Bibliomanie

Ruolo e controllo del mondo animale negli statuti emiliano-romagnoli (secoli XIII-XV)
di , numero 57, giugno 2024, Saggi e Studi, DOI

Ruolo e controllo del mondo animale negli statuti emiliano-romagnoli (secoli XIII-XV)
Come citare questo articolo:
Filippo Galletti, Ruolo e controllo del mondo animale negli statuti emiliano-romagnoli (secoli XIII-XV), «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 57, no. 15, giugno 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.11883

Introduzione

Gli animali hanno rivestito fino a tempi recentissimi un ruolo essenziale nella vita delle comunità umane. Per le società medievali, in maniera particolare, la loro presenza è pervasiva: gli uomini avevano una relazione molto intensa con gli animali da cui dipendevano quasi totalmente per l’aiuto e il nutrimento e, allo stesso tempo, essi stessi rappresentavano un soggetto rilevante nella riflessione artistica, filosofica, scientifica, economica e teologica del periodo.
Da diversi decenni gli studiosi che si approcciano al tema hanno potuto trarre vantaggio dalle scoperte in campo archeozoologico1. Attraverso l’analisi di grassi, residui cornei, peli, pelli, ossa, impronte e fonti fornite dalla genetica regressiva, gli archeologi sono pervenuti a numerose informazioni sulle metodologie di caccia, gli inizi dell’addomesticamento, l’allevamento e l’agricoltura, i trasporti, la lavorazione dei prodotti di origine animale, i riti funerari, l’utilizzo di animali come simbolo, compagnia, difesa o strumento d’attacco2.
Pertanto, il lavoro di storici, storici dell’arte, geografi, giuristi, linguisti ha potuto beneficiare di solide basi e approfondire i numerosi aspetti che legano le esperienze medievali alle figure di animali.
Proprio il rapporto tra uomo e mondo animale è stato alla base di un importante convegno tenutosi a Spoleto presso il Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo3. In tale occasione, Gherardo Ortalli sottolineava che nel passaggio dall’antichità al medioevo le condizioni ambientali ed ecologiche mutavano alla stessa maniera della conformazione sociale ed istituzionale dell’Europa; in un contesto come quello altomedievale, quindi, caratterizzato dalla perdita di controllo sull’ambiente, diminuiva la capacità di dominio sugli animali, aumentano i motivi di incontro-scontro, i confini tra mondo animale e umano si sfumano e, infine, si assisteva a una sfasatura tra «l’antropocentrismo della trionfante dottrina cristiana e l’oggettiva situazione ambientale»4.
Sulla scia della rivoluzione storiografica della scuola delle Annales si è indagato in chiave simbolica la fauna meravigliosa che popola i bestiari medievali, come testimoniano, tra le tante, le ricerche di Michel Pastoureau5, di Francesco Zambon6, di Christian Heck e Remy Cordonnier7. Lo studio di tali fonti ha permesso di comprendere il modo in cui le persone medievali interpretavano il mondo naturale e lo integravano nelle loro visioni religiose, morali e sociali. Agli animali potevano infatti venire attribuiti significati morali, religiosi, vizi, virtù e insegnamenti; contemporaneamente, gli animali dei bestiari potevano anche rappresentare strutture sociali o allegorie politiche.
Non mancano studi che hanno indagato la storia giudiziaria degli animali. È il caso di Edward Payson Evans e, molto più recentemente, di Giulia Rainis, che studiano i processi contro gli animali nell’Europa del medioevo e dell’età moderna8; i quali non vanno intesi nel senso moderno del termine, ma rappresentavano eventi simbolici o rituali in cui un animale veniva accusato, processato e talvolta condannato per comportamenti dannosi o reati immaginari, associati a eventi negativi, malattie o sfortuna nelle comunità.
I prodotti di origine animale e gli animali stessi svolgono un importante ruolo nell’alimentazione umana, come hanno evidenziato i lavori di Massimo Montanari9. Le abitudini alimentari, pur variando considerevolmente a seconda della regione e della classe sociale, rispondevano al criterio della disponibilità locale, della centralità della carne, anche da allevamento di ovini, suini o pollame, dalla rilevanza di pesce e frutti di mare, consumato fresco o secco e salato a causa delle difficoltà di conservazione e dall’utilizzo di tutte le parti dell’animale. In questo senso, il tema dell’alimentazione si incrocia fortemente con il mondo produttivo ed economico medievale, basato, per ciò che concerne il mondo animale, sulla pastorizia e la transumanza, la pesca e il mercato ittico, l’allevamento e lo scambio10.
Alcuni animali in particolare hanno goduto di maggiore attenzione da parte degli studiosi, per via della loro rilevanza nella vita quotidiana o il loro legame simbolico ed emozionale con la comunità. Nel primo caso rientrano la figura addomesticate del maiale, fondamentale nell’alimentazione di base e nell’economia domestica, in particolar modo nell’alto medioevo11 e, soprattutto, quella del cavallo, che rappresentava, oltre a un simbolo di status sociale, una risorsa versatile e indispensabile in diversi ambiti, come quelli del trasporto e della comunicazione, nei lavori agricoli e arma chiave in battaglia12. Al secondo appartengono gli animali selvatici come l’orso13, nobile e potente e associato a figure di sovrani e nobili, che, visto talvolta come un simbolo del peccato e della brutalità, poteva simboleggiare la penitenza e la conversione in ambito cristiano attraverso l’atto della domesticazione; e il lupo14, che in età medievale diventa, grazie al supporto fornito dalla tradizione biblico-cristiana, il nemico da combattere, simbolo del male e della cattiveria e che solo nel tardo medioevo, si stempera fievolmente grazie all’influenza del celebre episodio di san Francesco e del lupo di Gubbio15.
In aggiunta, grazie alle potenzialità offerte dal digitale, blog e siti web si offrono di stimolare conversazioni e dibattiti accademici tra gli studiosi che si occupano degli aspetti del rapporto animale-uomo nel Medioevo e nella prima Età moderna; tra questi si ricorda il Medieval Animal Data Network fondato nel 2005 presso la Central European University di Budapest16.
Attraverso, dunque, un certo numero di fonti, tra le quali spiccano quelle figurative, agiografiche, letterarie, archeologiche, giudiziarie e di carattere contrattuale, le analisi dei ricercatori hanno permesso di gettare la luce su numerosi aspetti che convergono sulla centralità degli animali nella vita quotidiana dell’Occidente medievale17, nella consapevolezza che indagare la storia e le storie degli animali significhi ricercare l’atteggiamento e la mentalità che gli esseri umani hanno avuto nei loro confronti e che, pertanto, parlare degli animali è parlare di noi, esseri viventi18.
Tuttavia, tra le tipologie di fonti utilizzate nelle ricerche, non figurano molto spesso quelle normative. Uno dei motivi di questa scelta potrebbe risiedere nella convinzione che le formule dei rubricari statutari siano tipizzate, ripetitive e, così, di scarso valore storico. Al contrario, gli statuti cittadini, riflesso della formazione e sviluppo dei comuni dell’Italia medievale, possono fornire nella loro varietà numerose informazioni su ampi ambiti19 e, quindi, anche su quanto concerne la presenza degli animali nelle città medievali e il rapporto che la comunità intrattiene con essi. Nella convinzione, dunque, che l’analisi delle fonti statutarie possa offrire un rilevante contributo al tema del rapporto con gli animali nel medioevo, il contributo che segue intende descrivere il ruolo che gli animali hanno negli statuti emiliano-romagnoli redatti tra XIII e XV secolo. La ricerca, in questo modo, potrà evidenziare atteggiamenti e abitudini del legislatore e dell’uomo medievale di fronte al mondo animale.

