I Fari tra letteratura, poesia, arte e musica. Il mito e la metafora
Laura D'Alessandro, I Fari tra letteratura, poesia, arte e musica. Il mito e la metafora, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 5, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12018
Ora erano molto vicini al Faro. Eccolo che si stagliava, nudo e dritto, abbagliante di bianco e nero, e si vedevano le onde rompersi in schegge bianche come vetro infranto contro gli scogli. Si vedevano le venature e le spaccature degli scogli. Si vedevano chiaramente le finestre; un tocco di bianco su una di esse, e un ciuffo di verde sullo scoglio. Un uomo era uscito e li aveva guardati con il cannocchiale ed era rientrato. Ecco com’era, pensò James, il Faro che per tutti quegli anni avevano visto attraverso la baia; era una torre nuda su una roccia deserta.
Al Faro, Virginia Woolf
1. Mito e leggenda
«Quando il silenzio viene interrotto dal sibilo del vento, dal fragore dei flutti o dallo stridio dei gabbiani, quando di notte le ore e i minuti sono scanditi dal ticchettio del meccanismo di rotazione di una lanterna, quando sul mare un raggio di luce sferza l’oscurità e le tenebre, siamo certi di trovarci al cospetto di un faro marittimo»1.
Dalle parole tratte dal bellissimo libro di Giovanni Bonfiglio Fari e Guardiani. Storie di Fari e dei Fanalisti Siciliani, emerge come i fari abbiano sempre avuto, e lo hanno tuttora, un fascino irresistibile. Sarà perché si ergono sempre in zone isolate e selvagge, il pensiero corre a storie misteriose e storie avventurose che partono da quel fascio di luce che spazza il buio della notte e lambisce il mare. Sarà probabilmente anche la stessa struttura, che ricorda il castello, a scatenare il desiderio del fantastico e dell’avventuroso. La rappresentazione è sempre triadica: una torre, una lampada, un guardiano. O forse sarà per via del vento che sibila su per le scale a chiocciola, per il rumore delle onde, o per lo sguardo verso l’infinito. Luce che orienta i naviganti, segnalando alle barche di passaggio il confine della costa e il pericolo della scogliera: il faro è l’ultima torre luminosa prima del nero del mare, dell’oceano, ma è anche il simbolo di una solitudine assoluta, tempestosa e quasi eroica. Il faro è per sua stessa natura legato al tema del lontano, del viaggio, della “frontiera”. Temi e suggestioni che sono stati al centro del convegno del 25 ottobre 2023, nell’ambito della XX edizione della “Festa internazionale della storia”2, dal titolo “Il Mediterraneo oggi, tra passato e futuro. I fari nella storia”3.
Sono tanti gli elementi da cui nasce il desiderio di porre il faro al centro dell’ispirazione creativa: i guardiani, la suggestiva scala a chiocciola che conduce alla stanza dell’orologio, il fascio lucente che si infiltra fra i flutti e le onde notturni, la sensazione di una solitudine antica e infinita.
Una delle massime esperte di fari in Italia, Annamaria Lilla Mariotti, ha dedicato ai fari pagine meravigliose tra dettagli storici, architettonici, curiosità, leggende, fotografie e soprattutto un’immensa passione ed esperienza personale. Dalla sua preziosa attività di studi e ricerche emerge come la storia di ogni faro sia una storia affascinante che si intreccia con la storia e le identità territoriali. Queste “sentinelle del mare” suscitano da sempre suggestione e mistero. Nell’immaginario collettivo, evocano spesso un senso di libertà e di solitudine ma anche il sogno di una vita a contatto con la natura. Quante storie potrebbero raccontare i fari. Di terribili tempeste che li squassavano alle fondamenta, di salvataggi, di naufragi e di mistero. E come non pensare a presenze misteriose, forse vecchi guardiani finiti in mare nel tentativo di un salvataggio, o di uomini e donne morti di solitudine, lontani da tutto.
Le storie dei corsari e dei naufragi delle navi, sono confluite in leggendarie e avventurose narrazioni entrate a far parte del folklore locale di molti Paesi4. Come nel caso del faro di Ocracoken, situato in una piccola isola, da cui prende il nome, al largo del North Carolina. È un faro ancora operante pur essendo tra i più antichi dell’intera costa orientale degli Stati Uniti. Risale, infatti al 1823. Ocracoke è famosa anche per un altro motivo. Lungo le coste del North Carolina nel diciottesimo secolo veleggiavano molti galeoni pirati attirati dalla possibilità di nascondersi e trovare rifugio nelle varie isole e isolette da cui sferrare i loro attacchi. Il pirata conosciuto come Blackbeard (Barbanera), fu tra i più famosi. Quando il faro fu costruito sull’isola, era ormai passato del tempo dalle scorrerie dei pirata, tuttavia il suo ricordo si era legato inesorabilmente all’isola tanto da tramandare nel tempo i racconti del suo passaggio. Gli abitanti di Ocracoke, ancora oggi, raccontano che nelle notti tempestose, quando solo la luce del faro taglia l’oscurità, il fantasma senza testa di Blackbeard si aggiri nei dintorni e che spesso si veda il suo vascello che naviga intorno all’isola in cerca del suo capitano5.
Non stupisce, dunque, se il faro per la simbologia a cui è legata, cioè di portare luce e chiarezza, ha sempre trovato spazio nella letteratura, nell’arte, nella poesia e anche nella musica ispirando artisti di tutto il mondo. Le torri sorte per guidare i naviganti sono anche percorsi di scoperta di sé.
