Voce di donna: Persepolis di Marjane Satrapi tra Iran, identità e graphic novel
Alice Sibilio, Voce di donna: Persepolis di Marjane Satrapi tra Iran, identità e graphic novel, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 16, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12039
Tra l’attentato dell’11 settembre 2001 e la War on Terror portata avanti dal presidente americano George W. Bush, la fumettista iraniana Marjane Satrapi pubblica Persepolis1, un’opera autobiografica che racconta la sua giovinezza in Iran durante la rivoluzione e la successiva guerra Iran-Iraq, seguita dall’esperienza dell’esilio in Europa.
Nonostante il clima politico delicato, Satrapi si fa strada in Occidente con audacia: il modo in cui prende le distanze dal fondamentalismo islamico e denuncia il regime teocratico iraniano dell’ayatollah Khomeini, instaurato con la Rivoluzione del 1979, risuona profondamente tra il pubblico europeo e statunitense, tanto che Persepolis diventa, in alcuni casi, oggetto di studio nelle scuole. Il successo dell’opera in Occidente è legato anche alla posizione critica dell’autrice verso il governo iraniano, percepita come strategica, in un periodo di crescente islamofobia, per attaccare un Paese considerato culla del terrorismo integralista. Tuttavia, Persepolis non può essere ridotto ad una semplice propaganda antislamica; attraverso una narrazione autenticamente autobiografica, Satrapi restituisce le sfaccettature di un’esperienza profondamente umana e travagliata, vissuta in un contesto globale dove per una donna iraniana non è quasi mai facile trovare spazio di espressione.
Satrapi non si limita a denunciare un mondo profondamente mutato sotto i suoi occhi; racconta l’Iran attraverso la lente della propria esperienza e di un’educazione liberale, individuando, nel percorso storico che delinea, le radici dei problemi della sua patria e mettendo in luce il rapporto squilibrato tra Oriente e Occidente.
Attraverso la sua esperienza, quindi, rivela come la percezione dell’Altro – l’Iran, e lei stessa – sia influenzata da un perenne meccanismo eurocentrico.
1. Orientalismo, occidentalismo ed esilio: un’identità ibrida
Il mondo che emerge da Persepolis è complesso, costellato di bias che si scontrano o si incontrano nella costruzione di diversi immaginari di Oriente e di Occidente.
Nel 1978, Edward Said pubblica Orientalismo2, un saggio che analizza l’immaginario europeo dell’Oriente, spesso percepito come un territorio statico e arretrato. Poco dopo, il termine “orientalismo” inizia ad essere impiegato negli studi storico-artistici e post-coloniali per sottolineare l’eredità di atteggiamenti discriminatori e paternalistici di matrice imperialista, che il mondo occidentale ha costruito nei confronti dell’Oriente.
Sull’altra faccia della medaglia è possibile individuare l’“occidentalismo”. Come scrive il Professor Typhaine Leservot in Occidentalism: Rewriting the West in Marjane Satrapi’s “Persepolis”3, con occidentalismo si intende l’immagine dell’Occidente che si sviluppa nel contesto orientale, anch’essa imperfetta e stereotipata, e caratterizzata da percezioni semplificate e distorte.
In Persepolis, questi due concetti vanno a braccetto. La loro relazione, descritta sia nella graphic novel che nella sua trasposizione cinematografica4, affonda le radici nella storia della colonizzazione e successiva decolonizzazione, nell’imperialismo e nel neo-imperialismo dell’Occidente, che mantiene una forma di controllo – alla Foucault5 – attraverso il proprio sguardo mediatico. Est ed Ovest si scontrano, ma è chiaro fin da subito come operino secondo le stesse dinamiche.