Alimentazione

Gli animali possono essere fonte di cibo e costituire una parte rilevante dell’alimentazione dell’uomo medievale. Gli statuti cittadini, pertanto, disciplinano sempre con maggior precisione il lavoro di quelle professioni strategiche per l’approvvigionamento di cibi e bevande20, in particolare beccai e mercanti di pesce.
A Bologna intorno alla metà del Duecento i beccai hanno il diritto di rimanere aperti tutti i giorni che desiderano, con l’obbligo delle domeniche e giorni festivi dal giorno di Pasqua fino alla festa di Ognissanti21, sono tenuti a restituire i soldi della vendita di prodotti di porco guasto22, non devono uccidere o scuoiare gli animali nella curia del comune o nei suoi pressi23, le bestie macellate non devono avere peli, a meno che non siano castroni o capretti con i denti ed è vietato alterare l’aspetto della carne gonfiandola. I ministrali della società dei beccai sono incaricati di indagare sulle possibili violazioni24. Nel 1288 si aggiunge che le scrofe vanno trattate con il fuoco25 e che il macellaio che abbia venduto carne di porco malato o guasto deve restituire al compratore, il quale giura di testimoniare il vero, l’intera somma26. Le norme rimangono quasi inalterate per buona parte del XIV secolo. Tra le novità, nella redazione statutaria del 1335 si proibisce di ingannare i clienti vendendo un animale per un altro, mentre il controllo del settore è affidato al notaio delle strade27. Sul finire del secolo le norme aumentano e si fanno più precise. I beccai devono tenere separate le carni per permettere ai clienti di distinguerle, non possono vendere né tenere sul banco carne putrida, corrotta o guasta. Al notaio delle strade si affianca il notaio delle corone come officiale preposto al controllo e alle denunce. I macellai devono vendere la carne al giusto prezzo, basato su un tariffario. Se un beccaio viene scoperto a vendere carne a un prezzo superiore a quanto ordinato, sarà condannato a pagare una multa di due soldi per ogni libbra di carne venduta a un prezzo superiore e per ogni violazione. I beccai sono tenuti a fornire a chiunque acquisti carne una pesata giusta, con una multa di un soldo per ogni oncia in meno rispetto al peso corretto. Viene inoltre vietato ai beccai di vendere zoccoli o zampe di animali al peso, e di aggiungere al peso ossa non unite alla carne28.
Per ciò che riguarda altre aree della regione, le norme risultano essere molto simili.
A Modena nel 1327 si stabilisce che i beccai, che sono tenuti a preparare carne quotidianamente senza frode in quantità sufficiente per tutte le macellerie e in ciascuna macelleria quanto più possibile, debbano essere in grado di vendere a chiunque desideri acquistare al dettaglio, fino a una libbra di manzo o mucca per tre denari di Modena e una libbra di maiale maschio per quattro denari. Essi inoltre sono tenuti a non associarsi in setta o monopolio, non gonfiare, ingrassare o riparare la carne, non vendere a peso gli zoccoli e le interiora separate dalla mezzena, e non vendere carni malate o guaste. Sono autorizzati a vendere carni bovine, porcine e vaccine al giusto peso, secondo quanto stabilito del comune. Il massario della società dei beccai è tenuto a far osservare le norme e il podestà e i suoi giudici sono tenuti a denunciare le violazioni29. Si stabilisce, inoltre, «pro utilitate personarum ementium carnes recentes vel salatas, caseum, oleum, sonzam, vel lardum, sepum, et ceram et ad evitandam fraudem» che i prodotti siano pesati con bilance a braccio pulite ed equilibrate; che ogni venditore abbia un sigillo di una libbra e non oltre e che gli altri pesi più piccoli siano di vetro, ferro o rame, con marchiature grandi e ben visibili che indichino il peso30.
Nella seconda metà del XV secolo, a Verucchio, nel riminese, i beccai sono tenuti a mantenere la macelleria abbondantemente fornita di carne e fornirla a coloro che la richiedono, facendo attenzione a non vendere una carne al posto di un’altra, alla quantità richiesta dal cliente e al prezzo concordato; devono vendere i prodotti in maniera equa secondo la legge e con bilance corrette, e tenendo aperta l’attività nei giorni di martedì, giovedì (fino al vespro per vendere carni castratine) e sabato. Tutte le carni devono essere sane, senza macchia, né difetti, ma abbattute e macellate pubblicamente. Prima di abbattere gli animali, il beccaio deve mostrare gli animali vivi ai quattro soprastanti ai beccai, quattro uomini esperti in materia, e ottenere da loro il permesso di abbatterli e venderli. Se così non fosse, in nessun modo (a eccezione delle pecore e degli agnelli, che possono essere abbattuti senza il permesso dei soprastanti) si possono vendere carni, sotto la pena di quaranta soldi per ogni violazione. Inoltre, se le suddette carni dovessero risultare malate in qualsiasi parte del loro corpo, macchiate o difettose, il beccaio sarà obbligato a portarle fuori dalla porta del castello per venderle a pezzi, a meno che non siano fetide e marce, in tal caso il beccaio stesso o un altro designato dovrà immediatamente portarle via, e chiunque violi questo divieto, incorrerà nella pena predetta, da applicarsi ogni volta che si verifichi una violazione31. Tra i divieti, vi è anche quello di non ingannare i clienti alterando l’aspetto della carne, gonfiandola con aria, o il contenuto, applicando del grasso32.
Per ciò che riguarda il mercato di pesce, a Parma nel Duecento le preoccupazioni principali riguardano il luogo e i giorni di apertura dell’attività. Nel 1238 è permesso tenere pesci nella piazza nuova in cambio di cinque soldi per ogni braccio che occupa il banco o il contenitore dei pesci e i venditori sono costretti sgomberare la piazza ogni sera33. Nel 1253 pescatori e venditori di pesce devono avere l’attività sul terreno che era di proprietà del signor Alberto de Cassio dietro la casa del podestà e non sulla piazza pubblica, a condizione che non ostruiscano alcuna via34. Inoltre, non è permesso vendere pesci, polli, uova e formaggio il venerdì e il sabato fino all’ora nona35. Successivamente, il luogo deputato alla vendita di pesce diventa la via nuova del comune; è permesso vendere granchi e gamberi nella piazza comunale36, ma non tenere pesci in alcun vivario o fossa nella città e per cinque miglia37. Nel Trecento si precisa che chi abita tra via de Parmenghi e la via detta strada del signor Giberto può vendere pesce secco salato o sotto sale (e nel 1342 anche pesce fresco durante la Quaresima), in casa e sotto il portico in stationes, e si vieta l’acquisto di pesci per la vendita all’ingrosso38. Nel 1342 si permette la vendita di pesce forestiero39.
In una città fortemente legata alle attività ittiche, come Ravenna, le norme risultano molto precise e di ampio respiro. All’inizio del Trecento, ai mercanti di pesce viene proibito di vendere pesce marcio o deteriorato come buono; essi sono tenuti a portare il pesce da vendere nei soliti mercati nello stesso giorno in cui lo hanno pescato, pena venti soldi ravennati per ogni violazione e chiunque può denunciare irregolarità. Nessun cittadino o forestiero può acquistare pesci marini con l’intento di rivenderli nella città o nei borghi fino all’ora nona e nessuna persona può comprare o vendere pesci delle valli fuori dalla città di Ravenna40. Due estimatori, in servizio da mattina fino a ora terza, sono tenuti a valutare adeguatamente i pesci che vengono portati a Ravenna per la vendita e nessun mercante può vendere pesce prima della loro valutazione, non devono accettare doni e devono accontentarsi del loro salario. Un ispettore – plazarius –, a sua volta, controlla che gli estimatori adempiano al loro dovere. Per ciò che riguarda i prezzi di vendita, occorre seguire un dettagliato tariffario. Tutti i pescivendoli devono vendere pesci delle valli e cavedani a un prezzo fisso di dodici denari durante la Quaresima e sette denari durante gli altri giorni; i pesci più piccoli, ma comunque di almeno una spanna senza coda, durante la Quaresima devono essere venduti a otto denari; durante gli altri periodi, a cinque; i pesci ancora più piccoli devono essere venduti a cinque denari per libbra durante la Quaresima, mentre negli altri periodi a tre denari per libbra. I pesci marini grossi, durante la Quaresima, devono essere venduti a quattordici denari per libbra grossa. I pesci marini più piccoli possono essere venduti a otto denari per libbra grossa, mentre durante gli altri periodi i pesci marini grossi devono essere venduti a otto. I pesci marini ancora più piccoli devono essere venduti a quattro denari per libbra grossa. E nessun pescivendolo può vendere meno di sessanta vongole poveracce, ottanta calcinelli o arselle, venti gamberi grossi e sessanta gamberetti di mare per un denaro piccolo. Il giudice deputato ai danni dati ogni giorno di Quaresima e, nei restanti periodi, il venerdì deve controllare che il pesce venga venduto secondo i prezzi formulati, e incaricare un plazario di controllare nelle pescherie che il pesce venga venduto nella giusta maniera41.

