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La serie musicale del se una notte d’inverno un viaggiatore: un dialogo meta-mediale tra il principio combinatorio calviniano e il serialismo integrale di Pierre Boulez
di , numero 57, giugno 2024, Didactica, DOI

La serie musicale del <em>se una notte d’inverno un viaggiatore</em>: un dialogo meta-mediale tra il principio combinatorio calviniano e il serialismo integrale di Pierre Boulez
Come citare questo articolo:
Arianna Grossi, La serie musicale del se una notte d’inverno un viaggiatore: un dialogo meta-mediale tra il principio combinatorio calviniano e il serialismo integrale di Pierre Boulez, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 39, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11680

Il presente contributo, seguendo i suggerimenti e le sollecitazioni innescate dagli studi relativi alla contaminazione strutturale tra musica e romanzo, si propone di analizzare il romanzo calviniano Se una notte d’inverno un viaggiatore in relazione e confronto con i principi della composizione seriale, riferendosi in particolare al serialismo integrale proposto da Pierre Boulez. Per quanto possibile, in conformità con l’assunto della specificità di ciascun media e linguaggio artistico, gli elementi e le tecniche di composizione utilizzati da Italo Calvino nella scrittura di questo romanzo “in serie”, verranno accostati in dialogo metaforico ai criteri di estetica e tecnica musicale della musica seriale. La ricerca si focalizzerà sugli scritti teorico-tecnici e le considerazioni prodotte da Boulez durante e successivamente l’esperienza ai Ferienkurse di Darmstadt.
Dopo aver presentato le ragioni teoriche e le ricadute strutturali a livello dei piani narrativi del modello combinatorio dell’ultima scrittura di Calvino (inaugurata con il discorso preparato in occasione del ciclo di conferenze tenutesi nel 1967 per l’Associazione culturale italiana, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio1 ), si esporrà sinteticamente l’evoluzione del principio combinatorio in musica, attraverso una panoramica storica che, partendo dalla rivoluzione – o necessità – schönberghiana del «metodo di composizione con dodici note»2, delinea i molteplici e diversificati sviluppi dell’esperienza della scuola di Darmstadt e della tecnica seriale.
Il manifesto programmatico dell’autore sanremese, in linea con le esperienze del Nouveau Roman e del gruppo dell’OuLiPo, esplicita e formalizza le cornici teoriche e contestuali dei romanzi degli anni ‘70, anticipati dalla pubblicazione del racconto Il conte di Montecristo nella raccolta del 1967, Ti con zero. Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e Palomar (1983), sono opere ascrivibili all’insieme che Carretta indica come «romanzi a impianto seriale»3: in riferimento ai testi di Sarraute, Duras, Butor, Pinget, Robbe-Grillet, si riconosce la presenza di un principio di variazione disgregativa della materia romanzesca che si serve di tecniche musicali della composizione seriale4. Negli schemi combinatori della musica i romanzieri cercano e sublimano i principi numerici che vi stanno alla base, «il sostrato matematico della musica, il suo basso continuo matematico matrice di tutti gli sviluppi»5.
Si ritiene opportuno rendere conto delle motivazioni che sollecitano la proposta di un canale comunicativo tra la struttura compositiva del Viaggiatore e il modello musicale. Sarebbe infatti possibile considerare tale lettura una forzatura interpretativa, identificando come motore generativo del libro il solo modello matematico. In questa sede non si ritiene indispensabile rintracciare una dichiarazione esplicita di intenti dell’autore, per poter affermare la presenza – e la conseguente vicinanza – dello stesso principio matematico combinatorio in entrambi i movimenti artistici. La medesima ricerca strategica percettiva permette infatti di utilizzare la forma musicale come modello metaforico della composizione formale narrativa in questione6. Inoltre, si riscontra una presenza costante di riferimenti musicali lungo tutta la diversificata e ampia produzione letteraria dell’autore: dal paesaggio sonoro di Marcovaldo7 al racconto Un re in ascolto, dalla «polifonia di livelli espressivi»8 che danno forma a «una costruzione di frammenti internamente partecipi di un processo musicale in continua trasformazione»9 alle metafore musicali, dalla complessità ritmica della prosa, fino alla più esplicita scrittura di testi per canzoni10. La collaborazione attiva con i compositori, e amici, Luciano Berio e Sergio Liberovici, e l’influenza determinante della lezione di Roland Barthes, sono ulteriori elementi che evidenziano un interesse non comune alla dimensione della parola intesa come suono, ascolto, ricezione, musica.
L’analisi strutturale qui condotta di Se una notte d’inverno un viaggiatore si propone di illuminare le strategie compositive alla base dell’iper-romanzo, utilizzando come fonti le dichiarazioni offerte dall’autore stesso e il materiale primario di studio. Si potranno trovare inoltre brevi e fugaci riferimenti alle opere Ti con zero e Lezioni americane per rafforzare la testimonianza di un uso della variazione secondo la logica seriale, finalizzata allo sviluppo di effetti sperimentali e ad un’estetica del romanzo che fonda il proprio potere conoscitivo sulla consapevolezza dello statuto compositivo. Le numerose regole o contraintes applicate che formano una griglia di percorsi obbligati, «vera macchina generativa del libro»11, saranno affiancati alle dichiarazioni tecniche e ai principi estetici che muovono e sostengono il lavoro compositivo di Pierre Boulez e del serialismo integrale a partire dagli anni ’50.

1. La rivincita della discontinuità

Italo Calvino con la stesura del testo Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio indica i principi di numerabilità, finitudine, discontinuità e divisibilità come i nuovi fondamenti del pensiero contemporaneo:

«Nel modo in cui la cultura di oggi vede il mondo, c’è una tendenza che affiora contemporaneamente da varie parti: il mondo nei suoi vari aspetti viene visto sempre più come discreto e non come continuo. Impiego il termine “discreto” nel senso che ha in matematica: quantità “discreta” cioè che si compone di parti separate. Il pensiero, che fino a ieri ci appariva come qualcosa di fluido […] oggi tendiamo a vederlo come una serie di stati discontinui, di combinazioni di impulsi su un numero finito (un numero enorme ma finito) di organi sensori e di controllo.12»

La sfumatura e l’indeterminatezza lasciano campo d’azione al nuovo pensiero combinatorio, il quale permette di tradurre anche i processi apparentemente più refrattari ad una descrizione quantitativa, in modelli matematici13. Il linguaggio, indicata come la più imprevedibile delle macchine umane, non è esente dall’analisi fondata su segmentazione, disposizioni e permutazioni: sia la dimensione primordiale dell’oralità che la scrittura contemporanea vengono descritte come processo di combinazione di pochi elementi e continua sperimentazione di nuovi accostamenti, secondo le regole implicite nel linguaggio. La letteratura, così come la fiaba, si snodano verso un qualcosa di ancora non detto, la vibrazione del mito, che celato intorno al linguaggio, si annida come pensiero preconscio e si rivela solo a partire dal processo oggettivo del gioco combinatorio. Tra le tante combinazioni possibili di parole, inaspettatamente una si carica di un valore speciale tale da provocare il riso14, da scatenare e illuminare un’idea rimossa15, «un significato non oggettivo di quel livello linguistico sul quale ci stavamo muovendo, ma slittato da un altro piano»16, popolato dai fantasmi nascosti dell’individuo e della società.
Oltre a descrivere il procedimento di emersione e cristallizzazione del mito e dei tabù, del sacro e del proibito − definendo la duplice funzione della letteratura, come conferma dell’ordine esistente e critica del pensiero collettivo − Calvino nella lunga argomentazione di Cibernetica e fantasmi prefigura anche la scomparsa dell’autore, sostituito da una macchina scrivente, e affida al lettore il ruolo di «esplicitazione delle potenzialità»17 dell’opera letteraria attraverso la distruzione e la rinnovazione della stessa nell’atto materiale e interpretativo della lettura.
In chiusura dell’intervento Calvino annuncia le proprie nuove intenzioni di scrittura: la figura del labirinto, i procedimenti di mise en abyme, architetture compositive a scatole cinesi, costruzioni a cornici disposte su diversi livelli di narrazione, le sperimentazioni dettate da contraintes rigide, si delineano come «giochi di orientamento»18 per affrontare il terrore del vuoto e dello spaesamento provocato dalla moltitudine di un mondo in cui è facile perdersi, e che necessariamente si presenta come impenetrabile. La scrittura combinatoria si configura come antidoto contro «l’agorafobia intellettuale»19, nonché come strumento per comunicare il senso della molteplicità. Il principio di campionatura del potenziale narrabile è ciò che sta alla base dell’ultima fase di ricerca del narratore, in linea con la produzione e la sperimentazione di Queneau e del gruppo dell’OuLiPo. L’ossessione che perseguita Calvino negli ultimi anni è quella di dare voce al mondo non scritto, a ciò che ancora il mondo «non ha le parole per dire»20, di come poter isolare una singola storia allontanando la molteplicità delle storie possibili, nonostante ogni atto di narrazione implichi e sia condizionato da tutti gli altri. Così l’idea di iper-romanzo diventa funzionale all’inseguimento «[de]l tutto attraverso le sue immagini parziali»21.
I romanzi degli anni ’70 permettono a Calvino di esplorare le strutture labirintiche e combinatorie, similmente agli esponenti del Nouveau Roman in Francia: in questi autori il principio della variazione viene rielaborato come «espediente di disgregazione della materia romanzesca»22 e declinato secondo una logica seriale non «finalizzata all’approfondimento di un tema quanto alla possibilità di reperire una base per lo sviluppo di effetti sperimentali»23. Nei casi di Sarraute, Robbe-Grillet, Duras, Butor, Pinget, Simon − dunque dello stesso Calvino − si riconosce nella variante combinatoria del principio di variazione, una somiglianza e una ricerca di modelli musicali ascrivibili alla tecnica della musica seriale:

«Mentre alcuni romanzieri riprendono forme compositive unitarie della musica tonale (il modello della fuga e della sonata basato sul contrappunto o la variazione su tema), in altri si registra la tendenza a ricercare nell’arte musicale un “arsenale di schemi combinatori che si possono riprendere e adattare”, sul modello seriale elaborato dalla scuola di Schönberg. […] Animati da un intento destrutturante nei confronti delle forme narrative canoniche, ai “nuovi romanzieri” non interessano tanto le soluzioni musicali macro-compositive, quanto lo stadio in cui si presentava la musica prima che scoprisse l’armonia delle forme, che questi scrittori ritrovano negli esperimenti combinatori che caratterizzano la musica dodecafonica.24»

La messa in pratica dei principi di permutazione e combinazione in parola letteraria riflette spesso il senso della rinuncia ad interpretare il mondo e interiorizzare il caos attraverso la consapevolezza dello statuto e delle tecniche compositive. Come nella musica

«anche nelle opere romanzesche organizzate secondo i principi combinatori è la struttura a presentarsi come veicolo di quel sentimento di alienazione che l’uomo sperimenta di fronte ad un sapere parcellizzato, che risulta sempre più arduo ricondurre ad una matrice unitaria. 25»

Se per alcuni autori come Michel Butor, le analogie con il mondo musicale dodecafonico e seriale possono essere spiegate esclusivamente come suggestione diretta del modello musicale, per altre opere, tra cui quelle dello stesso Calvino, si constata la presenza di una struttura seriale che deriva in primo luogo dalla ricerca di un basso continuo matematico quale piattaforma di tutti i possibili sviluppi narrativi26. È questo il caso che ci si presta ad analizzare nel presente contributo, ovvero quello rappresentato dal romanzo seriale del Se una notte d’inverno un viaggiatore: uno dei possibili esiti della musicalizzazione del romanzo è riscontrabile nella comunanza di «principi matematici che sottendono i processi compositivi»27 tra il progetto di iper-romanzo di Calvino e il serialismo integrale della scuola di Darmstadt.

2. Il principio combinatorio nella rivoluzione musicale

La parola serie in musica compare per la prima volta tra i teorici viennesi per descrivere le opere di Schönberg che «impiegavano in modo conseguente, una successione di dodici suoni, sempre la stessa, nel corso di un’opera determinata»28. Ad uno sguardo retrospettivo della storia musicale, dell’estetica e della critica, la figura di Schönberg risulta essere quanto mai ambigua e cruciale al tempo stesso: nel saggio Schönberg è morto Boulez evidenzia le incompatibilità, i fraintendimenti e le criticità del “caso Schönberg”, mentre ne illumina il ruolo necessario nell’evoluzione della tecnica musicale.

«Con Schönberg assistiamo a uno dei più importanti sconvolgimenti mai subiti dal linguaggio musicale. Il materiale propriamente detto, non cambia: i dodici semitoni; ma la struttura che organizza questo materiale viene messa in causa: dall’organizzazione tonale passiamo all’organizzazione seriale. Come è venuto alla luce questa nozione di serie? In quale momento dell’opera di Schönberg si colloca? Di quali deduzioni è il risultato? Seguendo questa genesi, pare che si sarà molto vicini a svelare certe divergenze irriducibili.29»

Il metodo di composizione a dodici note nasce, nella concezione del musicista viennese, dalla necessità di portare a compimento lo sviluppo del cromatismo, il processo di emancipazione della dissonanza e l’allargamento dello spettro sonoro, rinunciando esplicitamente e consapevolmente alla tonica come centro gravitazionale con funzione costruttiva30. Boulez analizza questo processo di sospensione del linguaggio tonale praticato dal Maestro come scoperte essenzialmente morfologiche, sviluppate attraverso l’applicazione del principio della variazione, della non-ripetizione, la scrupolosa costruzione contrappuntistica e la presenza preponderante di intervalli anarchici che vanno a eliminare progressivamente l’ottava31.
L’esplorazione della dodecafonia e l’instaurazione della serie prendono avvio come fenomeni tematici, per cui la successione di suoni nasce come una figura musicale unica «incaricata per mezzo del suo sviluppo e delle sue trasformazioni di tutta l’organizzazione di un pezzo»32. La serie si declina quindi qui come processo di ultratematizzazione: interviene come denominatore comune che garantisce unità semantica al pezzo, esplorando il campo delle altezze e controllando la scrittura cromatica, ma non si impone come «logica di ingeneramento tra le forme seriali propriamente dette e le strutture derivate»33. Il metodo a dodici suoni, propone inizialmente un uso costante ed esclusivo di una serie di note mai ripetute, che tocchi tutti i punti della scala cromatica, disposte in ordine differente34; da questa derivano raggruppamenti e successioni che definiscono armonie primarie e secondarie. La serie fondamentale funziona come un motivo e non serve sia caratterizzata per ritmo, fraseggio o costruzione35: questo per Boulez rappresenta il limite maggiormente problematico della teorizzazione schönberghiana, in quanto non permette il consolidamento del linguaggio seriale e delle possibilità di organizzazione implicite in esso. Con Webern invece la serie diventa una funzione gerarchica che genera permutazioni, si manifesta con una ripartizione di intervalli indipendente da ogni funzione orizzontale o verticale, fornisce la struttura di base del pezzo stesso e viene generalizzata a tutte le componenti del fenomeno sonoro (altezza, durata, intensità, attacco e timbro)36. Dopo l’estensione della serie − e la perdita di valore funzionale del numero dodici − essa diventa un modo di pensare polivalente

«e non soltanto una tecnica di vocabolario. Il pensiero seriale attuale tiene a sottolineare che la serie deve non soltanto generare il vocabolario stesso ma estendersi alla struttura dell’opera; si tratta dunque di una reazione totale contro il pensiero classico, che vuole la forma preesistente, così come la morfologia generale. […] il pensiero del compositore, utilizzando una metodologia determinata, crea gli oggetti dei quali ha bisogno e la forma necessaria per organizzarli, ogni volta che deve esprimersi. Il pensiero tonale classico è fondato su un universo definito dalla gravitazione e l’attrazione; il pensiero seriale, su un universo in perpetua espansione.37»

