Porti ed empori nel Mediterraneo del I millennio a.C.: luoghi di approdo, scambio di merci, crocevia di popoli
Maria Luisa Conforti, Porti ed empori nel Mediterraneo del I millennio a.C.: luoghi di approdo, scambio di merci, crocevia di popoli, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 1, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12003
1. Introduzione: un mare che unisce
Il Mediterraneo antico si configurava come un contesto di elevata complessità, agendo da collegamento tra le civiltà emergenti lungo le sue sponde. Questa regione, caratterizzata dalla presenza di abbondanti risorse e posizioni vantaggiose a livello naturale, si trasformò in un crogiolo di interazioni economiche, politiche, religiose e sociali. Le diverse genti che si insediarono lungo le coste lasciarono un’impronta indelebile, mentre la loro prossimità geografica favorì la percezione di questo mare non come una barriera, bensì come una via di comunicazione privilegiata, un elemento unificante piuttosto che divisivo.
Gli scali marittimi costituivano snodi cruciali di un’articolata rete che attraversava l’intero bacino. Lungi dall’essere semplici punti di transito per le merci, questi centri svolgevano un ruolo ben più significativo, poiché erano percepiti soprattutto come luoghi di convergenza e interazione tra saperi diversi. Il commercio di beni materiali si intrecciava alla circolazione di idee, pratiche, conoscenze tecniche e innovazioni artistiche. Mercanti, marinai e viaggiatori, muovendosi tra questi spazi, diffondevano anche esperienze provenienti da mondi lontani, alimentando un dinamismo vibrante. In questi ambienti, le tradizioni locali si arricchivano di elementi esterni, trasformando le aree portuali in laboratori di integrazione e ibridazione.
Il presente studio si propone di esaminare il ruolo del Mediterraneo come asse portante nello sviluppo delle civiltà antiche, focalizzandosi sui porti e sugli empori delle principali società che si affacciarono su questo bacino, in particolare Fenici, Etruschi, Greci e Romani. In seguito, verranno analizzate anche le tecniche costruttive portuali, che testimoniano il livello di avanzamento ingegneristico raggiunto. Gli scavi hanno dimostrato come tali strutture fossero progettate non solo per accogliere grandi imbarcazioni, ma anche per proteggere i prodotti di scambio dagli agenti atmosferici e facilitare le operazioni di carico e scarico. Banchine, moli e magazzini rinvenuti nel corso delle indagini archeologiche, offrono una testimonianza tangibile della complessità dei circuiti economici e della loro evoluzione nel tempo. Inoltre, saranno esaminate le metodologie archeologiche contemporanee, come gli scavi subacquei e i rilevamenti attraverso le tecniche geofisiche, per illustrare come abbiano permesso una comprensione più approfondita e dettagliata delle dinamiche storiche che si sono avvicendate.
Si confronteranno queste diverse popolazioni, evidenziando come ciascuna abbia contribuito alla creazione di una cultura mediterranea condivisa, pur mantenendo caratteristiche distintive. Attraverso l’esame di alcune città portuali più rappresentative, utilizzando evidenze materiali e documentarie, si illustrerà il loro ruolo come luoghi di innovazione. L’obiettivo sarà ricostruire un quadro del Mediterraneo come sistema integrato, in cui le interazioni avvenivano non solo attraverso conflitti e competizioni, ma anche tramite il commercio, le alleanze e lo scambio. Tuttavia, considerando l’ampiezza e la complessità del tema, l’articolo si focalizzerà inevitabilmente su una selezione limitata di aspetti, con particolare riferimento al I millennio a.C., un periodo caratterizzato da intensi cambiamenti e sviluppi, durante il quale si posero le basi per la successiva espansione e dominazione romana.
2. Fenici: tra Oriente e Occidente
I Fenici, un popolo di origine semitica, stanziato lungo le coste dell’attuale Libano, si affermarono come una delle principali civiltà presenti nel Mediterraneo a partire dal I millennio a.C., con città-stato che prosperarono grazie alla loro posizione strategica. Situate lungo le più importanti rotte commerciali, divennero fin da subito influenti centri di scambio. In particolare, già dalla fine del IX secolo a.C. e soprattutto tra VIII e VI secolo a.C. intrapresero un esteso processo di colonizzazione, stabilendo numerose fondazioni in questo mare. L’espansione non fu motivata unicamente dalla necessità di accedere a nuove risorse e mercati, ma rifletteva anche la loro abilità commerciale e la capacità di organizzare reti di scambio a lungo raggio, che favorirono l’interazione tra diverse civiltà. L’influenza che ebbero si estese ben oltre i confini del Levante, con un impatto significativo anche nelle regioni più occidentali, specialmente nella Penisola Iberica, in Sicilia e in Sardegna. Attraverso il contatto, ebbero un ruolo importante nello scambio di beni e idee, contribuendo in alcuni casi all’evoluzione delle élite locali, come quelle tirreniche e sarde1.
Un esempio emblematico della loro maestria è rappresentato dalla rotta Tiro-Gādir (fig. 1) che non solo collegava l’Oriente con l’estremo Occidente, ma dimostrava anche come i Fenici fossero in grado di percorrere questo lungo e pericoloso tragitto attraverso tutto il Mediterraneo. Tale dominio permise di influire su diverse regioni, consolidando la posizione come intermediari commerciali.
Tiro (in fenicio Ṣūr con il significato di “roccia”) fu fondata, secondo le tradizioni storiche, durante il II millennio a.C., configurandosi come uno dei centri più antichi e rilevanti del Mediterraneo orientale. La sua collocazione geografica, situata su un’isola vicino la costa dell’odierno Libano, la rese essenziale per le attività commerciali e marittime, contribuendo a trasformarla in una potenza navale di primaria importanza grazie alla conformazione naturale del litorale, che favorì l’incremento di approdi sicuri ed efficienti. Iniziò a svilupparsi come insediamento costiero urbano a partire dal 1500 a.C. circa grazie all’accrescimento del complesso portuale. Da questo punto di vista, disponeva di due scali principali e ben distinti per funzione e posizione: il “porto sidonio” a nord e il “porto egizio” a sud, sebbene l’identificazione precisa di quest’ultimo rimanga controversa e alcune fonti suggeriscano che fosse un ancoraggio naturale piuttosto che artificiale. Questa divisione poteva essere utile all’ottimizzazione della gestione del traffico, supportando così il controllo strategico delle rotte. La potenza non si limitava soltanto al predominio sul mare, ma si estendeva a un’egemonia mercantile, poiché sviluppò una flotta che le consentì di avere notevole influenza sulle città-stato fenicie e su altri territori lontani. Le imbarcazioni erano rinomate per la velocità e la capacità di trasporto e la città era famosa specialmente per il commercio di beni pregiati come il legname, la porpora e, in generale, manufatti di altissima qualità. Il ruolo di questo centro è stato ulteriormente chiarito dagli scavi archeologici condotti negli ultimi decenni, rivelando infrastrutture portuali di grande valore. Queste indagini, supportate dalle tecniche di prospezione geofisica, hanno permesso di identificare e mappare le fondamenta dei moli e delle banchine, nonché di individuare le aree di deposito e le strutture logistiche associate, soprattutto nel porto settentrionale che, attualmente, si trova all’incirca sotto quello della moderna città di Sour/Tiro, rivelando come fosse di dimensioni maggiori rispetto a quello odierno. Studi sui sedimenti hanno mostrato che fu soggetto a significativi accumuli di sabbia, in parte dovuti alla formazione di un istmo causato dalla costruzione del molo di Alessandro Magno che ha collegato permanentemente l’isola alla terraferma, alterando così le dinamiche costiere (fig. 2). Recentemente sono stati valutati alcuni cambiamenti significativi nella localizzazione dell’altro punto di approdo, in particolare durante i periodi ellenistico e romano. La configurazione originale venne modificata da trasformazioni del litorale, causate sia da processi naturali che da interventi umani, come l’espansione urbana e la costruzione di infrastrutture legate a questo ambiente2.