La letteratura disponibile sui fari è incredibilmente ricca e sempre suggestiva perché accompagnata da immagini, sezioni di fari, mappe antiche, carte nautiche, e immagini di dettagli che aiutano a conoscerli meglio. E a lasciarsi ammaliare. Nella poesia e nella letteratura sono infinite le volte in cui il faro si è fatto luce tra un mare di parole. I fari hanno sempre avuto un potere evocativo notevole e di grande ispirazione per tutte le forme dell’arte. Molto spesso è proprio il faro ad avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di storie, altre volte fa da sfondo.
Ma ci sono anche fari interiori, percorsi in cui si affrontano tempeste mentali ed emotive. I faro assume una connotazione personale, sentimentale e simbolica da cui si sviluppa la sottile vicenda del romanzo To the Lighthouse6 della britannica Virginia Woolf (1882-1941), pubblicato nel 1927. La scrittrice trasfigura la meta da raggiungere in una metaforica destinazione irraggiungibile. Ambientato sull’Isola di Skye, nelle Ebridi, all’inizio dell’opera il faro appare inaccessibile a causa del maltempo che ne impedisce l’escursion. Si rivelerà, invece, essere l’elemento di connessione tra passato e presente, un unicum nella narrativa del flusso di coscienza. Diviene il simbolo di un ricordo, quasi un lascito della vecchia generazione alla nuova. Il faro assume su di sé «l’esteriorizzazione del desiderio umano di porre ordine nel caos dell’esistenza. È una certezza, tanto stabile quanto è fragile l’animo umano»7.
Il romanzo ci ha regalato passaggi indimenticabili:
«…Ora erano molto vicini al Faro. Eccolo che si stagliava, nudo e dritto, abbagliante di bianco e nero, e si vedevano le onde rompersi in schegge bianche come vetro infranto contro gli scogli. Si vedevano le venature e le spaccature degli scogli. Si vedevano chiaramente le finestre; un tocco di bianco su una di esse, e un ciuffo di verde sullo scoglio. Un uomo era uscito e li aveva guardati con il cannocchiale ed era rientrato. Ecco com’era, pensò James, il Faro che per tutti quegli anni avevano visto attraverso la baia; era una torre nuda su una roccia deserta».
Così la scrittrice consacrava il mito del faro nella letteratura:
«Quando calava la sera, il raggio del faro che col buio si posava d’autorità sul tappeto mettendone in rilievo il disegno, alla luce più dolce dell’estate si mescolò col chiaro di luna e scivolando gentile come per posare una carezza indugiava di soppiatto a guardare, per poi tornare di nuovo amorevole».
Per Achille Bonito Oliva8,
«la gita al faro diventa la metafora dell’approccio all’opera d’arte che, mediante i segnali della sua bellezza, sviluppa stabilità contemplativa e instabilità sensoriale. Tale intervallo sembra ben sincronizzarsi con il pulsare del faro nel suo alterno concedersi e nascondersi alla vista, ma sempre nella conferma di un ritmo circolare che stabilizza la misura della distanza, quella necessaria per guardare e interrogarsi sul mondo»9.
E Gita al faro è anche il titolo di un festival letterario che si svolge ogni anno, nel mese di giugno per una settimana, nella suggestiva cornice dell’isola di Ventotene. L’evento è un’occasione privilegiata di condivisione e confronto fra gli scrittori intorno alla letteratura, alla cultura in genere e al suo ruolo contemporaneo, echi lontani dei circoli letterari e intellettuali di altra epoca. Un privilegio, ma anche un richiamo ad un impegno sociale.
Il faro, guardiano della notte, roccaforte tra le onde, simbolo e metafora di sicurezza, si trasfigura nel ruolo messianico di guida. Laddove c’è luce, c’è speranza, disvelamento chiarificatore di verità. Luce intermittente, che si mostra e si nasconde viene raccolta dallo scrittore Italo Svevo ne La Poetica del Faro e della Formica per definire la costruzione di un’opera letteraria. Il faro è l’illuminazione che ispira, il sentimento, mentre la formica, coglie l’opportunità di questo momento di luminosità nell’intermittenza per organizzare i dati, fisare gli oggetti e trovare la strada che porta al faro.
Nella raccolta di saggi, prefazioni, articoli e conferenze dello scrittore siciliano Vincenzo Consolo dal titolo Di qua dal faro10, rovescia la prospettiva e racconta l’isola partendo dal mare che la circonda. Un Mediterraneo teatro di bellezza e di civiltà, di scempi e di scorribande. Al centro di questo mare è la Sicilia, terra meticcia e sorprendente che accoglie Pirandello e Tomasi di Lampedusa, la cultura araba e quella magrebina. In perfetta armonia con il suo polimorfo genius loci, riflesso di una terra e di un’umanità caratterizzate dalla “mescolanza di cose frammiste”. Il governo borbonico vedeva, infatti, nell’isola un territorio “al di là” del faro di Messina, Consolo si vede “al di qua” del faro, cioè in Sicilia. Della sua amata isola ce ne parla con il cuore e la mente, alla luce della sua memoria.
Colm Tóibín, scrittore irlandese, sceglie la durezza di una scogliera per il suo romanzo Il faro di Blackwater11, in cui il protagonista, malato di Aids, chiede di trascorrere un’ultima vacanza nella casa del faro con la nonna, la madre e la sorella, e alcuni amici, in una convivenza dolorosa, in un’atmosfera e in un luogo in cui far rivivere le memorie dell’infanzia.
