Illuminare il Mediterraneo. Il faro di Alessandria e la storia, faro dell’umanità
Beatrice Borghi, Illuminare il Mediterraneo. Il faro di Alessandria e la storia, faro dell’umanità, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 4, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12010
1. La storia, il faro dell’umanità
«Se studiate il Medioevo vi accorgerete che è diverso da ciò che siamo, da ciò che l’Europa è oggi diventata. Avrete come l’impressione di fare un viaggio all’estero. Occorre non dimenticare che gli uomini e le donne di questo periodo sono i nostri antenati, che il Medioevo è stato un momento essenziale del nostro passato, e che quindi un viaggio nel Medioevo potrà darvi il duplice piacere di incontrare insieme l’altro e voi stessi»1.
È nelle pagine del volume Il Medioevo spiegato ai ragazzi (ma non solo) che Jacques Le Goff (Tolone, 1° gennaio 1924 – Parigi, 1° aprile 2014) si rivolge alle nuove generazioni per raccontare quel lungo periodo chiamato “Medioevo”, per rappresentare la vita quotidiana degli uomini e delle donne, le loro mentalità e il loro immaginario che furono alla base della genesi dell’Europa e, in definitiva, per sottolineare l’importanza di apprendere la storia.
Animato da una straordinaria passione per la ricerca e la diffusione della conoscenza storica, l’opera di Le Goff si mosse nel solco delle nuove prospettive aperte dalle Annales – dal nome della rivista fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre – occupandosi con rigore scientifico e grande talento narrativo di figure apparentemente di secondo piano rispetto alla tradizione storiografica, come il mercante, il banchiere, l’intellettuale, la famiglia. Affiancando alla sua attività di studioso quella di divulgatore di testi rivolti a tutti (la parola “divulgazione” che «non solo non mi disturba, ma anzi mi piace parecchio”»2), rese accessibile la conoscenza storica, anzitutto ai giovani a cui ha dedicato per l’appunto nel 2007 il volume prima ricordato. È sempre a loro che Le Goff si rivolse con l’appello del 2013 in difesa della lettura e del valore inesauribile dei libri, perché essi «sono strumenti essenziali e insostituibili di crescita culturale e civile. Per questa ragione occorre moltiplicare le occasioni di incontrarli e in particolare i luoghi – come le biblioteche e le librerie – in cui sono disponibili a tutti»3.
È su tali basi che nell’anno 2023 ha preso vita il progetto di realizzare un convegno dedicato alla storia dei fari, in relazione a quanto il Maestro Le Goff pronunciò, il 9 ottobre 2008 nella sua abitazione parigina, quando ricevette una delegazione dell’Università di Bologna che gli conferì il prototipo del premio “il Portico d’oro” che avrebbe assunto poi il suo nome. Nella conversazione, lo Storico disse che «la storia è innanzi tutto necessaria in quanto è lezione di verità; essa deve appoggiarsi sui documenti, essa deve discuterli: è la sua virtù primaria, essere una maestra di verità e di spirito critico. La memoria può sbagliarsi, la memoria può essere accecata dalla passione, la storia deve essere oggettiva o meglio deve essere vera». E qui, l’affondo, straordinario, le parole che accompagneranno studiosi e ricercatori – e tra queste anche la sottoscritta – nella loro vita professionale: «la storia insegna all’umanità intera da dove viene, quello che è e lascia intravedere dove va. La storia domina e illumina l’avvenire ed il presente e apre la porta verso il futuro». La motivazione di chi si occupa di storia – gli insegnanti di storia, gli scrittori di storia – devono preoccuparsi di essere accessibili a tutti ed in particolare a quanti faranno il futuro della società stessa, cioè i giovani e gli studenti perché «la storia è, credo, il faro dell’umanità ed è da questo portico che deve passare questa verità».
Parole che si sono concretizzate nell’esperienza del congresso del 25 ottobre 2023, nell’ambito della XX edizione della “Festa internazionale della storia”4 dal titolo “Il Mediterraneo oggi, tra passato e futuro. I fari nella storia”5 e che ha saputo far dialogare – con sguardi e linguaggi diversi – studiosi sulla storia dei fari e sulla loro rappresentazione nella poesia, letteratura, cinema e arte, la cui portata simbolica è tale da aver alimentato una configurazione metaforica fra le più strutturate.
Fari che possono (e sappiamo che non sempre è così) illuminare la speranza di un approdo.
Il saggio affronta, attraverso le fonti narrative di viaggio, uno dei primi fari costruiti nell’antichità e che ha illuminato la storia – e tante storie – di un continente e di una città: Alessandria d’Egitto.
2. Il faro d’Alessandria d’Egitto
La strada per il mondo avrebbe portato ad Alessandria verso quella parte che apriva l’Egitto al Mediterraneo e a tutte le terre delle sue coste.
