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La polifonia e le forme poetico-musicali nei mottetti montaliani
di , numero 57, giugno 2024, Didactica, DOI

La polifonia e le forme poetico-musicali nei <em>mottetti</em> montaliani
Come citare questo articolo:
Erica Truglio, La polifonia e le forme poetico-musicali nei mottetti montaliani, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 38, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11676

1. Introduzione

L’obiettivo di questa ricerca consiste nel comprendere se la sezione Mottetti all’interno del secondo libro montaliano possa celare un legame concreto con l’omonima forma musicale, e se tale rapporto possa svolgere una funzione semantica nel contesto non solo di singole liriche, ma anche dell’insieme dei componimenti di questa parte della raccolta. Sebbene Montale sia legato in particolar modo al teatro d’opera1, tale ipotesi non sembra del tutto priva di realtà se si considera la dimestichezza che l’autore poté vantare con la musica, dapprima come (quasi) esordiente baritono2 e in seguito quale critico musicale per il “Corriere della Sera”. Inoltre, senza ricordare qui che le prime prove poetiche di Montale sono proiettate verso un orizzonte musicale3, è stato rimarcato come la presenza della musica si avverta anche nell’andamento sinfonico delle Occasioni e in precedenza già di Ossi di seppia4. Si procederà pertanto a un’analisi specifica di vari mottetti, in primis di quelli in cui sembra di poter ravvisare la duplice linea melodica che caratterizzava i mottetti medievali, non senza fare opportuno riferimento, in tale prospettiva, tanto alla natura di questa particolare tipologia di canto polifonico quanto ai rapporti di Montale con la musica. A tale scopo si proseguirà con un’analisi comparativa dei Madrigali privati e di Ballata scritta in una clinica nella Bufera e altro, in cui si potrebbe ravvisare un fenomeno analogo a quel che sembra di poter registrare nei Mottetti. Ciò nonostante, si intende sin da subito chiarire come il presente lavoro non miri a effettuare un’indagine della presenza della musica nelle Occasioni sotto l’esclusiva fattispecie di una «musica verbale» (ovvero della rappresentazione letteraria di una composizione musicale reale o fittizia)5. Per di più, si è ben lungi dal voler postulare o, ancor peggio, dal voler trarre le proprie conclusioni da una qualche perfetta equivalenza tra la musica e la metrica, nella consapevolezza che quest’ultima non può essere affatto considerata alla stessa stregua di uno spartito e in piena coscienza delle forzature6 insite in un’analogia che, nondimeno, ha goduto di non poca fortuna nella storia della poesia, soprattutto dal Romanticismo fino all’inizio del XX secolo7. Se, difatti, il ritmo sta al cuore tanto della musica quanto del verso, quest’ultimo differisce dalla prima in maniera tale da non prestarsi in alcun modo a un’assoluta equiparazione:

«se ritmo significa periodicità e struttura, l’elemento portante di esso, in poesia, andrà indicato nel verso, cioè nella segmentazione fondamentale del discorso metrico in membri omometrici o eterometrici, ma tali, anche nel secondo caso, da stabilire un’interrelazione di parallelismi fonico-durativi, ribaditi dalle sillabe, dagli accenti, dalla rima, isolati o concomitanti. Le varie “tracce” potranno essere or più or meno privilegiate; ma più importante resta pur sempre il segmento d’intonazione, il verso che pausa e struttura la sequenza. Sillabe, rime e accenti potranno essere considerati, all’interno di esso, come indici del costituirsi di un “tempo regolato”, per usare l’illuminante espressione dantesca, definito conclusivamente dallo svolgersi progressivo della sequenza fonico-verbale nella struttura unificatrice e dinamizzante del verso.8»

Dunque, anche in ragione del prevalente interesse di Montale per il melodramma9, non ci si baserà sull’impossibile individuazione di strutture musicali stricto sensu nelle liriche in oggetto, ma sulla potenziale ispirazione da parte del poeta a una determinata tradizione musicale, nonché letteraria, e dunque sulla presenza della musica non sotto una facies prettamente tecnica, bensì in virtù di un significato più riposto da congiungere alla poetica delle Occasioni.

2. Il rapporto dei mottetti montaliani con l’omonima forma musicale

La scelta del titolo Mottetti per la seconda sezione delle Occasioni non sembra derivare da un richiamo puramente generico all’omonimo canto polifonico dugentesco, che potrebbe invece avere un valore molto più profondo e strutturante nelle poesie in esame. Difatti, non pare di poter ricondurre la suddetta denominazione alla sola componente gnomica di questi componimenti, tuttavia plausibile se si osserva – come nota Tiziana De Rogatis nel commento alle Occasioni 10 – che il termine “mottetto” indicò nella poesia del XIII e XIV secolo testi brevi dalla forma assai variabile e – limitatamente a una parte dei Documenti d’amore di Francesco da Barberino – appunto caratterizzati dal valore di «concisa espressione gnomica11». Con tutto ciò, a parere di chi scrive, ancora più radicato nel caso dei mottetti montaliani è il legame con il mottetto musicale poiché nelle liriche di seguito sottoposte ad analisi sembra di poter scorgere una sorta di intima polifonia, quasi che vi fossero al loro interno almeno due voci in dialogo, in modo non troppo dissimile dalla conformazione del mottetto polifonico. In effetti, quest’ultimo si configura in origine come un canto a due voci12 costituito da una voce principale (il “tenor”), che regge la melodia mentre le è affiancato un “duplum”, una voce secondaria poi detta “motetus” (dal francese “mot”, a sua volta dal latino “muttum”13), termine con cui si designa anche il testo14 ad essa assegnato e che successivamente giunge a indicare per estensione l’intera composizione musicale15. Vero è che nel corso del tempo (dal 1220 circa) il mottetto si arricchisce di una terza voce, il “triplum”, che nondimeno, ai suoi primordi, si allontana ben poco a livello ritmico dal “motetus”, a sua volta più variegato del “tenor”, sicché una bipartizione di fondo finisce per avere comunque parte attiva, soprattutto in vista del ruolo dominante di una delle voci rispetto alle altre: del “tenor” dapprima e del “triplum” verso la fine del XIII secolo16. D’altra parte, vari studi di musicologia hanno portato alla ribalta l’importanza del mottetto a due voci in forza della sua connotazione in qualche modo tipica17:

«The importance of the two-voice motet in the context of the motet genre is clear: the majority of the earliest motets in Latin and French were written for two voices, two-voice motets appear in most of the major surviving motet manuscripts, and the two-voice motet was broadly cultivated, appearing not only in Parisian polyphonic sources, but also chansonniers connected to Arras.18»

Tale dicotomia sembra potersi riscontrare anche nei mottetti montaliani, che nella maggior parte dei casi constano di due sole strofe, generalmente contrapposte19, senza tuttavia che ciò comporti una differenza sostanziale rispetto alla tradizione letteraria del mottetto, contraddistinto da una struttura piuttosto libera, non solo in area italiana20. D’altronde, la metrica di Montale, a prescindere da una possibile affinità come quella sopra citata e sebbene vada incontro (almeno nelle prime tre raccolte) a un processo di normalizzazione nello stratificarsi delle varianti21, si inserisce comunque in un contesto che, dai tempi della canzone libera leopardiana e mediante varie sperimentazioni, si è ormai affrancato da una rigorosa fedeltà a forme metriche rigidamente chiuse22. Di là da ciò, a richiamare l’attenzione in questo caso è il fatto che spesso entrambe le strofe sembrino distinguersi per una specie di accento proprio, quasi che ciascuna di esse fosse portatrice di un’istanza diversa, la seconda delle quali parrebbe configurarsi come una risposta o una reazione alla prima. A tal riguardo, un esempio potrebbe essere costituito dal primo mottetto, Lo sai: debbo riperderti e non posso:

«Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.

Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.23»


Alla prima strofe è affidato il grido di dolore del soggetto smarrito dinanzi al possibile allontanamento della figura femminile, che permea a fondo anche la seconda strofe, ma con la differenza che nella prima predomina un senso di attesa e di minaccia incombente incarnato da elementi dinamici e dissonanti, come risulta dalla similitudine balistica del «tiro aggiustato»24, dal verbo «sommuove» o dal moto repentino dello «spiro / salino che straripa» (vv. 3 e 4) o ancora da un’impressione auditiva – anch’essa immediata – quale «ogni grido» (v. 3). Ad un simile sconvolgimento dell’io sembra far da contraltare, nella seconda strofe, un clima più raggelato, quasi la descrizione di uno strazio già avvenuto o presagito come tale. Prevale, infatti, un contesto più statico ma non meno angosciante, rappresentato in primo luogo dall’immagine di un «paese di ferrame e alberature / a selva nella polvere del vespro» (vv. 7 e 8) insieme al suono costante del «ronzìo lungo» (v. 9), analogo al lento moto di «un’unghia ai vetri» al verso seguente. A ciò si aggiunga la parvenza di una trasformazione di non poco conto nell’atteggiamento dell’io lirico: quasi una presa di posizione a fronte dell’atmosfera di sospensione in attesa di una condanna (la scomparsa della figura salvifica25) della stanza precedente. A testimonianza di tale risoluzione sembrerebbe stare negli ultimi tre versi un qualche agonismo del soggetto, il quale parrebbe opporsi a quel che si presenta come un destino segnato tramite la ricerca del «segno smarrito» (vv. 10 e 11) al fine di «riprendere il cammino e di uscire fuori dall’intrico del mondo che si vede26». Nondimeno, a dispetto di tale slancio agonistico, il solo risultato è una conferma della desolazione già intravista nella prima stanza: «E l’inferno è certo», la cui posizione explicitaria concorre assieme allo scalino metrico a dare un che di apodittico alla disperazione finale27, la quale si configura, però, anche come una presa di coscienza della propria situazione. Tali elementi danno l’impressione che la lirica si caratterizzi per la presenza di voci ben individuate, secondo una modalità che potrebbe riportare alla mente, sia pure molto alla lontana, la propensione a distinguere le voci del mottetto polifonico, che già nel Duecento si qualificava per una notevole tendenza all’individualizzazione delle voci28, secondo un processo poi portato al culmine nel Quattrocento (e, in particolar modo, con la polifonia fiamminga29):

«Il mottetto […] è un’agile forma, di grande libertà ritmica e complessità contrappuntistica. Non è piú un contrappunto di nota contro nota, ma un contrappunto di melodie compiute, sapientemente assegnate a ciascuna delle voci e combinate in architettura sonora, quello che in questo secolo si elabora. Spesso l’indipendenza delle varie parti si spinge a tal punto che, non solo ogni melodia è in sé compiuta, ma riveste un testo poetico diverso.30»

In più, nella poesia considerata sembra di poter ravvisare una serie di richiami tra le due strofe, come in un gioco contrappuntistico che ricorderebbe in senso estremamente lato l’analoga costruzione del mottetto polifonico31. Quest’ultimo era infatti composto – a partire dalle “clausulae” da cui ebbe origine32 – in stile “discantus” 33, senza contare l’impiego anche in una fase più avanzata di tecniche contrappuntistiche, quali l’”hoquetus”34. Sotto questo punto di vista, quel che sembra di poter riscontrare in Lo sai: debbo riperderti e non posso è una sorta di ripresa da una strofa all’altra di aspetti poi declinati in chiave diversa nella seconda stanza, quasi che fossero invertiti di segno rispetto alla forma iniziale: questo parrebbe il caso della «grazia» (v. 11), che in quest’ottica si contrapporrebbe all’oscurità menzionata al quinto verso, benché quest’ultima sia associata con fare ossimorico alla primavera, dunque alla rinascita garantita dalla salvatrice35. Siffatto buio sarà da riportare all’inferno cittadino36 (sintesi di una vita meccanizzata37) dominante nell’ultima strofa, in cui si potrebbe registrare una sorta di replica puntuale alla stanza precedente anche per via di quella che sembrerebbe una rispondenza tra «Sottoripa» e «inferno», rispettivamente in conclusione della prima e della seconda strofa. Difatti, la prima incarna il contenuto fattuale – per dirla con Walter Benjamin – dei portici di Genova, le cui arcate soffocano la luce38, ma a prescindere dalla precisione topografica, si ha la sensazione che il suddetto termine alluda anche a un mondo sotterraneo, quasi a un inferno dantesco. Tale ipotesi potrebbe non essere priva di valore se si bada all’analoga posizione del successivo «inferno», con cui in tale prospettiva si espliciterebbe la negazione di quella primavera, soprattutto se si considera la sua breve distanza dalla «grazia» menzionata al verso precedente, che darebbe vita a un accostamento antitetico in maniera affine al paradosso dell’«oscura primavera». In questo modo il rapporto tra le due strofe sarebbe quello di un rimando intratestuale volto a chiarire e a sviluppare gli elementi negativi trattati nella prima di esse39 attraverso richiami che potrebbero essere paragonati alla corrispondenza nota contro nota tipica degli albori del mottetto liturgico o ancora alla conformazione del mottetto composto nel XV secolo. Quest’ultimo si denota appunto per la presenza di un motivo iniziale, poi recuperato dalle altre voci in un concatenamento senza soluzione di continuità basato sull’imitazione libera o canonica40. Nondimeno, con tale argomentazione non si mira a stabilire riscontri esatti tra la composizione musicale e quella poetica in esame poiché si tratterebbe di un’impresa a dir poco ardua e, verosimilmente, priva di realtà; tutt’al più, quel che sembra di poter affermare in questa sede è in primo luogo una certa analogia tra la ripresa delle voci sia nel contesto della musica polifonica sia nella lirica in questione, in cui tale carattere potrebbe accentuare la dimensione dialogica già contenuta nell’allocuzione al tu dell’incipit41.

