva risposte per chi che non era in grado di farlo! Dava così una scossa alla vita sonnolenta di Lizzanello, costringendo quel mondo arretrato ad accettare non solo la sua presenza ma anche la sua autorevolezza.

“Finalmente come portalettere cominciava ad essere accolta e rispettata, mentre il suo atteggiamento schietto ed anticonformista riusciva ad infondere una timida consapevolezza civile nei paesani. Per vent’anni, prima a piedi e poi in bicicletta, consegnò la posta entrando nell’intimità delle persone, recapitando le lettere dei ragazzi al fronte, le cartoline degli emigranti, i messaggi in codice che si scambiavano gli amanti”7.

La donna nel consegnare la posta non aveva esitato, dunque, a riprendere in mano la sua vocazione al magistero. Voleva risollevare dall’atavica ignoranza e dalla conseguente inferiorità quei ceti sociali, rassegnati ad essere da sempre collocati in una posizione subalterna nella società civile. Anna aveva, dunque, aggiunto delle “cose” agli aspetti “istituzionali” del suo lavoro. Tutto questo di più doveva servire nelle sue speranze a riscattare in qualche modo, soprattutto, il mondo degli ultimi.
Gli abbondanti spazi delle 416 pagine del romanzo, – che si sviluppano lungo un impegnativo arco di quasi vent’anni dal giugno 1934 al marzo 1952-, raccontano i difficili tempi, per Lizzanello e per l’Italia, che precedono e seguono la Seconda Guerra Mondiale.
Attorno alla biografia della bisnonna, che Francesca Giannone ha cercato di ricostruire, c’è la ragnatela delle storie personali degli altri congiunti. Queste storie solo a volte riescono a sforare il cerchio delle due famiglie aggregate dei fratelli Greco. Il paese di Lizzanello e i suoi abitanti rimangono nel procedere del romanzo solo delle sagome di una muta scenografia, salvo animarsi di un’intensa luce propria quando i membri, originari ed acquisiti, della famiglia Greco si connettono con loro. Un testo, quindi, molto intenso e coinvolgente per le storie personali non solo dei fratelli Greco ma anche dei loro più stretti congiunti e un po’ meno per l’insieme della società locale. Francesca Giannone ne ha raccontato le brevi storie, approfondendo la psicologia dei personaggi “che interagivano con la protagonista, offrendo la fotografia di una società ancorata a principi e pregiudizi difficilissimi da scalfire”8.
Ci sono delle novità nell’immagine del Salento raccontata da Francesca Giannone. Innanzi tutto, vista l’agiatezza dei protagonisti, spariscono quasi dappertutto gli scenari di una povertà disperata e insostenibile, che hanno caratterizzato gli ormai “storici” racconti di Rina Durante9, così come i rapidi flash salentini degli anni Cinquanta, scattati da Anna Maria Ortese10 e da Guido Piovene11 in alcuni centri del basso Salento.
Nel romanzo della Giannone non c’è la povertà economica propria della narrativa neorealistica del secondo dopoguerra ma soprattutto quella “culturale” alla quale, come si è detto, Anna cerca quotidianamente di mettere un riparo.
Va detto anche che nel suo romanzo emergono “scorie” del melò popolare in voga negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale a partire dal film I figli di nessuno e da altre opere cinematografiche di “materazziana” memoria: attorno ad una paternità celata, – grazie ad un matrimonio affrettato-, si sviluppa una passione, importante negli spazi narrativi del romanzo, tra i due giovanissimi ed ignari cugini “in prima” Lorenza e Daniele. Lorenza vive una passione rabbiosa ed incontrollabile, mentre Daniele è invece tutto proteso a sviluppare le sue vocazioni sartoriali. Egli sembra subire più che governare gli errori e le passioni che lo stavano assediando.

3. La Seconda Guerra Mondiale: bombardamenti, sfollamento, inflazione, fame…
Le partizioni temporali, seguite da Francesca Giannone nel romanzo, escludono inspiegabilmente nella narrazione il periodo tra il gennaio del 1939 e il marzo del 1945. La narrazione salta tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale. Oscurare gli anni del più spaventoso e complicato scontro, – non solo militare ma anche politico e sociale-, del Novecento ha costituito indubbiamente un ostacolo non indifferente per comprendere sia le radicali trasformazioni sia i clamorosi ribaltamenti avvenuti a livello mondiale, nazionale e anche locale.
Quella guerra tra dittatura e democrazia, – così decisiva nello stabilire le future sorti istituzionali ed economiche dell’intera umanità-, non doveva, a mio parere, essere ristretta in poche pagine, quando nell’aprile del 1945 Francesca Giannone riprende il racconto biografico de La portalettere. Oscurando la Seconda Guerra Mondiale, inoltre, si è persa l’occasione d’introdurre nel racconto importanti connessioni tra le microstorie dei personaggi del romanzo e la macrostoria di quel conflitto.
In questi ultimi settant’anni la ricerca storica ha, infatti, documentato come l’onda lunga dell’antifascismo di massa in Italia si sia palesata, durante la Seconda Guerra Mondiale, non solo per una propensione democratica di una parte della popolazione ma soprattutto in seguito alle condizioni di vita determinate da quella guerra. Bombardamenti, sfollamenti, inflazione della lira e fame sono stati delle “costanti” nella quotidianità del popolo italiano tra il 1940 e il 1945, diventando dei fattori decisivi per smontare irrimediabilmente il mito del fascismo in Italia nel comune sentire dell’opinione pubblica. Un brusco risveglio, secondo l’opinione della maggior parte degli storici, dopo gli anni del generale consenso conseguito dal regime fascista nel corso degli anni Trenta.