Il lato autobiografico che viene raccontato rappresenta un esempio concreto dell’interazione tra gli immaginari malleabili dei luoghi con cui l’autrice entra in contatto, intrecciandosi al complesso processo di costruzione dell’identità che, in quanto rifugiata, è chiamata a sviluppare. Nata e cresciuta a Teheran, a quattordici anni viene costretta a trasferirsi a Vienna per frequentare il liceo francese. Il racconto della propria infanzia è immerso in un contesto familiare fortemente politicizzato a sinistra, con riferimenti culturali ed intellettuali che derivano dall’Occidente. A causa di un retaggio imperialista ancora forte, ben radicato in Iran, in questa prima fase Satrapi narra di una consumazione autentica di testi e filosofie occidentali, a sottolineare un coinvolgimento di alto livello intellettuale. Con l’instaurazione del regime teocratico di Khomeini, l’accesso ai prodotti culturali occidentali viene limitato, contribuendo a creare un’immagine dell’Occidente sempre più semplificata e stereotipata. In questo contesto, l’Occidente diventa al tempo stesso una fonte di desiderio e un simbolo di opposizione. I ceti sociali più alti, privati delle influenze culturali esterne a cui erano abituati, finiscono per idealizzare un’immagine dell’Occidente come luogo di libertà e modernità, caricandolo di significati liberatori che rispondono al loro bisogno di sfuggire alle rigide restrizioni imposte dal regime.
Come scrive Leservot6, Satrapi rappresenta l’occidentalismo iraniano attraverso due forme antitetiche: quella della classe media e quella del governo. La classe media, oppressa dalle restrizioni, vede nell’Occidente un modello di progresso e di emancipazione, proiettandovi i propri ideali di modernità. Dall’altro lato, il governo teocratico demonizza l’Occidente, utilizzandolo come uno strumento per consolidare il proprio potere e giustificare la repressione interna. Di conseguenza, l’occidentalizzazione dell’Iran viene percepita da molti come una forma di contestazione al regime integralista, una risposta alla chiusura culturale e alla repressione che caratterizzano l’epoca post-rivoluzionaria.
Man mano che il governo cerca di sradicare la presenza occidentale dalla quotidianità, si sfocia in atti di pura protesta espressi attraverso dei comportamenti che richiamano proprio l’Occidente, a dimostrazione della difficoltà nell’entrare in aperta dissidenza con il regime. Il personaggio di Marji – l’avatar dell’autrice nel libro – racchiude questo mutare nella contestazione; durante l’infanzia, l’iconica scena «punk is not ded» diviene un esempio di ribellione giovanile che si lega ad una cultura pop vicina alla sua educazione. In un secondo momento, Marjane esprime la sua critica attraverso il fumo, l’alcol, e l’abbigliamento anticonvenzionale.
Dal momento che il regime etichetta come “occidentale” qualsiasi pratica non-iraniana, diventa chiaro come elementi di linguaggio del corpo e relativi all’abbigliamento sostituiscono un aperto dialogo politico di opposizione.
Il successivo trasferimento a Vienna diventa un momento di passaggio in cui l’idea e la realtà si incontrano e si scontrano, nell’autrice e nella percezione dello spazio attorno a lei, generando una vera e propria cristi identitaria. Indecisa se rimanere più fedele a se stessa o adattarsi maggiormente all’assetto sociale e culturale della nuova società in cui vive, Marji si trova a doversi confrontare con la dura realtà di una nuova società. In questo caso, l’orientalismo prende la forma di discriminazioni e pregiudizi, religiosi e razziali, che l’autrice affronta durante il suo soggiorno in Europa, a cui si aggiunge la difficoltà nell’essere considerata “altra” dalla comunità nella quale viene forzata a inserirsi7.
A questo punto delle vicende, Satrapi-autrice si muove abilmente; con una narrazione rapida e incisiva, riesce a costruire e decostruire gli stereotipi di entrambe le culture, senza collocarsi al centro, ma in un terzo polo8 narrativo e biografico da cui punta il dito in ogni direzione, denunciando ferocemente la complessità di una situazione in cui entrambe le parti sono colpevoli.