E come non richiamare nel romanzo Il grande Gatsby12 di Francis Scott Fitzgerald13, l’indimenticabile immagine, in cui il protagonista Jay Gatsby – magistralmente interpretato dall’attore Leonardo Di Caprio nella versione cinematografica del 2013 del regista Baz Luhrman14 – su un molo nell’oscurità della notte e da lontano un faro, indica un sogno, un desiderio «…Senza volerlo diedi un’occhiata al mare e non distinsi niente all’infuori di un’unica luce verde, minuscola e lontana, che avrebbe potuto essere l’estremità di un molo. Quando tornai a guardare nella direzione di Gatsby, questo era scomparso ed io ero di nuovo solo nell’oscurità inquieta». Una luce verde così bella quanto irraggiungibile, che assorbe nel suo raggio colorato infondendo desiderio. Desiderio che equivale a un sogno, “il sogno” del misterioso protagonista del romanzo, che ricompare da un passato nebbioso ricorrendo all’inganno pur di arrivare a raggiungere il suo obiettivo (sogno), riconquistare la donna che ha perso.
Un altro grande viaggiatore della fantasia e dell’immaginazione, Jules Verne, ci ha regalato altre immagini suggestive del faro. Il romanzo, Il faro in capo al mondo (Le Phare du Bout du Monde)15, pubblicato postumo nel 1905 dal figlio Michel e oggi attribuito quasi interamente a lui, ci trasporta in una storia che racconta la corsa contro il tempo dell’eroe per accendere la luce che salverà le navi di passaggio, tra ostacoli naturali e minacciosi pirati nel faro «…Come ebbero raggiunto il locale di guardia, sopra il quale si trovavano la lanterna e le apparecchiature che producevano la luce, i due ufficiali sedettero sul banco circolare fissato al muro. Dalle quattro finestrelle aperte in quel locale lo sguardo poteva vedere tutti i punti dell’orizzonte. Benché il vento fosse moderato, soffiava abbastanza forte a quell’altezza, senza tuttavia coprire le strida acute dei gabbiani, delle fregate e degli albatri che passavano con grande sbattere di ali». La trasposizione cinematografica è del 1971 con il titolo The Light at the Edge of the World, diretto da Kevin Billington, con Kirk Douglas e Yul Brinner.
L’amore ai tempi del colera16, di Gabriel García Márquez, non sarebbe stato il romanzo che conosciamo senza l’immagine del faro e del guardiano del faro:
«Da allora era solito andare di pomeriggio a conversare con l’uomo del faro sulle innumerevoli meraviglie della terra e dell’acqua che l’uomo conosceva. (…) Fiorentino Ariza imparò ad alimentare la luce, prima con carichi di legna e poi con orci di olio, prima dell’arrivo dell’energia elettrica. Imparò a dirigerla e ad aumentarla con gli specchi, e in svariate occasioni in cui l’uomo del faro non poté farlo si fermò a vigilare dalla torre le notti del mare. Imparò a conoscere le imbarcazioni dalle loro voci, dalla misura delle loro luci sull’orizzonte, e a percepire che qualcosa di loro gli tornava indietro nei lampi del faro. (….). In nessun altro luogo diverso dal faro aveva vissuto le ore più felici nè aveva trovato miglior consolazione alle sue infelicità. Fu il posto che amò di più. Tanto che per anni cercò di convincere sua madre, e più tardi lo zio León XII, di aiutarlo a comprarlo. Poiché i fari del Caribe erano a quell’epoca di proprietà privata e i loro proprietari riscuotevano il diritto di passo fino al porto a seconda della grandezza delle imbarcazioni. Fiorentino Ariza pensava che quella fosse l’unica maniera onorevole di fare un buon affare con la poesia, ma né la madre né lo zio la pensavano allo stesso modo, e quando avrebbe potuto farlo con le sue risorse i fari erano già diventati proprietà dello Stato».
Nel romanzo To Have and Have Not di Hemingway, il faro è luce che orienta in una notte buia ma piena di speranze:
«…Girai la chiavetta e spensi il motore. Era inutile sciupare benzina. Intendevo lasciare andare il battello alla deriva. Quando si fosse fatto buio, avrei sempre potuto orientarmi con la luce del faro del Morro o, se il battello fosse andato troppo alla deriva con quelle di Cojimar, per puntare su Bacuranao»17.
Colpisce la connotazione filantropica dello scrittore George Bernard Shaw «Non riesco a pensare a nessun altro edificio costruito dall’uomo così altruista come un faro. Sono stati costruiti solo per servire»18.
Il faro è poi richiamato come metafora, in opere teatrali e soprattutto nella poesia. William Shakespeare, scrive in chiave metaforica: «Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai…»19.
Pablo Neruda, non si sottrae al fascino metaforico nelle sue poesie:
«Era l’ora felice dell’assalto e del bacio./ L’ora dello stupore che ardeva come un faro»20.
In Ultimi cori per la terra promessa21, Giuseppe Ungaretti ci regala un’immagine romantica e struggente del faro:
«L’amore più non è quella tempesta/ Che nel notturno abbaglio/ Ancora mi avvinceva poco fa/ Tra l’insonnia e le smanie,/ Balugina da un faro/ Verso cui va tranquillo / Il vecchio capitano».
E struggenti sono anche i versi del poeta Kahlil Gibran22:
«Un grande amore s’impossessò di lui… /Un amore la cui forza allontana la mente/ dal mondo quantificabile e misurabile./ Un amore che parla/ quando la lingua della Vita/ rimane silenziosa…/ Un amore che si erge/ come un faro azzurro/ per indicare la via con luce invisibile»23.