3.Il ruolo del mottetto amoroso e liturgico in Montale

L’ipotesi di una sorta di contrappunto dialogico tra la prima e la seconda stanza di Lo sai: debbo riperderti e non posso potrebbe essere tanto più suggestiva se si tiene presente che, nella sua versione letteraria, il mottetto composto da Guido Cavalcanti è concepito come una risposta a un sonetto di Gianni Alfani42, specialmente allorché non si trascuri il fatto che nel corso del tempo il mottetto si affranca dal proprio contesto liturgico per virare sempre più in direzione di temi profani, in special modo nel Trecento con la figura di Guillaume de Machaut, che nei suoi mottetti isoritmici preferisce i testi della coeva lirica d’amore a quelli tradizionali in latino43. Tale fenomeno potrebbe assumere una qualche rilevanza alla luce dell’immaginario stilnovistico 44 di cui sono permeate in buona parte le figure femminili di Montale, specie nelle Occasioni e in particolare nei Mottetti, fortemente debitori – come sostiene Barberi Squarotti – nei confronti della Vita Nova45. In tale prospettiva, si potrebbe ipotizzare con estrema cautela che Montale tenga presente il mottetto poiché questa forma musicale racchiude in sé alcune tra le caratteristiche più tipiche delle donne montaliane: il valore salvifico e la connotazione amorosa46. Nondimeno, è doveroso rammentare in quest’ultimo caso come non sia assolutamente possibile parlare di un amore in senso meramente biografico nella lirica montaliana47, in cui predomina soprattutto il ruolo spirituale della figura femminile:

«se ritorna spesso il motivo della lontananza, della perdita (o del rischio della perdita), del distacco, dell’ansia o della disperazione del ricongiungimento, tutto questo non è riconducibile alla casistica amorosa, anzi non rientra affatto in nessuna casistica di canzoniere amoroso, quale la tradizione romanza ha ampiamente il sperimentto [sic], e piuttosto rimanda all’interpretazione dell’esperienza spirituale a posteriori, come vicenda di intellezione e di comprensione della finzione ‘teologica’ della donna avvicinata e conosciuta nelle situazioni e fra gli oggetti quotidiani.48»

Non a caso, Gianfranco Contini ha parlato a proposito della prima e della seconda raccolta montaliana di un «fantasma che ti salva49», così ponendo l’accento sull’indeterminatezza delle figure femminili, tanto che i segni di quella presenza angelica si configurano come «immagine di un’alea di liberazione che non avviene50» e lo studioso giunge ad affermare che «Il nucleo della lirica di Montale è un’immagine tipica, un’immagine essenzialmente non irrelata: sia pure poi di difficile o disperata interpretazione¸ nell’alone poetico di quell’immagine è involto il possibile significato, tutto il travaglio esegetico51». Un’analoga importanza al valore almeno in parte figurato assunto dalle muse montaliane nel contesto lirico è riconosciuta da Marco Forti, che afferma:

«Ciò che conta è il rilievo dato dal poeta alla loro [ci si riferisce alle figure angelicate e ai loro segni] metaforicità talvolta anche ineffabilmente fantomatica, capace nondimeno di salvarlo, e più, di salvare i gesti decisivi e carichi di destino non solo personale o privato delle emblematiche e, talvolta, angeliche ispiratrici, che muovono e spesso fanno funzionare le massime poesie di questo libro per tanti lati mirabile.52»

In questa luce, l’eventuale reminiscenza del mottetto amoroso esisterebbe solo in un’accezione molto lata e sembra quindi necessario evidenziare che non si ha certo l’intenzione di assimilare quanto è osservabile in Montale all’orizzonte cortese, contraddistinto da una ben diversa concezione dell’amore, basata sul principio del servizio d’amore, sulla correlazione tra gentilezza e relazione amorosa, su un percorso di progressivo e volontario affinamento delle proprie qualità da parte dell’amante53 e sulla subordinazione ai vari gradi della fin’amor54; per di più, la differenza si approfondisce forse ancor di più se si bada a come la tradizione più cospicua del mottetto profano (quelle della Francia del XII e XIII secolo) si denoti per una certa mediocrità contenutistica nella presentazione dell’amor de lonh per mezzo di triti motivi quali una generica esaltazione della dama e della sua bellezza 55. A ciò si assommi, poi, che a prescindere dalla loro banalità o meno, tali componimenti afferiscono a una temperie in cui predomina essenzialmente la manifestazione dei sentimenti più intensi («L’expression de la joie et de la souffrance occupe dans l’universe poétique de trouvères une position centrale»56), se non smodati, senza poi far menzione del più totale assoggettamento dell’io lirico alla dama:

«La chanson dit toujours “je”; elle est toujours un message adressé à une femme aimée, la Dame, ou un monologue sur les états d’âme du poète amoureux. Cet amour des troubadours se présente comme un ensemble de sentiments et de conduites qui définissent une érotique tout à fait nouvelle en Occident. Cette érotique est caractérisée par une dévotion absolue à la Dame, par l’exaspération du désir qui s’interdit l’assouvissement et par un état d’âme fait d’exaltation sentimentale et de jouissance : le “joi”.57»

Tutto ciò non si può riscontrare in Montale, alla cui produzione non si vuole assurdamente negare la sfera emotiva, ma non è, ben inteso, nella semplice dichiarazione dei sentimenti che si risolve la sua poesia: «La perdita è il dato concreto di un’esperienza sentimentale, che viene però situata in una prospettiva metafisica e assoluta58». Dunque, in vista di quanto appena discusso, sembrerebbe di poter notare una suggestione tratta dal mottetto lirico solo nel senso di una qualche mediazione con l’immaginario stilnovistico rielaborato nelle Occasioni in una forma per intero sui generis grazie alle diverse figure angelicate che popolano il libro. Proprio il valore salvifico59 di queste ultime farebbe pensare a un riferimento più consistente da parte del poeta genovese al mottetto duecentesco, che in base a questa lettura dovrebbe essere preso in considerazione non già come una delle massime espressioni di un determinato ceto60, bensì in virtù della sua funzione liturgica, per forza di cose orientata – almeno in linea di principio – all’orizzonte della salvezza oltremondana, alla quale potrebbe contribuire anche la struttura del medesimo canto polifonico, che nell’ambito della più antica polifonia gotica del XIII secolo si configurava come un insieme di pilastri sonori dalla carica dirompente, capace di coinvolgere in sommo grado61 e di travolgere come un’onda gli spettatori innalzandoli in uno slancio verso il cielo insieme alla vertiginosa architettura gotica che ospitava quelle stesse voci. In quest’ottica, il mottetto costituirebbe un punto di riferimento per il suo valore spirituale, il che non sembra del tutto inverosimile se si tiene presente una dichiarazione rilasciata da Montale stesso, che si sarebbe rifatto a determinate forme di musica vocale al fine di dar l’impressione di una poesia «inneggiante62». Nondimeno, data la propensione dell’autore a depistare i critici63, è forse più prudente prendere le mosse dall’evidenza dei fatti, ossia dal largo impiego ad opera di Montale della simbologia cristiana, benché ciò si verifichi con fare più esplicito nella Bufera e altro: basti pensare – per citare solo un esempio – a un epiteto come «cristofora» in riferimento a Clizia, definita negli Orecchini «l’iddia che non s’incarna64». Benché nelle Occasioni una simile rifunzionalizzazione di motivi cristologici non sia ancora assai pronunciata, a quest’altezza cronologica è tuttavia possibile osservare tale fenomeno in nuce appunto per via delle proprietà salvifiche (ovviamente, entro certi invalicabili limiti) associate ai personaggi femminili, primo fra tutti quello della futura Clizia. In tal senso, l’allusione alla musica sacra finirebbe per compenetrarsi con l’alone a sua volta quasi sacrale di cui si ammantano tali figure:

«Il poeta, essere terreno, amante delle esagerate passioni dei melodrammi e delle musiche “da trivio” delle operette, tenta di rievocare la presenza di lei attraverso una musica che è sacra perché parla di lei. La donna si manifesta in epifanie subitanee che riportano il passato nel presente, in fugaci apparizioni cariche di promesse di salvezza: di qui la necessità di concisione, di brevità della parola “capace” di ricalcarle e cristallizzarle. Il Mottetto è infatti la forma polifonica per eccellenza del canto sacro, liturgico: una complessa preghiera rivolta all’Altro per mezzo di una combinazione di diverse voci.65»

Se il genere musicale del mottetto può dar conto di «un’emozione religiosa personalmente atteggiata66», una volta di più, com’è stato osservato, il mottetto montaliano assume le vesti di un «dialogo, che assume qualcosa di religioso, esclusivo fra l’io e l’altra67».