Trasporto

In una società preindustriale come quella medievale gli animali ricoprono un ruolo significativo nel trasportare oggetti e persone, ma occorre prestare attenzione: gli statuti cittadini regolano con precisione cosa si può e non si può dislocare e in quale modo.
In un ambito così essenziale come l’approvvigionamento annonario, preziosi prodotti come pane, grano, carne, animali e spezie (zafferano, pepe, zenzero e anche miele), non possono essere portate al di là del distretto di Bologna – e grano e legno da Imola42 – senza un’adeguata autorizzazione43. Una norma simile è adottata a Ferrara44. A Piacenza, invece, il podestà o i giudici deputati ai generi alimentari sono tenuti entro un mese dall’inizio del mandato a convocare i rappresentanti delle villae del contado richiedendo a ciascuno di essi la garanzia che si impegnino a proibire con tutte le loro forze che i generi alimentari e le merci non vengano esportate al di fuori del distretto45. Anche nei centri più piccoli, come Longiano, in Romagna, si stabilisce che nessuno possa trasportare viveri, grano, orzo, farro, fave o qualsiasi cereale al di fuori del suo territorio, a meno che non si stia dirigendo verso la città di Rimini o non abbia ottenuto il permesso da parte del podestà o dei consoli46.
L’attenzione è rivolta anche verso l’interno. A Bologna intorno alla metà del Duecento chi porta carichi di grano e granaglie ai mulini è tenuto a pesare la merce sia all’andata che al ritorno, mentre il vetturale è tenuto a fare una fideiussione al comune di venti lire, non può partecipare alla macina e non può richiedere alcun pagamento per il trasporto47. A chi porta in città viveri, armi o cavalli da vendere non possono essere sequestrati tali beni per debito o rappresaglia, che si possono invece estinguere attraverso il ricavo dalla loro vendita48. A Modena, nessuna persona, sia essa cittadina forestiera o comitatina, che abbia portato cibo da vendere o da donare può essere trattenuta o confiscata dei beni a causa di eventuali imposte49.
Il cavallo rappresenta un mezzo di trasporto necessario per svolgere alcune mansioni. È il caso dei trombettieri, i quali hanno l’obbligo, quando proclamano i bandi, di andare a cavallo, non a piedi, nelle città e nei borghi. Infatti, a Bologna ognuno di loro deve avere un cavallo, che non può essere dato a noleggio, del valore di trenta lire e che sia almeno di tre anni50. Nei casi in cui è lecito dare in affitto un cavallo, gli statuti segnalano che il locatore può chiedere una certa somma per il noleggio e un compenso per l’usura o i danni che sono stati arrecati all’animale. A Bologna sono tre soldi per il primo giorno e due quelli successivi51, a Imola, una cinquantina di anni dopo, non più di cinque soldi il primo giorno e quattro nei successivi52, a Modena53 e Reggio non più di dodici imperiali il primo giorno e quattro in quelli successivi e, nel caso di guerra, il cavallo può essere affittato solo a concittadini54. In alcune occasioni, come a Bologna, l’attività di noleggio di cavalli e ronzini viene poi ancor di più controllata dall’autorità nel corso del XIV secolo, dal momento che i locatori sono chiamati ogni sei mesi, a gennaio e a giugno, a denunciare ogni singolo animale che vogliono assegnare al noleggio55; o come a Ravenna, dove il podestà è tenuto fare eleggere due ufficiali, un maresciallo e un notaio, incaricati di stimare legalmente ogni mese tutti i cavalli e i ronzini che vengono noleggiati in città. La stima degli animali deve essere riportata per iscritto in modo tale che, in caso di morte o ferita del cavallo per colpa del conduttore, egli sia tenuto a pagare al proprietario la stima fatta. Inoltre, le tariffe si fanno più specifiche: nella provincia di Romagna, per i primi due giorni, non più di cinque soldi ravennati, e due soldi per ogni altro giorno; non più di due soldi e mezzo al giorno per le pianure di Ravenna e non più di sei soldi per i primi due giorni per viaggi fino a Bologna e Rimini56. In alcuni casi è il comune a richiedere animali o buoi, come a Forlì; e nel caso di morte o danneggiamento il podestà è tenuto a risarcire il danno con venti lire sottratte dal proprio stipendio57.
Il cavallo è un mezzo assolutamente necessario anche per fare attività diplomatica. Agli ambasciatori di Reggio vengono assegnati tre cavalli per missioni al di fuori dell’episcopato e due per attività interne; nel caso, invece, di essere ricevuti dal papa, dal re o dall’imperatore i cavalli a disposizione diventano quattro58. La stessa importanza è possibile rintracciarla nelle redazioni statutarie bolognesi59. A Modena per i messaggeri che si muovono a cavallo all’interno del distretto il compenso è di due soldi e mezzo per ogni giorno60; mentre gli ambasciatori hanno a disposizione tre cavalli per missioni al di fuori del distretto, in città o campagna, e fino tra cavalli per ogni ambasciatore se partecipano più ambasciatori contemporaneamente61.
Ferratori e maniscalchi, infine, si occupano della manutenzione degli zoccoli di equini e bovini. Tenuti a utilizzare ferri e chiodi di buona fattura e a seguire un tariffario, essi devono fare in modo che gli strumenti non fuoriescano dalle loro case quando lavorano per non colpire i passanti, e a tenere un panno o un’asse davanti alla porta o alla finestra della fucina. Non è permesso loro lavorare su cavalli, buoi, asini o altri animali sotto i portici, ingombrando il passaggio, a meno che, al massimo due per volta, non si dispongano gli animali in maniera longitudinale, in modo che le teste stiano vicino alle colonne della casa e le code vicino alle altre colonne; così facendo i portici rimangono liberi da entrambi i lati e gli animali non creano problemi ai passanti62.