Eugenio Montale nella sua poesia Dora Markus24, personaggio femminile sostanzialmente di fantasia, un mito poetico, scrive queste parole:
«La tua irrequietudine mi fa pensare/ agli uccelli di passo che urtano/ ai fari nelle sere tempestose».
Cesare Pavese ne I mari del Sud25 richiama il faro nei versi:
« … Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiestose salivo con lui: dalla vetta si scorge nelle notti serene il riflesso del faro lontano, di Torino. Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto se salivo con lui: dalla vetta si scorge nelle notti serene il riflesso del faro lontano, di Torino».
Poetiche e immaginifiche sono le parole dello scrittore Antonio Tabucchi:
«Come può essere presente la notte. Fatta solo di se stessa, è assoluta, ogni spazio è suo, si impone di sola presenza, della stessa presenza del fantasma che sai che è lì di fronte a te ma è dappertutto, anche alle tue spalle, e se ti rifugi in un piccolo luogo di luce di esso sei prigioniero perché intorno, come un mare che circonda il tuo piccolo faro, c’è l’invalicabile presenza della notte»26.
Nella raccolta poetica I Fiori del male, l’opera più famosa di Charles Baudelaire – oltre che tra le più conosciute del panorama poetico – il poeta inserisce il componimento I fari (Les Phares), dedicata all’arte. Baudelaire disegna, si potrebbe quasi dire “letteralmente”, un quadro, di artisti di cui ne descrive le caratteristiche. Il tema centrale è l’arte e la sua potenza. Tra le arti Baudelaire non inserisce la sua, cioè la letteratura, ma richiama pittori, scultori e compositori, di diversa nazionalità: Rubens, Leonardo Da Vinci, Rembrandt, Michelangelo, Puget, Watteau, Goya, Delacroix, Weber. Pur non essendo citata l’arte poetica è proprio una poesia a raccogliere le testimonianze della bellezza e della potenza dell’arte che ci salva dall’oscurità. Gli artisti sono dunque i “fari”, sono la luce di umanità nello smarrimento esistenziale. Baudelaire ci mostra il quadro dell’arte e della sua immensa luce: un faro, che ci illumina la via e ci mostra come si è degni di vivere.
Anche Gándhí ricorre alla metafora del faro per promuovere la sua missione di pace di libertà:
«La vera Ahimsa27 dovrebbe significare libertà assoluta dalla cattiva volontà, dall’ira, dall’odio, e un sovrabbondante amore per tutto. La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l’oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di Ahimsa».
E al faro come metafora ricorre anche l’astronauta italiano Luca Parmitano, quando dallo spazio vede l’Italia allontanarsi. C’è un’immagine che lo coglie di sorpresa e lo rassicura:
«mi sono girato, ed era lì ancora una volta. Purtroppo, mi mancano le parole. Sicilia, un’isola di luce, un faro per questo viaggiatore»28.
2. Tra infinito e visioni oniriche
La storia della pittura offre numerose interpretazioni del faro, in svariate chiavi. Nell’arte pittorica, infatti, il faro è stato, ed è, per molti artisti un simbolo misterioso e fonte di ispirazione. Spesso è un elemento che caratterizza un paesaggio marino, un golfo, una scogliera, un’isola. Altre volte è l’elemento principale su cui l’artista ha proiettato il proprio talento, l’ispirazione e sé stesso.
È il caso del famoso dipinto The Lighthouse at Two Lights di Edward Hopper in cui il faro erompe dal promontorio roccioso presso Cape Elizabeth, nel Maine. La struttura nel dipinto è pervasa da una sfumatura malinconica e di raccoglimento tipica dei temi cari al pittore. Il faro è il “centro” dell’opera, non si scorge alcun mare ma lo si immagina. Sembra quasi uscito da un sogno inquieto29. In Hopper il faro è talvolta raffigurato in maniera sospesa, astratta quasi una visione onirica. Non cede nella pittura generalista, delle rappresentazioni “marine”, ma difende un suo sguardo caratteristico. Il faro ricorre in molti dei suoi dipinti assumendo una posizione preponderante tanto da essere ritenuto l’autoritratto dell’artista stesso. Hopper sceglie il Maine e il Massachusetts, luoghi a lui cari come Cape Cod, la penisola uncinata del Massachusetts e che in lui è la rappresentazione più fedele dell’aura malinconica dell’America Pastorale durante il periodo della Grande Depressione.
Un altro faro famoso nella pittura è Stormy sea with Lighthouse del tedesco Carl Blechen. Lungo una costiera, nel mezzo di un mare tempestoso, sorge la struttura del faro che con il suo fascio luminoso rende il cielo d’un colore metallico. Segno del contrasto spirituale che il pittore vuole evocare attraverso il suo cupo romanticismo.
Nell’opera Bell Rock Lighthouse di William Turner, tutti gli elementi terrestri sembrano scomparire. Rimane solo il mare, avvolto da onde impetuose che abbracciano un bianco faro nascosto tra la schiuma salata. Turner dipinge il faro di Bell Rock, alto ben 35 m, a largo della costa di Angus, in Scozia.
E sempre in un mare tempestoso si erge in tutta la sua forza e potenza il faro di Eddystone fissato in un dipinto da Anton Melbye30.