4. Il valore euristico della polifonia montaliana

Pare dunque che la già menzionata sfumatura dialogica comporti di per sé un’intrinseca coloritura polifonica68, che si potrebbe eventualmente registrare anche nella duplice linea rimica di Ti libero la fronte dai ghiaccioli, ovvero, nella prima strofa, nell’intessitura fonica delle assonanze, nella seconda nel «contrappunto delle sdrucciole […] con le tronche […] che incorniciano la quartina69»:

«Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’alte ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.70»


Le due linee rimiche sembrano essere in relazione l’una con l’altra in modo non troppo dissimile da quanto è possibile osservare in Lo sai: debbo riperderti e non posso. Si consideri l’aggettivo «alte», presente in entrambe le stanze (rispettivamente ai vv. 2 e 7): se nel primo caso l’attributo è riferito alle «nebulose» e dunque all’ambiente aereo a cui appartiene la presenza salvifica (pur vista in tutta la sua umana fragilità), nel secondo accorda invece con «ombre» che paiono costituire un’antitesi rispetto all’orizzonte celeste della strofa precedente. Un esempio analogo è offerto dalla coppia «cicloni» – «freddoloso» (vv. 4 e 7): in tal caso il turbine, ipostasi di disordine e negatività (come sovente accade nella poesia montaliana71), troverebbe riscontro nella seconda stanza in quel che sembrerebbe un’imperante incoscienza, dapprima anticipata dal pallore di un sole incapace di illuminare davvero e resa poi manifesta nelle ombre di chi non è rischiarato dalla «possibilità del miracolo72». Si potrebbe pertanto notare un gioco di riprese analogamente al primo mottetto esaminato nel presente studio: la correzione o l’ampliamento di un concetto oppure di un’immagine già espressa73. Per di più, si ha la sensazione che le due linee rimiche contribuiscano a rafforzare le istanze presentate nel componimento, come si potrebbe evincere dall’effetto pressoché martellante dell’alternanza tra le proparossitone e le parossitone nella seconda strofa, che sottolineerebbe il quadro di un lento e inevitabile oscurarsi della coscienza, cui forse allude l’allungarsi dell’ombra nera del nespolo, la quale non a caso in quest’ottica precorre le ombre di un’«umanità cieca74». In particolare, l’atto di svoltare l’angolo – equivalente a una rapida chiusura alla salvezza – potrebbe essere evidenziato dall’accelerazione ritmica provocata da «scantonano» (v. 7), non dissimile sotto questo rispetto da «freddoloso», soprattutto se si tiene presente che entrambi i termini sono situati in luoghi enfatici dello stesso verso, così che tali strutture foniche assai cadenzate finiscono per incorniciare «l’altre ombre», conferendo per questa via grande rilievo al sintagma stesso anche in conseguenza della sua relativa lentezza rispetto ai quadrisillabi che lo racchiudono. Il risultato di siffatta compagine ritmica consisterebbe, quindi, nel portare alla ribalta la condizione anonima degli ignari passanti, come se la velocità del flusso verbale nelle due parole liminari coincidesse con la fugacità di questi esseri evanescenti. Un simile effetto sarebbe ancor più accentuato nel caso in cui il verso fosse un alessandrino, come si potrebbe supporre se vi fosse una dialefe tra «altre» e «ombre», ipotesi non per intero infondata vista l’attestazione – sia pure non frequente – di questo fenomeno prosodico tra una vocale atona e la tonica successiva75. Che ciò avvenga o meno, pare comunque di percepire nella lirica in esame due toni distinti, il secondo dei quali sembrerebbe fungere da contraltare al valore salutifero della prima strofa, quasi che quest’ultimo suscitasse l’insopprimibile constatazione della miseria circostante l’io e il suo angelo debilitato. Un’affine sovrapposizione di voci si potrebbe riscontrare anche in La gondola che scivola in un forte, in cui il trattino a conclusione della prima strofa dà la sensazione di un discorso interrotto ex abrupto dall’esclamazione frustrata dell’io lirico dinanzi a quel che sembrerebbe uno stato d’iterazione perenne:

«La gondola che scivola in un forte
bagliore di catrame e di papaveri,
la subdola canzone che s’alzava
da masse di cordame, l’alte porte
rinchiuse su di te e risa di maschere
che fuggivano a frotte –

una sera tra mille e la mia notte
è più profonda! S’agita laggiù
uno smorto groviglio che m’avviva
a stratti e mi fa eguale a quell’assorto
pescatore d’anguilla dalla riva.76»


Alla prima stanza sembra sia affidato il ritratto di una situazione opprimente: un che di vacuo serpeggia sullo sfondo veneziano, quasi che l’affastellarsi di elementi scenici come il cordame, le porte arcuate77, e in primo luogo le maschere ghignanti potessero evocare l’inconsistenza di una realtà dalla quale la voce narrante, nella seconda stanza, pare prendere risolutamente le distanze tramite il suo grido improvviso, che si impone con far brusco su quello scenario desolante. La presenza di una sorta di dicotomia tra i caratteri della prima e della seconda strofa si potrebbe forse evincere anche dal titolo originario della poesia, La Venezia di Hoffmann – e la mia78, in cui l’esplicita contrapposizione tra lo scenario operistico e quello personale (in senso lato) porterebbe alla ribalta la diversa connotazione delle due stanze, per quanto il rapporto fra di esse non si ponga tanto nei termini di una semplice antitesi quanto come una rifunzionalizzazione del materiale melodrammatico. Quest’ultimo offre infatti l’occasione di mostrare chiaramente l’avvilente anonimato intorno all’io lirico per mezzo dell’affine richiamo alla folla anonima dei Racconti di Hoffmann79, rappresentato nel mottetto dalle «maschere che fuggivano a frotte» (vv. 5 e 6). Rispetto a tale folla anodina spicca la singolarità della voce poetante, la quale, in assenza della donna80, trova una fonte di vita nel viluppo di ricordi afferente alla sfera dei barlumi menzionati nel mottetto d’apertura all’intera raccolta81. Inoltre, proprio questo «smorto groviglio che m’avviva / a stratti» (vv. 9-10) potrebbe suggerire un procedimento non troppo lontano da quello già riscontrato in precedenza82 poiché tale matassa di ricordi rassomiglia di primo acchito alle «masse di cordame» (v. 4) che nella prima strofa si ammantano di una veste asfissiante, se non maligna, mentre nella seconda si caricano di un valore salvifico o quantomeno difensivo. Tuttavia, non si ha la pretesa di ridurre né la lirica in esame né quelle precedentemente analizzate a un semplice gioco di rimandi e variazioni, ma ci si prefigge solo lo scopo di far notare come anche – e non in maniera esclusiva – tale configurazione latamente contrappuntistica e polifonica al contempo possa concorrere ad accentuare il senso profondo delle poesie in esame. Una simile attenzione agli aspetti, per così dire, sonori dei Mottetti potrebbe risultare fondata se si tiene presente lo stretto rapporto di senso e suono con la soggettività:

«il senso e il suono condividono, come minimo, lo spazio di un rinvio (nel quale, contemporaneamente, si rinviano l’uno all’altro) e che questo spazio, in modo del tutto generico, può essere definito come quello di un sé, o di un soggetto. Infatti, un è solo una forma o una funzione del rinvio: un è fatto di un rapporto a sé, o d’un presenza a sé, che altro non è che il mutuo rinvio fra un’individuazione sensibile e un’identità intellegibile. 83»  

In quest’ottica, la presenza di una compagine o di allusioni musicali più o meno velate e strutturate contribuirebbe a convogliare il messaggio della terza sezione della raccolta, mettendo in luce sia l’amara consapevolezza del non senso generale, accentuato o reso ancor più evidente dalla prevalente mancanza della donna, sia, in special modo, la funzione salvifica di quest’ultima. L’eventualità che questo stato di cose sia posto in auge per mezzo di un richiamo sotterraneo (ma non totalizzante) al mottetto come genere musicale e insieme poetico potrebbe essere confermata mediante un confronto con il terzo libro montaliano, in particolare per quel che riguarda i Madrigali privati. Infatti, il reimpiego, nelle Occasioni, del mottetto in funzione sacra o in ogni caso un richiamo all’uso sacro del mottetto musicale potrebbe trovare un’ulteriore giustificazione nella sua connotazione in certo modo anti-madrigalistica: il madrigale rappresenta la controparte profana del mottetto84, con il quale condivide le medesime tecniche compositive e la polifonia 85, non solo nella veste assunta a partire dal Cinquecento, quando iniziò a distinguersi per una forma assai variabile ed eterometrica86 (a sua volta tipica del mottetto87), ma già nel Trecento, in cui il madrigale era rivestito di una polifonia molto semplice88. Ora, nei madrigali montaliani non sembra di poter riscontrare nessuna proprietà polifonica in senso stretto, ma, con tutto ciò, l’importanza della componente musicale nella tradizione complessiva di questa forma poetica non pare trascurabile, soprattutto se si considera che il madrigale fu oggetto di predilezione da parte dei compositori dell’Ars Nova89, fautori di una musica intesa come opera d’arte finemente elaborata90 grazie allo sviluppo di composizioni sempre più complesse che si avvalevano – per fare un esempio tra tanti – di un movimento assai variegato delle voci e di un tessuto delle note sempre più complicato91. L’Ars Nova era soprattutto segnata da un «certo realismo idealizzato92», che parrebbe costituire il legame più cospicuo con le omonime liriche della terza raccolta di Montale. Dunque, sembra di poter registrare un’affinità metodologica tra i Mottetti e i Madrigali privati dal momento che la sesta sezione della Bufera e altro è anch’essa dominata da una figura femminile di cui si canta la potenza salvifica, per quanto in tal caso si tratti di una salvezza soltanto privata93. Più nel dettaglio, date la natura essenzialmente mondana e amorosa94 del madrigale e la coerenza di siffatta forma poetica – afferente a uno stile medio95 – con la dimensione concreta 96, terrena e passionale delle liriche dedicate a Volpe, sembrerebbe di poter arguire una conferma di quanto osservato a proposito dei Mottetti: la presenza di un senso profondo nel legame tra le figure femminili e precise forme metriche e polifoniche, come se vi fosse un’insita congruenza tra le une e le altre. Per di più, l’idea che il riferimento a specifici generi musicali e letterari possa svolgere un vero e proprio ruolo semantico nella poesia di Montale potrebbe essere corroborata altresì da Ballata scritta in una clinica, posta in chiusura della seconda sezione della terza raccolta. Il componimento è infatti dedicato a Drusilla Tanzi, compagna di vita di Montale nonché la Mosca che in Satura sarà poi resa portatrice di una spiccata saggezza empirica, tale da renderla una guida per l’io lirico a dispetto delle sue pupille tanto offuscate97. Nella Bufera e altro tale ruolo è ancora minimale dal momento che la poesia in esame coincide con l’unica apparizione di questa figura nell’intera raccolta. Ciò nonostante, si potrebbe forse sostenere che nella lirica in oggetto la presenza di una simile figura, sebbene quanto mai dimessa, quotidiana e agli antipodi rispetto alla potenza angelica di Clizia98, assuma una funzione pressoché gnoseologica, come se la sua infermità fosse in un certo modo una sorta di cartina al tornasole della costitutiva fragilità dell’esistenza così come un riflesso rovesciato del male, tanto nella sua manifestazione più contingente quanto in senso metafisico99. Alla luce di ciò e del valore affettivo di cui è implicitamente pervasa la lirica, il fatto che la poesia si presenti come una ballata sia nel titolo sia – benché alla lontana – nella struttura100 pare indicare, ancora una volta, una motivazione profonda per la connessione della donna con una specifica forma metrica e musicale. In effetti, la ballata non appartiene di fatto alla tradizione poetica aulica se non misura estremamente marginale101: sin dal Medioevo era considerata inferiore alla canzone102 nonostante la sua complessa struttura fosse «più artisticamente elaborata 103», dunque essa si sposerebbe con il tono umile e realistico di Ballata scritta in una clinica. V’è di più tuttavia: la ballata era caratterizzata da grande efficacia musicale104 (non per niente la ballata costituiva nel Trecento una delle forme primarie della polifonia italiana105), tanto da presentarsi come il «principale veicolo dell’espressione musicale per lo stil novo»106, i cui esponenti, a dire di Nino Pirrotta, tendevano a ricercare più ancora che la riflessione filosofica il piacere della musica107. Da ciò potrebbe derivare la scelta di una denominazione come Ballata ad opera di Montale, sia pure solo sotto forma di una suggestione, specialmente se si considera l’attenzione riservata dal poeta all’immaginario stilnovistico sin dalle Occasioni, benché nel caso di Mosca non sia possibile ravvisarne l’applicazione se non in maniera assai larvale e soltanto nella misura in cui la figura femminile incarna comunque nella poesia di Montale un faro, magari non in grado di assicurare salvezza, ma almeno capace di illuminare e accrescere sotto certi aspetti la consapevolezza dell’io.
 