Feste

Gli animali, e nella fattispecie i cavalli, hanno un ruolo importante nelle celebrazioni delle festività cittadine attraverso i palii. A Ravenna si corrono due corse, una durante la festa di sant’Apollinare – 23 luglio – e l’altra durante quella di san Vitale – 28 aprile –. Nella prima sono messi in palio dieci braccia di tessuto scarlatto, una porchetta arrostita allo spiedo, un gallo con un’oncia di pepe intero e un sonaglio; nella seconda dieci braccia di panno verde dal valore di trenta soldi per braccio, una porchetta e un gallo63. A Bologna, la venticinquesima rubrica del dodicesimo libro degli statuti del 1288 stabilisce le regole per due corse che si tenevano in occasione di due festività. Ogni anno, nel mese di giugno, nella festa di san Pietro Apostolo, vanno acquistati otto braccia di panno scarlatto, una asta su cui porre il panno e un gallo, in modo che la spesa totale sia di venti lire bolognesi. La corsa deve partire dal ponte sul fiume Reno e arrivare a Porta Stiera. Al vincitore va il tessuto, e al secondo il gallo. Inoltre, durante la festa di san Bartolomeo Apostolo, nel mese di agosto, va acquistato un ronzino e un falco, un paio di guanti e una porchetta, per una spesa totale di venti lire bolognesi, da metter in palio in una corsa dal ponte sul Savena, fuori Porta Maggiore, e la croce del trebbo di Porta Ravennate. Chiunque abbia case lungo i percorsi suddetti è tenuto a sgomberare le strade davanti alla proprietà di ogni legname, pietra, paglia e altra sporcizia per due giorni prima della corsa del palio. Infine, tutti i cavalli che partecipano alle corse devono essere registrati da uno dei notai speciali del podestà, e nessun altro cavallo può partecipare al palio se non è registrato64.

Danni dati

Negli statuti le norme sui danni dati si occupano principalmente di danni causati alle colture e al bestiame da vandalismo, furto o pascolo abusivo e costituiscono una fonte rilevante per la ricostruzione delle coltivazioni presenti in un certo territorio, la cultura materiale, i rapporti di lavoro e, nel nostro caso, la presenza animale nelle comunità emiliano-romagnole.
Per precauzione, un buon consiglio per ogni proprietario è quello di tenere gli animali al chiuso, per impedire loro di creare danni ai terreni vicini, come suggeriscono gli statuti del Frignano65. Tuttavia, problemi e violazioni sono all’ordine del giorno. A Bagnacavallo, chi entra con animali nelle vigne viene multato di due soldi bolognesi; se gli animali causano danni la multa è di cinque soldi per ciascun animale grosso, maiale e scrofa, di due soldi per ogni capra e di un soldo per ogni pecora66. Non mancano multe per i proprietari di animali che causano danni sui campi seminati, in particolare a grano, lino, canapa, rape, cipolle, porri e aglio: due soldi bolognesi per ogni animale di grossa taglia e uno per ogni animale quadrupede di taglia minore, ad eccezione dei maiali, i quali, portano la multa a cinque soldi67. Per i danni arrecati a prati con animali, da marzo fino alla fine del mese di giugno, la multa è di due soldi bolognesi per ogni animale di grossa taglia e uno per ogni animale di piccola taglia; nei restanti periodi due soldi bolognesi per ogni animale di grossa taglia e maiali, e sei denari per ogni animale di piccola taglia, oltre a dover risarcire il danno68. La multa di cinque soldi per animali di grossa taglia e maiali, e di due per animali di piccola taglia è valida anche per gli orti e i frutteti69. I danni causati da animali appartenenti a estranei nei pascoli e nelle vigne, nei boschi o nei prati sono sanzionati con multe di venti soldi per ogni bovino, vacca, vitello, cavallo, cavalla, asino o mulo; dieci per ogni maiale, sei per ogni capra, caprone, pecora, montone e castrone70.
Negli statuti di Albinea e Montericco, redatti tra il 1454 e il 1462, si indica che se qualcuno provoca danni con animali in recinti, vigneti, campi di grano, prati e giardini, dovrà pagare una multa di un soldo per ogni bue, mucca, giovenca, cavallo, giumenta, asino o asina, sia che siano o che non siano sotto custodia. Per ogni maiale, sei denari, e per ogni capra o caprone, un soldo e sei denari, e per ogni pecora, quattro denari71.
I danni possono anche essere causati da polli, quattro soldi di multa, e anatre, sei denari, come ricordano gli statuti di San Mauro72. Al contrario, per ciò che riguarda i volatili, è severamente vietato rubare colombi, soprattutto con trappole e reti, come testimonia lo statuto di Modena del 132773.
Allo stesso tempo, anche gli animali vengono tutelati. Per esempio, a Comacchio, chiunque ferisce o colpisce un animale causandone la morte, dovrà pagare tre lire per ogni animale grosso, come bovini e cavalli, e per ogni animale più piccolo, venti soldi; e in ciascuno dei suddetti casi sarà condannato a pagare al proprietario la stima dell’animale morto con i suoi danni e interessi74. Nel caso in cui si abbia cavato gli occhi due lire, se si abbia rotto le corna, tagliata la coda o cavato un solo occhio, dieci soldi75. Tra le casistiche è contemplato anche il morso di cane ad altri animali, in questo caso la pena è di venti soldi, che diventano venticinque nel caso in cui l’animale muoia a seguito del morso; inoltre, oltre alla sanzione è necessario risarcire il danno76. A Castell’Arquato, nel piacentino, chiunque abbatta clandestinamente cavalli, cavalle, buoi, vacche, asini, asine, porci, scrofe o qualsiasi altro quadrupede domestico con lancia, spada, bastone o pietre incorre in una multa di quaranta soldi piacentini per ogni violazione e il risarcimento del prezzo dell’animale ucciso77.

Gabelle

Le imposte rappresentavano uno dei maggiori introiti delle città comunali e una parte considerevole delle imposte era rappresentato dalle tasse relative agli animali. Per esempio, a Bologna sul finire del XIII secolo, chiunque entri in città deve pagare una somma di quattro denari piccoli per ogni carro o carretta agli ufficiali della gabella, due denari per ogni biroccio carico e un denaro per ogni animale con carico78. Parallelamente, chiunque venda un animale a Bologna o nel distretto deve pagare due denari per ogni libbra del suo prezzo il giorno stesso o il successivo, se è nella città o nei borghi, e se è nel distretto, entro otto giorni. Se invece le vendite avvengono nel mercato, devono pagare la suddetta tassa prima di uscire dal mercato stesso o dalla piazza pubblica o all’incrocio della porta Ravennate. Anche gli osti sono tenuti a pagare per gli animali ospitati nei loro alloggi e per quelli che vendono; e allo stesso tempo, chi noleggia un animale deve pagare un denaro piccolo per ogni libbra della valutazione dell’animale79. Infine, chiunque porti o faccia portare dei gamberi in città, deve pagare agli officiali della gabella sei denari per ogni salma, e se è mezza salma o un sacco, tre denari bolognesi80. I dazi vengono applicati anche a merci e animali in uscita dalla città. A Ravenna, chiunque porti fuori dalla città pesci è tenuto a essere in possesso della licenza e pagare dal primo dicembre fino a Pasqua dieci soldi per ogni carico, nei restanti periodi cinque soldi81. A Brisighella, il pedaggio richiesto a ogni cavaliere che transita è di un soldo, per ogni carico portato da mulo due solidi, e per ogni carico portato da asino sei denari bolognesi. Coloro che acquistano animali al mercato per poi portarli fuori dalla valle pagano un soldo per ogni bestia grande e quattro denari per ogni bestia piccola acquistata. Per quanto riguarda le bestie o gli animali condotti da distretti esterni e destinati a distretti esterni attraverso la valle del Lamone, si pagherà per il transito due soldi bolognesi per ogni bestia grande e quattro denari per ogni bestia piccola82. Nel modenese, si riscuote anche una tassa sul bestiame bovino, chiamata boatia, e sulle zappe da lavoro dei braccianti83. Ad Argenta, intorno alla metà del Trecento, chiunque abbia venduto o comprato un animale, di grande o piccola dimensione, è tenuto a denunciare il fatto ai gabellieri e pagare un dazio di sei denari bolognesi per ogni libbra dell’animale in questione84.