Il dipinto, olio su tela, L’ospizio e il faro di Honfleur, del puntinista Georges Seurat, del 1886, rivela l’applicazione della sua tecnica di uso del colore per infondere nell’osservatore una sensazione di armonia e di emozione. Sembra quasi voler toccare le corde più intime di chi, con lo sguardo, sta tentando di cogliere il senso, ciò che si nasconde e non si svela dietro la rappresentazione di un ospizio e di un faro. Due elementi accostati ma non mescolati come lo sono i colori.
E come non pensare ad un faro nel dipinto di ispirazione metafisica La Nostalgia dell’Infinito di Giorgio De Chirico, il dipinto che inaugura la serie delle “torri”. Il quadro rappresenta una grande torre bianca piramidale, sovrastando con la sua imponenza le due figure umane che passeggiano ai suoi piedi. Un’immagine capace di ridestare nell’uomo il senso dell’infinito in virtù della sua forma che si eleva potentemente verso il cielo, quasi a voler suggerire un’“altra” dimensione.
Nel dipinto di Pablo Picasso Les Baigneuses, il faro è un elemento accessorio, di sfondo, che incornicia una più ampia veduta paesaggistica.
Nella rappresentazione metafisica de Il faro di Renato Guttuso, il faro assume un ruolo primario e viene dipinto in tutta la sua maestosità. Diviene personificazione della ricerca di solitudine e libertà dell’uomo.
3. Spazio e tempo, forma e immagine
La suggestiva forma del faro ha influenzato anche l’architettura e il designer dell’era moderna e contemporanea. Per l’architetto Aldo Rossi31, è stata fonte ispiratrice dell’anfiteatro, collocato presso l’impianto di filtraggio dell’acqua R.C. Harris sul lago di Toronto. L’opera è un chiaro richiamo «al teatro romano che fa da ponte tra quello greco e quello moderno. Le tre facciate sul palcoscenico rappresentano una varietà di possibili architetture e sono fiancheggiate su ogni lato da una torre nuda. Davanti alla scena fissa ci sono le sedute libere e il faro che serve da punto focale e rappresenta una chiamata alla vastità del mare dalla terraferma. Inoltre, il faro è un simbolo marittimo che collega analoghe città portuali»32.
Alla struttura suggestiva dei fari, si ispirano alcuni manufatti in porcellana (servizio da caffè, da tè e altro) che Aldo Rossi ha realizzato nel 1997 per il brand tedesco Rosenthal. Il piano di vetro nella parte superiore, riproduce una lanterna di vetro, quella di un faro, che conferisce agli oggetti un’irresistibile originalità.
E sempre creati da Aldo Rossi sono il Faro nel parco Valkenberg di Breda nei Paesi Bassi e il faro ottogonale che sorge all’interno della città di Lanciano in provincia di Chieti.
Due fari, dunque, costruiti all’interno di spazi urbani dove non ci si aspetterebbero queste strutture. E non sono i soli. A Roma, incuriosisce il “Faro del Gianicolo” chiamato anche “Faro di Roma” o “Faro degli italiani d’Argentina” che si illumina in occasioni commemorative. Una di queste è per ricordare i desaparecidos e le vittime del golpe militare argentino del 1976. Alto ben 20 metri, sorge sulla sommità dell’omonimo colle ed è costituito da blocchi in marmo bianco Botticino. Fu progettato nel 1911 dall’architetto e deputato Manfredo Manfredi. Il faro, ovviamente non è un punto di riferimento per la navigazione, ma un’opera dal grande valore simbolico. È stato, infatti, posizionato nel luogo dove avvennero gli scontri per la difesa della Repubblica romana del 1849 e fu donato alla città dalla comunità di Italiani di Buenos Aires, come testimonianza del legame con la patria di origine33. In epoca passata si era diffusa la consuetudine (vietata ma tollerata), di servirsi della balconata del Faro – rivolta verso lo storico carcere di Regina Coeli nel vicino Rione Trastevere – da cui i familiari comunicavano messaggi ai familiari detenuti, gridando a gran voce notizie ritenute essenziali e urgenti.
Dal bellissimo libro/viaggio Andar per Fari di Luca Bergamin, si trova una curiosità a proposito di fari di terra che sorgono all’interno di settori urbani. Si tratta del faro partenopeo «in via Serapide, nel quartiere di Santa Lucia, all’incrocio con la verace via Pallonetto…stinto di giallo e inghiottito voracemente dai palazzi, si trova a 350 passi da quel mare che un tempo doveva bagnarlo. Risale forse al XVI secolo il suo basamento originario: sbirciando dal cancelletto in ferro, si nota un tunnel che dà accesso all’ascensore e anche gli oblò al posto delle finestre rimandano a correnti e onde»34.
Il fascino irresistibile dei fari ha portato il viaggiatore acquerellista italiano, Giorgio Maria Griffa, munito di pennelli e acquerelli, a compiere un viaggio meraviglioso per fissare sulla carta i meravigliosi fari costruiti dagli Stevenson, una famiglia di ingegneri che, tra il 1790 ed il 1940, ha avuto tra le proprie fila otto membri progettisti e costruttori dei 97 fari che tuttora costellano le coste della Scozia. Si tratta proprio della stessa famiglia del più noto scrittore Robert Louis Stevenson che non seguì la strada di famiglia e così facendo ci ha regalato dei libri indimenticabili35. Tuttavia Stevenson, lo scrittore, aveva a cuore il valore dell’opera e dell’ingegno della sua famiglia, tanto da riconoscere che «Ogni qualvolta sento l’odore dell’acqua salmastra, so di non essere lontano da una delle opere dei miei antenati…e quando i fari si accendono lungo le coste della Scozia sono orgoglioso di pensare che brillano più luminosi grazie al genio di mio padre». Ebbene, Griffa ha dipinto tutti i fari degli Stevenson raccogliendoli in un volume di una bellezza struggente I fari degli Stevenson36. Ogni faro, un dipinto, corredato di una scheda con l’indicazione della latitudine e della longitudine, l’altezza, la struttura, i dettagli dei lampi al secondo. In ogni scheda, riaffiora il ricordo di uno Stevenson: Robert, Alan, David, Thomas, Charles.