“(…) l’importanza della qualità dell’esistenza quotidiana degli Italiani in questi anni di guerra è diventata fondamentale per capire quando, come e perché si sia arrivati ad una disgregazione irreversibile delle basi di massa del [consenso al] fascismo. Sono in molti a mettere l’accento sulla questione alimentare come la vera e propria miccia, che ha determinato una svolta decisiva negli umori della popolazione. Quanto più si deteriorava il livello di vita della gente, tanto maggiore si faceva l’insofferenza e lo scontento, e più vistosi i segnali di pericolo per il sistema politico, guardato ormai con una sfiducia dilagante sul punto di convertirsi in ostilità aperta”12.

Lo sfollamento dalle città in seguito alla fame ed ai bombardamenti dei centri urbani fu un fenomeno clamoroso, proprio della Seconda Guerra Mondiale. I bombardamenti delle retrovie con il coinvolgimento dei civili erano in precedenza avvenimenti quasi sconosciuti. Essi produssero sostanzialmente un clamoroso ribaltamento dei rapporti tra città e campagna. Il mondo rurale da secoli subalterno alla società urbana si prendeva una spietata rivincita sui cittadini. La popolazione urbana italiana, – in breve tempo anche per l’imprevidenza e l’incapacità delle istituzioni fasciste-, si era ritrovata a far fronte oltre che ai pericoli mortali delle continue incursioni aeree alla scarsità delle risorse alimentari “fondamentali”13. Già nel 1941 lo spettro della fame cominciò a serpeggiare tra la parte più debole della popolazione urbana, che, complice un’inflazione costante, vedeva letteralmente sparire la sua capacità di sopravvivenza.

4. Lizzanello nella Seconda Guerra Mondiale
Le cose cambiarono, dunque, quando il 10 giugno 1940 Benito Mussolini aveva deciso di partecipare alla Seconda Guerra Mondiale a fianco della Germania nazista, anche se nel Salento le conseguenze di quella sciagurata decisione non furono così pesanti come nel resto d’Italia. Certo Lizzanello, – al pari della penisola salentina e della stessa città di Lecce-, non aveva sofferto le pesanti e martellanti incursioni aeree, della Royal Air Force inglese prima e alla quale si era aggiunta poi l’Army Air Force statunitense. La posizione geografica periferica del Salento risparmiò, salvo alcune eccezioni14, ai paesi di quel territorio non solo gli incubi dei bombardamenti aerei, ma anche i disastri tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 del “passaggio del fronte”, durante la cruenta Campagna d’Italia.
Ben diversa sorte era toccata invece ai vicini porti di Taranto e di Brindisi!
Il porto militare di Taranto già nella notte tra l’undici e il dodici novembre del 1940 fu colpito da un blitz aereo e navale inglese, che danneggiò pesantemente la flotta della Marina militare, le strutture portuali, l’Arsenale, i cantieri navali…15.
Successivamente i porti di Taranto e Brindisi furono colpiti da altri bombardamenti aerei che non risparmiarono i contigui quartieri urbani, causando distruzioni e pesanti perdite tra la popolazione civile. Iniziò così l’esperienza dello sfollamento, coinvolgendo anche i piccoli centri del Salento, diventati un più sicuro rifugio per le popolazioni cittadine, perché risparmiati dalle incursioni aeree alleate prima e da quelle tedesche dopo l’otto settembre 1943.
Il racconto della Giannone inevitabilmente non può evitare le conseguenze di quella guerra, ma a mio parere si tratta di riferimenti chiaramente insufficienti. Si è cercato qui di riportarli per mostrare oltre alla loro esiguità anche la frammentata episodicità dell’emergere di quel conflitto.
Lizzanello ovviamente visse il richiamo alle armi e l’invio al fronte di un certo numero di giovani. Alcuni non tornarono, lasciando i famigliari nella più nera miseria! Esemplare il caso, riportato nel romanzo, di Melina “una vedova di guerra dal corpo esile, quasi infantile, con sopracciglia folte e ricci nerissimi. Rimasta sola e senza una lira si era messa a fare il mestiere” (Giannone, p. 198).
Anche Lorenza, – la giovanissima nipote della portalettere-, aveva perso, il 2 luglio 1943, il suo amore adolescenziale, il compagno di classe Giacomo, a causa di una bomba sganciata, da un aereo alleato a Salice Salentino, – un paese nei dintorni di Lecce, non lontano da Lizzanello-, dove il ragazzo si era recato con tutta la famiglia per trovare i nonni in occasione della festa della Madonna della Visitazione.

