Porti e approdi nelle descrizioni di pellegrini e viaggiatori del XV secolo
Filippo Galletti, Porti e approdi nelle descrizioni di pellegrini e viaggiatori del XV secolo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 3, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12024
Introduzione
Dal punto di vista storiografico, il porto è stato una costante negli studi di storia marittima1, tuttavia, solo a partire dagli anni Settanta del XX secolo, si è sviluppato un approccio interdisciplinare allo studio dei porti e delle attività portuali. Questo rinnovato interesse ha coinvolto storici dell’economia, del commercio, della navigazione, della storia urbana e dell’archeologia, favorendo nuove riflessioni metodologiche e prospettive di ricerca che hanno arricchito la produzione scientifica. In particolare, la pubblicazione dei tre volumi curati da John Gilissen, uno dei quali dedicato all’età antica e medievale, ha stimolato un’intensa attività accademica, con articoli, simposi, saggi e volumi che hanno posto il porto al centro del dibattito storico nella sua complessità2. Secondo questo indirizzo, i grandi convegni sono stati l’occasione per approfondire il ruolo dei porti e della navigazione nell’età di mezzo in un prospetto comparativo3, mentre non sono mancate le riflessioni su alcune città e porti nel contesto mediterraneo4.
L’essenza di questo approccio risiede nella concezione del sistema dei porti e delle città portuali medievali come un insieme integrato, in cui politica, società, istituzioni ed economia si intrecciavano, formando un unico organismo dinamico, dal momento che a partire dal XIV secolo, come aveva già sottolineato Braudel, si era creato «un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori si tenevano tutte per mano»5.
Secondo la definizione giuridica di Ulpiano redatta nel III secolo e passata nel Digesto giustinianeo, il porto era un «conclusus locus, quo importantur merces et inde exportantur: eaque nihilo minus statio est conclusa atque munita»6, sul quale venivano esatti i tributi di scalo, essendo il porto una res publica7. Gli elementi che la tradizione romana ha tramandato alle elaborazioni dei secoli successivi erano dunque riparo, sicurezza, strutture adatte al commercio ed entrate fiscali.
Anche nelle Siete Partidas volute da Alfonso X di Castiglia (1221-1284) si sentì il bisogno di dare definizione di puerto, una parola ritenuta dubdosa. Esso venne definito come un luogo chiuso da montagne in riva al mare, dove si caricavano e scaricavano navi, ma era considerato anche luogo dove la nave poteva svernare ancorata; e durante le tormente anche le spiagge e le baie, non protette, potevano fungere da porto8.
Nella codificazione duecentesca, dunque, la varietà semantica legata al porto si allargò, passando dai grandi scali ricordati da Ulpiano, sui quali si esigevano i tributi di scalo, a tutte le spiagge e alle distese di sabbia che potevano potenzialmente servire per ormeggiare la nave.
Questa estensione semantica si rifletteva, come ricorda Simbula, nella varietà terminologica che si ritrova nei portolani che dal XIII secolo raccoglievano descrizioni di rotte e porti, includendo scali ben organizzati e semplici moli di attracco; si trovano per esempio, buoni porti, porti fluviali, porti per forza della città (cioè quelli artificiali), ponitori sulle spiagge, caricatoi, surgitori, salvatori, aferatoi e vernatori9.
Con ancora più forza, nel corso del XV secolo, i porti e gli approdi marittimi divennero snodi fondamentali per l’espansione delle reti commerciali, la mobilità delle persone e la diffusione culturale in Europa e nel Mediterraneo. Questo periodo, caratterizzato da un’intensificazione dei viaggi sia per scopi commerciali sia devozionali, vide un aumento significativo delle testimonianze lasciate da pellegrini, mercanti e avventurieri sulle strutture portuali e sull’operatività delle infrastrutture marittime10. I resoconti di viaggio e i diari dei pellegrini costituiscono, infatti, fonti preziose per la ricostruzione dell’aspetto, della funzionalità e delle dinamiche sociali e culturali che animavano i porti dell’epoca11.
Con queste premesse, l’articolo si propone di analizzare alcune di queste descrizioni, ponendo l’accento sulle impressioni e sulle osservazioni di viaggiatori che, spesso per la prima volta, si trovavano di fronte a porti stranieri o esotici, offrendo una prospettiva unica sulla struttura e sull’organizzazione di questi luoghi. Attraverso l’esame delle fonti storiche e dei resoconti di viaggio, si è cercato di delineare un quadro delle principali caratteristiche di porti e approdi, evidenziando come questi spazi fossero percepiti dai viaggiatori e quale ruolo giocassero nella costruzione dell’immagine culturale e geografica dell’altro e dell’altrove.
L’analisi delle descrizioni fornite dai pellegrini e dai viaggiatori del XV secolo non solo permette di osservare le caratteristiche fisiche e architettoniche dei porti, ma offre anche spunti interessanti sulle pratiche, le dinamiche sociali e le aspettative che animavano la vita dei porti in un’epoca di crescente “globalizzazione” e interazione culturale12.