L’artista Annarita Ruggiero37, interpreta il faro come elemento che caratterizza uno dei volti femminili in Viaggio Discontinuo. L’opera, ispirata alla rilettura de Le città invisibili38 di Italo Calvino, rappresenta un dritto e un rovescio, con una figura “di qua” e una di là”, senza un sotto e un sopra, due figure oniriche che non possono essere separate. Da una parte, sempre sulla scia calviniana, «la pittura diviene l’arte di racchiudere il mare in un bicchiere; dall’altra, come scrive Dante “piove dentro l’alta fantasia”, così i volti si riflettono e si specchiano, come suggestive facce della stessa medaglia, mentre i pesci divengono capelli colorati e i capelli colorati diventano pesci. Una semplice barchetta di carta, quindi, può solcare l’oceano, mentre i sogni prendono forma e vita divenendo un Faro»39.
La fotografia contemporanea attribuisce al faro un ruolo di spessore, come elemento nostalgico, che racchiude tutte le connotazioni che si sono sedimentate dall’arte nel tempo. Evocativo e potente è l’iconico scatto del Faro La Jument (Bretagna, Francia) realizzato dal fotografo Jean Guichard. Le acque al largo della costa occidentale della Bretagna sono uno dei mari più pericolosi in Europa con frequenti violente tempeste, onde enormi e forti correnti. Una di quelle famose tempeste sul Mare d’Iroise si verificò il 21 dicembre 1989. Un fronte di bassa pressione proveniente dall’Irlanda portò venti di burrasca e onde gigantesche alte da 20 a 30 metri che si infrangevano in modo spaventoso e spettacolare contro il faro. Le onde si abbatterono sulle finestre inferiori della struttura, strapparono la porta d’ingresso, inondarono la torre e trascinarono via i mobili. Nello stesso momento, il fotografo Jean Guichard si trovava a Lorient intento a noleggiare un elicottero per scattare foto aeree della tempesta. Guichard voleva sorvolare il Mare d’Iroise nonostante le condizioni di volo estremamente pericolose. L’elicottero raggiunse La Jument e si librò in aria per permettere a Guichard di scattare foto delle onde che si abbattevano sul faro. All’interno della torre, il guardiano del faro Théodore Malgorn sentì l’elicottero e scese le scale per vedere cosa stesse accadendo. Proprio in quel momento, un’onda gigantesca si alzò sul retro del faro e Guichard scattò la sua foto diventata famosa in tutto il mondo mentre l’onda si infrangeva contro la torre. Fortunatamente Malgorn riuscì a rientrare e a chiudere la porta evitando di essere risucchiato dalla forza dell’onda. Le spettacolari foto della tempesta del 1989 di Jean Guichard divennero un successo immediato e gli valsero il secondo posto al premio World Press Photo del 1991.
È così che Guichard rappresenta l’eredità pittorica di William Turner e Anton Melbye.
In ambito cinematografico, il Faro di Capel Rosso, costruito nel 1883 sull’Isola del Giglio, è stato scelto dal regista Paolo Sorrentino nel 2012, per girare alcune scene del film Premio Oscar La Grande Bellezza40. Da allora questo edifico, dal particolare disegno a strisce bianche e rosse, è diventato meta di culto per molti viaggiatori. Un’attenzione tale da indurre un gruppo di imprenditori a trasformarlo in un centro polifunzionale per visite e studi sul mare.
Mike Oldfield, compositore e polistrumentista britannico, affida, al suo lavoro musicale Earth Moving41, le parole: «Sento una corrente nell’aria stanotte. Posso sentire la terra muoversi. L’amore è un faro, una luce guida».
E ancora in musica il faro ispira la misteriosa The Lighthouse di Siouxsie Sioux42 & Hector Zazou43, con voci sciamaniche unite a varie influenze dal sound tipicamente nordico. Tratto dall’album collettivo Chansons Des Mer Froides, il testo del brano è un estratto dal poemetto Flannan Isle di Wilfred Wilson Gibson44.
La cantautrice e polistrumentista Andra Mirò45 affida all’Uomo del faro la sua ispirazione:
«Forse farà paura/L’intermittenza che dà/Sopra a quell’acqua torbida/La luce accesa da me/Ma la paura è un limite/E l’orizzonte è un’idea/Oltre la mia vertigine/E l’immaginazione che scruta la notte… Sale un rosario di scale/Tra le albe e i tramonti che passano via/Tra i silenzi interrotti dal mare/Che si muove da sempre con me/Da sembrare sia io, che ho scoperto nel mare una casa/Tra pioggia, maestrale e in assenza di luna/Sarà la mia vita che come nessuna/Ha paura del buio tra i sassi alla base/Però il mio nome io lascerò qui/Questo è il mio nome, lo scriverò qui»
Difficile, dunque, sottrarsi al fascino della metafora del faro che seduce e ammalia senza distinzioni. Vale anche per un critico d’arte, accademico e saggista come Achille Bonito Oliva, per il quale:
«contemplare un’opera d’arte corrisponde ad una vera gita al faro. Per sua costituzione, il faro si presenta alla vista a una grande distanza attraverso l’intermittenza di un battito luminoso. Già da lontano si propone come un avviso ai naviganti, ma non tranquillo e accogliente. Con il suo intervallo luminoso tra accensione e buio, il faro drammatizza la presenza della terra o dello scoglio ed evoca ai miei occhi i sospetti di naufragio, accresciuti dal suo pulsare intermittente. Tale intermittenza più che costituire un segnale accogliente, dispone il navigante in un sistema mentale di allarme».