Il serialismo e le evoluzioni musicali successive condotte da Boulez, Stockhausen, Ligeti, Maderna, Nono, Berio, Pousseur e Cage, trovano come spazio e rifugio in cui proliferare gli incontri tenutisi durante i Ferienkurse fūr Neue Musik nella scuola di Darmstadt, organizzati fin dal 1946 da Steinecke38. Tra le preoccupazioni dei diversi protagonisti di lezioni, seminari di composizione ed esecuzioni, le problematiche di forma, struttura e ridefinizione del linguaggio sono alla base della teorizzazione della nuova tecnica musicale: «Boulez giungeva così, nell’organizzare la sua poetica, al concetto ormai classico di “struttura” quale metro fondamentale di giudizio e punto di partenza di ogni meditazione espressiva»39.
Il serialismo post-weberniano procede nell’allargamento della nozione di serie a tutti i parametri del fatto sonoro e alle derivate delle nozioni fondamentali – ovvero dei complessi omogenei o combinati, di altezze, durate, intensità, timbri –, riconosce strutture organizzative globali e secondarie, per ogni componente declina relazioni basate su valore, intensità, campi di frequenze, intervalli di integrazione. Si definisce una nuova concezione di spazio musicale, in cui figurano la dimensione verticale, orizzontale e l’inedita funzione diagonale, mentre il tempo viene concepito come variabile e categorizzato come mobile, guidato e non, a campo cronometrico delimitato. La tecnica viene considerata come «specchio esaltante creato dall’immaginazione, che le rimanda le sue proprie scoperte» 40 ed esplorata e teorizzata in ogni sua possibilità di applicazione, nelle ripartizioni, funzioni di articolazione, funzionamento e ingeneramento delle strutture interne e delle loro diverse declinazioni. L’imponente costruzione teorica viene sorretta da analogie e principi matematici di tipo combinatorio e permutativo.

3. Iper-romanzo e serialismo integrale

La ricerca poetica di Calvino a partire da Cibernetica e fantasmi viene definita dalla critica come fase combinatoria. L’esplorazione delle potenzialità del narrabile condotta dallo scrittore viene fortemente influenzata dalle sperimentazioni condotte in area francese e in particolare nell’ambiente parigino del gruppo dell’OuLiPo. Dal contatto con autori come Queneau e dalla condivisione di modelli letterari quali Borges, nasce l’idea di un progetto letterario fondato sul «modello della rete dei possibili» 41 che

«può fare da struttura portante a romanzi lunghi o lunghissimi, dove la densità di concentrazione si riproduce nelle singole parti. […] la regola dello “scrivere breve” viene confermata anche dai romanzi lunghi, che presentano una struttura accumulativa, modulare, combinatoria. Queste considerazioni sono alla base della mia proposta di quello che io chiamo “l’iper-romanzo” e di cui ho cercato di dare un esempio con Se una notte d’inverno un viaggiatore.42»

Attraverso la messa in funzione di diverse regole imposte, contraintes necessarie per fuggire al disordine del mondo, Calvino dà forma concreta al concetto di iper-romanzo come libro centrifugo che si espande in diverse direzioni: enciclopedia aperta che possa restituire il molteplice dell’universo e della vita, viene realizzata un’opera che permette anche la fuoriuscita dall’io individuale «per far parlare ciò che non ha parola»43, grazie al principio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile.

«Il mio intento era di dare l’essenza del romanzesco concentrandola in dieci inizi di romanzi, che sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata. […] Il mio temperamento mi porta allo “scrivere breve” e queste strutture mi permettono d’unire la concentrazione nell’invenzione e nell’espressione con il senso delle potenzialità infinite.44»

Calvino lavora ininterrottamente al Se una notte d’inverno un viaggiatore dal 1977 al 1979, mettendo in pausa qualunque altro lavoro, ad eccezione dello scritto I livelli della realtà in letteratura. L’autore esplora un modello di scrittura a condensazione ed espansione, giocata su una sostanza pura di lacerti narrativi in accumulazione, che rappresentano un esempio di campionatura della molteplicità potenziale del narrabile; si delineano quindi pezzi di scrittura autonomi e conchiusi ma contemporaneamente aperti al potenziale, che anelano a continuare al di fuori della pagina45. All’interno di una cornice di dodici capitoli vengono infatti inseriti dieci incipit di romanzi, presentati con titolo e autore immaginari, che consistono nei libri che il Lettore – protagonista e narratario, declinato alla seconda persona singolare – cerca di leggere fino alla fine senza mai riuscire ad appagare il proprio desiderio. Il Lettore incarna il puro e primitivo desiderio di lettura – «mi piacciono i libri da leggere dal principio alla fine»46 – continuamente inappagato e quindi in tensione continua verso l’oggetto del desiderio (alla pari dell’attrazione erotica). L’interruzione dell’intreccio come motivo strutturale del romanzesco47 permette di considerare l’opera «chiusa e calcolata»48, non coinvolta nella problematica del “non finito” dell’arte, ma collocata in quella del «finito interrotto, finito la cui fine è occultata o illeggibile»49. Ciò in realtà consente a Calvino, in linea con la propria tendenza al racconto breve, di dare vita a dieci narrazioni compiute contenenti tutti gli elementi necessari alla comprensione della storia. I dieci romanzi apocrifi tengono insieme le due forze contrapposte di brevità-frantumazione e molteplicità-complessità, coordinate nell’intento dello scrittore di

«scrivere tutti i libri, in modo da inseguire il tutto attraverso le sue immagini parziali. Il libro unico, che contiene il tutto, non potrebb’essere altro che il testo sacro, la parola totale rivelata. Ma io non credo che la totalità sia contenibile nel linguaggio; il mio problema è ciò che resta fuori, il non-scritto, il non-scrivibile. Non mi rimane altra via che quella di scrivere tutti i libri, scrivere tutti i libri di tutti gli autori possibili50»,

attraverso un’unità tematica di fondo. Questi inizi di romanzi potenziali rappresentano il catalogo delle possibilità linguistiche mai esplorate dall’autore ma «raggiungibili con un salto fuori di me che restasse nei limiti d’un salto possibile»51 e permettono con ciò di soddisfare il desiderio di «cancellare me stesso e trovare per ogni libro un altro io, un’altra voce, un altro nome»52, livellando la voce narrante al grado della voce del lettore. Il libro non si esaurisce nella sua testualità ma si riunisce nell’atto di lettura, posto in primo piano nell’intera produzione di Calvino e qui incarnato dalla figura della Lettrice (sublimazione del «ruolo sociale di lettrice per passione disinteressata»53). Se il numero dieci – numero convenzionale e non concepito come volontà simbolica totalizzante – costituisce una sorta di «autobiografia in negativo: i romanzi che avrei potuto scrivere e avevo scartato»54 per l’autore, per chi legge questi dieci estratti si configurano invece come un «catalogo indicativo d’atteggiamenti esistenziali che portano ad altrettante vie sbarrate»55. Il libro procede infatti per cancellazioni, fino alla presunta cancellazione del mondo nel romanzo apocalittico; si aprono continuamente biforcazioni a partire da ogni alternativa, che viene realizzata e poi scartata.
La complessa struttura del Se una notte d’inverno un viaggiatore risponde alle esigenze auto-imposte dall’autore alla propria scrittura, le contraintes o regole del gioco che disegnano una «griglia di percorsi obbligati che è la vera macchina generativa del libro»56. Oltre allo schema delle alternative scartate, infatti, tutti i titoli dei romanzi formano un nuovo incipit, rivelato nella cornice della grande biblioteca, il quale indica la possibilità della continuazione del mondo oltre la narrazione apocalittica. Ancora, ogni tipologia di romanzo viene annunciata per bocca della Lettrice nel capitolo precedente, risponde ai suoi gusti e alle sue attese ogni volta differenti; ogni scrittura risulta quindi dall’incontro tra il titolo e le aspettative di Ludmilla. Infine, è presente un nucleo tematico di base per tutti i racconti interrotti (e per la cornice stessa dal capitolo ottavo in poi, momento in cui Lettore diventa personaggio effettivo della propria storia), la situazione tipica romanzesca esplicitata nell’undicesimo capitolo per bocca del quinto lettore, sotto forma di una storia apocrifa delle Mille e una notte.
Una delle particolarità dell’opera è la conduzione del racconto svolta in seconda persona singolare per quasi tutta l’estensione della cornice: si realizza una dilatazione abnorme della funzione dell’apostrofe in forma autotelica. Il tu viene rivolto al Lettore protagonista del romanzo in una apostrofe duale che confonde e sovrappone due soggetti di mondi diversi che si apprestano a leggere due libri differenti, mediante un gioco di specchi corroborato dalla mise en abyme in apertura del romanzo: «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino»57. La dimensione romanzesca del fantastico fa progressivamente saltare il meccanismo di identificazione, ma l’iniziale crisi di identità del protagonista è funzionale a renderlo un “tu” dove ciascun lettore reale possa rivedere il proprio “io”. Molto più caratterizzata del Lettore è invece la Lettrice − doppio protagonista in cui si scinde il destinatario dal secondo capitolo: Ludmilla viene narrata sempre in terza persona ad eccezione del capitolo sette, dove l’inversione pronominale infittisce il gioco costruito sul pronome di seconda persona e svela il funzionamento delle convenzioni letterarie.