All’opposto, Gādir costituisce uno degli insediamenti più antichi nel contesto della colonizzazione fenicia in Occidente. La fondazione, collocata con maggiore precisione verso la fine del IX secolo a.C., attribuita agli stessi abitanti di Tiro, avvenne in un periodo in cui questa popolazione stava estendendo il proprio dominio lungo le coste della Penisola Iberica. Il toponimo deriva da un termine fenicio che significa “recinto” o “fortezza”, suggerendo la presenza di una struttura protettiva o di una conformazione geografica peculiare del luogo. Tale denominazione riflette probabilmente la sua importanza strategica, concepita come un avamposto collocato in una regione ricca di risorse naturali. La città, situata su un’isola alla foce dell’attuale baia di Cadice (fig. 3), occupava un punto di snodo fondamentale per le comunicazioni dell’epoca, fungendo da ponte tra l’area mediterranea e l’Atlantico. L’ubicazione facilitava il commercio di metalli preziosi, in particolare lo stagno, proveniente dalle regioni nord-occidentali dell’area iberica, un tipo di scambio vitale per l’economia cittadina, ma anche per tutto il commercio mediterraneo, essendo necessario per la produzione del bronzo. Il porto costituiva uno dei suoi elementi primari, grazie alla posizione ben riparata. Le ricostruzioni moderne continuano a esplorare la sua dimensione e struttura, suggerendo che si trovasse in una zona naturale sicura, che consentiva l’attracco delle navi e offriva riparo durante le avversità meteorologiche. Gli scavi condotti hanno rivelato significativi resti di infrastrutture, inclusi depositi di ceramica fenicia, che testimoniano l’intensa attività commerciale e l’importanza come centro di smistamento delle merci provenienti da diverse parti del Mediterraneo. Gādir rivestiva anche un ruolo culturale di prim’ordine, come testimoniato dalla presenza di numerosi santuari dedicati a divinità di grande rilevanza nel pantheon fenicio, avendo funzioni che andavano ben oltre la mera devozione. Ad esempio, quelli collocati sulle isole di Sancti Petri (nella baia di Cadice, a sud-ovest della città), dedicato al dio Melqart protettore della navigazione e del commercio, e della Punta del Nao (un promontorio sulla costa orientale) associato ad Astarte, conosciuta per il suo collegamento ai marinai, non solo erano luoghi di celebrazioni rituali, ma fungevano anche da punti di riferimento per la navigazione stessa. Progettati per essere visibili da mare, operavano come veri e propri fari naturali e offrivano orientamento ai marinai che si avvicinavano alla costa, dimostrando come la religione potesse condizionare direttamente la vita quotidiana e assicurarsi il benessere della comunità. Tale presenza evidenzia come il culto e la navigazione fossero strettamente intrecciate nel pensiero fenicio, poiché non solo rafforzavano l’identità spirituale della comunità, ma influivano anche direttamente sulle operazioni legate al mondo marittimo ed economico3.
3. Etruschi: sacro e profano
Gli Etruschi furono una delle principali civiltà dell’Italia preromana, la cui origine risale al IX secolo a.C. come evoluzione della cultura villanoviana. Raggiunsero l’apice tra il VII e il VI secolo a.C., stabilendosi prevalentemente nell’area corrispondente all’attuale Toscana, Lazio settentrionale e parte dell’Umbria. La loro società si distingueva per una complessa organizzazione urbana, caratterizzata da città autonome ma unite da una comune cultura, oltre che collegate da reti commerciali e legami religiosi, riflessi nella presenza di santuari nei principali porti. Le loro abilità emersero con particolare rilevanza grazie alla posizione strategica nel Mediterraneo, riuscendo a sviluppare una rete di interazioni che si espandeva verso la Grecia e la Fenicia, comprendendo alleanze, conflitti e trattati commerciali. Pur non esercitando un controllo territoriale diretto, gli Etruschi giocarono un ruolo fondamentale come intermediari tra le civiltà del Mediterraneo orientale e occidentale, permettendo loro di accumulare significative ricchezze e di esercitare una notevole influenza. La costruzione e la gestione dei porti (fig. 4) furono fattori chiave del loro successo economico, considerati non solo centri di vendita ma anche luoghi di interazione, dove merci, idee e tecnologie venivano scambiate4. Tra i principali centri etruschi, Spina e Pyrgi rivestirono un ruolo di grande rilievo, pur essendo localizzate in ambienti geografici distinti. Mentre la prima città fungeva da nodo economico nel nord dell’Etruria, collegando l’entroterra padano al mondo greco tramite l’Adriatico, l’altra, lungo la costa tirrenica, rappresentava un rilevante porto-santuario, avendo stretti legami con il mondo fenicio-punico.