Suggestive e affascinanti le sue parole sull’opera d’arte al punto di avanzare:
«la possibilità di pensare al faro come una grossa scultura che misura contemporaneamente spazio e tempo, luce e intervallo. Perché, in fondo l’opera d’arte è semplice produzione di catastrofe, strappo nell’equilibrio tettonico del linguaggio che l’artista realizza attraverso un processo elaborativo di una forma lampante e presente come il pericolo di uno scoglio. Il Faro, segna, con la sua intermittenza luminosa, la sicura stanzialità del territorio che occupa, indica nello stesso tempo la distanza che lo separa dallo sguardo del navigante. Questi, si muove nello spazio liquido e instabile del mare, abitato da lunghe ombre e dal buio della notte. In questo spazio il navigatore è sottoposto ai colpi del vento e dei marosi. Il faro diventa il segnale che invita verso il riparo della terra ferma e insieme avverte paradossalmente di questo pericolo. Segnale ambivalente questo del faro, che incorpora dell’arte il fattore luminoso, l’intermittenza cromatica del bianco e del nero, e anche la strutturale ambivalenza del messaggio artistico che non produce mai pacificata risposta, bensì piuttosto una formale domanda sul mondo. Il faro, dunque, sembra proporsi come una grande scultura investigativa, un’installazione che sollecita perplessità e interrogazione. L’oscillazione circolare dal buio alla luce del faro ne alleggerisce il peso, mettendo in discussione una staticità monumentale che altrimenti diventerebbe un obelisco: segnale, a futura memoria, di un evento drammatico.»46.
Alla fine di un viaggio affascinante nel libro Luci sul mare, l‘autore Claudio Visentin conclude che:
«… Il faro con la sua luce, è il simbolo della coscienza, della ragione e della volontà. Ma la coscienza deve fare i conti continuamente con l’inconscio, sconosciuto e invisibile ai nostri occhi, eppure in grado di condizionarci profondamente.
Noi siamo il faro ma in qualche modo siamo anche il mare intorno».47
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Note
- Bonfiglio G., Fari e Guardiani. Storie di Fari e dei Fanalisti Siciliani, Editori Edas, 2023, p. 9.
- La “Festa internazionale della storia è una multiforme manifestazione a carattere nazionale e internazionale che rende Bologna “capitale della Storia” mettendo in vetrina forme di promozione e diffusione della sua conoscenza condotte in Italia e nel mondo. Nelle aule, nei teatri, nei musei, nelle chiese, nelle sale pubbliche, nelle strade e nelle piazze, si affrontano con lezioni, conferenze, dibattiti, concerti, spettacoli e mostre i temi che legano i vissuti personali e collettivi alle vicende presenti e future. Caratteristica peculiare e comune delle giornate bolognesi è il ruolo delle scuole, dell’Università, degli enti e delle associazioni culturali che, accanto ai grandi esperti e studiosi di richiamo, possono esibire ciò che hanno acquisito durante attività di ricerca volte a recuperare le radici del presente, valorizzando la storia della città e del territorio o mettendo a fuoco grandi temi storici: Festa della Storia
- Tra i relatori si menzionano Caterina Bonvicini, Beatrice Borghi, Laura D’Alessandro, Laura Galoppini, Armin Greder. Con la partecipazione delle insegnanti Ivana Baldi e Maria Rosaria Catino della scuola primaria e secondaria di primo grado di Pianoro (Bo).
- Mariotti A. Lilla, Storie di pirati e piratesse del XVIII secolo, Magenes editore, Milano, 2018.
- Mariotti A. L., Blackbeard, La vita e le avventure del famigerato pirata Barbanera, Magenes editore Milano, 2011.
- Woolf V., To the Lighthouse, 1927.
- Brioschi F., Il faro e la sua evoluzione simbolica nell’arte, in Lo Sbuffo, Progetto editoriale dell’Associazione Accademia Civica Digitale.
- Achille Bonito Oliva (1939) è un critico d’arte italiano.
- Bonito Oliva A., Segno, in AA.V.V., Al Faro, Svimservice, Bari 1997, p. 58.
- Consolo V., Di qua dal faro, Mondadori, 1999.
- Colm T., Il faro di Blackwater, (traduzione di Laura Pelaschiar), Fazi, 2002. Titolo originale The Blackwater Lightship.
- Fitzgerald F.S., Il grande Gatsby, Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta a New York il 10 aprile 1925 con il titolo originale The Great Gatsby. In Italia la prima edizione è del 1936.
- Francis Scott Fitzgerald (1896 – 1940) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense, autore di romanzi e racconti. È considerato uno fra i maggiori autori dell’Età del jazz e dei cosiddetti anni ruggenti e, più in generale, per la sua opera complessiva del XX secolo.
- The Great Gatsby, 2013. Nella versione del 1974 del regista Jack Clayton, il protagonista Jay Gatsby era interpretato dall’attore Robert Redford.