“Quel giorno, proprio quando era in corso la festa, un bombardiere americano B-24 aveva sganciato un ordigno a due passi dalla casa dei nonni di Giacomo, una masseria in aperta campagna in cui stava pranzando tutta la famiglia. Era stato però un caso del tutto isolato16. L’unica a salvarsi era stata la madre di Giacomo, la moglie di Michele il fruttarolo, che di quella mattinata avrebbe raccontato soltanto il fragore devastante, e le bestie della fiera che, fuori controllo, fuggivano in preda al panico, calpestando e travolgendo cose e persone” (Giannone, p. 176).

Nei primi giorni di settembre del 1943 si concluse a Brindisi la “fuga ingloriosa”17 del Re Vittorio Emanuele III e di Badoglio, mentre contemporaneamente arrivarono in città le truppe americane, che occuparono senza combattere quei territori, profittando della rinuncia della Wehrmacht alla difesa di quell’estremo lembo delle Puglie meridionali.
Carlo Greco si premurò, in quei giorni, di inviare a Brindisi, non alla Casa Savoia ma al Comando Americano una cassa di Donna Anna, convinto che il suo vino sarebbe stato apprezzato. Il risultato di questo blitz promozionale non si fece attendere!

“Qualche tempo dopo, una jeep con tre militari a bordo si era presentata alla Cantina. Uno degli ufficiali gli aveva stretto la mano e si era presentato come commissario per gli approvvigionamenti dell’esercito americano. In un italiano incerto, lo aveva ringraziato per il gentile omaggio, che aveva ricevuto e bevuto con estremo piacere; e adesso era venuto fin lì per conoscere l’uomo che produceva quel vino straordiario, rosa e brillante, che profumava di cherry e blueberry. (…). Alla fine del giro, l’ufficiale aveva ordinato una grossa fornitura di Donna Anna per le truppe americane. Lo sapevo! Aveva esclamato Carlo, non appena la jeep si era allontanata” (Giannone, p. 172).

La Cantina aveva trovato dei nuovi clienti, che in futuro, a guerra finita, avrebbero allargato l’orizzonte dell’azienda sino a New York.
Infine la Seconda Guerra Mondiale riappare in tutta la sua violenza quando Francesca Giannone, – per pilotare il rientro in Salento di Don Giulio, un prete senza scrupoli, l’unico personaggio particolarmente ributtante del romanzo-, ha richiamato aspetti penosi ed oscuri della guerra di Liberazione in Italia, ricordando le uccisioni di sacerdoti, da parte dei partigiani, avvenute durante e subito dopo la conclusione della guerra18.

“(…) nel ’4319 Don Giulio era scappato dall’Emilia e si era rifugiato al Sud. (…) L’aria dalle sue parti si era fatta soffocante: i partigiani avevano cominciato a prendere di mira i sacerdoti, specialmente nella zona tra Bologna, Modena e Reggio Emilia, e in tanti erano stati uccisi. Si era presentato [a Contrada La Pietra, una frazione di Lizzanello] alla porta di Giovanna vestito con un abito laico, con una sacca logora sulla spalla, Aiutami, l’aveva supplicata. Tienimi qui con te. Lei gli aveva spalancato la porta di casa e, per qualche settimana, Giulio vi si era rintanato. Ci era rimasto finché non aveva trovato un posto vacante da vice parroco a Vernole, il paese di origine dei suoi genitori, distante una quindicina di chilometri da Lizzanello. (…) E però ogni pomeriggio, dopo l’ultima messa, montava sulla bici e per chilometri percorreva le vie discrete dei campi per raggiungere Contrada La Pietra” (Giannone, p. 184).

Questo ritorno aveva significato la rovina della donna, perché il sacerdote continuava a tenerla in uno stato di totale soggezione.
Era un palese caso di plagio!
A guerra conclusa, presumibilmente nel 1945, Anna per salvare Giovanna ebbe il coraggio di affrontare questa situazione e di risolverla liberando definitivamente la povera donna. Decise, infatti, in accordo col marito di ospitarla nella loro casa. Il prete cercò di riportare Giovanna alla sua soggezione assediando l’abitazione, ma grazie alla fermezza della coppia Don Giulio dovette rassegnarsi a rinunciare alla sua “concubina”.