Pyrgi, ubicato lungo la costa laziale a pochi chilometri a nord di Roma, costituì un approdo di fondamentale importanza per l’antica città etrusca di Caere (l’odierna Cerveteri). Frequentato significativamente dal VII secolo a.C., divenne strategico durante questo periodo, inserendosi nel complesso sistema di rotte che collegavano il mondo etrusco al bacino mediterraneo, favorendo interazioni economiche e sociali con Greci, Fenici, e successivamente, Romani. Il porto non era un semplice scalo commerciale, ma un centro vitale per la distribuzione di prodotti alimentari e beni provenienti da differenti aree. Le ricerche subacquee hanno apportato nuove conoscenze sull’antica linea di costa e sulla configurazione del porto naturale, suggerendo la presenza di un’area protetta da formazioni geologiche che facilitavano l’approdo e la navigazione delle piccole imbarcazioni. Sono stati ipotizzati una darsena e un antemurale che riparava l’insenatura, lungo circa 200 metri e costruito con grandi blocchi di pietra, orientato parallelamente alla costa che fungeva da protezione dell’area dai venti (fig. 5). Tra i reperti rinvenuti figurano anfore greche e fenicie da trasporto, oltre a ceramiche di varia provenienza e oggetti legati alla vita ordinaria e cerimoniale della città, a conferma degli intensi traffici dell’epoca. Pyrgi rappresenta un esempio eloquente di come abbiano saputo creare punti di contatto tra diversi popoli. Infatti, grazie alla sua doppia funzione, illustra perfettamente la complessità delle reti di scambio nell’epoca preromana. Insieme al porto, è stato riconosciuto un santuario, considerato uno dei più imponenti complessi religiosi etruschi finora conosciuti. Consacrato principalmente alla dea Uni (l’equivalente di Giunone) e alla divinità fenicia Astarte, testimonia la profonda connessione tra potere religioso e politico, come evidenziato dalla presenza di edifici monumentali e iscrizioni votive, riflettendo l’importanza del culto sia per la comunità locale che per i visitatori stranieri. Una scoperta significativa avvenne nel 1964, quando, nei pressi del santuario, furono ritrovate tre lamine costituite da sottili fogli d’oro contenenti iscrizioni in etrusco e fenicio, rappresentando una testimonianza straordinaria tra le due civiltà. Redatte con uno stile solenne e ufficiale, documentano la dedica di Thefarie Velianas, una personalità locale di alto rango (definito “re” nei testi fenici o lucumone), che consacrò questi manufatti alle due divinità tutelari del luogo. L’uso simultaneo di entrambi gli idiomi riflette i legami diplomatici e culturali tra le élite di queste due popolazioni ed evidenzia anche la funzione dell’area sacra come luogo di incontro e scambio tra le comunità. Questi reperti attestano l’importanza stessa del santuario come fulcro di legittimazione del potere per l’aristocrazia locale, rivelando il complesso intreccio tra fede e governo5.
La città di Spina, fondata alla fine del VI secolo a.C., rappresenta un modello di insediamento portuale dell’Etruria settentrionale. Posizionata nel delta del fiume Po, divenne cruciale per i traffici tra l’entroterra e il Mediterraneo, estendendosi in un’area lagunare caratterizzata da una fitta rete di canali e corsi d’acqua che facilitavano il trasporto di merci e persone (fig. 6). Gli scavi hanno permesso di localizzare l’antico nucleo insediativo, identificando una serie di infrastrutture che testimoniano un’intensa attività economica e un’organizzazione logistica di notevole complessità. In particolare, alcune indagini geomorfologiche hanno rivelato ulteriori dettagli, confermando l’importanza delle vie fluviali interne per lo scambio a medio raggio. Tali operazioni coinvolgevano una vasta gamma di prodotti, dai beni agricoli locali, come il grano, a quelli importati, in particolare le ceramiche attiche provenienti dalla Grecia. L’arrivo di questi manufatti attesta, quindi, i rapporti con il mondo greco, ma evidenzia anche la suggestione esercitata sulla società etrusca di Spina, dove questi modelli estetici si integravano con le tradizioni locali, contribuendo a un’identità eterogenea. Sono state messe in evidenza resti di edifici con funzione produttiva, soprattutto botteghe artigianali dedicate alla lavorazione di metalli e ceramiche, le cui creazioni erano destinate principalmente al mercato interno, con alcune indicazioni di una possibile distribuzione nelle zone limitrofe. L’analisi ha consentito di identificare le tecniche, mostrando una combinazione di saperi locali e influenze esterne, riflesso della capacità di adattamento economico della città alle esigenze del mercato e alle variazioni delle rotte stesse. Un elemento rilevante nella storia di Spina riguarda la pirateria nell’Adriatico, un mare rinomato per la presenza di predoni che costituivano una seria minaccia per i traffici. Il fenomeno costituiva una costante fonte di insicurezza economica e sociale per le città costiere, frequentemente esposte al rischio di saccheggi e devastazioni. Con l’invasione celtica e il declino delle città etrusche dell’entroterra, molti rifugiati trovarono asilo in questo territorio, dove la pirateria divenne un mezzo di sopravvivenza per alcuni di questi gruppi. L’area, naturalmente protetta dalle paludi, si rivelò una base strategica per queste attività che andarono a minacciare le rotte commerciali greche e le economie delle altre popolazioni locali. In generale, questo luogo, rappresenta un caso emblematico per comprendere le dinamiche di mobilità e identità nell’Etruria padana, poiché si configurava come un vero crocevia in cui convergevano influenze diverse. Ciò emerge chiaramente non solo dai reperti materiali ma anche dalle pratiche funerarie della comunità che riflettevano una fusione culturale tra elementi etruschi e greci. La città non era semplicemente un porto commerciale ma un vivace centro, dove un’identità complessa e in costante evoluzione prendeva forma6.
4. Greci: colonie ed empori
Il rapporto che i Greci ebbero con il Mediterraneo si rivelò fondamentale per il processo di espansione. La geografia della regione greca, con una penisola frammentata e una moltitudine di isole, favorì lo sviluppo di città indipendenti che sfruttarono il mare sia per il sostentamento che per attività commerciali e coloniali. Tra l’VIII e il VI secolo a.C., fondarono numerosi insediamenti lungo le coste mediterranee, stabilendo una presenza significativa in molteplici aree (fig. 7). Queste nuove città agevolarono la diffusione della cultura greca e permisero l’accesso a risorse e mercati lontani, creando un sistema di scambi che collegava le varie parti del mondo allora conosciuto. Le interazioni con gli autoctoni nei nuovi territori colonizzati combinavano tattiche di cooperazione e conflitto, con i Greci che integravano elementi indigeni nel loro sistema, adattandosi alle specificità dei contesti locali. Inoltre, la fondazione di emporia, punti strategici lungo le rotte economiche, contribuirono a creare zone di contatto dove le influenze elleniche si mescolavano con quelle native, generando nuove forme di espressione artistica, religiosa e sociale7.
Nàukratis in Egitto e Massalìa in Gallia, rispettivamente il principale emporio greco nel Delta del Nilo e il più importante porto sulla costa occidentale del Mediterraneo, condividevano una funzione simile come punti di interconnessione a livello economico, poiché entrambi fungevano da snodi che collegavano l’area mediterranea con le regioni più interne.