I resoconti che sono stati presi in considerazione per la ricerca sono quelli di Niccolò III d’Este (1413), Mariano da Siena (1431), Pero Tafur (1453-1454), Roberto da Sanseverino (1458), William Wey (1458), Felix Fabri (1480, 1483) e Pietro Casola (1494).
Luchino dal Campo, cancelliere del marchese Nicolò III d’Este, redasse nel 1413 la Peregrinazione del Principe, descrivendo i luoghi e soprattutto gli incontri diplomatici che il marchese fece durante il viaggio13.
Mariano da Siena nel 1431 si recò per la terza volta in Terrasanta. Da questa esperienza nacque il resoconto di viaggio che offre, tra le altre cose, quelle poche notizie biografiche che lo riguardano. Rettore della parrocchia della parrocchia di San Pietro a Ovile a Siena, descrisse un itinerario abbreviato in Terrasanta, probabilmente dovuto alle possibili ristrettezze economiche, alla salute o alle disponibilità di imbarco per il ritorno. La narrazione è parallela, per quanto incompleta, con la relazione di Gaspare di Bartolomeo che al momento del viaggio doveva avere sui trentacinque anni e non era, però, mai stato in Terrasanta14.
L’hidalgo ed esploratore spagnolo Pero Tafur redasse tra il 1453 e il 1454 un libro dal titolo Andanças e viajes de Pero Tafur por diversas partes del mundo avidos sui suoi viaggi avvenuti un ventennio prima nei tre continenti che si affacciano sul Mediterraneo e raccontò di aver partecipato a battaglie, pellegrinaggi e missioni diplomatiche per il re d’Aragona Giovanni II; visitò la Terrasanta, l’Egitto e la penisola del Sinai, dove incontrò Niccolò Da Conti, col quale condivise le informazioni sul Sud-est asiatico 15.
Roberto da Sanseverino, che assunse il cognome d’Aragona per concessione del Re di Napoli Ferdinando I, fu condottiero italiano, figlio di Leonetto e di Elisa Sforza, sorella di Francesco duca di Milano e la sua relazione di viaggio, avvenuto nel 1458, è ricca di descrizioni dettagliate e informazioni sui luoghi santi di Palestina16.
Il resoconto del 1458 del prete inglese William Wey, membro del Collegio Reale di Santa Maria di Eton e che aveva già svolto un pellegrinaggio a Santiago de Compostela e che avrebbe poi svolto un terzo pellegrinaggio a Gerusalemme nel 1462, racconta l’itinerario religioso verso la Terrasanta17.
Il frate domenicano di Ulm Felix Fabri effettuò due pellegrinaggi in Terrasanta: il primo nel 1480 a Gerusalemme di cui ne rimarca le oggettive difficoltà del viaggio, l’altro nel 1483 con una deviazione al deserto del Sinai e al Cairo. Le sue esperienze vennero trascritte nel dettagliato Evagatorium in Terrae Sanctae, Arabiae et Egypti peregrinatoniem18.
Pietro Casola, sacerdote e canonico milanese, descrisse nella Peregrinazione a Gerusalemme (1494) un racconto vivido e personale, dove si susseguono osservazioni spontanee e acute sui costumi incontrati e sulla difficoltosa vita di bordo, descrizioni dei luoghi visitati, aspetti di natura economica, culturale e perfino culinaria19.
La selezione degli autori è stata mirata a coprire una certa gamma di nazionalità e status sociali – Italia, Germania, Inghilterra e Spagna –, includendo nobili, cavalieri, religiosi e cortigiani, nel tentativo che questo approccio diversificato consenta di offrire una visione più completa possibile delle percezioni dei viaggiatori nei confronti dei porti a cui attraccavano.
I porti secondo i viaggiatori
L’analisi dei sette resoconti ha fatto emergere una certa ampiezza di descrizioni e aggettivazioni riferite ai porti incontrati nel loro viaggio. Il totale delle occorrenze riscontrate è 215; ascrivibili a diverse sfere percettive. Tra le più frequenti, in 29 occasioni, i viaggiatori affermano di trovarsi o di aver sentito parlare di un buon porto; in 25 descrivono i moli come attivi; in 24 ritengono l’approdo protetto; in 19 grande. Per una visione globale dell’analisi si vedano i dati raccolti nella Tabella 1.