5. Nel Salento il dopoguerra comincia nell’autunno del 1943…
A proposito poi dell’inflazione, essa era inizialmente alimentata dal mercato nero che era presente un po’ dappertutto, ma soprattutto nel Regno del Sud, dove costituiva l’unico mercato realmente esistente20.
In quel territorio che si stava allargando man mano che gli Alleati avanzavano verso nord in seguito all’emissione di valuta, le am-lire che stavano stampando secondo le clausole dell’armistizio, l’inflazione galoppava21.

“Le amlire hanno costituito l’espressione tangibile della sconfitta. Le hanno stampate gli Alleati e sono state la moneta di occupazione con cui essi hanno spogliato il poco rimasto della ricchezza del sud, pagandolo con denaro privo di valore”22.

Se Carlo Greco riuscì a vendere le bottiglie di Donna Anna agli yankee, traendone lucrosi guadagni, il resto della popolazione di Lizzanello tra il 1943 e il 1945 avendo meno cose da mettere in vendita dovette ingegnarsi per affrontare il vertiginoso aumento del costo della vita.
Questo tema drammatico è completamente assente nella narrazione e rappresenta come si è già detto un aspetto cruciale della storia italiana di quegli anni.
Quest’assenza riguarda non solo gli anni drammatici in cui l’Italia ha partecipato al conflitto mondiale, ma anche per una parte di quel “secondo dopoguerra”, che a Lizzanello, così come in tutto il Salento, era già cominciato dopo l’armistizio, tra il Regno d’Italia e gli Alleati, stipulato l’otto settembre 1943. Lizzanello faceva parte del primo nucleo del Regno del Sud, costituito dalle province di Taranto, Lecce, Brindisi e Bari23.

6. A Lizzanello un diverso secondo dopoguerra
A Lizzanello non c’era solo il problema degli sfollati e degli sbandati ma anche l’aumento del costo della vita a cui l’autarchia delle economia locale aiutava solo in parte.
L’aver escluso nella narrazione della biografia della protagonista il periodo tra il 1939 e il 1945 ha finito per far trascurare importanti aspetti della quotidianità di Lizzanello che in quegli doveva misurarsi, oltre che il problema della leva e della partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale, con la rarefazione dei beni alimentari, l’inflazione a due cifre del costo della vita e i problemi dello sfollamento. Tutti fatti che stavano cambiando e rafforzando sia il sentire non solo della protagonista ma anche del resto della popolazione.
Inoltre Lizzanello era posto contiguamente ai campi di raccolta di Lecce, Maglie e Galatina dove si stavano concentrando i militari sbandati dopo lo sfaldamento dell’esercito italiano in seguito all’armistizio dell’otto settembre.
Anche per questo periodo particolarmente importante per i cambiamenti che sarebbero successivamente intervenuti nella storia del nostro paese intravvediamo solo un fatto importante la raccolta delle firme per la concessione del voto alle donne che sarà la più importante novità, oltre al referendum istituzionale, delle elezioni del 2 giugno del 1946. Anna sembra essere l’unica che prenda un’iniziativa politica a Lizzanello prima delle elezioni del 2 giugno 1946.

7. Proteste e rivolte contro il richiamo alle armi del Regno del Sud
Il Governo Bonomi del Regno del Sud nell’ottobre del 1944, per completare gli organici dei militari da affiancare agli Alleati nella Campagna d’Italia, fece un bando per il richiamo alle armi alcune leve giovanili e chi era riuscito a ritornare a casa e si era considerato sciolto per sempre, dopo l’otto settembre 1943, da ogni obbligo militare. Gli effetti del fallimento della leva furono disastrosi per la tenuta e il prestigio di quell’amministrazione.

“[L’Amministrazione del Regno del Sud] non s’immaginava che l’operazione sarebbe finita per risolversi in un vero e proprio sciopero militare: con tumulti, scontri a fuoco, incendi di distretti militari e di municipi. Un rifiuto di obbedienza di massa che avrebbe provocato decine o addirittura secondo alcune fonti centinaia di migliaia di denunce ai Tribunali militari”24.

La rivolta ebbe il suo epicentro nella Sicilia orientale, a Catania dove nacque il Movimento dei Nonsiparte.

“A Catania i militari del Distretto aprirono il fuoco su un gruppo di studenti che innalzavano cartelli con uno scritto Non partiremo. Ne uccisero uno, provocando la reazione della folla che in poche ore invase e distrusse gli uffici delle esattorie delle imposte e la sede dell’Associazione Combattenti, bruciò automobili, rovesciò tram e incendiò il Municipio”25.

Trentasette erano stati i morti dichiarati ufficialmente per tutta l’isola in seguito ai conflitti con l’esercito, ma in realtà, secondo stime più realistiche, le vittime furono molte di più, circa un centinaio. La responsabilità era stata attribuita dal Governo provvisorio di Ivanoe Bonomi al Movimento Separatista Siciliano26.