5.Conclusioni
 
Sembrerebbe che i Mottetti all’interno delle Occasioni debbano il loro nome a un richiamo non generico all’omonimo genere musicale sviluppatosi nel Medioevo: pare infatti che la tendenza a individualizzare le strofe di cui sono composte queste liriche e l’ammontare delle suddette stanze al numero di due nella maggior parte dei casi possano indicare un’affinità con il mottetto polifonico. Nondimeno, non si ritiene affatto che i mottetti montaliani presentino delle rispondenze precise a livello strutturale con tale forma musicale, la quale, se – come sembra – è stata richiamata all’attenzione del poeta, non è stata ripresa come un modello a cui guardare in termini puramente tecnici, ma in senso più lasco in virtù della sua lunga tradizione liturgica e, in seguito, in ragione del suo legame con motivi secolari di marca amorosa. Tale eventuale rimando al mottetto come genere musicale e poetico potrebbe spiegarsi con la funzione portante rivestita dalla donna-angelo e dalla salvezza da ella incarnata in questa sezione del secondo libro montaliano. Ciò potrebbe essere confermato dalla ripresa nella Bufera e altro di altre forme polifoniche, anch’esse dotate di una tradizione tanto musicale quanto letteraria: il madrigale e la ballata per quanto concerne rispettivamente i Madrigali privati e Ballata scritta in una clinica. In entrambe le sezioni, così come nei Mottetti, ad essere protagonista è una figura femminile il cui valore soterico, pur con gradazioni molto differenti, potrebbe essere enfatizzato dall’associazione alle su menzionate forme metriche e musicali. Nel primo caso, il madrigale costituisce il contraltare laico del mottetto, il che ben si attaglierebbe alla dimensione mondana e alla salvezza privata dominanti in tali liriche. D’altra parte, la scelta della ballata potrebbe scaturire dalla sua connotazione popolare, tale da confarsi all’atmosfera più che mai dimessa che contraddistingue tanto l’ambientazione della poesia quanto Mosca. Inoltre, dato il nesso della ballata con il Dolce Stil Novo in virtù delle sue proprietà musicali e posto il valore se non prettamente salvifico, almeno di positiva figura conoscitiva che caratterizza Mosca, si potrebbe ipotizzare che Ballata scritta in una clinica discenda anche dalla generale importanza dell’immaginario stilnovistico per Montale, nonostante non si tratti certo di un esempio esclusivo e vi si debba assommare anche e soprattutto quello della Beatrice dantesca.
Infine, si tiene a precisare come non si sostenga in alcun modo che le liriche oggetto della presente indagine possano essere ricondotte alle reminiscenze musicali finora analizzate in maniera totalizzante, come se l’interpretazione delle poesie e della poetica stessa di Montale potesse essere semplicemente ridotta ai rimandi a determinate forme musicali e poetiche. Queste ultime potrebbero svolgere un ruolo significativo ma comunque aggiuntivo e tutt’altro che prevaricante nel sottolineare certi aspetti dei componimenti in questione, il cui significato sembra tuttavia essere potenziato da una lettura come quella svolta in questa sede.