- J. Verne, Le Phare du Bout du Monde, 1905.
- G. García Márquez, L’amore al tempo del colera, Mondadori,1985. Il titolo originale del romanzo è El amor en los tiempos del cólera.
- E. Hemingway, To Have and Have Not, Scribner’s, 1937.
- Shaw G. B., Cesare e Cleopatra, atto III, scena II.
- W. Shakespeare, Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento, Sonetto 116.
- P. Neruda, Poesia La canción desesperada, 1924.
- G. Ungaretti, tratto dalla poesia Ultimi cori per la terra promessa, 1960, parte della raccolta Il taccuino del vecchio, Mondadori, 1960.
- Gibran K., è stato un poeta, pittore e aforista libanese naturalizzato statunitense.
- Gibran K., Segreti del cuore, Newton Compton, Roma 1947.
- Montale E., tratto dalla poesia Dora Markus, Le Occasioni; Parte prima.
- Pavese C., I Mari del sud, poemetto narrativo nella raccolta Lavorare stanca del 1930.
- Tabucchi A., Il tempo invecchia in fretta, Feltrinelli, Milano, 2009: 42.
- Ahimsa è un termine sanscrito e fa riferimento alla non violenza e al rispetto per la vita. Significa “non uccidere”, ma anche non causare sofferenza fisica o morale a nessun essere vivente, che sia attraverso i pensieri, le parole o le azioni
- Pintagro M., La Sicilia vista dallo spazio. Tutti gli scatti di Luca Parmitano,in La Repubblica Palermo, 4 settembre 2013.
- Quando il faro indica la meta del viaggio, il Sole 24 Ore, 17 luglio 2015, Quando il faro indica la meta del viaggio – Il Sole 24 ORE
- Daniel Herman Anton Melbye (1818-1875), è stato un pittore e fotografo danese specializzato in scene marittime.
- Aldo Rossi (Milano, 3 maggio 1931 – Milano, 4 settembre 1997) è stato un architetto e teorico dell’architettura. È stato il primo italiano a vincere, nel 1990, il prestigioso Premio Pritzker che viene assegnato ogni anno per onorare un architetto vivente, le cui opere realizzate hanno dimostrato una combinazione di talento, visione e impegno, e che ha prodotto contributi consistenti e significativi all’umanità e all’ambiente costruito attraverso l’arte dell’architettura.
- Fondazione Aldo Rossi, Teatro Faro, con Morris Adjimi, Toronto, 1988-1989.
- Il faro del Gianicolo fu donato in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia e per celebrare Roma Capitale.
- Bergamin L., Andar per fari, il Mulino, 2023, p. 27.
- Tra i romanzi: L’isola del tesoro (Treasure Island) del 1883 e Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde), del 1886.
- Griffa G. M., I fari degli Stevenson, Edizioni Nuages, Milano 2005.
- Annarita Ruggiero, appassionata di colori, dopo la laurea in Architettura, ha iniziato a dipingere su vetro, specchi, ceramiche e legno. Nel tempo ha esplorato varie tecniche fino ad affinare l’approccio con l’acquerello. Temi ricorrenti sono volti femminili, simboli di viaggi onirici tra sensazioni opposte e parole raccontate.
- Le città invisibili è una raccolta di racconti di Italo Calvino pubblicata nel 1972. Il libro di Calvino è composto da nove capitoli, ciascuno dei quali si apre e chiude con un dialogo fra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, che interroga l’esploratore sulle città del suo immenso impero. Ciascun capitolo contiene cinque descrizioni delle città visitate da Marco Polo, tranne il primo e l’ultimo capitolo che contengono dieci descrizioni. Le cinquantacinque città, ciascuna delle quali ha un nome di donna di derivazione classicheggiante, sono poi raggruppate in undici sezioni: «Le città e la memoria»; «Le città e il desiderio»; «Le città e i segni»; «Le città sottili»; «Le città e gli scambi»; «Le città e gli occhi»; «Le città e il nome»; «Le città e i morti»; «Le città e il cielo»; «Le città continue»; «Le città nascoste». Queste sezioni si succedono di continuo secondo un procedimento di alternanza scalare. La successione delle città e delle sezioni non implica infatti una sequenzialità o una gerarchia, ma, come spiega lo stesso Calvino in Lezioni americane, forma una rete “entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate”.
- Margutta. Dove cultura ed arte si fondono, Dantebus Edizioni, Volume 1/2024.
- La grande bellezza, film del 2013 co-scritto e diretto da Paolo Sorrentino, ha vinto il Premio Oscar come miglior film in lingua straniera.
- Earth Moving, (1989), è un album del musicista britannico Mike Oldfield.
- Siouxsie Sioux, pseudonimo di Susan Janet Ballion, è una cantautrice britannica. È conosciuta per essere stata la cantante del gruppo musicale Siouxsie and the Banshees e del duo The Creatures
- Zazou H., pseudonimo di Pierre Job, è stato un compositore e produttore discografico francese nato in Algeria (1948-2008).
- Wilfrid Wilson Gibson è stato un poeta britannico (1878-1962).
- Andrea Mirò, pseudonimo di Roberta Mogliotti, è una cantautrice, direttrice d’orchestra e polistrumentista italiana.
- A. Bonito Oliva, Segno, in AA.VV, Al Faro, Svimservice, Bari 1997, pp. 57-58.
- Visentin C., Luci sul mare. Viaggio tra i fari della Scozia sino alle isole Orcadi e Shetland, Ediciclo Editore, 2022, p. 105.
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