Ai tempi dei faraoni cinque rami serpeggiavano verso il mare attraverso le zone fertili diversamente dalla stretta valle fluviale che collegava il Paese alla parte inferiore. Fin dalle prime dinastie, l’Egitto aveva commerciato con i Paesi del Mediterraneo e con le isole dell’Egeo e intorno al I millennio a.C. sorse un porto abbastanza trafficato sulla costa settentrionale dell’Egitto, chiamato Thonis in egiziano ed Heracleion in greco. Almeno due approdi permettevano l’attracco alle navi; a poco più di 3 chilometri a ovest, Canopo era un centro religioso connesso a Thonis-Heracleion grazie, come sempre, all’acqua della rete di corsi navigabili. Ed era, secondo Strabone una città di celebrazioni ‘nota soprattutto per le masse che si recano ai festeggiamenti pubblici perché notte e giorno ci sono folle di uomini e donne sulle imbarcazioni, che cantano e ballano senza freni e con totale dissolutezza’6.
Nel 332 a.C. il re macedone Alessandro Magno invase l’Egitto apportando profonde modifiche in ogni luogo che raggiunse. La dinastia fondata da uno dei suoi generali, Tolomeo, regnò sul Paese fino alla conquista romana del 30 a.C.7 La città che portava il nome del suo fondatore sostituì Menfi come capitale d’Egitto e porto principale, trasformando Thonis-Heracleion e Canopo in città di secondo piano.
Alessandria divenne in breve tempo centro cosmopolita di commercio, cultura, studio, di magnifica bellezza, imponente con il suo grande viale largo 30 metri con colonnati, palazzi, templi e con lo svettante faro.
Le fonti arabe medievali hanno dedicato ampio spazio narrativo alla città di Alessandro, luogo di confine tra due continenti, e in particolare al suo faro, visto, descritto e, dopo la seconda meta del Trecento, unicamente immaginato.
L’Islàm non rinnegò mai l’esercizio del commercio e del guadagno che costituivano il principale interesse della società “altra”, rimarcando nella mercatura ‘un esempio di benevolenza e provvidenza divina verso i bisogno umani’8. I traffici commerciali facevano la ricchezza di una città e di un Paese e l’allargamento della frontiera arabo musulmana comportò la definizione di ‘un mercato aperto alla fede e alla lingua dei dominatori’9 che conseguentemente permise agli Arabi di allargare, tramite i viaggi, le conoscenze, le acquisizioni geografiche e più in generale delle curiosità scientifiche ben oltre i confini della loro fede. Infatti, nel Mar Mediterraneo il trinomio città-mercato-mare era un fenomeno strutturale, già a partire dall’alto medioevo, che non subì alcuna influenza da parte delle realtà circostanti: sia da parte dell’imperialismo bizantino sia da parte dell’espansionismo islamico, senza che si creassero fratture in seno ad esso. Successivamente, tra la fine dell’XI e la fine del XVI secolo, gli equilibri di forza furono modificate da una serie di alleanze, nate tra alcuni comuni italiani e i signori feudali di Borgogna, Normandia, Provenza e Iberia e più tardi dallo stabilirsi delle corone normanne, sveva, francese, angioina, portoghese e castigliana; oltre alla presenza di forze esterne all’Europa, come i Mongoli e il mondo islamico, arabo e turco.
L’anonimo del IV secolo10 ritiene utile descrivere le terre a sinistra della Siria tra cui l’Egitto, Alessandria e l’intera Tebaide per essere i depositari di prodotti che, grazie ai benefici del Nilo, venivano esportati in altri continenti, come il grano, i cereali, il vino e il papiro.
C’è dunque il paese dell’Egitto, coronato dal fiume chiamato Nilo, il cui corso irriga tutta la superficie del paese. Esso offre tutti i prodotti della terra, tranne l’olio, e cioè grano, orzo, legumi e vino in abbondanza […]. Ad Alessandria, la metropoli d’Egitto, si possono trovare filosofi e dottrine di tutte le specie.
Alessandria è veramente una grande città, notevole per il suo disegno urbano, con una grande disponibilità di tutti i beni e ricca di beni alimentari […].Vi si trova ogni genere di prodotti, sia aromi che merci di origine barbara. Infatti, al di là dei confini della Tebaide essa tocca i popoli indiani, e tutto ciò che da costoro riceve lo esporta dappertutto […].