Note

  1. Pier Vincenzo Mengaldo, Montale critico musicale, in «Studi Novecenteschi», 11, dicembre 1984, n. 28, pp. 197-238, e Marco Forti, Eugenio Montale: la poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Mursia, Milano 1973, p. 10.
  2. Antonio Zollino, I paradisi ambigui: saggi su musica e tradizione nell’opera di Montale, Piombino, Il Foglio, 2008, p. 271. Cfr. anche Roberto Iovino e Stefano Verdino (a cura di), Prefazione, in Montale, la musica e i musicisti, Sagep Editrice, Genova 1996, p. 11, e Gino Tanasini, Ambiente e vita musicale negli anni della formazione, ivi, pp. 25-36.
  3. Giuseppe Candela, “Come un essenziale alfabeto”. L’influenza della musica nell’opera di Montale tra il mestiere del poeta e quello del critico, Formalav, Terrasini 2017, pp. 10-47.
  4. Ivi, pp. 48-53.
  5. Steven Paul Scher, Notes toward a Theory of Verbal Music, in «Comparative Literature», 22, Spring 1970, n. 2, pp. 149 ss.
  6. Stefano Colangelo, Metrica come composizione, Gedit, Bologna 2002, pp. 11-12.
  7. Ibidem, p. 12. Siffatta associazione sempre più stretta di musica e lirica – fino al tentativo di riprodurre la prima mediante la seconda – potrà essere stata influenzata in particolar modo dalla visione della musica in età romantica come arte richiedente, prima ancora che un ascolto attivo, un abbandono totale in conseguenza della sua concezione pressoché religiosa: la musica per i romantici era in grado di esprimere nel modo più completo e spontaneo possibile i sentimenti umani così come il legame con la natura (cruciale per tale temperie culturale). Degno di nota in tal senso è in particolare il comune legame di musica e poesia con l’atmosfera della natura e in seguito con la “Stimmung” in senso più ampio (con una certa priorità della musica sotto questo punto di vista). A questo proposito, cfr. Heinrich Besseler, Der musikalische Hören der Neuzeit, Berlin, Akademie-Verlag, 1959, trad. it. L’ascolto musicale nell’età moderna, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 85-98.
  8. Mario Pazzaglia, Introduzione, in Renzo Cremante e Mario Pazzaglia (a cura di), La metrica, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 16.
  9. A tal riguardo, cfr. A. Zollino, I paradisi ambigui, cit., p. 298, in cui l’autore fa notare come Montale, nella sua attività di critico musicale, avesse sempre accordato maggiore attenzione alla produzione drammatica, anche nel caso di eccelsi sinfonisti quali Mozart e Beethoven.
  10. Tiziana De Rogatis (a cura di), Eugenio Montale, Le occasioni, Milano, Mondadori, 20203, p. 87.
  11. Pietro Giovanni Beltrami, La metrica italiana, Bologna, Il Mulino, 1994 [1^ ed. 1991], p. 299.
  12. Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1993 [1^ ed. 1963], pp. 39 e 40. Tuttavia, è stata anche avanzata l’ipotesi di una possibile origine del mottetto da una tipologia di canto monofonico vernacolare. A tal proposito, cfr. Elizabeth Eva Leach, The Genre(s) of Medieval Motets, in Jared C. Hartt (a cura di), A Critical Companion to Medieval Motets, Woodbridge, The Boydell Press, 2018, p. 16.
  13. Léon Clédat, Dictionnaire Étymologique de la Langue Française, Paris, Librairie Hachette, 1914 [1^ ed. 1912], voce “mot”, p. 386, ed E.E. Leach, The Genre(s) of Medieval Motets, cit., p. 16.
  14. P.G. Beltrami, La metrica italiana, cit., p. 299.
  15. Elvidio Surian, Manuale di storia della musica. Dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, Milano, Rugginenti, 2006 [1^ ed. 1991], vol. I, pp. 121 ss.
  16. Ibidem, pp. 123 ss. e 127, e Heinrich Besseler, I generi musicali nella società francese, in Franco Alberto Gallo (a cura di), Musica e storia tra Medio Evo e Età moderna, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 38.
  17. E.E. Leach, The Genre(s) of Medieval Motets, cit., p. 16.
  18. Jennifer Saltzstein, Clerics, Courtiers, and the Vernacular Two-Voice Motet: The Case of Fine Amouretes / Fiat and the Roman de la poire, in J.C. Hartt (a cura di) A Critical Companion to Medieval Motets, cit., p. 194: «L’importanza del mottetto a due voci nel contesto del genere del mottetto è chiara: la maggior parte dei più antichi mottetti in latino e in francese è stata scritta per due voci, mottetti a due voci figurano nella prevalenza dei più significativi manoscritti di mottetti giunti fino a noi e il mottetto a due voci è stato ampiamente coltivato, come si evince dalla sua presenza non solo in fonti polifoniche parigine, ma anche in canzonieri legati ad Arras». Trad. it. dell’autrice.
  19. Cfr. l’introduzione di T. De Rogatis ai Mottetti in T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 88.
  20. Si pensi che i testi latini scritti in accompagnamento ai mottetti (in tal caso nell’accezione di composizioni musicali) del XII e del XIII secolo non godevano di alcuna autonomia rispetto alla composizione polifonica, alla quale adattavano in toto la loro articolazione, pertanto estremamente libera. Su quest’aspetto cfr. Yvonne Rokseth, Il mottetto latino del XIII secolo, in F.A. Gallo (a cura di), Musica e storia tra Medio Evo e Età moderna, cit., p. 72. Riguardo al carattere assai libero della metrica dei mottetti in area francese, cfr. Jean Frappier, La poésie lyrique en France aux XIIe et XIIIe siècles, Paris, Centre de documentation universitaire, 1954, pp. 74 e 76, e Gaston Raynaud e Henri Lavoix, Recueil de motets français des XIIe et XIIIe siècles, Paris, F. Vieweg Libraire-Èditeur, 1881, tomo I, pp. IX, XI, XVI e XVII.
  21. Gianfranca Lavezzi, Occasioni variantistiche per la metrica delle prime tre raccolte montaliane, in «Metrica», II, 1981, pp. 159-172.
  22. Pietro Giovanni Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna, Il Mulino, 2012 [1^ ed. 1996], pp. 151-153 e 178-195. Su come la metrica montaliana si discosti dall’isosillabismo e dall’isocronia degli accenti per procedere sulla base «dell’equivalenza dei metri per via della gradazione ritmica» e su come tali caratteristiche ben si attaglino al principio atonale del verso libero cfr. rispettivamente Antonio Pinchera, La versificazione tonico-sillabica nella poesia di Montale: I. “Ossi di seppia”, in «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», 1969, n. 7, pp. 159 ss., e M. Pazzaglia, Introduzione, in R. Cremante e M. Pazzaglia (a cura di), La metrica, cit., pp. 19 ss.
  23. E. Montale, Lo sai: debbo riperderti e non posso, in T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 92.
  24. Tiziana De Rogatis (a cura di), Eugenio Montale, Le occasioni, cit., p. 93.
  25. Giorgio Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», in «Lettere Italiane», 49, gennaio-marzo 1997, n. 1, pp. 67, 68, 87 e passim, e Tiziana De Rogatis (a cura di), Eugenio Montale, Le occasioni, cit., p. 91.
  26. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit., p. 68.
  27. Ibidem. Cfr. altresì Dante Isella (a cura di), Eugenio Montale, Mottetti, Milano, Il Saggiatore, 1980, p. 11.
  28. E. Surian, Manuale di storia della musica. Dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, cit., p. 125.
  29. M. Mila, Breve storia della musica, cit., pp. 51-53.
  30. Ibidem, p. 52.
  31. Non a caso, v’è stato chi ha ravvisato nell’opposizione di coppie polari la natura polifonica dei Mottetti delle Occasioni. Al riguardo, cfr. Maria Silvia Assante, Montale e la musica: «Quel regno di fuochi fatui e carta pesta» [Tesi di dottorato], Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli 2016, p. 115.
  32. Nondimeno, è bene osservare che tanto la genealogia del mottetto dalle “clausulae” quanto l’assoluta precedenza dei testi latini a quelli in francese è stata messa in discussione sin dai primi decenni del secolo scorso, ma ciò non sembra influire negativamente sugli sviluppi del presente lavoro giacché, quale che sia la ricostruzione più corretta, se – come si cercherà di argomentare – Montale ha davvero avuto in mente questa forma musicale e letteraria, egli potrà avervi fatto appello tenendone conto nella totalità della sua evoluzione. Sulle origini e i generi del mottetto cfr. E.E. Leach, The Genre(s) of Medieval Motets, cit., pp. 15 e 16, mentre in merito alla priorità delle “clausulae” ai testi o viceversa cfr. Richard H. Hoppin, Medieval music, New York, Norton & Company, 1978, p. 326.
  33. E. Surian, Manuale di storia della musica. Dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, cit., pp. 115 ss.
  34. Ibidem, p. 127.
  35. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit., p. 68: «La primavera è quella della salvezza, dell’incontro con la Beatrice che è in grado di dare l’interpretazione e il significato dell’itinerario spirituale e, soprattutto, delle ansie, dei dubbi, delle angosce, degli errori del suo ‘fedele’».
  36. Sulla dannazione percepita a causa dell’assenza dell’amata cfr. Franco Croce, Storia della poesia di Eugenio Montale, Genova, Costa & Nolan, 1991, p. 38.
  37. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 91.
  38. Ibidem, p. 93.
  39. G. Barberi Squarotti fa notare come in questo mottetto prevalga la negazione della manifestazione soterica della donna per mezzo di elementi oggettivi che non ne costituiscono i «punti di riferimento ossimorici». Al riguardo cfr. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit., p. 70.