Nàukratis rappresenta uno dei mercati ellenici più rilevanti del mondo antico, situato nel Delta del Nilo a circa 80 km da Alessandria. Secondo alcune fonti, la città fu concessa ai Greci durante il regno del faraone Amasis nella prima metà del VI secolo a.C., ma alcune prove indicano una loro presenza già durante il regno di Psammetico II (595-589 a.C.). Attualmente, si trova vicino al moderno villaggio di Kom Gi’eif, a ovest di un ramo del fiume che nel tempo si è prosciugato. Divenne un centro polivalente che integrava anche funzioni religiose e sociali, fungendo da punto di raccolta e distribuzione dei beni provenienti da tutto il Mediterraneo. Tra le principali merci scambiate figuravano anfore di produzione cipriota, ceramiche greche e prodotti manifatturieri. Oltre a questi, la città era anche un importante centro per il commercio di beni di lusso, come conchiglie lavorate (attribuibili alla produzione fenicia) e amuleti a forma di scarabeo in ceramica smaltata, considerati simboli di status e ampiamente apprezzati dalle società orientali. Fu un nodo culturale dove popolazioni diverse come Greci, Egizi e probabilmente alcuni gruppi di origine fenicia interagivano, creando un ambiente cosmopolita ricco. Non vi sono evidenze specifiche che testimoniano l’esistenza di una comunità mista, sebbene il sincretismo culturale sia implicitamente suggerito dai ritrovamenti, contribuendo comunque a un clima di reciproca influenza. Questo si rifletteva anche nell’architettura religiosa, con templi dedicati a divinità di varia provenienza, essendo sia luoghi di venerazione che centri di aggregazione, nonostante non esista una vera e propria fusione tra i culti, che rimasero generalmente separati. Le campagne di scavo, avviate già alla fine del XIX secolo e proseguite nel corso del XX secolo, hanno rivelato una straordinaria quantità di reperti che illustrano la ricchezza e la varietà della vita cittadina. I resti di magazzini, insieme alle strutture artigianali e residenziali adiacenti, sottolineano il ruolo centrale del porto come fulcro delle attività economiche di Nàukratis (fig. 8). Nonostante i dettagli specifici siano piuttosto limitati, tali edifici erano probabilmente adibiti allo stoccaggio delle merci, fungendo da depositi. Grazie all’utilizzo di metodi geofisici, è stata possibile una mappatura dettagliata dell’area portuale, rivelando possibili banchine e strutture di attracco, ma senza una conferma di una più complessa rete di impianti per la distribuzione. Questi elementi tendono a confermare il ruolo della città come uno dei principali snodi logistici del bacino orientale, contribuendo in modo decisivo alla sua prosperità economica e rafforzando la supremazia nella regione8.
Massalìa (l’attuale Marsiglia), fondata intorno al 600 a.C. dai coloni di Focea, è uno dei casi più emblematici della colonizzazione greca nel Mediterraneo occidentale. La scelta della località non fu casuale, sorgendo su una baia naturale (fig. 9) che offriva un porto sicuro e facilmente difendibile, mentre la vicinanza alle principali vie marittime e terrestri la rendeva un punto ideale per gli scambi tra il mondo ellenico e le genti celtiche, fungendo da tappa obbligata per i commercianti che volevano accedere ai mercati dell’Europa continentale. I massalioti importavano olio d’oliva, vino, ceramiche e prodotti artigianali che venivano scambiati con metalli, grano e altre materie prime provenienti dalle regioni limitrofe. L’importanza non era soltanto economica, ma si estendeva anche al piano culturale e politico. Infatti, l’espansione della mentalità greca nella Gallia meridionale avvenne attraverso Massalìa, centro di trasmissione delle idee e delle tecnologie, come testimoniano le interazioni culturali e i reperti archeologici rinvenuti nel sito. Questa diffusione, però, non avvenne in modo unilaterale, poiché le interazioni contribuirono alla creazione di una cultura ibrida, frutto dello scambio reciproco di tradizioni e pratiche. Le indagini archeologiche hanno rivelato un complesso portuale altamente sviluppato, dotato di strutture in pietra, con elementi di supporto in legno per alcune sezioni temporanee, che ne garantivano la resistenza. Fu sicuramente ampliato e migliorato nel corso dei secoli, adattandosi all’aumento del traffico. Tra le scoperte più interessanti vi sono i resti di moli e banchine che testimoniano un’avanzata pianificazione e una gestione efficace delle attività legate a quest’ambito. Le fonti scritte e archeologiche indicano che era nota in tutto il Mediterraneo per l’efficienza della sua infrastruttura portuale, come confermato anche dalla scoperta di rimesse per navi, utilizzate per la conservazione e la protezione delle imbarcazioni, piuttosto che per interventi di emergenza o come centri di costruzione. L’organizzazione degli spazi cittadini, con strade che conducevano direttamente al porto ed edifici pubblici situati in prossimità delle banchine, testimoniano l’importanza di queste attività nella vita quotidiana, un’urbanizzazione integrata che rifletteva una società che faceva del commercio via mare il cuore pulsante della sua economia e del suo sviluppo. Tale quadro viene ulteriormente arricchito dall’analisi della rotta che collegava Massalìa alla Sardegna e alla Sicilia, rappresentando uno dei percorsi più importanti del Mediterraneo occidentale. L’esame dei flussi mostra come la città fungesse da hub centrale, essendo anche un elemento chiave per l’integrazione tra le diverse regioni del bacino9.
5. Romani: ingegneria e dominio
Roma, tradizionalmente fondata nel 753 a.C. lungo il fiume Tevere e non lontana dalla costa tirrenica, sfruttò fin da subito la sua ubicazione per consolidare le principali vie di comunicazione e il controllo territoriale della penisola italica. Con l’espansione progressiva, investì nelle capacità navali, sviluppando progressivamente una flotta formidabile che le consentì di esercitare un dominio strategico in molte aree del Mediterraneo. La vittoria su Cartagine nelle guerre puniche sancì l’ascesa incontrastata della sua supremazia sulla parte occidentale del bacino, mentre con le successive vittorie contro i regni ellenistici, rafforzò gradualmente il suo controllo anche nelle zone orientali. Dopo che fu stabilito il dominio su entrambe le sponde, i romani iniziarono a riferirsi a queste acque con il termine di Mare Nostrum (fig. 10), proprio a indicare la loro ambizione su questo spazio vitale. La tranquillità delle rotte marittime era però una questione chiave, intrecciata con il successo del commercio e con l’efficienza logistica, in particolare per i rifornimenti destinati a Roma e alle sue province. Tra le maggiori minacce esterne vi era sicuramente la pirateria che rappresentava un serio pericolo per la sicurezza, sforzo che culminò con la campagna di Pompeo nel 67 a.C., durante la quale riuscì a ridurre drasticamente tali attività illecite10.
Un legame significativo riguarda i porti di Puteoli, nel Golfo di Napoli, e Leptis Magna, in Libia. Sebbene fossero in aree geografiche differenti e non ci siano evidenze storiche di un collegamento diretto, entrambi erano fondamentali per l’economia romana, poiché facevano parte di una rete commerciale più ampia che univa le diverse regioni, un flusso costante di merci e risorse che transitavano attraverso percorsi ben curati e navigabili, sostenuti da una serie di trasporti e infrastrutture efficienti.