“I moti si estesero in Sardegna, nelle Puglie, in Calabria, Campania, Lazio, Umbria: praticamente in tutte le regioni raggiunte dai bandi. Ebbero un andamento assai meno violento e spettacolare, ma, nella sostanza, raggiunsero lo stesso risultato che era quello di determinare uno sciopero di massa dei richiamati”27.

Queste scelte dei giovani e dei reduci, tornati fortunosamente a casa dopo l’otto settembre riguardarono anche la società di Lizzanello.

8. Firme per il voto alle donne
Anna negli anni della guerra era passata da un generico antifascismo ad un impegno politico più esplicito e diretto. Si stava collocando come simpatizzante nella sfera del partito comunista.
Anna, profittando degli spiragli di libertà concessi dagli Alleati, aveva anche aderito all’iniziativa dell’Unione Donne Italiane promossa nell’autunno del 1944, per l’estensione del voto alle donne. Si tratta dell’unico importante spiraglio che la Giannone ha aperto sugli accadimenti dell’effimero Regno del Sud.

“Nell’ottobre 1944, aveva letto sul giornale l’appello dell’Unione Donne Italiane, che a Roma aveva fondato il comitato pro voto in vista delle elezioni del 1946. E si era sentita subito euforica, desiderosa di fare qualcosa. Così aveva preso un fascio di fogli bianchi e, su uno di questi, aveva ricopiato, nella sua grafia tonda ed aggraziata, il testo della petizione che ll’UDI invitava a far firmare a tutte le donne in ogni comune d’Italia.
(…) La mattina successiva era una domenica e, mentre Carlo e Roberto ancora dormivano, lei era scesa nel salone, aveva preso il tavolino in legno accanto all’ingresso ed era uscita” (Giannone, pp. 178-179).


L’iniziativa aveva suscitato una gran curiosità. Il fatto che fosse stata promossa da una donna faceva evocare ad alcuni il mondo alla rovescia, ma Anna era andata avanti risoluta per la sua strada. Spiegava con calma e pazienza la necessità di dare il voto anche alle donne per conseguire una democrazia completa. Il ghiaccio si era rotto: uomini e donne cominciarono a firmare. L’iniziativa era diventata visibile. La forestiera aveva, ancora una volta, imposto il suo punto di vista.

9. Tra giugno e settembre 1946: le elezioni politiche ed amministrative
C’è, però, un passaggio rilevante che in qualche modo ci “risarcisce” il lettore della mancanza di notizie su Lizzanello negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale. Riguarda il periodo quasi immediatamente successivo, quando in Italia dopo la Liberazione nacque un sistema elettorale democratico compiuto con l’instaurarsi del suffragio universale maschile e femminile.
L’elezione del Sindaco a Lizzanello nel novembre 1946 vede Carlo Greco come primo protagonista. Nello stesso tempo racconta molto lucidamente la strategia seguita dalla Democrazia Cristiana per conseguire il più ampio consenso elettorale. Occorreva per quel partito oltrepassare i recinti cattolici del Partito Popolare di don Sturzo segnati dalle parrocchie e dalle organizzazioni confessionali, per allargarsi al più dinamico mondo dell’imprenditoria, traendo linfa dai diversi momenti di “modernizzazione” della società italiana28.
In questo caso Carlo Greco diventava per il nuovo partito cattolico un candidato ideale. Il profilo era perfetto! Era un imprenditore di successo, il fratello Antonio industriale oleario l’avrebbe sicuramente aiutato. La cantina di Carlo dopo aver rifornito l’armata americana e era poi riuscita ad arrivare a New York. Il successo dell’azienda aumentava il prestigio tra l’opinione pubblica locale. Infine, argomento decisivo con i suoi mezzi finanziari sarebbe stato in grado di sostenere una forte campagna elettorale.
Tutto era cominciato la storica domenica del 2 giugno 1946 al bar di Piazza Castello, il locale principale di Lizzanello, dove i fratelli Carlo e Antonio Greco erano stati avvicinati da due esponenti della Democrazia Cristiana leccese che proposero la candidatura di Carlo a Sindaco di Lizzanello per le prossime elezioni amministrative. Le rispettive mogli, Anna e Agata, arrivando dal seggio elettorale, interruppero l’abboccamento. I due ambasciatori si ritirarono con l’impegno di proseguire il discorso il giorno dopo.
Carlo molto lusingato della proposta non riuscì a trattenersi dal far sapere la cosa alla moglie. Questa, – che si era impegnata nell’Unione Donne Italiane per la conquista del voto alle donne-, simpatizzava per il partito comunista e quindi “s’incupì all’istante” nell’apprendere che il marito si sarebbe candidato alla carica di Sindaco per la Democrazia Cristiana. Nuovamente, come nel caso della scelta d’impiegarsi come portalettere, la rottura nella coppia era stata netta. Anna non gli nascose le sue simpatie per il partito comunista e quindi l’impossibilità di votarlo. Carlo per ripicca finì per ritirarsi a dormire sul divano.
La campagna elettorale mostrò quanto la scelta democristiana fosse stata azzeccata. I mezzi propagandistici messi in campo da Carlo per sostenere la sua candidatura a Sindaco furono imponenti. Il battage elettorale per sostenerlo era diventato un’ossessione per Anna nei suoi giri di lavoro per distribuire la posta.