Secondo l’analisi dei sette resoconti, la descrizione principale che i viaggiatori presi in considerazione fanno dei porti e degli approdi riferisce alla sfera del buono e, in generale, alla bontà dei porti. Luchino dal Campo, nel viaggio compiuto con il suo signore Niccolò III, definisce come buoni porti quelli di Giaffa20 e di Io/Ios, nelle Cicladi meridionali21. Mariano da Siena, invece, riconosce questi aggettivi a Castilroxo, l’odierna Castelrosso/Kastellorizo e alla vicina Cacabo22. Per l’avventuriero Tafur sono numerosissimi i buenos puertos, e non solo nel Mediterraneo: Ceuta23, Genova24, Porto Venere25, Candia26, Rodi27, Castelrosso/Kastellorizo28, Tenedo (isola poco a sud dello stretto dei Dardanelli, conosciuta anche come Bozcaada)29, Anversa30, Trapani31 e Cagliari32. Per Sanseverino il porto di Ragusa è bene situato33, mentre Wey riconosce Giaffa come un buon porto34. Felix Fabri, invece, parla spesso della necessità per i pellegrini di attraccare in un buon porto35, come lo sono quelli di Nimona, sul’isola di Cipro36, in Frigia, sulla parte asiatica dell’Ellesponto, vicino Troia37, Io/Ios, che chiama anche Nyon o Nium38, Corfù39, Curzola/Korčula40, Ragusa/Dubrovnik41 e Lesina42. Anche La Mecca risulta essere per il domenicano di Ulm civitas bona et portis maris non mediocris43. A volte, invece, l’aggettivo qualificativo non è sufficiente e i viaggiatori passano al comparativo di maggioranza migliore. Sono migliori i porti di Modone per Roberto da Sanseverino44, di Cartagena, di Tenedo (nel Mar Egeo, a sud dello stretto dei Dardanelli), che è anche nuovo, e di Pera (Istanbul) per Pero Tafur45.
I porti sono luoghi dove si svolgono diverse attività, per questo viaggiatori come Pero Tafur, Pietro Casola e Felix Fabri si concentrano sulla dimensione attiva dei porti e sulle tipologie di lavori che vi si svolgevano. Modone e Corone, in Morea sono puertos descargadores46; a Candia, invece, nel molo fecho a mano vi sono molti mulini a vento47. A Castelrosso/Kastellorizo ci sono saline che forniscono una grande rendita all’Ordine dei cavalieri di Rodi48; presso il muro del porto di Rodi Pietro Casola conta almeno sedici mulini a vento49 che continuamente macinano50; nelle vicinanze del porto di Corfù, invece, vi era un grande borgo dove si fanno li mercati, el è cosa molto spaxada, e lì sono tute le hostarie e taverne51; mentre a Ragusa è in attività l’arsenale, dove si costruiscono navi e galee52. Alessandria d’Egitto e Costantinopoli si distinguono per il grant cargo e descargo con los cristianos53. In particolare Alessandria risulta essere civitas commodissime sita ad celebranda commercia54, anche se Felix Fabri confessa di aver sentito molte storie terribili sui gabellieri (exactores) del porto55. Alessandria è una delle città maggiormente frequentate dai mercanti italiani, che commerciano in tutto il Mediterraneo, e dagli egiziani, che riforniscono la città di merci e spezie aromatiche56. La centralità delle spezie riguarda anche La Mecca, verso la quale convergono in grande quantità spezie aromatiche, pepe, chiodi di garofano, zenzero e simili, e da lì vengono portate trasportate da pellegrini sui cammelli e inviate anche a Damasco, in Siria, e ad altri luoghi57. Lo stesso Fabri, con poche parole, restituisce la centralità di Venezia nel commercio mediterraneo: nella laguna si trasportano omnia bona orientis et occidentis; ex quo bona orientis transfundunt in occidentem et occidentis in orientem58.
I porti devono cercare di proteggere le imbarcazioni ancorate da tempeste e burrasche e allo stesso tempo proteggersi da potenziali attacchi nemici e di pirati. Per questo motivo molti dei porti che i viaggiatori incontrano sono protetti, muniti, circondati da mura o fortificazioni. Roberto da Sanseverino ringrazia il Signore di essere giunto nei porti di Milo, nel ducato di Nasso o dell’Arcipelago, e a Scarpanto/Kárpathos, nel Dodecaneso, prima dello scatenarsi del fortunale59. La protezione può essere offerta da elementi naturali, come a Porto Venere, dove un’isola davanti al porto fa muy grande abrigo60 o a Milo61 e Muter, vicino Sebenico/Sibenik62, dove il promontorio e le pareti rocciose proteggono il porto; o da elementi artificiali, come catene, attestate a Kyrenia sull’isola di Cipro63, Ragusa/Dubrovnik64 e Venezia65, mura e fossati, come a Giaffa66, o castelli e fortificazioni, come a Venezia, dove due castelli chiudono il porto dalla parte del mare67, a Lesina, dove un castello sovrasta il porto e le acque68, a Oplothiki/Porto Cavaliere, nei pressi di Loryma nell’odierna Turchia, dove erano due belle castelle69, a Giaffa, con due torri70, a Io, dove gli abitanti hanno fortificato la città con mura e torri, in particolare il porto, e hanno eretto una roccaforte estremamente robusta, che sorge in parte dalle profondità del mare71 o nella già citata Milo, dove accanto alla protezione naturale offerta dalle rocce del promontorio, vi era anche un castello per la sorveglianza del porto72.
La posizione del porto, dunque, poteva risultare una caratteristica rilevante per la protezione e la funzionalità del porto. I viaggiatori a volte annotano questo aspetto. Le navi entrano in porto attraverso un fiume ad Anversa e Pisa73; il porto di Io, invece, era circondato da monti74.