La possibilità di inserirsi in questo “terzo polo” deriva dalla sua condizione di esiliata, dalla distanza geografica dalla terra natia e dal divario culturale che inevitabilmente emerge dalla sua nuova residenza. Solo quando, in età adulta, tornerà in Europa, sarà in grado di riconoscere uno spazio sicuro nel quale muoversi liberamente; questo è uno spazio in cui orientalismo e occidentalismo si scontrano e si annullano a vicenda. Con le sue immagini evocative, Satrapi riesce a riempire un’area neutrale; rivendica lo stato di rifugiata nel quale è stata confinata, colmando, attraverso la sua arte, le dicotomie di coloni e colonizzatori, modernità e tradizione, secolare e religioso.
Per Satrapi, l’Occidente e la sua cultura, sebbene l’affinità con l’educazione ricevuta durante l’infanzia, restano un elemento di distanza. Quando si parla di diaspora – non solo nel caso di Persepolis – emerge la difficoltà di non sentirsi completamente aderente né da una parte né dall’altra, ma piuttosto in un limbo, dove un’identità ibrida permette di muoversi con maggiore fluidità tra pensieri, opinioni ed ideologie. La Professoressa Amy Malek nell’articolo Memoir as Iranian Exile Cultural Production: A Case Study of Marjane Satrapi’s Persepolis Series 9 cita il lavoro dell’autore iraniano Hamid Naficy sulla liminality10, uno stato di intervallo nel più ampio contesto di cultura dell’esilio. Questa condizione permette di parlare più approfonditamente di come:
[…] exiles become deterritorialized and are thus in a unique position to subvert and/or question previous “authorities, authenticities, identities and cultural practices, but also to forge new ones in their place.”11
L’esilio è quindi territorio di produttività, un momento per rimpiazzare i vecchi codici con dei nuovi linguaggi sincretici e delle nuove identità ibride. Nel caso specifico di Persepolis, il “terzo spazio” occupato dall’autrice diventa un luogo privilegiato che le permette di mettere in discussione la cultura dominante dell’Occidente ed il modo di guardare l’Oriente. Si manifesta così l’ambizione pedagogica che Satrapi esprime attraverso un formato eterogeneo, tra graphic novel e memoir; attraverso la mescolanza di parole e immagini, l’opera diventa uno strumento di resistenza culturale, rifiuta le categorizzazioni tradizionali e invita il lettore a emanciparsi dalle narrazioni convenzionali.
2. Donna musulmana: la critica femminista
In un’ottica di costruzione identitaria legata alla condizione di esilio, l’essere donna è un elemento cruciale che modella e complica ogni passo. La dimensione femminile non si può trascurare, poiché l’intera opera di Satrapi nasce da un contesto di classe e di genere ben definito. L’educazione che riceve non mira solo a incoraggiare la libertà individuale, ma soprattutto a garantirle un’autonomia come donna.
Attraverso il racconto di Satrapi è possibile ripercorrere un vero e proprio processo di oppressione femminile a seguito dell’instaurazione del regime teocratico in Iran, evidenziando l’impatto profondo che queste restrizioni hanno avuto sulle ambizioni e sulle relazioni delle donne iraniane.
La libertà di Marji di poter abbracciare uno stile di vita punk sul modello occidentale si sgretola sempre più velocemente man mano che alle donne viene ordinato di indossare il velo, negato l’accesso agli studi, e imposto un confinamento crescente in un ambiente domestico ristretto. La sovrapposizione che spesso Satrapi fa tra il regime dell’ayatollah Khomeini e le dottrine islamiche, che sia intenzionale o meno, non le ha risparmiato critiche nell’ambito degli studi orientali e femministi. Sono molti gli studiosi che hanno individuato nell’opera alcune rappresentazioni di personaggi e situazioni caricaturali o eccessivamente generalizzate, tanto da spingerli a considerare il testo un esempio di femminismo neo-imperialista12. Non a caso, uno dei capitoli più discussi è proprio quello sul velo, imposto dal regime, in tutti i luoghi pubblici, nel 1980. Tuttavia, il messaggio di Satrapi non può essere considerato e relegato a critica eurocentrica dell’obbligo del velo.
Nel panorama del femminismo contemporaneo ed intersezionale di quarta ondata, la libertà di scelta è uno dei valori fondamentali del movimento; proprio questa libertà viene a mancare nel momento in cui il velo, da elemento religioso assume un significato politico, e viene imposto. In questo modo, diventa uno strumento di oppressione, di privazione della libertà e di controllo della donna.