Puteoli venne fondata come colonia greca intorno al 530 a.C. con il nome di Dicearchia, che significa “governo giusto”. Situata sulla costa nord-occidentale del Golfo di Napoli, nell’odierna area di Pozzuoli, fu conquistata dai Romani nel 194 a.C., divenendo rapidamente uno dei porti più rilevanti del Mediterraneo. La città era la porta d’accesso per una vasta gamma di beni provenienti da tutto il bacino, grazie a una complessa e articolata rete che supportava questo traffico. L’area portuale includeva numerosi magazzini pubblici (horrea) per il deposito delle merci e per il loro stoccaggio, nonché strutture per l’attracco di grandi navi mercantili (fig. 11). Questa sofisticata organizzazione consentiva di gestire in modo efficiente e ordinato i numerosi prodotti che vi transitavano. Uno degli elementi più indicativi era il grano che giungeva in gran parte dall’Egitto, la cui produzione agricola era essenziale per rifornire Roma e le altre grandi città sotto il suo dominio. Puteoli funzionava come uno snodo per il trasbordo di questo prodotto che veniva poi trasportato sia via terra che via mare fino a Ostia. Questo commercio non era solo vitale per l’alimentazione della popolazione urbana, ma rappresentò anche una componente decisiva durante l’età imperiale, poiché la distribuzione gratuita di grano (annona) costituiva uno strumento politico per mantenere il consenso tra le grandi masse. Oltre al grano, era nota per il mercato degli schiavi, un’importante fonte di profitto soprattutto durante la tarda Repubblica, con navi provenienti dall’Oriente cariche di prigionieri di guerra catturati nelle province per essere venduti sia nelle piazze locali che trasferiti soprattutto a Roma. Tutte queste operazioni erano sostenute da imponenti imbarcazioni, le naves onerariae, alcune delle quali erano di dimensioni eccezionali e potevano gestire un ingente carico. Grazie a una tecnologia avanzata, che comprendeva rinforzi strutturali e una capacità di stivaggio ottimizzata, erano progettate per affrontare le rotte più lunghe e per resistere alle condizioni variabili del Mediterraneo. Inoltre, Puteoli era rinomata per le attività dei mercanti e degli imprenditori locali, che gestivano i traffici finanziari, contribuendo alla sua stessa prosperità economica e culturale. Grazie al clima temperato e alla posizione privilegiata, divenne una località prediletta dall’aristocrazia romana, dove i membri più facoltosi della società costruivano sontuose ville e trascorrevano le loro estati, cercando rifugio dal caos e dalla frenesia della capitale. La città fu un esempio straordinario di come un porto potesse influenzare la vita economica, politica e sociale di un’intera regione11.
Leptis Magna, situata lungo la costa settentrionale della Libia, rappresenta un caso di città che ha saputo fondere e valorizzare diverse influenze nel corso della sua esistenza. Fondata dai Fenici nel VII secolo a.C. come emporio mercantile, occupava una posizione importante per il commercio costiero e per i rapporti con l’entroterra africano, rendendola un centro di scambio per merci agricole e altre risorse provenienti dall’Africa. Nel I secolo a.C. fu incorporata nella provincia romana dell’Africa Proconsularis, raggiungendo il culmine della prosperità durante Settimio Severo, imperatore originario proprio di Leptis Magna, che arricchì la città con una serie di nuovi edifici pubblici e la trasformò in una metropoli imponente. Uno degli elementi centrali della sua crescita fu rappresentato dal porto (fig. 12), un’infrastruttura complessa e ben organizzata che includeva un’area utilizzata per le attività commerciali, con moli ed elementi che agevolavano le operazioni di carico e scarico delle merci. Questo sistema era corredato di numerosi magazzini adiacenti all’area, impiegati per lo stoccaggio dei prodotti, permettendo alla città di fungere da punto di raccolta e smistamento per una vasta gamma di beni provenienti da diverse parti dell’impero romano e oltre. Le banchine erano strutturate per accogliere sia navi mercantili di grandi dimensioni che imbarcazioni locali, avvalendosi di un sistema che includeva frangiflutti sommersi, funzionali alla protezione dalle correnti e alle operazioni di attracco. Di particolare rilievo era il tempio della gens Flavia, situato in posizione dominante sul panorama portuale a sottolineare la stretta interconnessione tra dimensione religiosa e attività economico-commerciale. Nonostante oggi rimangano solo poche tracce dell’intera area portuale, gli studiosi hanno ricostruito la sua probabile forma e funzione. In passato, la sua storia è stata spesso trascurata rispetto ad altri edifici monumentali e solo recentemente le indagini hanno rivelato la grandezza di questo sistema, dimostrando che non fosse solo un punto di transito per merci e persone, ma un’infrastruttura che sosteneva una rete di attività essenziali per la crescita di Leptis Magna all’interno del mondo romano. Un altro elemento significativo era il faro, posizionato all’ingresso del porto, che garantiva la sicurezza della navigazione lungo la costa, orientando i marinai soprattutto durante la notte o in condizioni di scarsa visibilità, riducendo il rischio di naufragi e incidenti. Non era solamente funzionale, ma possedeva anche un valore simbolico significativo, rappresentando la potenza e l’avanzamento della città e riflettendo, di rimando, la sua importanza a livello commerciale e culturale nel Mediterraneo12.
6. Tecniche costruttive: innovazioni e adattamenti
Le tecniche costruttive portuali e navali nell’antichità si svilupparono in modo eterogeneo tra Fenici, Etruschi, Greci e Romani, riflettendo non solo le diverse competenze di ciascuna civiltà, ma adattandosi alle peculiarità geografiche e alle risorse locali. Non si limitarono a costruire infrastrutture per l’attracco e la navigazione, ma progettarono porti e imbarcazioni che rispondessero a determinati obiettivi strategici, commerciali e militari.
I Fenici, celebri navigatori e mercanti, ebbero una complessa rete di scali lungo le coste del Mediterraneo, funzionale al sostegno del loro florido commercio. Le infrastrutture che crearono erano spesso orientate verso la funzione mercantile, pur includendo occasionalmente elementi difensivi o per la gestione di flotte militari. Dimostrarono una profonda conoscenza delle dinamiche costiere e delle esigenze del traffico nel bacino mediterraneo, adottando tecniche finalizzate a proteggere le navi dalle intemperie e a rendere più efficienti le operazioni di carico e scarico delle merci. Inizialmente, sfruttarono approdi naturali, come insenature e baie protette, migliorandole con interventi di carattere relativamente semplice e limitato. In seguito, vennero integrate con strutture artificiali come banchine e moli, che garantivano la sicurezza delle navi anche in condizioni climatiche avverse. La capacità di adattarsi alle specifiche esigenze topografiche delle regioni in cui andavano a stabilirsi dimostrò l’elevato livello tecnico raggiunto. Queste realizzazioni si rivelarono perfettamente funzionali, contribuendo a consolidare così il predominio commerciale per secoli. Inoltre, erano rinomati anche per la maestria nella progettazione e nella costruzione navale, realizzando imbarcazioni adatte alle lunghe traversate nel Mediterraneo e al trasporto di merci pesanti. Tale abilità rifletteva una profonda competenza tecnica, con particolare attenzione alla robustezza e alla manovrabilità, qualità fondamentali per affrontare viaggi estesi. Le loro navi includevano diverse tipologie, come le gauloi (navi da trasporto) e le hippoi (imbarcazioni multiuso) (fig. 13), costruite con legni resistenti all’acqua come il cedro, abbondante in Libano. Erano progettate per essere agili, dotate di scafi arrotondati che miglioravano la stabilità, facilitata dall’uso di remi e vele quadrate. È stato ipotizzato che i Fenici abbiano elaborato una sorta di “portolano”, una guida nautica che descriveva punti di riferimento costieri, sebbene non vi siano prove definitive a riguardo. La loro abilità nella navigazione avanzata, basata probabilmente sull’osservazione degli astri, consentì loro di spingersi con sicurezza in mare aperto. Infine, l’installazione di torri o segnali luminosi e la creazione di punti di attracco strategici lungo le rotte rappresentarono ulteriori innovazioni che contribuirono significativamente al successo13.