«Come sei, Lettrice? È tempo che questo libro in seconda persona si rivolga non più soltanto a un generico tu maschile, forse fratello e sosia d’un io ipocrita, ma direttamente a te che sei entrata fin dal Secondo Capitolo come Terza Persona necessaria perché il romanzo sia un romanzo […]. Questo libro è stato attento finora a lasciare aperta al Lettore che legge la possibilità d’identificarsi col Lettore che è letto: per questo non gli è stato dato un nome […] e lo si è mantenuto nell’astratta condizione dei pronomi, disponibile per ogni attributo e ogni azione. Vediamo se di te, Lettrice, il libro riesce a tracciare un vero ritratto, partendo dalla cornice per stringerti da ogni lato e stabilire i contorni della tua figura58»
«(Non credere che il libro ti perda di vista, Lettore. Il tu che era passato alla Lettrice può da una frase all’altra tornare a puntarsi su di te. Sei sempre uno dei tu possibili. Chi oserebbe condannarti alla perdita del tu, catastrofe non meno terribile della perdita dell’io? 59»


Momenti di esibizione della strategia narrativa, come negli esempi sopra riportati, proposti come delle istruzioni per l’uso mentre si sta scrivendo/leggendo l’iper-romanzo, si trovano soprattutto nell’ottavo capitolo della cornice, l’unico che abbandona la seconda persona del Lettore per riportare le pagine di diario dello scrittore Silas Flannery, controfigura ironica dello stesso Italo Calvino. Le esplicite dichiarazioni di intenzioni di scrittura, accompagnate a riflessioni sulla ricerca poetica dell’autore, vengono qui realizzate attraverso un procedimento di mise en abyme coniato sul modello dei Falsari di Gide.

«M’è venuta l’idea di scrivere un romanzo fatto solo d’inizi di romanzo. Il protagonista potrebbe essere un Lettore che viene continuamente interrotto. Il Lettore acquista il nuovo romanzo A dell’autore Z. Ma è una copia difettosa, e non riesce ad andare oltre l’inizio… Torna in libreria per farsi cambiare il volume… Potrei scriverlo tutto in seconda persona: tu Lettore… Potrei anche farci entrare una Lettrice, un traduttore falsario, un vecchio scrittore che tiene un diario come questo diario.60»

In alcuni momenti della scrittura Calvino sembra essere quasi scolastico, rischia di mostrare una «risoluta brama paradigmatica»61 posta a direzione della struttura geometrica e della preoccupazione teoretica alla base del romanzo, nella «costruzione di un modello di interfaccia con la realtà esterna che si ricerca, l’improbabile sincronizzazione con un mondo sfasato»62. Il problema centrale rimane quello del cominciaree di quello correlato del finire – cui viene dedicato dall’autore uno specifico scritto del 1985, in cui l’inizio di un romanzo viene descritto come l’ingresso in un mondo diverso con caratteristiche fisiche, stilistiche e logiche proprie; un momento di passaggio e di soglia, di distacco dalla molteplicità dell’esistente e del possibile, «un prendere consistenza dall’amorfa continuità dell’universo potenziale del narrabile»63 che si estende in tutte le direzioni. L’autore con questo progetto sembra riuscire a sfuggire all’ossessione del poter disarticolare l’universo in storie autonome, seppur attraversate e implicate da e in infinite altre narrazioni, attraverso l’interruzione degli incipit che consentono di raccontare avendo sotto controllo e a disposizione la molteplicità dei possibili. La volontà di chiusura a livello della cornice risponde alla necessità dell’opera potenziale e alla tendenza di scrittura dell’autore stesso. Le due forze contrastanti in equilibrio dinamico percorrono l’intero romanzo e concorrono alla costruzione della «trappola perfetta»64 e alla disertazione della sua regola: il matrimonio è chiusura convenzionale nel gioco delle convenzioni letterarie e procedimento metanarrativo che riprende specularmente e circolarmente l’inizio, «sto per finire Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino»65.
La decifrazione della fitta scrittura del reale avviene attraverso una lettura e una scrittura di tipo “corpuscolare”,

«la lettura è un’operazione discontinua e frammentaria. O meglio l’oggetto della lettura è una materia puntiforme e pulviscolare. Nella dilagante distesa della scrittura l’attenzione del lettore distingue dei segmenti minimi, accostamenti di parole, metafore, nessi sintattici, passaggi logici, peculiarità lessicali che si rivelano d’una densità di significato estremamente concentrata. Sono come le particelle elementari che compongono il nucleo dell’opera, attorno al quale ruota tutto il resto66»,

che si rifrange tra questioni etiche, stilistiche, logiche, teorico-letterarie, strutturali ed umane, «una scrittura dell’implicito, [che] rassomiglia a una corrente tellurica che agisce ascendendo, irradiandosi da un epicentro remoto»67. Problemi del linguaggio e senso della creazione procedono simultaneamente e si compenetrano: «trovare la giusta impostazione stilistica, nel linguaggio metaforico di Calvino, vuol dire ricercare, di volta in volta, soluzioni alternative; significa mantenere un atteggiamento non univoco di critica apertura, tentare aggiornate ipotesi di lettura del mondo, nel concreto rapportarsi con l’intricata realtà delle cose»68. E proprio dallo stesso disordine prendono avvio le sperimentazioni musicali della generazione del compositore Pierre Boulez:

«Ereditavamo dunque da un mondo musicale all’interno del quale le contraddizioni erano acute, in un periodo in cui i puri problemi di linguaggio si ponevano con un’urgenza tutta particolare, e dovevano decidere, radicalmente, della direzione a venire. […] Soltanto il rigore poteva aiutarci a ridurre una situazione inegualmente aggrovigliata. […] Dall’esterno, il rigore ha tutte le possibilità di passare per fanatismo e intolleranza; giacché non si cerca di penetrarne le ragioni d’essere, di comprenderne la necessità imperiosa. […] Non vi era dunque traccia di fanatismo nel rigore al quale ci eravamo determinati, ma una volontà molto ragionevole di eliminare il disordine, di andare alla ricerca di una volontà profonda del linguaggio69»
«L’automatismo di una struttura seriale unificata rispondeva all’inerzia del mezzo di trasmissione, all’occasione di un materiale di partenza “prefabbricato”. […] Come conseguenza di questa successione di postulati, è molto evidente che la forma non poteva nascere che dal gioco delle diverse categorie del suono “messe in strutture”70»

«Così, tutti gli elementi si combinavano in una specie di a-pesantezza; la forma stessa era non direzionale, e non posso descriverla meglio che come rappresentante un brandello di possibilità in mezzo a una eternità di altre combinazioni eventuali. Il meccanismo precisissimo lasciato similmente a sé stesso portava alla possibilità71»


Questi estratti del discorso di Boulez sulla necessità di un orientamento estetico in musica echeggiano dei motivi dello scritto manifesto Cibernetica e fantasmi analizzato in precedenza. Le considerazioni di Boulez sembrano proporre gli stessi principi fondativi della letteratura potenziale abbracciati da Calvino, nel momento in cui sostiene che