Tra le relazioni dei viaggiatori una caratteristica rilevante dei porti è la dimensione e capacità, per questo si ritrovano spesso gli aggettivi grande, ampio e simili. Ovviamente, tra tutte le città non si trova citade se possa equiparare a Venezia quanto al numero de li navilii, ed al grande porto75 e anche Costantinopoli è dotato di un porto amplissimum76. Ma vengono considerati grandi scali anche Alessandria77, Messina78, Modone79, Lesina80 e Castelrosso/Kastellorizo81. Per altri porti, invece, si preferisce l’aggettivo profondo o capace, destinato a significare quei porti che potevano ospitare imbarcazioni di un certo tonnellaggio, come Rodi82, Io83, Melo (che è al tempo stesso anche un parvos portus), Corfù e Curzola/Korčula 84. Tenedo/Bocaazda e Gibilterra secondo Tafur sono dotati di buoni sorgitori, tali da permettere l’ancoraggio in rada aperta85.
I porti di piccole dimensioni non generalmente vengono toccati dai pellegrini diretti verso la Terrasanta, dal momento che tendevano a seguire un itinerario pressocché standard che seguiva delle tappe e degli approdi adeguati alle navi e alle esigenze dei viaggiatori. Tuttavia, qualche piccola riferimento si trova. Pero Tafur, nelle sue Andanças, riferisce del piccolo porto di Kyrenia, a Cipro, che era chiuso da una catena, e del porto di Tunisi dal fondale basso tale da impedire l’attracco di qualsivoglia nave e da obbligare lo scarico delle merci su barche leggere che solo successivamente avrebbero raggiunto il porto86. Altri attracchi, invece, sono proprio ritenuti inadeguati, come per esempio Nasso, Paro e Nicomedia, steriles et inutiles portus87 o inadatti al commercio come Nicosia, a Cipro88, e Tessalonica/Salonicco, che non es puerto diestro para fazer mercadurías89.
Non sempre però i porti sono sinonimo di rifugio. A volta possono rivelarsi pericolosi. I motivi possono essere i più diversi, come la presenza di un’entrata angusta, una cattiva segnalazione dei moli o l’incapacità strutturale del porto di proteggere le imbarcazioni durante le tempeste. Roberto da Sanseverino elenca come porti pericolosi Venezia per l’ingresso delle navi nel porto90, Giaffa e soprattutto Modone, che in poche pagine viene definito pericoloso ripetutamente91. Il porto di Giaffa è molto pericoloso anche per Mariano da Siena92 e per Felix Fabri, che lo definisce horribilis portus93. Tra i porti pericolosi vengono annoverati anche Candia94 e Ancona95. L’entrata stretta del porto è considerata problematica a Giaffa96, a Candia97, a Tenedo/Bozcaada e a Bruges98.
Altri porti invece erano capaci di trasmettere sicurezza. Spesso questa percezione era legata alla presenza di mura e bastioni, anche se non sempre le fortificazioni erano garanzia di incolumità.
Nonostante la pericolosità, Modone era considerato da Pero Tafur un porto dove le navi potevano stare al sicuro99; e anche Gibilterra tiene puerto muy seguro100. Generalmente risultavano sicuri anche quei porti dell’Adriatico orientale, o della Sclavonia come la chiamavano i viaggiatori, per via della conformazione del territorio, ricco di insenature, isole e promontori naturali101. A Pietro Casola viene detto che tra Fasana/Fažana e Brioni, in Istria, c‘era un porto che si diceva molto sicuro; e si distinguono per la loro sicurezza anche Rovigno, benché abbia un porto inconsuetus,102 e Lesina103. Per lo stesso motivo, anche gli approdi delle isole dell’Egeo potevano trasmettere fiducia nel viaggiatore: la già citata Io/ios aveva un securo porto104, ma lo erano anche Lemno e Milo, descritto come profundum, tranquillum et securum105. Fuori dal Mediterraneo il porto di Bruges, è considerato sicuro, grande e con presenza di mercanti106, sebbene abbia una entrata stretta.
La presenza di fari, segnali o torri poteva essere dirimente tra un porto sicuro e uno pericoloso. A volte, i viaggiatori descrivono questi imprescindibili segni del paesaggio marittimo e portuale. Quando approda vicino a Sebenico/Sibenik, Felix Fabri raggiunge la sommità della collina che sovrasta il porto e trova un alto mucchio di pietre e sopra di esso una grande croce di legno come segno. Infatti, come spiega il domenicano, «in luoghi portuali, tali segnali sono posti in modo che, quando i naviganti vengono sorpresi da una tempesta, possano vedere verso quali coste devono rifugiarsi senza pericolo»107.
Alcuni di questi segni diventano punti di riferimento quasi iconici. A Genova si trova un molo con una torre con un faro, che arde tutta la notte, e dall’altra parte del porto un’altra torre molto alta con un altro faro, affinché si riconosca l’ingresso del porto109.
Tuttavia, la fascinazione principale dei viaggiatori è esercitata da Rodi e Alessandria.