Essa possiede inoltre un prodotto che non esiste altro che ad Alessandria e in Egitto, un prodotto senza il quale non si potrebbe far funzionare né l’amministrazione né le imprese private e che sembra da solo essere il sostegno all’umanità intera. Di cosa stiamo facendo l’elogio? Del papiro. È Alessandria che lo produce e che lo invia nel mondo intero, mostrando così a tutti questa utile merce […]. Più del resto della provincia, Alessandria gode dei benefici del Nilo, il fiume che, nella stagione estiva, irriga con le sue inondazioni tutta la terra, preparandola per le semine. E una volta fatte le semine, gli abitanti sono riempiti da una grande benedizione: da 100 a 120. E poiché simili raccolti si hanno tutti gli anni, questa terra è utile anche alle altre province. È da là che Costantinopoli riceve la maggior parte dei suoi approvvigionamenti, e così pure le province orientali, a causa della presenza dell’esercito imperiale e della guerra contro la Persia.
Come nell’antichità, quando le navi fenice, greche e romane avvicinarono le sue coste, nel periodo chiamato medioevo il continente liquido fu uno spazio di scambio di grande importanza. E, a partire da questo, l’Europa medievale incominciò a dare forma alla propria personalità, dove il mare nostrum dei Romani continuò ad essere uno spazio di comunicazione primordiale per tutti gli abitanti delle sue sponde.
Partendo dalle relazioni tra nomadi e sedentari, passando da fasi di invenzione, sviluppo a quelle di tracciamento e fissazione, le vie della storia hanno intrecciato il reticolo di itinerari che attraverso strade e rotte hanno contribuito a delineare i caratteri dei soggetti in movimento: da coloro che percorrevano le vie della fede, a chi conduceva traffici mercantili. In tale contesto il mare, come abbiamo visto, ha rappresentato nei millenni uno dei principali vettori di scambi rendendo i porti luoghi cruciali per l’economia11.
Nell’antichità i fari erano stati progettati e costruiti per aiutare i marinai a trovare un porto sicuro e accogliente, le cui architetture erano enormi proprio perché dovevano essere viste da molto lontano, e dunque sottolineare l’importanza della loro funzione.
Poche le tracce che ci sono pervenute sulle imbarcazioni utilizzate dagli antichi popoli prima che i Fenici facessero la loro comparsa sul mare intorno al 1200 a.C. dominandone le acque e connettendo le regioni costiere affacciate sul Mediterraneo con navi impreziosite dal legno di cedro – che cresceva abbondante sulla loro terra – e dall’utilizzo delle vele: una più grande, retta da un albero centrale e una più piccola retta da un albero a prua, e da due timoni posti a fianco della poppa. Risalgono infatti all’età del ferro alcuni disegni rupestri di barche – probabilmente piccole imbarcazioni di giunchi12 – rinvenute in diverse aree europee e africane, e al 2500 a.C. le rappresentazioni di barche in legno con un ingegnoso sistema di alberatura che poggiava sui bordi tali da rendere più leggera la stessa imbarcazione, ritrovate in due tombe egiziane a Saqqara. Le popolazioni antiche hanno scoperto relativamente presto che potevano solcare gli elementi liquidi, tra laghi, fiumi e mari, inizialmente spostandosi con una navigazione diurna e costiera attraverso fragili imbarcazioni e poi raggiungendo altre coste, trasportando merci e persone. Il buio rappresentava l’ignoto, faceva paura e il mare si pensava fosse abitato da mostri marini, vortici spaventosi che avrebbero inghiottito uomini e barche, e per evitare la navigazione notturna il sicuro ancoraggio diveniva una caletta.
Il Mediterraneo a partire dall’VIII secolo fu un ‘lago arabo’13 anche se le sue coste non furono mai interamente in mano degli Arabi e comunque in quel periodo governavano su tutta l’Africa del Nord e sulla penisola iberica. Il popolo dell’attuale Libano superò questi timori ancestrali, spingendosi oltre le Colonne d’Ercole raggiungendo le coste meridionali dell’Inghilterra. Sebbene la navigazione rimase prevalentemente costiera e diurna, la necessità di navigare anche di notte, orientandosi con gli stessi e rudimentali strumenti nautici, portò l’uomo ad affinare l’ingegno per affrontare i pericoli degli scogli affioranti, delle rocce o secche insidiose. I falò che si accendevano lungo le spiagge in posizione conosciuta e rialzata furono il segnale sicuro per i naviganti. Si trattava di impalcature, sopra le quali venivano issate delle ceste in cui si ardeva legna e pece utilizzata come combustibile. Una soluzione che però non eliminava del tutto i pericoli che nemici e pirati facessero del falò ovvero la messa in atto di strategie per deviare le navi e poi depredarle.
3. Il faro d’Alessandria nella letteratura di viaggio
Nella letteratura di viaggio, la descrizione del faro di Alessandria occupa un posto privilegiato e di grande ispirazione per chi si imbatteva o immaginava, sui resti rimasti, la sua antica storia. Il faro ammaliava i viaggiatori e i racconti pervenuteci sono di straordinaria bellezza, tra meraviglia per il suo potere evocativo, e di precisione tecnica scientifica per l’unicità della sua architettura.