«il pensiero musicale non doveva più applicarsi a trasformare dei dati per allontanarli dal loro aspetto primo e poi renderli a questa forma originale […]; esso avrebbe agito d’ora in poi, su delle identità non realizzate all’inizio dell’opera, e avrebbe fatto in modo di scoprire, strada facendo, i diversi aspetti del possibile, – aspetti implicati naturalmente fin dall’inizio, ma non espressi apertamente. L’esistenza dell’opera doveva così rivelare l’essenza delle sue strutture interne; […] nessuno schema poteva più esistere anteriormente all’opera, poiché comportava inesorabilmente una distorsione fra il maneggio degli elementi primi del linguaggio e l’organizzazione superiore che doveva prenderli a carico e dargli un significato. Occorreva assolutamente, e necessariamente, che ogni opera creasse la sua forma a partire dalle possibilità virtuali della sua morfologia, e che vi fosse unità a tutti i livelli del linguaggio. Eravamo così condotti a verificare i concetti estetici sulla forma, sull’espressione, e a ripensare il significato del progetto musicale in sé.72»

Seppur riconsiderando le proprie elaborazioni iniziali e denunciando la vanità delle ossessioni per i numeri finalizzate ad un mero «feticismo della contabilità»73, il compositore francese non rimpiange a posteriori l’uso dei rapporti cifrati né l’esperienza del vuoto74, ma al più le riconfigura in un progetto di tecnica musicale rinnovato e fondato su un metodo analitico attivo. Nella nuova tecnica musicale di Boulez le grandi forme vengono concepite non più in relazione subordinata a leggi permanenti, ma come morfologie di strutture locali e globali omogenee, isolate, relative, fissate, causali, le quali derivano da convenzioni di distribuzione, ripartizione e criteri di trasformazione che agiscono sul materiale sonoro secondo una dissimmetria elaboratissima75. Relazioni verticali e funzioni orizzontali, categorizzate in base ai punti di contatto tra i suoni – da punto a punto, da insiemi di punti a insieme di punti, tra insiemi di insiemi – rispondono a criteri esclusivamente musicali. Tempo, spazio e tessitura ricoprono un nuovo ruolo determinante nella composizione e nella gestione della dimensione diagonale – risultante dalle due dimensioni classiche della polifonia, «le cui caratteristiche partecipano, a un grado variabile, a ciascuna di esse»76.
Nell’elaborazione teorica della tecnica musicale di Boulez sono riscontrabili elementi di analogia con il manifesto della narrativa combinatoria di Calvino, ed in particolare dei fenomeni compositivi e strutturali che entrano in dialogo intermediale con la stesura dell’iper-romanzo seriale Se una notte d’inverno un viaggiatore. La nozione di “tessitura” citata poco sopra, ad esempio, può essere associata metaforicamente alla concezione di stile narrativo per lo scrittore ligure: se per Boulez le funzioni armoniche non possono più essere considerate come permanenti, e i fenomeni di tensione e distensione non vanno intesi in schemi fissi e perentori (per cui la tessitura viene investita di un compito fondamentale nella costruzione di forma e significato dell’opera), nel Viaggiatore lo stile narrativo di ciascun romanzo incastonato nella cornice contribuisce alla realizzazione completa del senso e della funzione di ciascuno di essi. L’espressione e l’uso della lingua, al pari della tessitura di un brano, rispecchiano, declinano e caratterizzano ogni singolo incipit di romanzo apocrifo, rispondendo all’esigenza di unità della composizione a tutti i livelli del linguaggio. Il romanzo “della nebbia”, che corrisponde all’espressione del «minimo vitale»77, allora

«comincia in una stazione ferroviaria, sbuffa una locomotiva, [e] uno sfiatare di stantuffo copre l’apertura del capitolo, una nuvola di fumo nasconde parte del primo capoverso. Nell’odore di stazione passa una ventata d’odore di buffet della stazione. C’è qualcuno che sta guardando attraverso i vetri appannati, […]. Sono le pagine del libro a essere appannate come i vetri di un vecchio treno, è sulle frasi che si posa la nuvola di fumo. È una sera piovosa; l’uomo entra nel bar; si sbottona il soprabito umido; una nuvola di vapore l’avvolge; un fischio parte lungo i binari a perdita d’occhio lucidi di pioggia.78»

Effettivamente «le luci della stazione e le frasi che stai leggendo sembra abbiano il compito di dissolvere più che di indicare le cose affioranti da un velo di buio e di nebbia»79, la storia sembra non prendere avvio, le parole evaporano sulla pagina creando un senso di smarrimento, rendendo i contorni sfocati parimenti all’ambientazione del racconto stesso, fino a creare una interferenza tra la narrazione e la materialità del libro. Al contrario, il «romanzo dell’esperienza corporea»80, Fuori dall’abitato di Malbork, permette fin da subito di entrare «in un mondo dove ogni cosa è precisa, concreta»81e lo stile narrativo si costruisce attraverso una tendenza descrittiva ossessivamente determinata e focalizzata su ogni singolo dettaglio, sviscerato ed esposto nei minimi particolari, fino a plasmare una dimensione tridimensionale fattuale degli oggetti, dei corpi, dei gesti. I personaggi «prendono corpo a poco a poco dall’accumularsi di particolari minuziosi e gesti precisi»82 e la pagina stessa, come in precedenza, viene investita dallo stile narrativo del racconto, per cui l’odore esce dalla dimensione narrativa e si insinua in un altro livello di realtà. «Un odore di fritto aleggia ad apertura di pagina, anzi soffritto, soffritto di cipolla, un po’ bruciaticcio, perché nella cipolla ci sono delle venature che diventano viola e poi brune, e soprattutto il bordo, il margine d’ogni pezzetto tagliuzzato di cipolla diventa nero prima che dorato, […]. Olio di colza, è specificato nel testo, dove è tutto molto preciso, le cose con la loro nomenclatura e le sensazioni che le cose trasmettono, tutte le vivande al fuoco allo stesso tempo sui fornelli della cucina, ognuna nel suo recipiente esattamente denominato, i tegami, le teglie, le marmitte, e così le operazioni che ogni preparazione comporta […] puoi sentirne distintamente il suo sapore, anche se nel testo non è detto che sapore è, è un sapore acidulo, un po’ perché la parola ti suggerisce col suo suono o solo con l’impressione visiva un sapore acidulo, un po’ perché nella sinfonia d’odori e di sapori e di parole senti il bisogno d’una nota acidula.83»

Le contraintes sviluppate e condotte per tutta la durata del romanzo, che combinano stile di scrittura, autore di riferimento – tra cui Borges, Poe, Márquez – possibilità linguistiche che corrispondono ad una visione e attitudine al mondo, elaborazione linguistica, in relazione al procedere per alternative scartate e all’enunciazione delle attese di lettura della Lettrice, ricordano quella che Boulez chiama “composizione vettoriale”.

«Questa interazione o questa interdipendenza non agiscono per addizione aritmetica ma per composizione vettoriale, poiché ogni vettore – secondo la natura del suo materiale – ha le sue strutturazioni proprie. Vi può dunque essere: sia organizzazione principale o primordiale, e organizzazioni secondarie o annesse; sia organizzazione globale che rende conto delle diverse specializzazioni; fra queste posizioni estreme, vengono a collocarsi i diversi stadi di predominanza di certe organizzazioni rispetto ad altre […] Questa nozione si applica a tutte le componenti del fatto sonoro grezzo […] a tutte le derivate di queste quattro nozioni fondamentali. […] Rinuncio qui a impiegare la parola gerarchia che implica, in un certo senso, una subordinazione mentre questi fenomeni sono realmente indipendenti, se non nella loro esistenza, per lo meno nella loro evoluzione: essi obbediscono a un principio comune di organizzazione delle strutture, nel mentre che il loro generamento manifesta divergenze suscitate dai loro caratteri propri.84»

Se si considera infatti la parola come il fatto sonoro grezzo, questa viene dispiegata da Calvino a tutti i livelli linguistici, dal lessico, all’evocazione sonora e percezione sinestetica, dal senso all’interazione metanarrativa, in ogni singolo brano autonomo della cornice, con strutturazioni proprie e specializzate che rispondono alla loro valenza all’interno della struttura generale della cornice. Quest’ultima poi può essere posta in analogia con la definizione di “serie” proposta da Boulez all’inizio dell’elaborazione teorica della sua tecnica musicale:

«La serie è – in un modo molto generico – il germe di una gerarchizzazione fondata su certe proprietà psicofisiologiche acustiche, dotata di una maggiore o minore selettività, in vista di organizzare un insieme FINITO di possibilità creative legate fra loro mediante affinità predominanti rispetto a un carattere dato; questo insieme di possibilità viene dedotto da una serie iniziale mediante un generamento FUNZIONALE […] basta una condizione necessaria e sufficiente che garantisca una coesione del tutto e relazioni fra le sue parti consecutive. Questa condizione è necessaria, poiché l’insieme delle possibilità è finito nel tempo stesso in cui osserva una gerarchizzazione guidata; essa è sufficiente poiché esclude tutte le altre possibilità.85»

L’insistenza di Boulez sul carattere finito dell’insieme delle possibilità generate dalla serie richiama la stessa esigenza dell’opera ad impianto potenziale e delle rivendicazioni di Calvino:

«L’aver fatto dell’interruzione dell’intreccio un motivo strutturale del mio libro ha questo senso preciso e circoscritto e non tocca la problematica del “non finito” in arte e in letteratura che è un’altra cosa. Meglio dire che qui non si tratta del “non finito” ma del “finito interrotto”, del “finito la cui fine è occultata, o illeggibile”, sia in senso letterale che in senso metaforico. […] Posso solo dire che in partenza volevo fare dei romanzi interrotti, o meglio: rappresentare la lettura di romanzi che s’interrompono.86»

Nel Se una notte d’inverno un viaggiatore Calvino non esplora una forma letteraria del non finito ma persegue il modello dell’opera «chiusa e calcolata»87, la cornice chiude necessariamente e volontariamente i dieci incipit di romanzo, e ciascuno di questi si presenta in realtà come autonomo e concluso. L’insieme delle possibilità della “serie” è quindi rappresentato dai dieci romanzi, il catalogo delle dieci possibilità linguistiche che risponde alle aspettative di lettura di Ludmilla, il cui oggetto di lettura è il romanzesco; in particolare il “generamento funzionale” sia dei singoli racconti che della cornice è la situazione romanzesca tipica in cui «un personaggio maschile che narra in prima persona si trova ad assumere un ruolo che non è il suo, in una situazione in cui l’attrazione esercitata da un personaggio femminile e l’incombere dell’oscura minaccia di una collettività di nemici lo coinvolgono senza scampo»88. La condizione necessaria e sufficiente di cui parla Boulez si potrebbe allora ravvisare nello schema che procede per alternative scartate di atteggiamenti esistenziali verso il mondo, e dei possibili romanzi mai scritti e scartati dall’autore. Inoltre, l’esclusione delle altre possibilità avviene anche per mezzo della regola svelata nel finale, per cui il titolo di ogni romanzo contribuisce alla costruzione di un ulteriore incipit.
Nella trattazione di Boulez vengono riportati in maniera sistematica esempi di brani e composizioni di cui vengono analizzate le diverse componenti per procedere nella spiegazione della teoria del serialismo integrale. Prendendo in considerazione i tre esponenti della serialità Schönberg, Webern e Berg, arriva a discutere l’unicità della forma seriale: per Boulez infatti l’organizzazione unica della gerarchia seriale rappresenta solo un caso particolare che non esclude la possibilità di altri tipi di utilizzazione della serie in un’opera. Attraverso l’inserimento delle nozioni di strutturazione globale e locale, Boulez dichiara che

«Per creare le morfologie elementari, gli schemi principali dello sviluppo, è indispensabile una serie generalizzata, ma non deve più rimanere l’unico riferimento durante il lavoro; questa serie di base ci fornirà la possibilità di formulare degli oggetti sui quali, a loro volta, si eserciterà il generamento seriale. E così, a ogni oggetto principale corrisponderà uno sviluppo specifico, organizzato secondo le sue qualità proprie e intrinseche: questo fatto ci conduce […] all’utilizzazione dei diversi sottoinsiemi dipendenti da un insieme dato. Questo “spiegamento” delle strutture locali ha soppiantato lo sviluppo tematico […]; a ogni istante dunque si foggia uno sviluppo specifico, il quale si riallaccia, mediante il suo generamento, alla grande struttura di base. Si acquista in questo modo una libertà giustificata, essendo la parte indispensabile viene riservata all’iniziativa istantanea, per così dire, del compositore. […] Rispetto alla pratica di Webern o di Berg, si costata che qui non si tratta più degli insiemi seriali verso i quali si è obbligati ad agire, ma delle strutture parziali, locali, che hanno acquisito la loro indipendenza ma conservato la loro filiazione con la struttura globale. Da una struttura globale, si dedurrà una quantità di strutture locali, ciascuna dipendente dalla precedente, o una successione di strutture locali dipendente direttamente da essa: creazione strutturale paragonabile al montaggio in serie o in derivazione. 89»

Questo passaggio sembra poter consolidare maggiormente il parallelismo metaforico tra l’opera di Calvino e la declinazione particolare del serialismo bouleziano. Infatti, come il compositore francese rivendica l’autonomia delle strutture locali di contro allo sviluppo tematico, così ogni singolo incipit di romanzo conserva la propria indipendenza e compiutezza, segue il proprio sviluppo come oggetto a sé stante, lascia libero spazio all’immaginazione dell’autore che si dispiega nella realizzazione di storie ampiamente diversificate tra loro e caratterizzate in modo singolare. Alcuni racconti intrattengono delle relazioni di contatto attraverso la ripresa di nomi attribuiti ad elementi differenti: si veda ad esempio la cittadina di Kudgiva di Fuori dall’abitato di Malbork trasformata nel nome della Pensione in cui soggiorna il protagonista di Sporgendosi dalla costa scoscesa; Zwida Ozkart di cui è invaghito Ponko muta nella signorina Zwida disegnatrice e ingannatrice dell’Albergo del Giglio Marino, mentre il nome del signor Kauderer viene utilizzato in Senza temere il vento e la vertigine come marchio delle fabbriche di munizioni. Le singole narrazioni però, ad eccezione di questi pochi elementi non strutturali, seguono logiche interne proprie, esplorano diversi registri linguistici, sono ambientati in diversi tempi e luoghi, rispondono alle impostazioni dei diversi sottogeneri del romanzo, si snodano secondo percorsi e finalità narrative non interrelate tra loro. Ogni racconto comunque si dispone in successione dipendente dalla struttura globale, ciascuno cioè dipende dall’incipit precedente in qualità di alternativa all’alternativa scartata, e conserva la propria filiazione dalla cornice attraverso l’esplicitazione dello stile di scrittura che precede ciascun racconto apocrifo. Inoltre, la cornice stessa, oltre a configurarsi come contenitore formale, evolve con risvolti inaspettati e ulteriori prospettive rendendo il racconto con protagonista il Lettore un nuovo oggetto narrativo anch’esso autonomo e compiuto a prescindere dagli altri. Si legge infatti a conclusione dell’undicesimo capitolo che «il viaggiatore appariva solo nelle prime pagine e poi non se ne parlava più, la sua funzione era finita… Il romanzo non era la sua storia…»90. Il grado di complessità e variabilità che deriva da una simile strutturazione formale concede a Boulez di affermare che

«non siamo del resto obbligati a limitarci a oggetti definiti; la nozione di generamento seriale si applica ugualmente a campi, purché obbediscano alle leggi fondamentali da noi enunciate prima. A dire il vero non potrei concepire l’universo musicale diversamente dall’aspetto di campi più o meno ristretti; per questo non ho mai dato importanza esagerata all’eliminazione totale dell’errore sul diagramma.91»

Allo stesso modo l’architettura sofisticata del romanzo di Calvino prevede delle vie di fuga dalla griglia obbligata, spiragli di libertà al rigore attraverso i quali entrano i cosiddetti fantasmi, la vita. Nonostante questo, né il compositore né l’autore operano in modo arbitrario:

«la serie, in quanto elemento generatore non è arbitraria poiché si fonda su proprietà finite e notevoli di un insieme di suoni. Appena la scelta cade su una serie invece che su un’altra, in virtù dei suoi poteri organizzatori musicali più o meno selettivi, l’insieme delimitato dalla serie originale esclude ugualmente l’arbitrio, poiché implica conseguenze necessariamente legate a una selezione che ha per base delle realtà sonore. Il compositore […] fa una scelta, opera una nuova selezione fra proprietà notevoli92»