Gli Etruschi, pur con informazioni frammentarie rispetto ad altre civiltà, accrebbero le loro competenze nell’uso dei porti naturali, dimostrando un’interazione profonda con il mare. Il loro rapporto con questo ambiente era strettamente legato alle attività economiche, caratteristica che influenzò fortemente le loro strategie lungo i percorsi commerciali. Le infrastrutture erano spesso collocate in posizioni che garantivano protezione e accesso alle principali vie di scambio. Questa necessità era accentuata dalla posizione che ebbero tra il bacino occidentale e orientale del Mediterraneo, dove il controllo rappresentava una fonte di potere e ricchezza. Molte città etrusche erano situate più nell’entroterra, ma erano collegate ai loro porti attraverso vie ben organizzate. La selezione dei siti per la costruzione dei punti di approdo era guidata dalla geografia del territorio, privilegiando baie, foci di fiumi o insenature protette che garantivano una difesa contro i venti e le onde, offrendo al contempo riparo per le imbarcazioni. Quando necessario, venivano effettuati interventi per migliorare le caratteristiche di queste località, eseguendo lavori più semplici, come la costruzione di banchine e rampe. Meno documentate sono le opere più complesse, come potevano essere moli e frangiflutti in pietra, e le evidenze archeologiche di aree altamente strutturate, come quelle romane, sono più limitate. Sul fronte della costruzione navale, dimostrarono una notevole padronanza delle tecniche più avanzate dell’epoca, con influenze sia dei Greci che dei Fenici con i quali avevano frequenti contatti, ma apportando anche alcuni piccoli cambiamenti. Le loro navi erano dotate di remi e di vele (fig. 14), rendendole adatte non solo alla navigazione in mare aperto ma anche a operazioni attraverso i fiumi, determinanti per il controllo dei percorsi interni. Un’importante innovazione fu l’introduzione dei rostri nelle navi da guerra (attribuiti a Pisaeus Tyrrheni) che migliorarono notevolmente le capacità di combattimento e di manovra, contribuendo alla superiorità nelle battaglie marittime, grazie alla possibilità di speronare e danneggiare le navi nemiche. Oltre ai progressi in questo ambito, svilupparono una vasta rete di collegamenti che favorì lo scambio con altre civiltà, diventando intermediari essenziali tra i mercanti dell’area greco-fenicia e i popoli dell’ambiente celtico, grazie soprattutto al commercio di metalli14.
I Greci si distinsero per la loro progettazione portuale, un aspetto fondamentale per le poleis costiere che dipendevano dal mare non solo per il commercio ma anche per scopi bellici. La costruzione di queste aree era fortemente condizionata dalla conformazione delle coste, con un’attenta selezione delle posizioni per sfruttare al meglio insenature, promontori e baie. Questi siti venivano modificati principalmente attraverso interventi limitati, come l’aggiunta di muretti o banchine, piuttosto che con strutture artificiali complesse, utilizzando un approccio empirico basato sull’esperienza pratica e sulle necessità contingenti. Spesso, erano rafforzati da mura difensive adatte sia a resistere agli attacchi nemici ma anche per facilitare le operazioni portuali. In generale, venivano costruite con tecniche relativamente semplici, utili a offrire protezione dalle tempeste e agevolare l’ormeggio. In alcuni casi particolari, potevano esserci aree separate, progettate per gestire autonomamente il traffico commerciale e quello militare. Un problema ricorrente che dovettero affrontare era il fenomeno dell’insabbiamento provocato dall’accumulo di detriti trascinati dalle correnti. Per mitigare questo avvenimento, utilizzarono diversi espedienti, tra cui la realizzazione di barriere, anche se non sempre efficaci nel prevenire completamente la sedimentazione. Inoltre, gli scali erano dotati di numerosi edifici ausiliari che garantivano l’autosufficienza e includevano magazzini per lo stoccaggio delle merci e cantieri navali per la costruzione e riparazione delle imbarcazioni. Le tecniche greche esercitarono un impatto duraturo sul mondo mediterraneo, come l’uso di blocchi di pietra calcarea o arenaria per l’edificazione delle banchine e dei moli, spesso realizzati accumulando materiali naturali (rocce e massi) sovrapposti senza l’uso di malta o altri leganti artificiali, ma direttamente posizionati in acqua per stabilizzare il fondale. Le loro navi furono il risultato di secoli di esperienza e innovazione, suggestionate dalle interazioni con altre culture marittime, come i Fenici e gli Egizi. Ogni tipologia era studiata per rispondere alle necessità del trasporto mercantile o delle operazioni belliche. Tra le più celebri spicca la trireme (fig. 15), un’imbarcazione militare progettata per essere rapida e manovrabile, caratterizzata da una configurazione di tre ordini di rematori su livelli sovrapposti, una disposizione innovativa che permetteva di aumentare la velocità e la potenza senza ampliare eccessivamente le dimensioni complessive15.
I Romani elevarono ulteriormente le tecniche di costruzione portuale attraverso una serie di innovazioni che segnarono una rivoluzione nell’ingegneria antica. Tra queste, una delle più significative, fu l’introduzione del calcestruzzo idraulico (o malta pozzolanica) che consentì la realizzazione di strutture più resistenti. Il materiale, composto da una miscela di cenere vulcanica (prelevata in specifiche aree) e calce, reagiva chimicamente con l’acqua e generava un legante che si induriva progressivamente, rendendo possibile l’edificazione di elementi stabili e duraturi anche in ambienti marini. L’uso si rivelò particolarmente vantaggioso per la costruzione di complessi destinati a resistere alla forza del mare e alle sollecitazioni ambientali. Inoltre, svilupparono sistemi per l’organizzazione dei porti in località prive di protezioni naturali, utilizzando un’ampia gamma di soluzioni per adattarsi alle condizioni specifiche. I moli, ad esempio, realizzati principalmente in pietra e talvolta rinforzati con cemento idraulico, fornivano una protezione efficace all’ingresso dello scalo, creando aree di ancoraggio sicure. Eressero anche fari e torri di segnalazione, essenziali per garantire la sicurezza delle rotte e semplificare l’accesso nei punti di approdo. Spesso situati su promontori o isole artificiali, erano ideati per essere visibili da lunghe distanze. L’adozione di tali elementi e materiali rifletteva non solo il loro avanzamento, ma evidenziava anche la capacità che avevano di gestire infrastrutture su larga scala. Sul fronte navale, eccellevano sia nella costruzione di navi da guerra che mercantili. Le quinqueremi erano imponenti e altamente specializzate, caratterizzate da più banchi di remi per lato. Il termine non indica cinque file sovrapposte, ma si riferisce alla presenza di cinque rematori per ogni fila o a una specifica configurazione tra rematori e remi (fig. 16). Erano progettate per la velocità in battaglia, nonché per la loro capienza nel trasportare equipaggi numerosi e armamenti pesanti. Le onerarie, invece, erano grandi navi da carico, in grado di trasportare ingenti quantità di merci, con dimensioni variabili e una capacità che superava le centinaia di tonnellate, anche se la maggior parte erano adatte a rotte costiere e fluviali. I Romani introdussero miglioramenti nei sistemi di ancoraggio e ormeggio, come l’uso di bitte e catene per garantire la sicurezza delle navi in porto, nonché implementarono metodi per facilitare il carico e lo scarico delle merci, probabilmente con sistemi semplici di leve e carrucole16.