Il faro di Alessandria era monumentale, il primo ad essere edificato sull’isolotto di Pharos – che dette poi il nome a tutti gli altri fari della storia – da Sostrato di Cnido, alto 130 metri, posto su una base di 30 metri per lato, la cui luce poteva irradiarsi sino a 40 chilometri di distanza, danneggiato irreparabilmente da due terremoti avvenuti nel 1303 e 1323. Le sue rovine furono poi utilizzate nel 1480 dal sultano d’Egitto Quaitbay per l’edificazione di un forte nelle vicinanze. Diversi blocchi furono recuperati in mare.
I fari erano governati e custoditi dai guardiani che, come ricorda Matvejević nel suo Breviario Mediterraneo sono ‘gli equipaggi dei fari, cioè il personale che somiglia piuttosto ai monaci dei conventi di un tempo che non ai marinai, non si aspettano chissà quale particolare gratitudine’14.
La città era intravista sulla linea dell’orizzonte dai viaggiatori, e il faro rappresentava la tangibilità del segno della mirabilia.
Alessandria era la città dei congegni, delle sperimentazioni dei segni di pietra a carattere astrologico. Al-Iskandariyya ‘polarizza su di sé una serie di connotazioni che ne fanno una città frontiera tra questo mondo e l’altro, tra il noto e l’ignoto’15.
Omero ci informa che esisteva un’isola nel mare davanti all’Egitto che ‘la chiamano Faro. […]. In essa vi è un porto, con ottimi approdi, donde spingono [in mare] le navi librate, dopo che hanno attinto acqua scura’16.
Sull’isola vicinissima alla terraferma di Faro, ritorna Strabone (I sec. d.C.) evidenziando la natura del suo porto, ‘con due imboccature, giacché la costa del continente forma un’insenatura, spingendo al largo due promontori, e l’isola è situata nel mezzo e chiude la baia con la sua disposizione parallela alla riva. […] La punta dell’isola è rocciosa e battuta dal mare tutt’intorno. Porta una torre mirabilmente costruita in marmo bianco, a molti piani e col medesimo nome dell’isola. […] Sostrato di Cnido, amico dei sovrani, ha dedicato questo edificio, per la sicurezza dei naviganti’17.
Sul costruttore del faro, Luciano (115–80 d.C.) dà questa versione: ‘Sostrato figlio di Dexifane, Cnidio, ha dedicato questo edificio agli dèi salvatori [probabile riferimento a Tolomeo I Soster e alla moglie Berenice che appaiono sulle monete d’oro da otto dracme, coniate da Tolomeo II, con la dicitura di ‘dèi’18], a vantaggio di coloro che navigano i mari’19.
Plinio il Vecchio20 fa riferimento alla magnanimità del re Tolomeo nel concedere all’architetto Sostrato di Cnido di ‘incidere il suo nome sull’edificio stesso’.
Ebn Haukal, mercante, geografo e viaggiatore arabo, proveniente da Baghdad, a causa di un’ingente perdita patrimoniale iniziò nel 943 un viaggio trentennale nelle regioni dell’Islam. Di Eskanderia Alessandria rimarca la sua posizione ‘costruita in riva al mare’ e la bellezza delle case e dei monumenti edificati in marmo. Il faro si trovava ‘fuori nel mare’ ed era un ‘minareto’ o ‘torre di guardia’ realizzato in pietra dura e molto alto. Nessuno ‘senza una guida può arrivarci’ anche per la consistente presenza di abitazioni (‘oltre trecento’)21. Già nel 642, Abd Allah ibn Amr ibn al-As (616-683), comandante arabo e compagno di Maometto che guidò la conquista musulmana dell’Egitto, divenendone poi governatore nel 640-646 e nel 658-664, racconta dei magnifici edifici di Alessandria che risplendono ancora di calcare e marmo bianco22.
Della città fondata da Dhu al-Qarnayn (Alessandro Magno) e della sua incantevole cittadella ne parla anche il geografo arabo Al- Muqaddasi (XI sec.), al quale ritorneremo più volte nella trattazione, noto anche col soprannome de ‘il Gerosolimitano’, che ci offre una suggestiva descrizione del faro sottolineando, come del resto quasi tutti i viaggiatori, le tante case che lo attorniavano sull’isolotto e dei suoi custodi:
Il faro di Alessandria ha le sue fondamenta saldamente ancorate in una piccola penisola, e può essere avvicinato da una strada stretta. È saldamente incastonato nella roccia, e l’acqua sale sul faro sul lato ovest. Lo stesso vale per la fortezza della città, tranne per il fatto che il faro è su una penisola su cui ci sono trecento edifici, ad alcuni dei quali può andare un cavaliere a cavallo; lui potrebbe vai a tutti usando una parola d’ordine. Il faro è elevato sopra tutte le città lungo la riva, e si dice che lì ci fosse uno specchio che poteva essere visto da ogni nave dalle coste di tutto il mare. Un custode assiste ad esso ogni giorno e notte, e non appena una nave entra nel suo campo visivo, lui avvisa il comandante, che invia gli uccelli che vanno a riva, che quelli ci può essere in uno stato di prontezza23.