«Si è via via allentata la morsa della scrittura rigorosa che diverrà alla fine totalmente libera, all’interno, beninteso, di principi strutturali generali. Nel momento in cui tutte le organizzazioni sono sincronizzate, non ho alcuna libertà di scelta, la probabilità è già entrata nelle strutture; quando invece nessuna organizzazione è più sincronizzata, posso scegliere una delle possibilità offerte, o non scegliere affatto e lasciarle come dovendo essere scelte: ritrovo la probabilità, ma essa regola le strutture, dall’esterno. Constatiamo che rigore e automatismo nell’incontro delle strutture giungono allo stesso risultato estetico che libertà e scelta 93»

«la letteratura come la conoscevo io era un’ostinata serie di tentativi di far stare una parola dietro l’altra seguendo certe regole definite, o più spesso regole non definite né definibili ma estrapolabili da una serie di esempi o protocolli […] e in queste operazioni la persona io, esplicita o implicita, si frammenta in figure diverse, […]. L’io dell’autore nello scrivere si dissolve: la cosiddetta “personalità” dello scrittore è interna all’atto dello scrivere, è un prodotto e un modo della scrittura94»

«Ecco dunque che i due diversi percorsi che il mio ragionamento ha seguito successivamente arrivano a saldarsi: la letteratura è sì gioco combinatorio che segue le possibilità̀ implicite nel proprio materiale, indipendentemente dalla personalità̀ del poeta, ma è gioco che a un certo punto si trova investito d’un significato inatteso, un significato non oggettivo di quel livello linguistico sul quale ci stavamo muovendo, ma slittato da un altro piano, tale da mettere in gioco qualcosa che su un altro piano sta a cuore all’autore o alla società̀ a cui egli appartiene95»

«Ho letto in un libro che l’oggettività del pensiero si può esprimere usando il verbo pensare alla terza persona impersonale: dire non “io penso”, ma “pensa”, come si dice “piove”. […] Potrò mai dire: “oggi scrive”, così come “oggi piove”, “oggi fa vento”? Solo quando mi verrà naturale d’usare il verbo scrivere all’impersonale potrò sperare che attraverso di me s’esprima qualcosa di meno limitato che l’individualità d’un singolo96»

«Anche io vorrei cancellare me stesso e trovare per ogni libro un altro io, un’altra voce, un altro nome, rinascere; ma il mio scopo è di catturare nel libro il mondo illeggibile, senza centro, senza io.97»


Entrambe le figure infatti rispondono alle leggi implicite di combinazione interne al proprio materiale, che sia questo il linguaggio o il suono.
Come visto in precedenza, infine, l’utilizzo della seconda persona singolare contribuisce a determinare la struttura formale del Viaggiatore. Questo espediente immette e problematizza il motivo della lettura e il ruolo del lettore, già trattato nella conferenza di Cibernetica e fantasmi: se l’autore può essere sostituito dalla macchina scrivente, per Calvino il circolo ermeneutico diventa responsabilità di colui che legge, portato ad esplicitare le potenzialità contenute nel sistema di segni di ogni società ed epoca, tenuto a far rivivere continuamente l’opera letteraria grazie ad un’operazione critica maggiormente cosciente98.
Il Lettore e Ludmilla la Lettrice incarnano all’interno del libro il contesto dell’estetica della ricezione che promuove la centralità della lettura come esperienza materiale, fisica e concreta. L’atto di lettura nello spazio e correlato al tempo – «la dimensione del tempo è andata in frantumi, non possiamo vivere o pensare se non a spezzoni di tempo che s’allontanano ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono»99 –, ricalca analogicamente il discorso sulla definizione della posizione dell’uditore per Boulez, collocato in uno spazio-tempo suscettibile di variabilità che risponde ad una gerarchia astratta o accidentale («fenomeno acustico concreto, gesto di esecuzione, relazione psicofisiologica di questi due fatti»100):

«L’uditore si collocherà al di fuori della figura che circoscrive il luogo nel quale avvengono gli avvenimenti sonori o all’interno di questa figura; nel primo caso, osserverà il suono, nel secondo sarà osservato dal suono, ricoperto da esso.101»

Ed è proprio “l’uditore osservato dal suono” ad essere il protagonista del labirinto di Calvino, quel lettore che si sente Lettore e tu narratario dei romanzi, osservato e detto dalla parola stessa che sta leggendo e formandosi sulla pagina, in un gioco di specchi vertiginoso ampliato dai procedimenti di mise en abyme.
Nella presente analisi si è cercato di evidenziare alcuni punti di contatto attraverso un accostamento analogico e metaforico, tra la scrittura del romanzo combinatorio di Calvino e le considerazioni teorico-estetiche della tecnica musicale del serialismo integrale di Boulez. Come già esplicitato, la ricerca non mira a individuare una filiazione o un rapporto di imitazione tra il percorso musicale del compositore francese e quello letterario, bensì rileva fenomeni tensivi comuni nella strutturazione del procedimento formale ed elementi corrispondenti, nei limiti rispettivi dei due media e ambiti artistici. La complementarietà di musica seriale e romanzo combinatorio si illumina a partire dalle riflessioni sulla forma e la sua disgregazione, finalizzate al raggiungimento dello stadio arcaico precedente la formazione stessa del mito102. Se Calvino ricorre al primo uomo della tribù per esporre il processo combinatorio interno al linguaggio e costitutivo della fabulazione come precedente alla mitopoiesi, Boulez scrive che

«Il musicista non arriva all’idea di musica che con la musica stessa, mezzo di comunicazione che gli appartiene in proprio; qui soltanto, dà prova al massimo della sua forza di convinzione, qui soltanto egli è irrefutabile. Guardiamoci dal dimenticare questo fatto fondamentale; mettiamolo anzi come motto di ogni riflessione “scritta” che siamo portati a redigere. Il “non-significato” della musica è irrimediabilmente la nostra forza specifica; non perderemo mai di vista che l’ordine del fenomeno sonoro è primordiale: vivere quest’ordine è l’essenza stessa della musica.103»

Bibliografia

Bibliografia dell’autore
Italo Calvino, Marcovaldo, Einaudi, Torino, 1975 [1963].
Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino, 1980, pp. 205-225.
Italo Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, in Alfabeta 1979-1988. Antologia della rivista, a cura di R. Bassaglia, M. Ferraris, C. Formenti, A. Longoni, C. Martignoni, Bompiani, Milano, 1996, pp. 146-157.
Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2002 [1979].
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 2011 [1972].
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Mondadori, Milano, 2016 [1973].
Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2017 [1988].
Italo Calvino, Ti con zero, Mondadori, Milano, 2019 [1967].
Italo Calvino, Il conte di Montecristo, in Ti con zero, Mondadori, Milano, 2019 [1967], pp. 122-134.
Italo Calvino, Palomar, Einaudi, Torino, 1983.
Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, Mondadori, Milano, 2021 [1986].

Bibliografia critica
Carlo Benedetti, Un musicologo inconsapevole. Le parole per musica di Italo Calvino, Le Lettere, Firenze, 2022.
Luciano Berio, Un ricordo al futuro. Lezioni americane, Einaudi, Torino, 2006.
Luciano Berio, Scritti sulla musica, a cura di A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino, 2013.
Pierre Boulez, Note di apprendistato, Einaudi, Torino, 1968 [1966].
Pierre Boulez, Pensare la musica oggi, Einaudi, Torino, 1979 [1963].
Domenico Calcaterra, Il secondo Calvino. Un discorso sul metodo, Mimesis Edizioni, Milano, 2014.
Simona Carretta, Il romanzo a variazioni, Mimesis Edizioni, Milano, 2019.
Alessandro Cazzato, I paesaggi sonori in Italo Calvino, in La lanterna magica. Percorsi tra musica e letteratura da Euripide a Stravinskij, Zecchini Editore, Varese, 2016, pp. 131-136.
Roberto Favaro, La musica nel romanzo italiano del ‘900, Le Sfere Casa Ricordi, Milano, 2003.
Walter Nardon, Simona Carretta (a cura di), Comporre. L’arte del romanzo e la musica, Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Filosofici dell’Università degli Studi di Trento, 2014.
Roberto Russi, Letteratura e musica, Carocci, Roma, 2005.
Arnold Schönberg, Elementi di composizione musicale, Edizioni Suvini Zerboni, Milano, 2020 [1967].
Arnold Schönberg, Stile e idea, Feltrinelli, Milano, 1975 [1950].
Antonio Trudu, La scuola di Darmstadt: i Ferienkurse dal 1946 a oggi, Ricordi, Milano, 1992.