Il ricordo del Colosso di Rodi era ancora presente nel XV secolo: Fabri informa infatti che «ciò che il volgo racconta riguardo a questo Colosso è meraviglioso; ammetto di non averlo letto, ma di averlo udito. Dicono infatti che quel Colosso si trovava in mare e sorvegliava il porto di Rodi. Con le gambe distese l’una dall’altra, stava all’ingresso del porto, così eretto in altezza che le navi, per quanto alte e grandi, passavano sotto di lui, tra le sue gambe e sotto il suo ventre»110. Mariano da Siena, invece, offre una misurata descrizione del porto a lui contemporanea e precisa che il molo di Rodi è largo circa dodici braccia, su di esso ci sono diciotto torri tonde, con un diametro di circa otto braccia, distanziate l’una dall’altra di circa otto braccia e su ognuna vi è un mulino a vento che macina continuamente111; tra le torri, che potevano essere illuminate in caso di bisogno, e dai camminamenti delle mura, c’era almeno una bombarda. Fabri lo sperimenta sulla propria pelle quando l’imbarcazione su cui viaggia viene scambiata per nave nemica e viene esploso un colpo che getta nello spavento l’equipaggio112.
Il colto domenicano racconta anche che ad Alessandria ci sono due porti separati da una lingua di terra molto stretta, sulla cui estremità si erge una torre di straordinaria altezza, che si dice sia stata costruita da Giulio Cesare e che i locali chiamano Fareglan, come anche l’intero porto con la lingua di terra e gli edifici. Il porto anteriore è destinato all’accoglienza delle navi dei cristiani, mentre quello posteriore è riservato alle navi musulmane113; questa torre, precisa, un tempo «veniva chiamata Pharum o Farum, era altissima ed era una delle sette meraviglie del mondo. Infatti, essa stava sopra quattro grandi infrastrutture di vetro, che si trovavano a venti passi sotto la superficie del mare, sul fondo, e sopra di essi era stata costruita una pesante struttura che si elevava in alto. Sulla sua sommità ardeva sempre un fuoco acceso, il quale, brillando lontano e ampiamente sul mare, durante la notte era un segno per i naviganti per individuare il porto. Quest’opera era ammirata dai sapienti del mondo, che si stupivano di come queste strutture così grandi potessero essere realizzati in vetro, di come fossero state trasportate senza rompersi»114
Alcuni di questi porti erano particolarmente affollati, in particolar modo quelli che si trovavano lungo la rotta dei pellegrini verso la Terrasanta, come Corfù115 o Lesbo116; e quelli che avevano un ruolo economico preminente dal punto di vista commerciale, come l’antica Beronice, che nel XV secolo veniva chiamata Thor, porto egiziano sul Mar Rosso, dove giungevano le spezie aromatiche provenienti dall’India su navi costruite senza ferro117 e Alessandria, classibus et navibus repletus118. In base alle contingenze del momento il porto poteva anche essere deserto o sterile. Felix Fabri incontra diversi porti vuoti, come Lesina, Limassol, Modone, Corzula119.
Talvolta, accanto alla questione funzionale, alcuni pellegrini esprimono un giudizio estetico sui porti che incontrano, definendoli belli. È il caso di Roberto da Sanseverino, che descrive come belli i porti di Ragusa/Dubrovnik, Giaffa e Acri120; di Candia e Io/Ios per Pietro Casola121; di Rodi per Mariano da Siena122; di Alessandria, Modone, Muter (presso Sebenico/Sibenik) e Venezia, che viene definita mirabile, nelle parole di Felix Fabri123. Non mancano poi riferimenti all’antichità degli approdi. Giaffa, portus antiquissimus124, era per William Wey il porto dove attraccò il profeta Giona125; mentre Pafos, a Cipro, era ritenuto vetustissimus126.
Conclusioni
Le descrizioni dei porti e degli approdi fornite dai sette pellegrini e viaggiatori del XV secolo offrono una prospettiva interessante sulle infrastrutture e le dinamiche socio-economiche dei centri portuali dell’epoca. L’analisi dei resoconti evidenzia una pluralità di percezioni e valutazioni, che spaziano dall’efficienza commerciale alla sicurezza, dalla bellezza estetica all’importanza strategica. Queste testimonianze non solo tracciano un quadro della realtà materiale e funzionale dei porti, ma riflettono anche l’immaginario culturale e le aspettative dei viaggiatori, contribuendo alla costruzione di una geografia dell’altro e dell’altrove.
Attraverso i loro occhi, emerge un Mediterraneo animato da scambi e relazioni, dove i porti fungono da nodi cruciali per la mobilità e l’interazione culturale. L’eterogeneità delle descrizioni – che abbracciano la grandezza e l’affollamento dei porti, la loro protezione naturale o artificiale, e la vivacità delle attività svolte – sottolinea la complessità e la centralità di questi luoghi nel processo di connessione tra Oriente e Occidente. Al contempo, i giudizi negativi su porti ritenuti inadatti o pericolosi testimoniano i limiti strutturali e i rischi connessi alla navigazione e al commercio marittimo del periodo.
Ad ogni modo, alcuni porti e città emergono dalle descrizioni dei pellegrini.
Venezia è un porto di straordinaria importanza commerciale, descritto come un centro nevralgico del Mediterraneo e protetto da due castelli e da una catena che chiudeva il porto. I viaggiatori ne ammirano la grandezza, la vivacità e il ruolo di intermediario tra Oriente e Occidente: omnia bona orientis et occidentis si incontravano qui127.