Alle elezioni comunali vota Carlo Greco! Scegli la Democrazia Cristiana! Tuonava la voce dell’altoparlante issato sulla Fiat Topolino che scorazzava senza sosta per il paese. In sella alla Bianchi e con la bolgetta a tracolla Anna finiva per imbattercisi in ogni strada, come se i due uomini a bordo la stessero seguendo. Non riuscì a sfuggire a quella cantilena neanche imboccando le viuzze laterali, anzi le pareva che lì la voce, rimbalzando contro i muri delle case, fosse ancora più echeggiante ed ossessiva. Su quei muri, poi, non si contavano i manifesti elettorali su cui il nome di suo marito svettava sul simbolo crociato della Democrazia Cristiana. Con questo voto assicuri il tuo bene, dicevano. Oppure: per l’amministrazione del Comune vota persone oneste e competenti. Vota per la Democrazia Cristiana” (Giannone, p. 192).”

Ma quello che ancor più la infastidiva erano le rassicurazioni delle persone che Anna incontrava durante la consegna della posta. I discorsi con una precisa dichiarazione di voto si sovrapponevano. “Auguri per il vostro marito signora portalettere. Dicci a Carlo che io lo voto, mi raccomando! Vincerà me lo sento” (Giannone, p. 192).
Ancor più coinvolgente fu il comizio finale che Carlo tenne in piazza0 Castello nel tardo pomeriggio del venerdì precedente la domenica elettorale. L’affluenza era stata imponente. Molte signore si erano vestite come per un ricevimento di gala, solo Anna non aveva curato la toilette. Finalmente arrivò Carlo in un elegante gessato e la piazza lo salutò con una stand ovation.

“Cari amici e concittadini, sono felice di vedervi così numerosi… esordì, con voce rotta dall’emozione” (Giannone, p. 205).

La sua elezione a sindaco era ormai assicurata. Tutti gli ostacoli erano stati superati. Il voto di Anna per il partito comunista fu un voto di bandiera che non servì ad arginare la schiacciante vittoria del marito.

10. L’invenzione della “Casa per le Donne”
Dopo l’elezione a Sindaco di Carlo nel novembre del 1946 seguì a dicembre la ricorrente festa natalizia nella sua cantina. Questa volta però l’avvenimento si era allargato: dalla dimensione familiare e paesana degli anni precedenti si era trasformato in un evento istituzionale grazie alla presenza della dirigenza democristiana leccese. La Democrazia Cristiana aveva il vento in poppa: era diventata il primo partito a livello nazionale e locale.
Carlo voleva presentare alla moglie il segretario provinciale democristiano. Anna, pur non essendo molto entusiasta, non si poteva però permettere di sgarrare dal suo ruolo di “moglie del Sindaco”. Nel dialogo, che seguì le reciproche presentazioni, il segretario s’informò su come procedeva la gestione dell’amministrazione comunale, sulla costruzione della nuova scuola e sul destino del vecchio edificio scolastico. Fu in questo preciso momento, quando i due stavano parlando della vecchia scuola, che Francesca Giannone fa nascere nella testa di Anna l’idea di realizzare la Casa per le Donne. Anna, al pari di molti suoi compatrioti, era determinata a fare e quindi, com’era non solo nel suo spirito, propose immediatamente la cosa ai due interlocutori suscitando il gelo del segretario democristiano e l’imbarazzo del marito che cercava di superare l’impasse del colloquio in corso.

“Anna si fece d’un tratto pensierosa. Guardò davanti a sé per qualche minuto, tanto che le parole che Carlo e quell’uomo stavano continuando a scambiarsi divennero per lei una specie di mormorio lontano. Poi esclamò, Ce l’avrei anch’io una proposta per dare una nuova vita a quel vecchio edificio” (Giannone, p. 245).

Carlo chiese lumi. Era ad un tempo interessato, ma anche preoccupato. Anna con poche parole delineò l’architettura del suo progetto.

Si potrebbe chiamare una… Casa per le Donne, spiegò lei, illuminandosi. Un luogo dove la porta è sempre aperta, dove ogni donna in difficoltà sa di poter trovare rifugio. Penso per esempio alle giovani madri senza un marito né un lavoro, a chi è sola, alle donne che non sanno come liberarsi di uomini violenti. Fece una pausa, come per riflettere, Potremmo aiutarle concretamente, proteggerle… e magari dar loro un’istruzione, insegnare un mestiere. Insomma tutto ciò che serve per stare in piedi da sole” (Giannone, p. 245).