Note

  1. Il testo della conferenza, presentato tra il 24 e il 30 novembre del 1967 nelle città di Torino, Milano, Genova, Roma, Bari e riproposto con diverse varianti in Germania, Olanda, Belgio, Francia, Inghilterra, fu pubblicato nel 1968 sulla rivista genovese «Nuova Corrente». La pubblicazione provocò un rinnovato fermento negli ambienti intellettuali, tanto da indurre l’autore ad elaborare un successivo intervento intitolato La macchina spasmodica.
  2. Arnold Schönberg, Stile e idea, Feltrinelli, Milano, 1975 [1950], p. 106.
  3. Simona Carretta, Il romanzo a variazioni, Mimesis Edizioni, Milano, 2019, p. 163.
  4. Ibidem, pp. 152-153.
  5. Ibidem, p. 164.
  6. Roberto Russi, Letteratura e musica, Carocci, Roma, 2005, pp. 37-38, 55-56.
  7. Alessandro Cazzato, I paesaggi sonori in Italo Calvino, in La lanterna magica. Percorsi tra musica e letteratura da Euripide a Stravinskij, Zecchini Editore, Varese, 2016, p. 133.
  8. Luciano Berio, Scritti sulla musica, a cura di A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino, 2013, p. 330.
  9. Ibidem.
  10. Si rimanda a Carlo Benedetti, Un musicologo inconsapevole. Le parole per musica di Italo Calvino, Le Lettere, Firenze, 2022.
  11. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, in Alfabeta 1979-1988. Antologia della rivista, a cura di R. Bossaglia, M. Ferraris, C. Formenti, A. Longoni, C. Martignoni, Bompiani, Milano, 1996, p. 153.
  12. Italo Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino, 1980, p. 209.
  13. Ibidem, pp. 210-211.
  14. Si intende qui il riso freudiano, sintomo ed espressione di un’emersione del rimosso.
  15. I. Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, cit., pp. 220-221.
  16. Ibidem.
  17. Ibidem, p. 215.
  18. Ibidem, p. 224.
  19. Ibidem, p. 217.
  20. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2002, p. 205.
  21. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 155.
  22. S. Carretta, Il romanzo a variazioni, cit., p. 22.
  23. Ibidem.
  24. Ibidem, pp. 153-154.
  25. Ibidem, p. 158.
  26. Ibidem, pp. 163-164.
  27. S. Carretta, Il romanzo a variazioni, cit., p. 164.
  28. Pierre Boulez, Note di apprendistato, Einaudi, Torino, 1968 [1966], p. 261.
  29. Ibidem, p.233.
  30. A. Schönberg, Stile e idea, cit., pp. 106-107.
  31. P. Boulez, Note di apprendistato, cit., pp. 233-234.
  32. Ibidem, p. 261.
  33. Ibidem, p. 236.
  34. A. Schönberg, Stile e idea, cit., p. 110.
  35. A. Schönberg, Stile e idea, cit., p. 111.
  36. P. Boulez, Note di apprendistato, cit., p. 262.
  37. Ibidem, p. 263.
  38. In questa sede tracciare una panoramica completa e dettagliata che possa esaurire il discorso sulla lunga e diversificata esperienza dei Ferienkurse, risulta essere impensabile; per questo si rimanda al testo di Trudu La scuola di Darmstadt che ripercorre in modo esaustivo le vicende articolatesi in quegli anni nell’ambito della Nuova Musica. Cfr. Antonio Trudu, La scuola di Darmstadt: i Ferienkurse dal 1946 a oggi, Ricordi, Milano, 1992.
  39. Cfr. A. Trudu, La scuola di Darmstadt: i Ferienkurse dal 1946 a oggi, cit., p. 142.
  40. Pierre Boulez, Pensare la musica oggi, Einaudi, Torino, 1979 [1963], p. 146.
  41. Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2017, p. 118.
  42. Ibidem.
  43. Ibidem, p. 122.
  44. Ibidem, p. 118.
  45. Domenico Calcaterra, Il secondo Calvino. Un discorso sul metodo, Mimesis Edizioni, Milano, 2014, p. 116.
  46. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 220.
  47. I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit., p. 149.
  48. Ibidem, p. 148.
  49. Ibidem, pp. 149-150.
  50. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 155.
  51. I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit., p. 155.
  52. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 154.
  53. I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit., pp. 150-151.
  54. Ibidem, p. 156.
  55. Ibidem
  56. Ibidem, p. 153.
  57. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 7.
  58. Ibidem, p. 120.
  59. Ibidem, p. 125.
  60. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 169.
  61. D. Calcaterra, Il secondo Calvino. Un discorso sul metodo, cit., p. 120.
  62. Ibidem, p. 121.
  63. Ibidem, p. 119.
  64. Ibidem, p. 122.
  65. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 223.
  66. Ibidem, p. 218.
  67. D. Calcaterra, Il secondo Calvino. Un discorso sul metodo, cit., p. 133.
  68. Ibidem., p. 130.
  69. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., p. 188.
  70. Ibidem, pp. 193-194.
  71. Ibidem, p. 196.
  72. Ibidem, pp. 199-200.
  73. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., p. 202.
  74. «Non rimpiango né l’impiego dei numeri, o, più esattamente, dei rapporti cifrati, né lo stato di vuoto; mi ergo contro il loro impiego superficiale e inconseguente. Le cifre non sono, in un certo senso, che una “goccia di notte”, e lo “stato di vuoto” deve essere, sotto pena di inanità, trasformato, trasceso in un atto positivo», Ibidem. Con l’esperienza del vuoto l’autore intende indicare una condizione necessaria alla propulsione creativa cui appoggiarsi, un momento di confronto tra la tradizione e la propria tradizione personale finalizzato al rinnovamento del proprio linguaggio e alla continua invenzione musicale.
  75. Ibidem, pp. 22-23.
  76. Ibidem, p. 22.
  77. Si veda lo schema riportato in I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit. p. 157.
  78. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 13.
  79. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 14.
  80. Si rimanda sempre, per la classificazione dei romanzi incastonati e interrotti, allo schema riportato in I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit. p. 157.
  81. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 29.
  82. Ibidem, p. 33.
  83. Ibidem, p. 32.
  84. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., pp. 31-32.
  85. Ibidem, pp. 30-31.
  86. I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit., pp. 149-150.
  87. Ibidem, p. 148. Prosegue dicendo che «chiusura e calcolo sono scommesse paradossali che non fanno che indicare la verità opposta a quella rassicurante (di completezza e di tenuta) che la propria forma sembra significare, cioè comunicano il senso di un mondo precario, in bilico, in frantumi.»
  88. I. Calvino, Se una notte d’inverno un narratore, cit., pp. 152-153.
  89. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., pp. 104-105.
  90. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 222.
  91. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., p. 36.
  92. Ibidem, p. 81.
  93. Ibidem, p. 106.
  94. I. Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, cit., p. 215.
  95. I. Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, cit., p. 221.
  96. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 150.
  97. Ibidem, p. 154.
  98. I. Calvino, Cibernetica e fantasmi. Appunti sulla narrativa come processo combinatorio, cit., pp. 215-216. Il passo continua: «scompaia dunque l’autore – questo enfant gâté dell’inconsapevolezza – per lasciare il suo posto a un uomo più cosciente, che saprà che l’autore è una macchina e saprà come questa macchina funziona.»
  99. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, cit., p. 11.
  100. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., p. 47.
  101. Ibidem, p. 65.
  102. S. Carretta, Il romanzo a variazioni, cit., p. 167.
  103. P. Boulez, Pensare la musica oggi, cit., p. 173.

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