Alessandria è considerata una delle città portuali più importanti del Mediterraneo orientale. Due porti separati accoglievano rispettivamente navi cristiane e musulmane. Il celebre Faro, un tempo una delle sette meraviglie del mondo, rappresentava un segnale cruciale per i naviganti, con la sua luce visibile da grandi distanze. Alessandria era un centro commerciale di primo piano, specializzato nel commercio di spezie e beni orientali, benché a volte la presenza di esattori fiscali fosse spesso motivo di lamentele da parte dei viaggiatori128.
Rodi era un porto profondamente fortificato, connotato dalle sue torri e i suoi mulini a vento. I viaggiatori descrivono diverse torri tonde dotate di macchine difensive e di illuminazione. Era un importante snodo commerciale e un luogo simbolico, evocativo del Colosso che un tempo si trovava all’ingresso del porto. La sicurezza di Rodi era una priorità, come dimostrato dalle strutture difensive che proteggevano la città e le sue attività marittime129. Nell’isola infatti aveva sede l’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi.
Giaffa rappresentava un porto fondamentale per i pellegrini diretti in Terrasanta, ma spesso era descritto come pericoloso. Le sue strettezze e l’assenza di protezioni adeguate rendevano l’entrata complessa, e le tempeste potevano facilmente mettere a rischio le imbarcazioni. Tuttavia, la sua posizione strategica ne faceva una tappa obbligata per molti viaggiatori130.
Descritta come un porto attivo e sicuro, caratterizzato dalla presenza di un grande borgo dove si tenevano mercati e dove si trovavano osterie e taverne, Corfù era un luogo di scambio commerciale vivace, grazie anche alla sua posizione strategica lungo la rotta verso la Terrasanta.
Situati rispettivamente in Morea e a Creta, Modone e Candia erano porti molto frequentati dai mercanti e dai pellegrini. Modone era noto sia per il traffico commerciale sia per il rischio legato alla pericolosità delle sue acque. Candia, con i suoi moli costruiti a mano e i mulini a vento, rappresentava un esempio di porto ben attrezzato per le attività economiche.
Fuori dal Mediterraneo, Bruges, grazie al porto di Sluis, era descritta come sicura, affollata e ben organizzata. La sua stretta entrata non impediva alle attività commerciali di prosperare, rendendolo uno dei porti più attivi del nord Europa131; mentre La Mecca, attraverso anche il porto di Jeddah, viene descritta non solo come un importante centro religioso, ma anche come un nodo di rilevanza commerciale. Era un punto di raccolta per spezie aromatiche, pepe, chiodi di garofano, zenzero e altri beni preziosi provenienti dall’Oriente, che venivano poi trasportati dai pellegrini su cammelli verso Damasco e altre destinazioni. Felix Fabri la definisce una civitas bona. Questa descrizione riflette il doppio ruolo della Mecca nel XV secolo: epicentro spirituale e snodo commerciale strategico, grazie alla sua posizione lungo le rotte carovaniere e marittime del Mar Rosso132
In definitiva, l’esame delle fonti mette in luce come i porti del XV secolo fossero spazi fisici e simbolici che intrecciavano funzionalità pratiche, strategie politiche e rappresentazioni culturali. Le loro descrizioni non sono solo utili per ricostruire la realtà storica, ma rappresentano anche una finestra sulle dinamiche di percezione e rappresentazione che caratterizzavano il rapporto tra viaggiatori e spazi marittimi nel tardo Medioevo.
Note
- Antonio Di Vittorio (a cura di), Tendenze e orientamenti nella storiografia marittima contemporanea, Pironti, Napoli, 1986. Sugli orientamenti e sviluppi della storia marittima in tempi recenti cfr.: Gelina Harlaftis, Storia marittima e storia dei porti, «Memoria e ricerca», 11 (2002), pp. 5-21; Michela D’Angelo, L’histoire maritime en Italie, Mediterranean Maritime History Network, 2014.
- John Gilissen, Les grandes escales, Édition de la Librarie Encyclopédique, Bruxelles, 1974.
- La navigazione mediterranea nell’alto medioevo, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1978; Simonetta Cavaciocchi (a cura di), I porti come impresa economica, Le Monnier- Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Prato, 1988; Ennio Poleggi, Città portuali del Mediterraneo. Storia e archeologia, Atti del Convegno internazionale di Genova, Sagep, Genova, 1989; Città di mare nel Mediterraneo medievale. Tipologie, Atti del Convegno di studi, Centro di cultura e storia amalfitana, Amalfi, 2005; Reti marittime come fattori dell’integrazione europea, Firenze University Press-Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Prato, 2019.
- Per esempio, cfr.: Luciano Palermo, Il porto di Roma nel XIV e XV secolo. Strutture socio-economiche e statuti, Istituto di studi romani, Roma, 1979; Luciano Grossi Bianchi ed Ennio Poleggi, Una città portuale nel medioevo: Genova nei secoli X-XVI, Sagep, Genova, 1980; Alberto Tenenti e Ugo Tucci, Storia di Venezia. Il mare, Treccani, Roma, 1999; Gherardo Ortalli e Dino Puncuh, Genova, Venezia e il Levante nei secoli XII-XIV, Società ligure di storia patria, Genova, 2001; Marco Tangheroni (a cura di), Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, Skira, Milano, 2003.