Igiene pubblica

Pur senza le conoscenze mediche e sanitarie tipiche dei tempi più recenti, i legislatori medievali conoscevano i pericoli che immondizia, sporcizia, liquami, promiscuità di ambienti e resti di animali potevano creare in città e ai suoi abitanti. Per questo motivo gli statuti regolamentano gli aspetti legati alla sanità e alla suddivisione degli spazi.
A Modena, qualsiasi mercato di bestiame si deve tenere nel prato del mercato, inghiaiato, e nessun mercante o venditore di suini o bestiame può tenere nel mercato o nella piazza del Comune alcun recinto o baracca, né alcun altro ostacolo85. I beccai di Modena e Bologna non devono uccidere né scuoiare né permettere che vengano uccisi o scuoiati animali nei portici, che perdano sangue o liquido che sporcherebbe le pareti o i muri, né tenere un gancio a cui appendere la carne perché creerebbe impedimento e il sangue potrebbe cadere e sporcare la strada e i passanti86. A Bologna, nei luoghi di mercato, piazza Maggiore e piazza di porta Ravennate, nessuno può gettare animali fetidi o morti, né pesci o gamberi morti o marci, né alcuna cosa turpe o fetida, né letame o spazzatura o immondizia. Nessun beccaio o qualsiasi altro individuo può uccidere o far uccidere un animale vicino alla piazza entro quattro case, né vendere per sé o per altri carne di animale morta di malattia87. Nessun individuo può tenere scrofe con o senza i piccoli in città, nei borghi e per un miglio attorno alla città. Ugualmente nessun porco o scrofa può entrare nella piazza del comune di Bologna o a porta Ravegnana, a meno che essi non siano legati e destinati alla vendita, e il notaio del podestà è tenuto a verificare la disposizione tre volte la settimana88.
A Piacenza, gli statuti del 1323 proibiscono di scuoiare e gettare animali, come cavalli e asini, morti in città e nei fossati, pena venti soldi89. A Bobbio il divieto è esteso al fiume Trebbia90 e a Parma si specifica che non è permesso ai macellai di lavorare animali malati e di tenersi lontano anche dalle chiese ed edifici religiosi91. Ci sono infatti dei luoghi appositamente deputati all’abbattimento e allo scuoiamento degli animali, come stabilisce per esempio lo statuto trecentesco di Forlì92.
A Bologna, gli statuti sottolineano inoltre che, dal momento che i cimiteri delle chiese sia per la consacrazione che per la sepoltura dei corpi umani sono considerati luoghi sacri e religiosi, non è appropriato permettere l’accesso ad animali di qualsiasi genere, perché l’ingresso di tali animali nei cimiteri può violare le tombe, rimuovere le ossa dei defunti e danneggiarle. Pertanto, le norme stabiliscono che a nessuno sia consentito introdurre o tenere maiali, pecore o altre bestie all’interno del cimitero di qualsiasi chiesa. Inoltre, è fatto divieto di gettare nei pressi dei muri del cimitero letame, terra, pietre, paglia e molte immondizie, dal momento che inducono gli animali a entrare 93.

Considerazioni finali

Non è una novità che gli animali abbiano avuto un ruolo rilevante e di grande vicinanza nella vita quotidiana delle società medievali. L’analisi degli statuti emiliano-romagnoli approfondiscono, tuttavia, alcuni aspetti dove l’apporto animale è quantomai decisivo, come le modalità di trasporto di carichi e individui, le celebrazioni di festività, l’approvvigionamento di cibo, l’igiene pubblica e l’impatto economico.
Pur nelle cautele dovute alla comparazione di aree molto diverse tra loro per storia politica e istituzionale e nelle limitazioni scaturite dall’analisi di corpi statutari le cui edizioni definitive non sono ancora state completate94, si scorge nei soggetti produttori delle normative un tentativo di sempre maggior controllo del mondo animale, e quindi delle risorse, che siano economiche, lavorative o sociali.
Per esempio, per ciò che riguarda i beccai, una delle corporazioni più importanti delle città medievali95, i legislatori definiscono con sempre maggior precisione l’attività, introducendo tariffe, divieti di monopolio o di svolgimento di alcune pratiche, e istituendo officiali e organismi di sorveglianza, facendo così che il controllo dell’attività scivoli dalla corporazione stessa al comune. L’attenzione alle numerose casistiche dei danni dati porta la riflessione nella stessa direzione: in un mondo dove le attività agricole rappresentano la risorsa principale e sono vicine, anche fisicamente a quelle di allevamento, è necessario più che mai intervenire per evitare che gli animali non danneggino campi, vigne, raccolti, boschi e foreste e punire eventuali trasgressioni. Per questo motivo gli enti e soggetti produttori delle normative occupano numerose pagine degli statuti per elencare tutte le possibili casistiche di violazioni, definendo accuratamente gli animali, le loro taglie e le modalità di ingresso in recinti e altri luoghi. Una attenzione analoga è anche di ordine economico; dal momento che le gabelle e dazi rappresentano una degli introiti principali dei comuni medievali e molti lavori implicano la presenza animale è necessario definire quali di essi possono entrare in città, se per motivi di vendita, per solo transito o per trasporto di merci e persone. Ragioni di ordine igienico e di ordine pubblico, infine, spingono i legislatori a limitare le presenze animali in città in alcuni luoghi, come per esempio i cimiteri, o i luoghi di macellazione, trattamento o lavori con animali.
La tendenza dei comuni medievali emiliano-romagnoli, dunque, è quella di un progressivo controllo degli animali e delle risorse ad essi collegati nel periodo compreso tra il XIII e il XV secolo. La ragione di tale attitudine può essere ricercata nel più ampio contesto di sviluppo dei comuni dell’Italia centro-settentrionale che, nel corso del Basso Medioevo, riescono progressivamente a imporre un controllo sulle attività e sulla vita politica della città e del distretto e che, in alcuni casi sfocerà in esperienze signorili o proto-signorili autonome o imposte96. Parallelamente, il controllo sempre più attento degli animali potrebbe rappresentare un fievole inizio di una mentalità antropocentrica, che vede nell’essere umano il centro e la natura, e con essa gli animali, controllata e manipolata, asservita alla ragione e alle capacità umane97.
In questo senso, le fonti statutarie e normative, che per via della loro natura contengono in sé uno scarto fra teoria – quello che auspicano i legislatori – e la prassi – ciò che realmente accade nelle città e nel contado –, permettono di rintracciare gli aneliti e i desideri della comunità o, per lo meno, dei soggetti produttori e dominanti dei comuni medievali, istituzioni che mirano nel corso del basso medioevo al controllo della città, della natura, e quindi degli animali. L’analisi di altre tipologie di fonti, soprattutto giudiziarie, potrà approfondire la questione ed esaminare l’effettiva riuscita di tali disposizioni.