Queste tecniche costruttive costituiscono un affascinante indicatore delle capacità e delle strategie commerciali e militari delle civiltà mediterranee. Ognuna ha avuto un ruolo chiave nell’evoluzione di queste infrastrutture, adattando le proprie metodologie alle specifiche sfide geografiche e alle esigenze socio-economiche del tempo. La loro abilità di innovare e integrare conoscenze provenienti da altre popolazioni ha facilitato sia la comunicazione che plasmato le dinamiche di potere. L’eredità di tali tecniche, alcune delle quali anticipano soluzioni moderne, continua a esercitare un certo fascino sul nostro approccio all’ingegneria navale e portuale, dimostrando che il passato è fondamentale per comprendere e sviluppare le installazioni contemporanee17.
7. Archeologia subacquea: nuovi strumenti per il passato
L’archeologia in contesto sommerso costituisce una branca altamente specializzata, volta a esaminare l’influenza reciproca tra comunità umane e ambienti acquatici, concentrandosi sull’esame delle tracce materiali lasciate lungo le linee costiere, nei fondali marini o nei corsi d’acqua dolce, come fiumi e laghi. Questa disciplina deve confrontarsi con una serie di sfide tecniche, logistiche e metodologiche peculiari che non si riscontrano nell’archeologia terrestre, come le problematiche legate al lavoro subacqueo, spesso eseguito in condizioni ambientali sfavorevoli, l’esigenza di impiegare attrezzature specifiche per il rilevamento e la documentazione dei siti, così come il recupero dei resti stessi che devono essere trattati con la massima cura al fine di preservarne l’integrità (fig. 17). Il campo dell’archeologia subacquea si suddivide implicitamente in ambiti diversi, ognuno dei quali riveste un’importanza distintiva. Tra questi, l’archeologia marittima si occupa soprattutto di esaminare le interazioni tra le collettività e il mare, studiando le strutture e le aree connesse allo sfruttamento delle risorse specifiche di questo ambiente. Tale approccio è fondamentale per comprendere come abbia plasmato lo sviluppo delle società nel corso dei millenni, promuovendo scambi culturali, economici e tecnologici. Parallelamente, l’archeologia navale si focalizza sull’analisi delle imbarcazioni, consentendo una visione approfondita sull’evoluzione delle tecniche di costruzione e dei contesti di utilizzo. Non solo vengono esplorati gli aspetti ingegneristici delle navi, ma integra le informazioni ottenute con ricerche sulle pratiche commerciali e le dinamiche geopolitiche delle civiltà passate, rendendo possibile ricostruire le reti di scambio che hanno caratterizzato le relazioni tra le diverse regioni18.
Queste prospettive offrono una solida base per comprendere l’importanza delle tecniche di documentazione nella ricerca subacquea, essenziali per garantire una registrazione e conservazione accurata delle informazioni. Un approccio particolarmente rilevante in questo contesto è rappresentato dalla fotogrammetria, una metodologia che consente la ricostruzione tridimensionale dei siti archeologici sommersi mediante l’uso di fotografie digitali ad alta risoluzione. Tale procedimento permette non solo di eseguire esplorazioni remote di questi luoghi, evitando così le operazioni di scavo che possono risultare rischiose e dispendiose, ma anche di generare modelli che possono essere utilizzati per la creazione di ricostruzioni virtuali e simulazioni, utili sia per la ricerca scientifica che per la divulgazione e l’educazione pubblica19.
Negli ultimi anni, le geoscienze stanno rivestendo un ruolo chiave nell’archeologia subacquea, fornendo strumenti avanzati per studiare siti sommersi, come antichi porti e altre strutture associate, spesso alterati da differenti fattori esterni. Queste discipline consentono di integrare informazioni provenienti da vari ambiti per offrire una visione complessiva dell’evoluzione degli habitat marini e degli insediamenti che si sono sviluppati. L’approccio interdisciplinare consente di esaminare le interazioni tra processi geologici e attività umane, mediante l’analisi dei sedimenti, delle stratigrafie e delle modifiche morfologiche dei fondali, essenziale per determinare la natura dei materiali presenti e dei processi attivi in quel momento. Tra gli obiettivi principali di questo approccio vi sono il monitoraggio dei tassi di sedimentazione e la ricostruzione della paleogeografia costiera che permettono di comprendere l’adattamento dei punti di approdo ai cambiamenti ambientali e climatici nel corso dei millenni. L’importanza di tali studi emerge soprattutto nell’identificazione di infrastrutture, poiché questi ambienti sono soggetti a notevoli modificazioni. Processi come la subsidenza, l’insabbiamento e il sollevamento del sottosuolo marino possono essere causati da dinamiche come il bradisismo e l’erosione, che contribuiscono a occultare o alterare i resti archeologici sepolti. Molti siti portuali nel Mediterraneo hanno subito un rapido interramento causato dall’aumento dell’apporto fluviale di sedimenti, fenomeno esacerbato anche dai mutamenti relativi al livello del mare. Queste dinamiche assumono maggiore importanza nei contesti deltizi, dove i depositi alluvionali dei fiumi interagiscono con l’ambiente marittimo, creando un sistema in costante evoluzione. Tale analisi stratigrafica consente di ricostruire le fasi di crescita o declino dei porti situati in queste aree, rivelando come le variazioni del regime dei fiumi e le trasformazioni del paesaggio abbiano condizionato l’uso e la funzionalità di questi scali. Infatti, viene offerta anche una prospettiva più ampia sulle dinamiche ambientali che hanno modellato e, in alcuni casi, compromesso o distrutto le antiche infrastrutture20.