- Fernand Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e le tradizioni, Bompiani, Milano, 1987, p. 51.
- Dig. 50.16.59.
- Dig. 50.16.17.1.
- Las siete partidas del Rey don Alfonso el Sabio cotejadas con varios codices antiguos, tomo III, Imprenta Real, Madrid, 1807, Partida septima, titulo 33, ley 8, p. 721.
- Pinuccia F. Simbula, I porti del Mediterraneo in età medievale, Mondadori, Milano, 2009, p. 6.
- Per una visione generale del fenomeno del pellegrinaggio, tra i tanti contributi, cfr.: Franco Cardini, In Terrasanta. Pellegrini italiani tra medioevo ed età moderna, Il Mulino, Bologna, 2002.
- Sull’interesse storico della letteratura odeporica cfr.: Jean Richard, Il santo viaggio. Pellegrini e viaggiatori nel Medioevo, Jouvence, Roma, 2003, in part. pp. 105-115.
- Secondo Jurgen Osterhammel e Niels P. Petersson il fenomeno della globalizzazione affonda le sue radici nel medioevo. Per una sintetica panoramica, cfr.: J. Osterhammel e N. P. Petersson, Storia della globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 2005. Paolo Grillo ha recentemente parlato di “globalizzazione medievale”: cfr., P. Grillo, Le porte del mondo. L’Europa e la globalizzazione medievale, Mondadori, Milano, 2019.
- Giovanni Ghinassi, Viaggio a Gerusalemme di Nicolò da Este, in Miscellanea d’opuscoli inediti o rari dei secc. XIV e XV, Prose, Unione tipografico-editrice, Torino, 1864, pp. 99-160; Gabriele Nori, La corte itinerante. Il pellegrinaggio di Nicolò III in Terrasanta, in La corte e lo spazio. Ferrara estense, a cura di Giuseppe Papagni e Giuseppe Quondam, Bulzoni, Roma, 1982, pp. 233-246; Caterina Brandoli (a cura di), Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413), Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2011.
- Domenico Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa fatto e descritto da ser Mariano da Siena nel secolo XV. Codice inedito, Stamperia Magheri, Firenze, 1822. Più recente: Paolo Pirillo (a cura di), Mariano da Siena. Viaggio fatto al Santo Sepolcro. 1431, Pacini, Pisa, 1992.
- Marcos Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes de Pero Tafur por diversas partes del mundo avidos (1435-1439), Madrid, Imprenta de Miguel Ginesta, 1874; Giuseppe Bellini (a cura di), Andanças e viajes de Pero Tafur por diversas partes del mundo avidos, Bulzoni, Roma, 1986.
- Gioacchino Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa fatto e descritto per Roberto da Sanseverino, Romagnoli Dall’Acqua, Bologna, 1888.
- Pietro Porcasi (a cura di), William Wey, Itinerarium peregrinacionis (1458), Lecce, edizioni digitali del CISVA, 2010.
- Konrad Dietrich Hassler (a cura di), Evagatorium in Terrae Sanctae, Arabiae et Egypti peregrinationem, 3 voll., Stuttgart, Literarisch Verein, 1843.
- Giulio Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola a Gerusalemme tratto dall’autografo esistente nella Biblioteca Trivulzio, Tipografia di Paolo Ripamonti Carpano, Milano, 1855.
- C. Brandoli (a cura di), Viaggio del marchese cit., p. 65.
- Ibidem, p. 78.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa cit., p. 120.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 8.
- Ibidem, p. 12.
- Ibidem, p. 15.
- Ibidem, p. 47.
- Ibidem, p. 123.
- Ibidem, p. 125.
- Ibidem, p. 135.
- Ibidem, p. 258.
- Ibidem, p. 301.
- Ibidem, p. 302.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., p. 32.
- P. Porcasi (a cura di), William Wey, Itinerarium cit., p. 3.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, pp. 90, 132 e 159.
- Ibidem, III, p. 240.
- Ibidem, III, p. 294.
- Ibidem, III, p. 295.
- Ibidem, III, p. 351.
- Ibidem, III, p. 360.
- Ibidem.
- Ibidem, III, p. 363.
- Ibidem, II, p. 542.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa, cit., p. 236.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., pp. 11, 136, 139.
- Ibidem, p. 45.
- Ibidem, p. 47.
- Ibidem, p. 125.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 45.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa cit., p. 121.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 33.
- Ibidem, p. 29.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., pp. 119, 182.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 175.
- Ibidem, III, p. 145.
- Ibidem, III, p. 176: Italici vero ipsum mare mediterraneum complectuntur et negotiantur per ejus insulas et ad Constantinopolim et ad caeteras maritimas regiones Europae , Asiae , et Africae usque ad alium maris limbum , quem transgredi mercando non audent nec ultra procedere possunt , et portus transmarini magis nominati sunt Barutinus , Tripolitanus et Alexandrinus. Graeci vero, Capadoci, Armeni, Syri, Palaestini, Arabes et Aegyptii et Libyi negotiantur ab ora maris per suas latissimas regiones usque in Ardech, sive Thor, sub monte Sinai, et ibi tollunt ab Indis species aromaticas et ducunt eos in suas regiones, et Aegyptii Alexandriam replent.