Note

  1. Jacopo De Grossi Mazzorin, Archeozoologia: lo studio dei resti animali in archeologia, Laterza, Roma-Bari, 2008.
  2. Cfr.: Aleksander Pluskowski (a cura di), Breaking and Shaping Beastly Bodies: Animals as Material Culture in the Middle Ages, Oxbow, Oxford, 2007.
  3. L’uomo di fronte al mondo animale nell’alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studio sull’alto Medioevo: 7-13 aprile 1983, Centro italiano di studio sull’alto medioevo, Spoleto, 1985.
  4. Gherardo Ortalli, Gli animali nella vita quotidiana dell’alto Medioevo: termini di un rapporto, in L’uomo di fronte al mondo animale cit., pp. 1389-1444.
  5. Michel Pastoureau, Medioevo simbolico, Laterza, Roma-Bari, 2009; Id., Bestiari del Medioevo, Einaudi, Torino, 2012.
  6. Francesco Zambon, L’alfabeto simbolico degli animali, Luni, Milano, 2001; Id., Bestiari tardoantichi e medievali. I testi fondamentali della zoologia sacra cristiana, Bompiani, Milano, 2018.
  7. Christian Heck e Remy Cordonnier, Il bestiario medievale. L’animale nei manoscritti miniati, Einaudi, Torino, 2021.
  8. Edward Payson Evans, Animali al rogo. Storie di processi e condanne contro gli animali dal Medioevo all’Ottocento, Res Gestae, Milano, 2012; Giulia Rainis, I processi “civili” agli animali fra prassi e dottrine (XIII-XVI secolo), «Società e storia», XXXIX-2 (2016), pp. 229-253.
  9. Massimo Montanari, L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo, Liguori, Napoli 1979; Id., Gli animali e l’alimentazione umana, in L’uomo di fronte al mondo animale cit., pp. 619-663; Id., La fame e l’abbondanza: storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari 1993.
  10. In generale si veda: Giuliano Pinto, Carlo Poni, Ugo Tucci (a cura di), Il medioevo e l’età moderna, in Storia dell’agricoltura italiana, Polistampa, Firenze 2002. Per la pastorizia: Franco Cazzola (a cura di), Percorsi di pecore e di uomini: la pastorizia in Emilia Romagna dal Medioevo all’età contemporanea, CLUEB, Bologna, 1993; Giuliano Volpe, Antonietta Buglione e Giovanni De Venuto (a cura di), Vie degli animali, vie degli uomini: transumanza e altri spostamenti di animali nell’Europa tardoantica e medievale: atti del secondo seminario internazionale di studi “Gli animali come cultura materiale nel Medioevo”, Foggia, 7 ottobre 2006, Edipuglia, Bari, 2010. Per la pesca: Angela Donati & Paolo Pasini (a cura di), La pesca: realtà e simbolo fra tardo antico e Medioevo (3 voll.), Leonardo arte, Milano 1999; Valdo D’Arienzo & Biagio Di Salvia (a cura di), Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal Medioevo all’età contemporanea: atti del quarto Convegno internazionale di studi sulla storia della pesca: Fisciano-Vietri sul Mare-Cetara, 3-6 ottobre 2007, Angeli, Milano, 2010; Francesca Pucci Donati, Approvvigionamento, distribuzione e consumo in una città medievale. Il mercato del pesce a Bologna (secoli XIII-XV), Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 2016. Per l’allevamento: Marina Baruzzi e Massimo Montanari (a cura di), Porci e porcari nel Medioevo: paesaggio, economia alimentazione, CLUEB, Bologna 1981; Massimo Montanari, Allevamento e cura degli animali nei trattati di agronomia del Basso Medioevo, in La pratica della veterinaria nella cultura dell’Emilia Romagna e l’insegnamento nell’Università di Bologna, Facoltà di medicina veterinaria dell’Università degli studi di Bologna-Istituto per la storia di Bologna, Bologna, 1984, pp. 35-63; Alfio Cortonesi, Agricoltura e allevamento nell’Italia bassomedievale: aspetti e problemi di una coesistenza, in Le Italie del tardo Medioevo, Pacini, Pisa, 1990, pp. 391-408; Giuliano Pinto, L’allevamento del bestiame in Toscana (secoli XIII-XV), in Uomini, paesaggi, storie: studi di storia medievale per Giovanni Cherubini, SeB, Siena 2012, pp. 467-480.
  11. Baruzzi e Montanari, Porci e porcari nel Medioevo, cit.; Maria Luisa Ceccarelli Lemut, Il porco nelle fonti altomedievali, in Uomini, demoni, santi e animali tra medioevo ed età moderna, a cura di Salvatore Geruzzi, Fabrizio Serra editore, Pisa-Roma, 2010, pp. 103-112.
  12. Franco Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna, 2014; Le cheval dans la culture médiévale, SISMEL Edizioni del Galluzzo, Firenze 2015.
  13. Bruno Andreolli, L’orso nella cultura nobiliare dall’Historia Augusta a Chretien de Troyes, in ll bosco nel medioevo, CLUEB, Bologna, 1988, pp. 35-54; Montanari, Uomini e orsi nelle fonti agiografiche dell’alto Medioevo, in Il bosco nel medioevo cit., pp. 55-72; M. Pastoureau, L’orso. Storia di un re decaduto, Mondadori, Milano, 2023.
  14. G. Ortalli, Lupi, genti, culture: uomo e ambiente nel Medioevo, Einaudi, Torino 1997; Riccardo Rao, Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso, UTET, Torino, 2018. Cfr. anche gli articoli in: Vito Loré, Storie di lupi e di uomini. A proposito di Riccardo Rao, Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso, «Reti Medievali» 21,2(2020), pp. 5-43.
  15. Chiara Frugoni, Uomini e animali nel Medioevo: storie fantastiche e feroci, Il Mulino, Bologna, 2018; Alberto Luongo e Antonio Montefusco (a cura di), Il lupo di Gubbio: origini, tradizione e ricezione di una storia francescana, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, Spoleto, 2022.
  16. mad.hypotheses.org , consultato il 29 gennaio 2023.
  17. Cfr.: R. Delort, Animali, in Dizionario dell’Occidente medievale, a cura di Jacques Le Goff e Jean-Claude Schmitt, Einaudi, Torino, 2003; Alice M. Choyke e Gerhard Jaritz (a cura di), Animaltown: Beasts in Medieval Urban Space, BAR Publishing, Oxford, 2017.
  18. Joyce E. Salisbury, The Beast Within. Animals in the Middle Ages, London, Routledge, 2010.
  19. Cfr.: Mario Sbriccoli, L’interpretazione dello Statuto: contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Milano, Giuffrè, 1969. Per la rilevanza degli studi statutari negli ultimi decenni cfr.: Bibliografia statutaria italiana 1985-1995, Roma, Biblioteca del Senato della Reubblica, 1998; Bibliografia statutaria italiana 1996-2005, Roma, Biblioteca del Senato della Repubblica, 2009; Bibliografia statutaria italiana 2006-2015 Roma, Biblioteca del Senato della Repubblica, 2017.
  20. Cfr.: Anna Maria Nada Patrone, Gli statuti comunali come fonte per la storia dell’alimentazione nel tardo medioevo: limiti della documentazione e nuovi spunti di ricerca, in Gli archivi per la storia dell’alimentazione: atti del Convegno, Potenza-Matera, 5-8 settembre 1988, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1995, pp. 637-647.