I due chiaramente non erano in grado di cogliere la portata della proposta, che aggiungeva un’avveniristica valenza all’attività dell’amministrazione comunale di Lizzanello ai suoi esordi democratici.
Anna in quegli anni stava cercando di liberare l’amica Giovanna dal concubinato, al quale l’aveva costretta Don Giulio. Stava, quindi, pensando che quel caso di prepotenza maschile non fosse l’unico nel paese ed era, di conseguenza, necessario intervenire con delle soluzioni concrete. Parlando di quest’ultima parte del romanzo Francesca Giannone ha affermato, intervenendo il 4 gennaio del 2023 alla trasmissione Fahrenheit di Radio 3, che la proposta della Casa per le Donne non apparteneva alla storia della bisnonna, ma si era trattato di una sua “invenzione”. Un’idea volta a dare un originale respiro all’ultima parte del romanzo, una sorta di sogno del futuro che è derivata dalla stringente e drammatica attualità, dove femminicidi e violenze sulle donne sono sempre più frequenti nelle impietose cronache giornalistiche del nostro paese.

Post Scriptum
Due parole su una proposta di copertina più “verosimigliante” per una futura edizione de La portalettere
Non c’è nulla da obiettare sull’impatto estetico dell’immagine scelta per la copertina de La portalettere dalle Edizioni Nord: si tratta di un elegante particolare del dipinto Double portrait of Marie and P. S. Kroyer. The couple have portrayed one another. La coppia si era reciprocamente dipinta: un aspetto intrigante che accresceva la suggestione di quel quadro di cui si è riportato il particolare del volto femminile.
Si tratta però di un’immagine completamente estranea rispetto al racconto!
Sorprende, quindi, che sia i grafici sia l’art director così come il graphic designer, incaricati da Edizioni Nord per la realizzazione della copertina de La portalettere, abbiano trascurato di prendere in considerazione l’importante e affollata galleria di ritratti femminili sfornati dai pittori liguri nei primi decenni del Novecento. L’intreccio, tra la fiction ed una visione realistica del racconto, richiede che anche i dettagli non vadano trascurati.
Si segnala qui tra gli altri un ritratto dell’artista ligure Domenico Guerello, Grande ritratto femminile (olio su tela, cm 99 x75 del 1926-27) che mostra non solo un pari impatto estetico, ma soprattutto una contestualità filologicamente più corretta rispetto al fastoso repechage di un dipinto scandinavo29. La presenza di un libro sulla destra della figura femminile in nero rimanda sia al magistero di Anna sia allo scambio di letture tra Anna e Antonio: il segno di un reciproco desiderio che accompagna senza sciogliersi la loro nascosta attrazione.