Nel 1110 e 1117, il viaggiatore andaluso Abu Hamid al-Gharnati visitò Alessandria. Del faro ci illustra, oltre a descriverlo, i tre piani che lo compongono:
Il primo livello è un quadrato costruito su una piattaforma. Il secondo è ottagonale e il terzo è rotondo. Tutti sono costruiti in pietra sbozzata. In cima c’era uno specchio di ferro cinese di sette cubiti di larghezza (364 cm), usato per osservare i movimenti delle navi sull’altra sponda del Mediterraneo. Se le navi erano nemiche, i guardiani del Faro aspettavano che si avvicinassero ad Alessandria e, quando il sole iniziava a tramontare, spostavano lo specchio in direzione del sole e lo indirizzavano sulle navi nemiche per bruciarle in mare. Nella parte inferiore del Faro c’è una porta a circa 20 cubiti dal livello del suolo; vi si sale attraverso una rampa ad arco di pietra sbozzata.
Poco dopo, nel 1166, Abu Haggag Yosuf Ibn Mohammed el-Balawi el-Andalusi, visitò l’isola di Faro osservando la sua posizione e rimarcando come era munita di una banchina o molo su cui era possibile camminare. Di seguito la descrizione che ne fa:
Il Faro sorge all’estremità dell’isola. È una costruzione quadrata di 8 metri e mezzo di lato, bagnata dal mare tranne che su due lati: l’orientale e il meridionale. Questo basamento misura, lungo i fianchi, dall’alto fino ai piedi del Faro, 6 metri e mezzo, e di tanto si eleva sopra il livello del mare. Peraltro, dalla parte del mare, è più vasto per via della costruzione ed è molto inclinato, come il fianco di una montagna. Siccome l’altezza del basamento aumenta man mano che sale verso le pareti del Faro, la larghezza va scemando fino a che raggiunge le dimensioni di cui si è detto sopra. Da questa parte la costruzione è solida, le pietre sono ben sagomate, ben posate, lunghe, ma con la superficie più ruvida che altrove nell’edificio. La parte che ho appena descritto è recente, perché da questo lato l’opera muraria di un tempo aveva bisogno di essere sostituita.
Sul lato meridionale, quello che dà sul mare, c’è un’iscrizione antica che non sono in grado di leggere: non si tratta di una vera e propria epigrafe, perché le lettere sono rilevate in pietra nera dura. Il mare e il vento insieme hanno eroso la pietra di fondo e le lettere sporgono rilevate grazie alla durezza del materiale di cui sono fatte. La A misura un po’ più di 54 centimetri. La parte superiore della M spicca come un grande buco in un crogiolo di rame. Le altre lettere sono più o meno delle stesse dimensioni.
Il vano della porta del Faro è collocato in alto. Una rampa di circa 183 metri di lunghezza portava fino alla cima. È una rampa posata sopra una serie di archi ricurvi; il mio compagno si mise sotto uno di questi archi spalancando le braccia, ma non riuscì a toccarne le pareti. Ce ne sono sedici, di questi archi, e ciascuno si fa sempre più alto fino a raggiungere il vano di passaggio; l’ultimo poi è particolarmente alto. [Dev’essere la scala che si nota sulle monete].
Precise le misurazioni che i viaggiatori appuntarono nei diari:
Superammo l’apertura e ci inoltrammo per circa 73 metri di profondità. Sulla sinistra trovammo una porta chiusa, che ignoriamo dove conducesse. Circa 110 metri più in là trovammo una porta aperta. La varcammo e ci trovammo in una stanza comunicante con un’altra uguale, e poi un’altra ancora, e così via per un totale di diciotto stanze, tutte comunicanti fra loro e allineate su un corridoio. Ci rendemmo conto allora che l’isola di Faro era disabitata. Proseguimmo per altri 110 metri, contando altre quattordici stanze a destra e a sinistra. Percorsi altri 44 metri, trovammo ancora diciassette stanze. Finalmente, 100 metri più in là, raggiungemmo il primo piano [del Faro]. Non c’era scala, ma una rampa che si snodava gradatamente attorno al nucleo cilindrico di questo immenso edificio. A destra avevamo un muro non particolarmente spesso, a sinistra il corpo dell’edificio, di cui prima avevamo esplorato le stanze. Entrammo in un corridoio largo 1,6 metri, ricoperto da pietre levigate che formavano il soffitto; due miei compagni non riuscirono a passarci.