  21. Luigi Frati (a cura di), Statuti di Bologna dall’anno 1245 al 1267, Bologna, Regia Tipografia, 1869, lib. VII rubr. XLIX: Quod beccarii debeant vendere carnes omui die.
  22. Ibidem, lib. VII rubr. L: De porchis guastis.
  23. Ibidem, lib. VII rubr. CXII: Quod beccarij non interficient vel scaldument aliquod animal jn curia comunis bon.
  24. Ibidem, lib. VII rubr. CXXIII: Quod beccarij debeant curare porchas quos jnterficiunt causa revendendi et ea spellare.
  25. Gina Fasoli e Pietro Sella (a cura di), Statuti di Bologna dell’anno 1288, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica, 1937, lib. XII rubr. VI: De porchis certo modo curandis.
  26. Ibidem, lib. XII rubr. VII: De porcho gramignoso seu guasto non vendendo.
  27. Anna Laura Trombetti Budriesi (a cura di), Lo statuto del Comune di Bologna dell’anno 1335, Roma, Istituto storico italiano per il medioevo, 2008, libro VIII, rubr. 222: Que teneantur facere becharii vel servare in arte eorum.
  28. M. Venticelli, Metodologia elettroniche per l’edizione di fonti: lo statuto del comune di Bologna dell’anno 1376, Tesi di Dottorato in Storia e Informatica, A.A. 1998-1999, lib. VI rubr. 59: Que teneantur facere becarii vel servare in arte sua.
  29. Statuta civitatis Mutine, Parma, Ex officina Petri Fiaccadori, 1864, lib. II rubr. 1: De bechariis et eorum sacramento.
  30. Ibidem., lib. II, rubr. 2: Carnes et alie res vendi debeant ad pensam balanciarum et non ad staderiam.
  31. Enrico Angiolini (a cura di), Statuta castri Veruchuli. Gli statuti quattrocenteschi di Verrucchio, Verucchio, Comune di Verucchio, 2011, lib. I, cap. 22: Quas carnes beccarii debeant [vendere] et animalia viva superstitibus ostendere.
  32. Ibidem, lib. I, cap. 25: Quod beccarii non possint inflare nec carnes reficere.
  33. Statuta communis Parmae anno MCCLV, Parma, Ex officina Fiaccadori, 1856, lib.I: De plaustris lignorum foeni et paleae non veniendis neque standis in platea die sabati, et quod res non debent in platea teneri, et de poena contrafacientium
  34. Ibidem, lib. I: Ubi piscatores debeant vendere pisces, et quid teneantur dare Communi.
  35. Ibidem, lib. III: De poena revenditorum ementium diebus veneris vel sabbati ante nonam pullos, ova, caseum et pisces.
  36. Ibidem, lib. I: De modo observando in gambaris vendendis.
  37. Ibidem, lib. I: Qualiter piscatores non debeant tenere pisces in vivario.
  38. Ibidem, lib. I: Qualiter nullus audeat emere pisces pro revendendo.
  39. Statuta communis Parmae anni MCCCXLVII, Parma, Ex officina Fiaccadori, 1860: lib. IV: Qualiter liceat cuilibet ducere ad civitatem Parmae et vendere piscem foresterium.
  40. Antonio Tarlazzi (a cura di), Statuti del comune di Ravenna, Ravenna, Tipografia Calderini, 1886, lib. I, rubr. XXIV: De piscatoribus maris et vallium Et officio extimatorum piscium maris.
  41. Umberto Zaccarini (a cura di), Statuto Ravennate di Ostasio da Polenta (1327-1346), Bologna, Deputazione di storia patria per le province di Romagna, 1998, lib. I, rubr. 52: De piscatoribus maris et vallium et officio extimatorum piscium maris.
  42. L. Frati (a cura di), Statuti di Bologna cit, lib. XI, rubr. XCI: Quod biava victualia et ligna non extrahantur de comitatu ymole.
  43. Ibidem, lib. VIII rubr. XV, XVI e XVII: De victualibus non portandis extra comitatum bononie, De pane et carne et aliis rebus adque bestiis non extrahendis extra districtum bononie e De blado non extrahendo extra districtum bononie.
  44. Camillo Laderchi (a cura di), Statuti di Ferrara dell’anno 1288, lib. II, rubr. XXV: De victualibus non ducendis extra districtum.
  45. Emanuela Fugazza (a cura di), Lo statuto di Piacenza del 1323, Pavia, Pavia University Press, lib. VI rubr. XXV: Rubrica de exigenda satisdacione a certis villis pro victualibus non exportandis.
  46. Oreste Delucca ed Elisa Tosi Brandi (a cura di), Longiano e i suoi statuti. Una comunità malatestiana nel Quattrocento, Rimini, Pazzini, 2003, lib. II, rubr. 71: Quod nullus possit extrahere victualia extra curtem Lonzani.
  47. L. Frati (a cura di), Statuti di Bologna cit., lib. II, rubr. LXV: De penis victuralium qui portant somas ad molendinum e lib. VII rubr. XXIX: De staderiis faciendis per contratas et de penis victuralium et molendinarium delinquentium.
  48. Ibidem, lib. VII, rubr. XX: De victualibus et eis portandis quod non possit xaxiri.
  49. Statuta civitatis Mutine cit., lib. III, rubr. LXXXVI: De non aggravando conducentes victualia ad civitatem.
  50. G. Fasoli e e P. Sella (a cura di), Statuti di Bologna dell’anno 1288 cit., lib. II, rubr. 14 e 15: De offitio trumbatorum comunis et populi Bononie et de eorum feudo a privatis recipiendo et etiam a comuni Bononie e De privilegio Martini Bagnarole et Rolandi Casoti trumbatorum comunis.
  51. Ibidem, lib. XII, rubr. X: De locationibus ad vecturam.
  52. Serafino Gaddoni (a cura di), Statuti di Imola del secolo XIV, Milano, Hoepli, 1981, lib. III, rubr. XCVIIII: De precio victuram equorum.
  53. Statuta civitatis Mutine cit., lib. II, rubr. XIV: De victuris equorum et quantum quis accipere possit et non ultra.
  54. Aldo Cerlini (a cura di), Consuetudini e statuti reggiani del secolo XIII, lib. IV, rubr. XXIIII: De illo qui mutuaverit roncinum ad victuram et de salario ei concesso et de pena contrafacientis.
  55. A.L. Trombetti Budriesi (a cura di), Lo statuto del Comune di Bologna dell’anno 1335 cit., lib. IV, rubr. 34: De officio et iurisdicione dominorum deputatorum supra eos qui prestant seu lochant ronçenos vel equos ad victuram et suorum notariorum. Rubrica.
  56. U. Zaccarini (a cura di) Statuto ravennate cit., lib. II rubr. 48: De officialibus elligendis ad extimandum equos et runcinos qui dantur ad vecturam, et mendicta ipsorum facienda et de modo vecture.
  57. Evelina Rinaldi (a cura di), Statuto di Forlì dell’anno 1359, con le modificazioni del 1373, Roma, Loescher, 1923, lib. I rubr XL: De bobus et aliis bestiis mortuis in servitio comunis emendandis.
  58. A. Cerlini (a cura di), Consuetudini e statuti reggiani cit., lib. III, rubr. XIII: De ambaxatoribus et salario eis concesso pro comuni Regii.
  59. Beatrice Borghi e Filippo Galletti, Norme relative agli ambasciatori orme relative agli ambasciatori nei codici statutari di Bologna (secc. XIII-XV), «Studi medievali», LXIII,1(2022), pp. 39-94.
  60. Statuta civitatis Mutine cit., lib. I, rubr. XCV: De scribendis andatis offitialium, ambaxatorum, nunciorum et spiarum per unum ex notariis dominorum sive ancianorum et defensorum.
  61. Ibidem, lib. I, rubr. CX: De ambaxatoribus.