La capacità di queste tecniche nel restituire una visione tridimensionale del fondale è indispensabile per la pianificazione di interventi di conservazione e recupero del patrimonio sommerso, permettendo una gestione sostenibile di queste risorse. Uno degli esempi più affascinanti di archeologia subacquea nel Mediterraneo è il porto sommerso di Baia, nel golfo di Napoli (fig. 18). Un tempo lussuosa località romana, rinomata per le sue ville e terme, fu frequentata da aristocratici e imperatori, ma venne gradualmente sommersa a causa del fenomeno del bradisismo che portò all’abbassamento progressivo del suolo nel corso dei secoli. Attualmente, il sito si trova all’interno di un’area marina protetta, una misura che garantisce la conservazione e la gestione sostenibile, rappresentando un eccellente modello di musealizzazione subacquea reso accessibile attraverso immersioni guidate. Inoltre, grazie all’uso di tecnologie avanzate, è stato completamente documentato con un alto grado di dettaglio, permettendo la creazione di modelli che offrono una sua visione immersiva. La sinergia tra questi elementi ha trasformato Baia in un importante punto di riferimento per lo studio e la valorizzazione dei beni sommersi, dimostrando come l’innovazione possa contribuire alla preservazione e alla fruizione di queste aree archeologiche21.
8. Conclusioni: eredità e futuro della ricerca
L’analisi dei porti e degli empori nel Mediterraneo del I millennio a.C. rivela la complessità e la vitalità delle interazioni commerciali e culturali tra alcune delle più influenti civiltà del mondo antico, come i Fenici, gli Etruschi, i Greci e i Romani. Questi insediamenti costieri non erano semplici punti di approdo, ma crocevia di innovazioni, luoghi dove le tradizioni si incontravano e si influenzavano reciprocamente. La loro ubicazione ha favorito lo sviluppo di rotte fondamentali per lo scambio di beni e prodotti, ma ha anche facilitato la diffusione di idee e pratiche tra popoli diversi. Le tecniche impiegate testimoniano un’avanzata ingegneria e una profonda comprensione delle dinamiche legate al mare, riflettendo la capacità organizzativa delle civiltà che li hanno realizzati. Queste strutture, insieme alle difese costiere, erano progettate non solo per favorire il commercio, ma anche per resistere alle sfide imposte dalla natura e dagli attacchi nemici. Oggi, grazie all’emergere di nuove metodologie nell’archeologia subacquea, il nostro approccio alla ricerca storica è stato completamente rivoluzionato. Tecnologie avanzate hanno permesso di recuperare reperti ed elementi sommersi che un tempo erano inaccessibili, aprendo nuove prospettive nella documentazione e nell’interpretazione del passato, contribuendo a una comprensione più completa delle dinamiche economiche e sociali delle civiltà mediterranee. Lo studio non si limita all’analisi dei resti materiali, ma si estende a un’esplorazione delle connessioni umane che hanno plasmato queste popolazioni. Tali scoperte ci invitano a riflettere sul nostro rapporto con il mare che, fin dall’antichità, ha rappresentato una fonte di risorse e opportunità ma anche di sfide e rischi. Il nostro presente rimane indissolubilmente legato a questo elemento vitale, rendendo imperativo che la ricerca e la valorizzazione del patrimonio sommerso continuino a guidare la nostra comprensione del passato e a orientare la nostra visione del futuro.
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– Andrew Wilson, Trade in the Roman Empire, in Jeremy Tanner & Andrew Gardner (a cura di) Materialising the Roman Empire, UCL Press, 2024, pp. 99-122.
<br← -="" david="" john="" blackman,="" boris="" rankov,="" The Maritime World of Ancient Rome, in International Journal of Nautical Archaeology, 33(1), 2004, 173-175.
– Geoffrey Rickman, Plenary Address: Ports, Ships, and Power in the Roman World, in Memoirs of the American Academy in Rome, Supplementary Volumes, Vol. 6, The Maritime World of Ancient Rome, 2008, pp. 5-20. -
Per la stesura di questo paragrafo sono stati consultati anche i seguenti saggi e monografie sull’argomento:
– Arthur De Graauw, Ancient Port Structures: An engineer’s perspective, in Portus Limen Project workshop, Roma, 2019, pp. 1-36.
– Carlo Beltrame, Archeologia marittima del Mediterraneo. Navi, merci e porti dall’antichità all’età moderna, Il Mulino, Bologna, 2012
– Chiara Maria Mauro, Un secolo di ricerca scientifica sui porti antichi del Mediterraneo: Origini, sviluppi e prospettive, in Revista de historiografía, 35, 2021, pp. 55-77.
– J. Richard Steffy, Nautical archaeology construction techniques of ancient ships, in Naval Engineers Journal, Volume 87, Issue 5, 1975, pp. 85-91.
– Nick Marriner, Christophe Morhange, Clément Flaux, Nicolas Carayon, David Kaniewski, Harbors and Ports, Ancient, in Encyclopedia of Geoarchaeology. Encyclopedia of Earth Sciences Series, 2023, pp.1-26. -
– Carlo Beltrame, Archeologia marittima del Mediterraneo. Navi, merci e porti dall’antichità all’età moderna, Il Mulino, Bologna, 2012, pp. 17-38.
– Massimo Capulli, Archeologia in contesto subacqueo, Forum Edizioni, 2021, pp. 15-27. -
– Carlo Beltrame, Documentare in archeologia navale, in Daniela Gandolfi (a cura di), Archeologia Subacquea. Storia, organizzazione, tecnica e ricerche, Quaderni della Scuola Interdisciplinare delle Metodologie Archeologiche (SIMA), vol. 3, Istituto di Studi Liguri, 2017, pp. 159-174.
– Pascal Drap, Julien Seinturier, Daniele Scaradozzi, Paolo Gambogi, Laurent Long, François Gauche, Photogrammetry for virtual exploration of underwater archeological sites, in XXI International CIPA Symposium, 1-6 October, Athens, Greece, 2007, pp. 1-6. -
– Jean-Philippe Goiran, Chr. Morhange, Geoarcheology of ancient mediterranean harbours: issues and case studies, in Topoi Orient – Occident, 11 (2), 2003, pp.647-669.
– Marco Reggiannini, Ovidio Salvetti, Seafloor analysis and understanding for underwater archeology, in Journal of Cultural Heritage, 24, 2017, pp. 147-156.
– Matthieu Giaimea, Nick Marrinerb, Christophe Morhangec, Evolution of ancient harbours in deltaic contexts: a geoarchaeological typology, in Earth-Science Reviews, 191, 2019, pp. 141-167.
– Nick Marriner, Christophe Morhange, Geoscience of ancient Mediterranean harbours, in Earth-Science Reviews, 80, 2007, pp 137-194. -
– Paola Miniero, Il parco sommerso di Baia: da sito archeologico ad area marina protetta, in Comunicare la memoria del Mediterraneo, Publications du Centre Jean Bérard, 2007, pp. 197-204.
– Paola Miniero, Baia Sommersa e Portus Iulius: il rilievo con strumentazione integrata Multibeam, in David John Blackman & Maria Carolina Lentini (a cura di), Ricoveri per navi militari nei porti del Mediterraneo antico e medievale: Atti del workshop – Ravello, 4-5 novembre 2005, Edipuglia, Bari, 2010, pp. 101-108.
tag: archeologia subacquea, empori, Mediterraneo antico, porti, scambi culturali, tecniche costruttive
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