Quando giungemmo in cima al primo piano, ne misurammo l’altezza da terra con un pezzo di corda al quale appendemmo una pietra: erano 57 metri e 73 centimetri. Il parapetto era all’incirca 1,83 metri […].
Ibn Jubayr, viaggiatore e poeta arabo-andaluso del XII sec. (1183), divenuto poi funzionario nell’amministrazione del wālī di Granada, ci offre una suggestiva descrizione della ‘moschea benedetta’ – fascio di luce indispensabile per raggiungere la città –, con dovizia di informazioni sull’architettura (anche se ‘la descrizione di esso è insufficiente, gli occhi non riescono a comprenderlo e le parole sono inadeguate, tanto è vasto lo spettacolo’), le cui dimensioni sono state misurate personalmente e visitata anche all’interno:
Una delle più grandi meraviglie che abbiamo visto in questa città è stato il faro che Dio Grande e Glorioso aveva fatto erigere dalle mani di coloro che erano costretti da tale lavoro come ‘un segno per coloro che prendono ammonimento dall’esaminare il destino degli altri’ [Corano XV, 75] e come guida per i viaggiatori, perché senza di esso non potrebbero trovare la vera rotta per Alessandria. Può essere visto da più di settanta miglia ed è di grande antichità. È molto robusto in tutte le direzioni e compete con i cieli in altezza.
Abbiamo misurato uno dei suoi quattro lati e abbiamo scoperto che era lungo più di cinquanta braccia. Si dice che in altezza sia più di centocinquanta qamah [uno qamah = altezza di un uomo]. Il suo interno è uno spettacolo maestoso nella sua ampiezza, con scale e ingressi e numerosi appartamenti, in modo che chi penetra e vaga per i suoi passaggi si perda. Insomma, le parole non riescono a darne un’idea. Possa Dio non lasciare che smetta di essere un’affermazione dell’Islam e preservarlo. Al suo vertice è una moschea che ha le qualità della beatitudine, poiché gli uomini sono benedetti pregando in essa […]. Siamo saliti in questa moschea benedetta e vi abbiamo pregato. Abbiamo visto tali meraviglie di costruzione che non possono essere descritte fedelmente24.
Al-Mas’ūdī, nella sua opera, che ha il merito di contenere ragguardevoli notizie storico e geografico scientifiche (X sec.), riferendosi alla settima meraviglia del mondo, afferma che lo specchio fu posto appositamente alla sommità del faro per contrastare gli attacchi dei ‘sovrani di Rūm, morto Alessandro, attaccavano i sovrani d’Egitto e d’Alessandria’ che lo collocarono per scorgere i nemici che arrivavano dal mare; ‘tuttavia chi entra nel faro, senza conoscerne accesso e uscita, vi si smarrisce per la gran quantità di stanze, piani, corridoi’25. La torre che illumina il Mediterraneo appare un luogo costruito per smarrirsi, un labirinto sotto al quale ‘stanno tutti i tesori’ della città26. Alessandro, infatti, ‘quando venne in possesso delle ricchezze delle pietre preziose di Šaddād figlio di ‘Ād e dei sovrani arabi d’Egitto e di Siria, fece costruire sotterra dei porticati coperti con cupole, archi e volte. Qui depositò quelle ricchezze, denari, monete, pietre preziose, e sopra, vi edificò quel faro per mille braccia in alto slanciato, come sopra lo specchio’27.
Gli specchi di bronzo lucidato permettevano di far riflettere la luce del sole fino al largo; di notte venivano accesi dei fuochi. Benché non si è a conoscenza di descrizioni esatte del funzionamento del faro, anche a causa della riservatezza di un impianto di così elevata tecnologia che si rifacevano alla teoria delle coniche e della catottrica note negli ambienti scientifici alessandrini (Apollonio ed Euclide), si può ipotizzare che dalla forma cilindrica del contenitore della sorgente provenisse un fascio di luce girevole, di grande utilità per i viaggiatori, molto di più di una sorgente fissa.
4. Conclusioni
Lo storico e documentarista John Julius Norwich nell’introduzione al suo volume Il Mare di Mezzo afferma che il ‘Mediterraneo è un miracolo’. Guardandolo sulla carta geografica siamo portati a darlo per scontato, ma obiettivamente è qualcosa di unico, ‘uno specchio d’acqua che, come nessun altro al mondo, sembra essere stato fatto apposta per diventare culla di culture’28. La sua storia come raccontata dai diari degli esploratori è iniziata lungo quel braccio di acque compresse tra l’Africa settentrionale e l’Eurasia e le vicissitudini che hanno modellato il suo habitat, definendo vincoli evolutivi che hanno dato forma alle specie, che lo hanno popolato e che lo abitano partono proprio dall’Africa e dall’Egitto si è anticipato per millenni quel miracolo del Mediterraneo. La luce del faro di Alessandria avrebbe seguito i viaggiatori verso un porto sicuro o dal quale partire per ricercare nuove torri luminose.