  62. Maria Venticelli, Metodologia elettroniche cit., lib. VI rubr. 62: De feratoribus equorum.
  63. A. Tarlazzi (a cura di), Statuti del comune di Ravenna cit., lib. I, rubr. XXVI: De Paliis ponendis in festivitatibus sancti Apolenaris et Sancti Vitalis.
  64. G. Fasoli e e P. Sella (a cura di), Statuti di Bologna dell’anno 1288 cit., lib. XII, rubr. 25: De pallio et ronçino currendis.
  65. Quinto Santoli, Albano Sorbelli, Ferdinando Jacoli (a cura di), Statuti dell’Apennino tosco-modenese (Sambuca pistoiese, Frignano) secc. XIII-XIV, Roma, Loescher, 1913, lib. III, rubr. XV: De claudendis clausuris et eis tenendis clausis in qualibet terra Fregnani.
  66. Maura Morigi, I «danni dati» negli statuti estensi di Bagnacavallo (1443-1451), rubr. III: De damnis personaliter vel cum animalibus dandis et personaliter vel cum animalibus aliquilibet eundo in vineis alienis. Rubrica.
  67. Ibidem, rubr. IV: De domnis datis in campis et agris alienis de quocumque blado blavatis, et de lino et canipa satis et non illis eundo vel per illos personaliter vel causa animalibus nisi infra provisiones contentas. Rubrica
  68. Ibidem, rubr. V: De damnis datis in pratis personaliter vel cum animalibus et curribus. Rubrica.
  69. Ibidem, rubr. VI e VII: De damnis datis in ortis personaliter vel cum animalibus, et de non eundo in illos sine licentia domini orti sive conductoris, sive partiarii illius. Rubrica e De damnis datis in arboribus domesticis et fructiferis et in illarum fructibus, necnon in arboribus silvestribus, in vineis et in campis, in viridariis, sive in ortis plantatis radices sibi agentibus. Rubrica.
  70. Ibidem, rubr. XIV: De custodia pascuorum terrae Bagnacaballi. Rubrica.
  71. Antonella Campanini (a cura di), Gli statuti dei conti Manfredi. Edizione delle raccolte di Albinea e Borzano (RE), Bologna, La fotocromo emiliana, 1995, lib. III, rubr. 9: De penis damnum dantium.
  72. Oreste Delucca, San Mauro fra Medioevo e Età Moderna. Note storiche e edizione degli Statuti, Rimini, Pazzini 1994, lib. IV, rubr. XXII: De pullis damnum dantibus.
  73. Statuta civitatis Mutine cit., lib. IV, rubr. CXXVII: De columbis non capiendis nec trapola tenenda.
  74. Vincenzo Caputo e Riccardo Caputo (a cura di), Statuti di Comacchio sec. XV, Ferrara, Accademia delle scienze, 1991, rubr. 134: De la pena de che ferirà bestia alcuna la quale per tale ferita morirà.
  75. Ibidem, rubr. 141: De la pena de chi ferirà alcuna bestia, una on più, et quella on quelle debilitarà.
  76. Ibidem, rubr. 135: De la pena de chi insegarà alcuno cane et morsegarà alcuna bestia.
  77. Bernardo Pallastrelli (a cura di), Statuta Castri Arquati in sex libros divisa, Piacenza, Ex officina Antonii del Maino, 1876, lib. V rubr. 117: De pœna occidentium, vel percutientium Animalia alterius.
  78. G. Fasoli e e P. Sella (a cura di), Statuti di Bologna dell’anno 1288 cit., lib. III, rubr. 8: De gabella solvenda pro curibus honeratis, carritis, broçis et animalibus intrantibus civitatem Bononie.
  79. Ibidem, lib. III rubr. 11: De gabella bestiarum solvenda.
  80. Ibidem, lib. III rubr. 12: De gabella ganbarorum solvenda.
  81. U. Zaccarini (a cura di) Statuto ravennate cit., libr I rubr. 111: De dacio olei et piscium pro comuni tollendo.
  82. Beatrice Borghi e Giulia Piva (a cura di), Statuta Vallis Hamonis. Aneliti di autonomia della comunità di Brisighella nel XV secolo, Bologna, Pàtron, 2014, lib. I rubr. XXIII: De gabellis et pedagis solvendis tam per comitatinos quam transeuntes.
  83. Statuta civitatis Mutine cit., lib. I, rubr. LXXXV: De reddictu boatie.
  84. Statuta terrae Argentae e veteri manuscripto codice nunc primum edita, Ferrara, Ex typographia camerali, 1781, lib. Statuta vectigalium communitatis terrae Argentae, rubr.: Capitulum de gabella bestiarum vivarum simul et mortuarum.
  85. Statuta civitatis Mutine cit., lib. II, rubr. XXX: De foro bestiarum.
  86. Ibidem, lib. II rubr. 1: De bechariis et eorum sacramento; M. Venticelli, Metodologia elettroniche cit., lib. VI rubr. 59: Que teneantur facere becarii vel servare in arte sua.
  87. G. Fasoli e e P. Sella (a cura di), Statuti di Bologna dell’anno 1288 cit., lib. X, rubr. 3: Quod becarii vel piscatores aut alii non faciant immundicias in platea comunis vel in trivio porte Ravenatis.
  88. Ibidem, lib. X, rubr. 5: De porca vel porcis non tenendis in civitate Bononie vel burgis.
  89. E. Fugazza, Lo statuto di Piacenza del 1323 cit., lib. VI rubr. XXIII: Rubrica de bestiis mortuis non prohyciendis infra civitatem.
  90. Gli statuti del Comune di Bobbio. Le leggi che per cinque secoli hanno regolato la vita sociale ed economica della città, Bobbio 2008, rubr. CLXVII: De paena proicientium bestias mortuas in confines cultas.
  91. Statuta communis Parmae ab anno MCCCXVI ad MCCCXV cit., lib. III: De budellariis et aliis facientibus turpitudines in aliqua parte.
  92. E. Rinaldi, Statuto di Forlì dell’anno 1359 cit. lib. V, rubr. VIII: De locis quibus bestie debent interfici et excoriari.
  93. A.L. Trombetti Budriesi, Lo statuto del Comune di Bologna dell’anno 1335 cit., lib. VIII, rubr. 118: Quod non introducantur vel teneantur alique bestie in aliquo cimiterio alicuius ecllesie; M. Venticelli, Metodologia elettroniche cit., lib. V rubr. 111: Quod non introducantur vel teneantur alique bestie in aliquo cimiterio nec hostia vel lignamina teneantur super salegata fratrum Minorum.
  94. Cfr.: Augusto Vasina (a cura di), Repertorio degli statuti comunali emiliano-romagnoli (secc. XII-XVI), Roma, Istituto storico italiano per il Medioevo, 3 voll., 1999.
  95. Per Bologna, cfr.: Mario Fanti, I macellai bolognesi: mestiere, politica e vita civile nella storia di una categoria attraverso i secoli, Bologna, Sindacato esercenti macellerie, 1980; Valeria Braidi, Il braccio armato del popolo bolognese: l’arte dei Beccai e i suoi statuti (secc. XII-XV), in La norma e la memoria: studi per Augusto Vasina, Roma, istituto storico italiano per il medioevo, 2004, pp. 441-469. Per Piacenza, cfr.: Cesare Zilocchi, I tormenti della carne: beccai, beccarie, macelli a Piacenza, Piacenza, TEP, 1993. Per Modena, cfr.: V. Braidi (a cura di), Statuta artis bechariorum civitatis Mutine, 1337: carni, salumi e beccai in età medievale, Modena, Archivio storico, 2003.
  96. Cfr.: Giuliano Milani, I comuni italiani (secoli XII-XIV), Roma-Bari, Laterza, 2005.
  97. Cfr.: Eugenio Garin (a cura di), L’uomo del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1988.

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