  40. E. Surian, Manuale di storia della musica. Dalle origini alla musica vocale del Cinquecento, cit., p. 201.
  41. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 92.
  42. P.G. Beltrami, La metrica italiana, cit., p. 299.
  43. H. Besseler, I generi musicali nella società francese, cit., p. 41.
  44. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 127.
  45. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit., pp. 87 e 88.
  46. F. Croce, Storia della poesia di Eugenio Montale, cit., p. 31: «Egli [il poeta] non crede infatti che si possa ottenere un dominio – sia pure irrazionale e ineffabile – sulla realtà attraverso l’incanto trasfiguratore della parola, ma solo attraverso il miracoloso “incontro” con un’Amata che dia senso alle cose». Sullo stesso argomento, cfr. M. Forti, Eugenio Montale: la poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, cit., p. 137, in cui a proposito di Pareva facile giuoco – mottetto posto in apertura all’intero libro – si nota: «solo l’amata è in grado di scorgere e dare a vedere i detti “barlumi”».
  47. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit., p. 66, e Giusi Baldissone (a cura di), Le muse di Montale. Galleria di occasioni femminili nella poesia montaliana, Novara, Interlinea, 20142, pp. 7 e 8.
  48. G. Barberi Squarotti, Lettura dei «Mottetti», cit. p. 67.
  49. Gianfranco Contini, Una lunga fedeltà: scritti su Eugenio Montale, Torino, Einaudi, 1974, pp. 29 ss., in cui il critico attribuisce questo valore fantasmatico anche ad altri elementi dalla connotazione liberatoria, come il profumo dei limoni nella lirica omonima.
  50. Ibidem, p. 35.
  51. Ibidem, p. 36.
  52. Marco Forti, Nuovi saggi montaliani, Milano, Mursia, 1990, p. 57.
  53. Erich Auerbach, Mimesis: Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Berna, Francke AG. Verlag, 1946, trad. it. Mimesis: Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 2000 [1^ ed. 1956], pp. 147 e 148.
  54. Romano Luperini et al., Il nuovo La scrittura e l’interpretazione, Palermo, Palumbo, 2011, vol. I, pp. 45-55. Al riguardo, cfr. anche Sylvette Rouillan-Castex, L’amour et la société féodale, in « Revue Historique », T. 272, octobre-décembre 1984, Fasc. 2 (552), Presses Universitaires de France, p. 296, e Michael Bryson e Arpi Movsesian, The Troubadours and Fin’amor: Love, Choice, and the Individual, in Love and its Critics. From the Song of Songs to Shakespeare and Milton’s Eden, Cambridge, Open Book Publishers, 2017, pp. 121-194.
  55. J. Frappier, La poésie lyrique en France aux XIIe et XIIIe siècles, cit., p. 74. Si veda anche G. Raynaud e H. Lavoix, Recueil de motets français des XIIe et XIIIe siècles, cit., pp. XVII e XVIII.
  56. Georges Lavis, L’expression de l’affectivité dans la poésie lyrique française du Moyen Âge (XIIe-XIIIe S.) : étude sémantique et stylistique du réseau lexical joie-dolor, Paris, Les Belles Lettres, 1972, p. 16: «L’espressione della gioia e della sofferenza occupa una posizione centrale nell’universo poetico dei trovieri». Trad. it. dell’autrice.
  57. S. Rouillan-Castex, L’amour et la société féodale, cit., p. 296: «La canzone dice sempre ‘‘io’’; è sempre un messaggio rivolto a una donna amata, la Dama, o un monologo relativo agli stati d’animo del poeta innamorato. Quest’amore dei trovatori si presenta come un insieme di sentimenti e di modi di fare che definiscono un’erotica del tutto nuova in Occidente. Tale erotica si caratterizza per la devozione assoluta alla dama, l’esasperazione del desiderio, di cui si impedisce la realizzazione, e per uno stato d’animo costituito da esaltazione e sentimentale e gioia: la “joi”». Trad. it. dell’autrice.
  58. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 88.
  59. Supra, p. 7.
  60. H. Besseler, I generi musicali nella società francese, cit., p. 38
  61. Ibidem, p. 39.
  62. Gioia Sebastiani, Perché voi mi dite: poeta?, in «Leggere», 9, novembre 1996, n. 85, p. 59.
  63. Non possono non tornare alla mente i primi versi della poesia liminare di Satura: «I critici ripetono, / da me depistati, / che il mio tu è un istituto», in Riccardo Castellana (a cura di), Eugenio Montale, Satura, Milano, Mondadori, 2021 [1^ ed. 2009], p. 4, vv. 1-3. Tuttavia, non si pretende di fare di quest’affermazione una regola generale, così invalidando qualsiasi esegesi tenga conto delle parole del poeta, le quali – al contrario – costituiscono un ausilio di non scarso valore; ci si limita tutt’al più a un atteggiamento disincantato ma non riduttivo.
  64. Eugenio Montale, Gli orecchini, in Ida Campeggiani e Niccolò Scaffai (a cura di), E. Montale, La bufera e altro, Milano, Mondadori, 2020 [1^ ed. 2019], p. 43, v. 7.
  65. M.S. Assante, Montale e la musica: «Quel regno di fuochi fatui e carta pesta», cit., pp. 114 e 115.
  66. M. Mila, Breve storia della musica, cit., p. 67.
  67. M.S. Assante, Montale e la musica: «Quel regno di fuochi fatui e carta pesta», cit., p. 115.
  68. Supra, pp. 4-6.
  69. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 127.
  70. E. Montale, Ti libero la fronte dai ghiaccioli, in T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 127.
  71. Dante Isella (a cura di), Eugenio Montale, Le occasioni, Torino, Einaudi, 1996, p. 104.
  72. Ibidem, p. 103.
  73. Supra, pp. 5 e 6.
  74. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 126.
  75. Costanzo Di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione, Bologna, Il Mulino, 1983 [1^ ed. 1976], p. 16.
  76. E. Montale, La gondola che scivola in un forte, in T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., pp. 130 e 131.
  77. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 131.
  78. Ibidem, p. 129, e D. Isella (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 105.
  79. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 129. Sulla presenza di allusioni a opere musicali nella lirica montaliana cfr. A. Zollino, I paradisi ambigui, cit., pp. 282 ss.
  80. T. De Rogatis (a cura di), E. Montale, Le occasioni, cit., p. 132.
  81. Tuttavia, è stato osservato che le memorie che si riaffacciano a soprassalti si distinguono altresì per un che di inquietante. A questo proposito, cfr. ibidem.
  82. Supra, pp. 5, 6 e 12.
  83. Jean-Luc Nancy, À l’écoute, Paris, Éditions Galilée, 2002, trad. it., All’ascolto, Milano, Raffaele Cortina, 2004, p. 67.
  84. Paolo Fabbri, ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI DI MUSICA E POESIA: IL CASO DEL MADRIGALE, in «Il Saggiatore musicale», 12, 2005, n. 1, p. 29, e Alessandro Martini, RITRATTO DEL MADRIGALE POETICO FRA CINQUE E SEICENTO, 33, ottobre-dicembre 1981, n. 4, p. 530.
  85. P. Fabbri, ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI DI MUSICA E POESIA: IL CASO DEL MADRIGALE, cit., ibidem, e Francesco Giusti, I Madrigali privati: Montale, la Volpe e una narrazione diffusa, in «Otto/Novecento: rivista quadrimestrale di critica e storia letteraria», ANNO XXXI – n. 3, settembre-dicembre 2007, p 102: «il madrigale è una composizione polifonica profana, certo non adatta a cantare il sacro».
  86. Guglielmo Gorni, Metrica e analisi letteraria, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 92. Tale caratteristica non si presenta ancora nel madrigale trecentesco, contraddistinto invece già nel modello petrarchesco da una certa regolarità metrica. Al riguardo, cfr. ibidem e A. Martini, RITRATTO DEL MADRIGALE POETICO FRA CINQUE E SEICENTO, cit., p. 536.
  87. Supra, p. 4.
  88. M. Mila, Breve storia della musica, cit., p. 48.
  89. Nino Pirrotta, ARS NOVA E STIL NOVO, in «Rivista Italiana di Musicologia», 1, 1966, n. 1, p. 9.
  90. H. Besseler, I generi musicali nella società francese, cit., p. 39.
  91. M. Mila, Breve storia della musica, cit., p. 45.
  92. Ibidem, p. 44.
  93. Cfr. l’introduzione di I. Campeggiani e N. Scaffai ai Madrigali privati in I. Campeggiani e N. Scaffai (a cura di), E. Montale, La bufera e altro, cit., p. 531. Sui temi amorosi del madrigale e sulla sua connotazione bucolica (almeno nel Trecento) cfr. G. Gorni, Metrica e analisi letteraria, cit., p. 91, e F. Giusti, I Madrigali privati: Montale, la Volpe e una narrazione diffusa, cit., p. 102.
  94. M. Mila, Breve storia della musica, cit., p. 48, e N. Pirrotta, ARS NOVA E STIL NOVO, cit., p. 9.
  95. F. Giusti, I Madrigali privati: Montale, la Volpe e una narrazione diffusa, cit., pp. 99 e 102.
  96. Ibidem, pp. 99-101. D’altronde, è possibile ravvisare la stessa tendenza realistica (accompagnata da un’intonazione tendenzialmente lontana dalla solennità) in Madrigali fiorentini (all’interno di Dopo, seconda sezione della Bufera).
  97. [E. Montale, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, in R. Castellana (a cura di), E. Montale, Satura, cit., p. 61.
  98. F. Giusti, I Madrigali privati: Montale, la Volpe e una narrazione diffusa, cit., pp. 100 e 101.
  99. I, Campeggiani e N. Scaffai (a cura di), E. Montale, La bufera e altro, cit., pp. 121-123 e 126-133.
  100. Ibidem, pp. 123-125.
  101. G. Gorni, Metrica e analisi letteraria, cit., pp. 85-88.
  102. Ibidem, p. 85.
  103. N. Pirrotta, ARS NOVA E STIL NOVO, cit., p. 11.
  104. Ibidem, p. 12.
  105. M. Mila, Breve storia della musica, cit., p. 46.
  106. Ibidem, p. 15.
  107. N. Pirrotta, ARS NOVA E STIL NOVO, cit., p. 14.

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