Nell’Odissea, il mare era l’emblema della vita, essere ovvero sostanzialmente stare in balia delle onde, spesso naufragando e perdendosi nel viaggio29. Come ricorda l’antropologa Nadia Beda ‘il mondo non è solo questione di esseri umani, ma anche di acqua. L’acqua ‘fa la storia’, la sue e la nostra’30.
Grazie al naufragio di Ulisse possiamo capire che il perdersi per mare poteva diventare un’occasione per non fermarsi alla paura della morte. Il mare era proprio il luogo dove questa tensione tra vita e morte diventava ricerca e al contempo perdita e allontanamento da sé, da cui si poteva ritrovare sé stessi: era una possibilità.
La partenza verso una nuova terra – concetto inteso anche metaforicamente – non era così facile. Perché partire per un viaggio che ti allontanava dalla sicurezza, dalle persone amate, dalla propria vita? Fu il desiderio irrefrenabile di affrontare il mare e tentare nuove esperienze in territori mai attraversati che spinse Ulisse a vagare sulle onde del Mediterraneo per poi avventurarsi in un lungo ritorno a casa. Proprio in questo passaggio fondamentale di arrivare a conoscere qualcosa fino in fondo solamente lasciando ciò che già si conosceva, Fernand Braudel ci avverte sull’addentrarsi nella storia del Mediterraneo, e dunque dell’Egitto:
viaggiare senza lasciare del tutto la propria casa è una tentazione, una gioia che fa parte del viaggio. Ho forse ceduto, ancora una volta, perché ho peccato di curiosità e anche perché ho sempre pensato che non esiste storia veramente comprensibile se non ampiamente estesa attraverso l’intero tempo degli uomini, e che è giusto confrontare le proprie idee e spiegazioni con paesaggi storici inconsueti31.
Dobbiamo andare oltre e per farlo abbiamo bisogno di staccarci dalla nostra quotidianità, dal nostro stare costantemente ancorati alle nostre certezze. E fu quello che fece Ulisse: Itaca era lo scopo del viaggio in mare, ma alla fine era solo nel viaggio; unicamente nel naufragio in isole sconosciute e nell’incontro di vari personaggi che Ulisse diviene l’eroe che ora conosciamo. E fu quello che fecero altri viaggiatori, come quelli trattati nel volume.
Riprendendo le parole di Le Goff, in apertura al saggio, quelle storie di ieri e di oggi ci rammentano che la storia è il “faro dell’umanità”; quella luce si può anche spegnere se non assumiamo consapevolmente la sua rilevanza nella formazione del cittadino, perché senza di essa – la storia – difficilmente saremmo in grado di approdare a nuovi porti.
Note
- Jacques Le Goff, Il Medioevo spiegato ai ragazzi, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 7.
- Jacques Le Goff, Una vita per la storia. Intervista con Marc Heurgon, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 239.
- Jacques Le Goff, Italia, difenditi come fa la Francia, «La Repubblica», 5 febbraio 2013.
- La “Festa internazionale della storia è una multiforme manifestazione a carattere nazionale e internazionale che rende Bologna “capitale della Storia” mettendo in vetrina forme di promozione e diffusione della sua conoscenza condotte in Italia e nel mondo. Nelle aule, nei teatri, nei musei, nelle chiese, nelle sale pubbliche, nelle strade e nelle piazze, si affrontano con lezioni, conferenze, dibattiti, concerti, spettacoli e mostre i temi che legano i vissuti personali e collettivi alle vicende presenti e future. Caratteristica peculiare e comune delle giornate bolognesi è il ruolo delle scuole, dell’Università, degli enti e delle associazioni culturali che, accanto ai grandi esperti e studiosi di richiamo, possono esibire ciò che hanno acquisito durante attività di ricerca volte a recuperare le radici del presente, valorizzando la storia della città e del territorio o mettendo a fuoco grandi temi storici: Festa della Storia
- Tra i relatori menzioniamo Caterina Bonvicini, Beatrice Borghi, Laura D’Alessandro, Laura Galoppini, Armin Greder. Con la partecipazione delle insegnanti Ivana Baldi e Maria Rosaria Catino della scuola primaria e secondaria di primo grado di Pianoro (Bo) e di Roberta Amato, coordinatrice dell’incontro.
- Strabone, Geografia, XVII, 1, 16.