- Ibidem, II, p. 542.
- Ibidem, III, p. 432.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., pp. 215 e 243.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 15.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 316.
- Ibidem, III, p. 369.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 123.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 360.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 204.
- P. Porcasi (a cura di), William Wey, Itinerarium cit., p. 3; K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, p. 186.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes, cit., p. 204.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 104.
- C. Brandoli (a cura di), Viaggio del marchese cit., p. 48.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 205.
- Ibidem, III, p. 240.
- Ibidem, III, p. 319.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes, cit., pp. 249 e 295.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 96.
- Ibidem, p. 18.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 304.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes, cit., p. 119.
- Ibidem, p. 298.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., p. 236; G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 37.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 104.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa cit., p. 120.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 45.
- Ibidem, p. 96.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, pp. 316, 351 e 360.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., pp. 6 e 135.
- Ibidem, pp. 123 e 301.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 299-300.
- Ibidem, I, p. 171.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 189.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 386.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., pp. 25, 70 e 232-245.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa cit., p. 12.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, p. 205.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., pp. 40 e 42.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, pp. 155 e 158.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., p. 70; K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, p. 205.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., pp. 40 e 42.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes, cit., pp. 136 e 255.
- Ibidem, p. 236.
- Ibidem, p. 6.
- Ibidem, p. 42; K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, pp. 136.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, pp. 131.
- Ibidem, III, p. 363.
- Ibidem, III, p. 295; G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 96.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 316.
- M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 256.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, pp. 369-370: altum acervum lapidum et super eum grandem crucem ligneam in signum portus. Sunt enim in locis portuosis sic signa locata, ut dum navigantes tempestas acceperit, possint videre, ad quae littora sine periculo confugere debeant.
- [M. Jiménez de la Espada (a cura di), Andanças e viajes cit., p. 12./efn_note]; sopra il monte di Giaffa, vi è una piccola torre attraverso la quale i marinai riconoscono il porto e la patria108P. Porcasi (a cura di), William Wey, Itinerarium cit., p. 4.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 252: Verum hoc, quod vulgus refert de isto Colosso magis mirabile est, quod fateor me non legisse sed audivisse. Dicunt enim, quod Colossus ille in mari stabat et portum rhodianum observabat, distentis enim ab’invicem cruribus stabat in introitu portus ita in altum erectus, quod naves quantumcumque altae et magnae per crurium medium sub ventre ejus intrabant.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa, p. 121.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, p. 46.
- Ibidem, III, pp. 175-176.
- Ibidem.
- Ibidem, I, p. 36; G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola cit., p. 33.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, p. 293.
- Ibidem, II, p. 469.
- Ibidem, III, pp. 177-178 e 211.
- Ibidem, I, pp. 33, 43, 52 e III, p. 363.
- G. Maruffi (a cura di), Viaggio in Terra Santa cit., pp. 32, 71, 185.
- G. Porro (a cura di), Viaggio di Pietro Casola, cit., pp. 42, 96.
- D. Moreni (a cura di), Del viaggio in Terra Santa cit., p. 121.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., III, pp. 211, 338, 369, 403.
- bidem, I, p. 203.
- P. Porcasi (a cura di), William Wey, Itinerarium cit., p. 4.
- K. D. Hassler (a cura di), Evagatorium cit., I, p. 171 e III, p. 217.
- Venezia, il suo porto e il mare sono indissolubilmente legati; per una panoramica cfr.: Ermanno Orlando, Venezia e il mare nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 2014.
- Per il porto di Alessandria, cfr. il saggio di Beatrice Borghi in questo numero: B. Borghi, Illuminare il Medioevo. Il faro di Alessandria e la storia, faro dell’umanità, «Bibliomanie», 58 (2024).
- I viaggiatori del Tre e Quattrocento giunti a Rodi sono al centro dell’articolo di Michel Balard, cfr.: M.Balard, The urban landscape of Rhodes as perceived by fourteenth and fifteenth century travellers, «Mediterranean Historical Review», 10 (1995), pp. 24-34.
- Sulla rete transmediterranea dei pellegrini cfr. i saggi contenuti in: Michele Bacci e Martin Rohde (a cura di), The Holy Portolano / Le portulan sacré. The Sacred Geography of Navigation in the Middle Ages. Fribourg Colloquium 2013 / La géographie religieuse de la navigation au Moyen Âge. Colloque Fribourgeois 2013, Berlin, München, Boston, De Gruyter, 2014
- Per la dinamicità del mercato delle Fiandre e in particolare di Bruges nel XV secolo, cfr.: Laura Galoppini, Mercanti fiorentini e Bruges nel tardo medioevo, Pisa University Press, 2014.
- Per approfondire, cfr: John L. Meloy, Imperial Power and Maritime Trade: Mecca and Cairo in the Later Middle Ages, Middle East Documentation Center, Chicago, 2010.
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