Note

  1. Francesca Giannone, La portalettere, Editrice Nord, Milano, 2023, pagg. 416. D’ora in poi le citazioni saranno annotate direttamente nel testo (Giannone, p. ).
  2. Nei primi mesi di quest’anno tutti i supplementi letterari dei maggiori quotidiani nazionali, – da Domenica del “Sole24Ore” a La lettura del “Corriere della Sera”, passando per Tuttolibri de “La Stampa” e Robinson de “La Repubblica”, hanno collocato il romanzo ai primi posti nelle classifiche delle vendite per la narrativa italiana.
  3. In questi giorni dell’agosto 2023, mentre sto rivedendo queste note, La portalettere è tornata ad occupare il secondo posto nella classifica delle vendite.
  4. Mario Ragosta, L’industria leccese. Centotrenta anni di storia: 1861-1991, Edizioni Grifo, Lecce, 2001, pp. 98-99. D’ora in poi (Ragosta, p. ) direttamente nel testo.
  5. Alfredo Antonaros, La grande storia del vino, Pendragon, Bologna, 2000, p. 217.
  6. Nadia Terranova, La bella forestiera sale in bicicletta per consegnare la posta di soldati e amanti, in Tuttolibri, Supplemento a “La Stampa” del 7 gennaio 2023, p. XI.
  7. Patrizia Violi, La postina era strana ma conquistò tutti, in La Lettura, Supplemento al “Corriere della Sera” del 29 gennaio 2023, pp. 26-27.
  8. Violi, La postina era strana…, cit., p. 27.
  9. Caterina Durante, detta Rina, nata a Melendugno (Lecce) il 29 ottobre 1928 e morta a Lecce il 26 dicembre 2004. Autrice di poesie, racconti e romanzi ambientati nel Salento, dove i personaggi sembrano condannati ad un’irrimediabile disperazione. La Malapianta, Rizzoli, Milano, 1964; Viaggio in Terra d’Otranto, Adda, Bari, 1972; Gli amorosi sensi, Manin, San Cesario di Lecce, 1996.
  10. Anna Maria Ortese, Nel dominio del tabacco, in “Noi donne”, a. VI, n. 41, 21 ottobre 1951, pp. 4-5. Ristampato in Anna Maria Ortese, La lente scura, Adelphi, Milano, 2004, pp. 421-425.
  11. Guido Piovene, Viaggio in Italia, Fabbri Editori, RCS Libri, Milano, 2006, p. 789. Ristampa del volume pubblicato originariamente da Mondadori nel 1957.
  12. Simona Colarizi, Vita alimentare degli italiani e razionamento, in Commissione Italiana di Storia militare, L’Italia in guerra. Il secondo anno, 1941. Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi, a cura di Roman H. Rainero, Antonello Biagini, Stabilimento grafico militare, Gaeta, 1992, p. 281.
  13. Sulla crisi morale e materiale della società italiana durante la Seconda Guerra Mondiale si veda tra gli altri, – oltre al romanzo di Curzio Malaparte, La pelle, Aria d’Italia, Milano, 1950-, Aurelio Lepre, Le illusioni, la paura e la rabbia. Il fronte interno italiano 1940-1943, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1989.
  14. Nel luglio del 1943 ci furono incursioni aeree contro l’aeroporto militare di Leverano un paese in prossimità (sud-ovest) di Lecce. Il 23 luglio 1943 alle ore 16 e 30 fu bombardata la ferrovia in prossimità del centro di Nardò. Vi furono 10 morti e molti feriti.
  15. Marco Petroncelli, L’Italia sotto le bombe. Guerra aerea e vita civile 1940-1945, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 47. Nello stesso volume sono riportate le date delle incursioni successive su Taranto e su Brindisi. Su Taranto si veda anche: Angelo Trizzino, Navi e poltrone, Longanesi, Roma, pp. 23-40. Mario Gismondi, Taranto la notte più lunga, Dedalo, Bari, 1968.
  16. Altre fonti sostengonno che non sia stato un “caso isolato”, come racconta la Giannone, ma di un preordinato attacco di uno stormo di B-24 alleati per distruggere le postazioni radar e la contraerea italiana di supporto ai caccia della Luftwaffe posti nel vicino campo di aviazione di San Pancrazio Salentino https://culturasalentina.wordpress.com/tag/bombardamenti-nel-salento.
  17. “Fuga ingloriosa” è stata definita in una canzone partigiana, scritta da Giorgio Bocca, il fuggi fuggi da Roma a Brindisi dei membri della Casa Savoia, del Primo Ministro Pietro Badoglio e di un centinaio di generali che al momento dell’armistizio dell’otto settembre tra il Regno d’Italia e gli Alleati abbandonarono i loro reparti in balia della Wehrmacht.
  18. Roberto Berretta, Storia dei preti uccisi dai partigiani, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 2005.
  19. Le uccisioni di sacerdoti avvennero non nel 1943 ma tra il 1944 e il 1946, riguardando entrambi gli schieramenti.
  20. Gloria Chianese, Ceti popolari e comportamenti quotidiani a Napoli, in L’altro dopoguerra. Roma e il Sud 1943-1945, a cura di Nicola Gallerano, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 277.
  21. A scatenare l’inflazione contribuì in maniera considerevole anche l’emissione di 114 miliardi di Amlire da parte dell’esercito alleato ai quali si aggiunsero altri 31 miliardi versati direttamente dalla Banca d’Italia agli Alleati come contributo alle loro spese di guerra. L’alleato nemico venne anche favorito da una disinvolta politica nei cambi. Sterline e dollari furono sopravvalutati.
  22. Bertoldi, Contro Salò…, cit., pp. 203-204.
  23. Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Parenti, Firenze, 1956, passim.
  24. Enzo Forcella, Introduzione: lo Stato nascente e la società esistente, in L’altro dopoguerra. Roma e il Sud…, cit., p. 27.
  25. Forcella, Introduzioine…, cit., p. 27.
  26. Gian Carlo Marino, Storia del separatismo siciliano, Editori Riuniti, Roma, 1979. Il Separatismo era allora molto attivo anche sul piano militare, perché aspirava all’obiettivo di far diventare la Sicilia una Repubblica indipendente, che avrebbe poi aderito agli Usa, diventando il 49° stato dell’Unione.
  27. Forcella, Introduzioine…, cit., p. 28.
  28. Va ricordato, a proposito del ruolo degli industriali nella Democrazia Cristiana, che questo partito è stato fondato nell’ottobre del 1942 in casa di Enrico Falck, allora il maggiore imprenditore siderurgico privato operante in Italia. Cfr. Simona Colarizi, Storia del Novecento italiano. Cent’anni di entusiasmo, di paure, di speranza, Rizzoli, Milano, 2000, p. 274.
  29. Su Domenico Guerello (Portofino 1891-1931) si veda la monografia di Gianfranco Bruno e Lia Perisinotti, Domenico Guerello, Erga Edizioni, Genova, 2008, pubblicata in occasione di una mostra personale del pittore, svoltasi a Rapallo nell’Antico Castello sul Mare tra il 13 luglio e il 14 settembre del 2008.

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