- Ne medioevo circolava una leggenda araba sull’ubicazione della tomba del condottiero macedone che sarebbe stata sotto la moschea di Nabi Danyal (profeta Daniele). La ricerca ossessiva del sepolcro di Alessandro continuò per secoli e per tutto il XIX secolo. Heinrich Schliemann visitò Alessandria con lo scopo di trovare i resti ma le autorità religiose locali glielo impedirono. Forse il più celebre cercatore fu Stelios Komoutsos che investì tutti i suoi soldi, nella metà del XX secolo, per cercarla, ma anche per lui la ricerca fu infruttuosa. George Saunder, Alexander’s Tomb: The Two-Thousand Year Obsession to Find the Lost Conqueror, Basic Books, New York, 2007.
- Francesco Gabrieli, Viaggi e viaggiatori arabi, Firenze, Sansoni, 1975, p. 15.
- Gabrieli, Viaggi e viaggiatori arabi, p. 15.
- Jean Rougé(a cura di), Expositio totius mundi et gentium, Paris, Les Éditions du Cerf, 1966, capp. 34-36, pp. 169-73, tratto da Alberto De Bernardi, Salvatore Guarracino (a cura di), L’operazione storica, vol. I: Il medioevo (Milano: Mondadori, 1991), p. 89. Borghi, Galoppini (a cura di), Andar per lo mondo. Antologia di viaggi attraverso i secoli tra realtà e immaginario, a cura di Bologna, Pàtron Editore, 2022, p. 60.
- Borghi, Galoppini (a cura di), Andar per lo mondo, p. 1.
- Incisioni rupestri della Valcamonica. Si tratta di barchette a protome ornitomorfa: Angelo Eugenio Fossati, L’età del Ferro nelle incisioni rupestri della Valcamonica, in Immagini di una aristocrazia dell’età del ferro nell’arte rupestre comuna, Milano, Edizioni ET, 1991, pp. 11-72. Si ricorda che la stele di Tresivio, in Valtellina, finora datata al I sec. d.C., presenta la figura di barca solare, che indurrebbe a ritenere una datazione anteriore (VI o V sec. a.C.), Fossati, p. 43.
- Grabrieli, Viaggi e viaggiatori arabi, p. 22.
- Predrag Matvejević, Breviario Mediterraneo, Milano, Garzanti, 2004, p. 56.
- Matvejević, Breviario, p. 166. Sulla posizione di Alessandria si veda François de Polignac, ‘Al-Iskandariyya: oeil du monde et frontière de l’inconnu’, Mélanges de l’Ecole française de Rome, Moyen Age – Temps Modernes, XCVI, 1 (1984), pp. 425-29.
- Omero, Odissea, IV 354 sg., 358 sg.
- Strabone, Geografia, XVII, 1, 6.
- Edward Morgan Forster, Alexandria, a history and a guide, Alexandria, Whitehead Morris, 1922, pp. 145-52; Jelle Bruning, The Rise of a Capital: Al-Fustāt and Its Hinterland, 18-132/639-750, Leiden-Boston, Brill, 2018.
- Luciano di Samosata, Quomodo historia conscribenda sit, 62.
- Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXVI, 83.
- Tratto da Deborah Manley, Sahar Abdel-Hakim (ed.), Traveling through Egypt from 450 B.C. To The Twentieth Century, Il Cairo-New York, The American University in Cairo Press, 2008, p. 18.
- Clive Foss, ‘Egypt under Muʿāwiya Part I: Flavius Papas and Upper Egypt’, Bulletin of the School of Oriental and African Studies, 72, 1, (2009), pp. 1-24.
- Manley, Hakim (a cura di), Traveling, p. 21.
- Manley, Hakim (a cura di), Traveling, pp. 18 e 21.
- Citato in Angelo Arioli, Le città mirabili. Il labirinto arabo medievale, Milano, Mimesis, 2003, p. 44.
- In arabo non esiste una parola che definisca il termine “labirinto”. Il concetto (raramente le fonti ci restituiscono la descrizione e comunque, salvo in al-Bīrūnī, mai una parola specifica) è assimilabile al “deserto” come dedalo, il cui attraversamento è già di per sé una esperienza che confonde. Vedi Edward C. Sachau (a cura di), Alberuni’s India. An An Account of the Religion, Philosophy, Literature, Geography, Chronology, Astronomy, Customs, Laws and Astrology of India About A.D.1030, London, Gyan Publishing House,1887, p. 158, poi Cambridge University Press, 2012.
- Citato in Arioli, Le città mirabili, p. 61.
- John Julius Norwich, Il Mare di Mezzo. Una storia del Mediterraneo, Palermo, Sellerio, 2020, p. 4.
- Borghi, Galoppini (a cura di), Andare per lo mondo.
- Nadia Breda, ‘Per un’antropologia dell’acqua’, Erreffe La ricerca folklorica, 51 (aprile 2005).
- Fernand Braudel, Memorie del Mediterraneo, Milano, Bompiani, 2004.
tag: Alessandria d’Egitto, Diari di viaggio, Faro, Fonti letterarie, Jacques Le Goff
Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2024 Beatrice Borghi