Proprio il fatto che vi si dedichi un’intera sezione, e non poche sequenze di immagini, dovrebbe suggerire l’importanza e la complessità del tema. Come presentato dalla ricercatrice Marie Ostby nel suo articolo Graphics and Global Dissent: Marjane Satrapi’s Persepolis, Persian Miniatures, and the Multifaceted Power of Comic Protest13, la stessa copertina del capitolo disegnata da Satrapi ha una connotazione interessante: un occhio su sfondo nero – un’allusione al velo, ma anche al controllo e alla sorveglianza. Un occhio che richiama nuovamente Foucault, un “guardiano invisibile”, ovvero un regime che osserva costantemente. Il riquadro con l’occhio stilizzato diventa un dispositivo visivo che rispecchia la duplice oppressione: quella fisica esercitata dal regime attraverso il velo ma anche quella psicologica esercitata dall’“occhio” occidentale, che Satrapi, attraverso Marji, tenta di contrastare con la sua narrazione visiva complessa e provocatoria.
Il regime controlla e vìola il corpo della donna con il pretesto di proteggerla, andando, piuttosto, ad interferire sempre di più nei suoi spazi di arbitrarietà e sicurezza. Questo elemento non viene fuori solo con la Rivoluzione Iraniana del 1979; la radicalizzazione del potere trova sempre come modalità di funzione il controllo dei corpi, soprattutto quello della donna, indebolito da una considerazione gerarchica di genere che la pone tra gli scalini più bassi della scala sociale. Se in Occidente i meccanismi di repressione femminile si manifestano spesso in modo più subdolo, attraverso limitazioni dell’attività della donna che si svincolano da leggi e costituzioni, in Oriente appaiono più palesi agli occhi degli occidentali, poiché utilizzano spesso riferimenti espliciti a filosofie religiose, trasformate poi in ideologie politiche. Il dibattito del velo continua ad esserne l’esempio lampante, in quanto cambia visivamente la percezione della donna all’interno della società.
Prima di Satrapi, molte intellettuali femministe e musulmane hanno discusso il significato del velo e il suo impiego come simbolo di controllo patriarcale. Nell’articolo Unveiling Voices and Empowering Narratives: A Comprehensive Exploration of Islamic Feminism in Marjane Satrapi’s Persepolis14 di Liyana K. ed Dr. Alagesan M., vengono citate, tra le tante, le studiose Amina Wadud e Fatema Mernissi15, figure chiave nel dibattito sul velo. Wadud e Mernissi interpretano il velo come un elemento associato a un passato oppressivo e patriarcale che limita l’autonomia della donna: solo la libertà nella scelta di indossarlo o meno può emanciparle e liberare l’oggetto stesso dalle catene di una misoginia ancorata alle interpretazioni religiose conservatrici.
Il dibatto è profondamente radicato nella storia e si evolve in parallelo con i cambiamenti nei governi e nelle leggi dei Paesi mediorientali. Infatti, la questione del velo trascende i tre decenni del Ventesimo secolo descritti da Satrapi, arrivando fino all’attualità: la contestazione è riemersa con forza durante le proteste, avvenute proprio in Iran nel 2022, a seguito dell’uccisione della ventiduenne Mahsa Amini, pestata a morte dalla polizia per non aver indossato correttamente il velo16. Ritorna sul tema la stessa Satrapi nel 2023 con la curatela del libro Donna, Vita, Libertà17 – titolo che riprende lo slogan delle proteste. Assieme ai collaboratori dell’opera, tra cui il politologo Farid Vahid, il reporter Jean-Pierre Perrin e lo storico Abbas Milani, Satrapi ripercorre le radici del regime attuale e sottolinea proprio come la condizione della donna sia centrale nella resistenza contro il regime. Il velo, all’interno di questo lavoro, è un esempio tangibile della privazione della libertà individuale; discusso e dibattuto in quanto emblema della pervasività del regime, si rivela ancora una volta un tema centrale nella lotta per i diritti delle donne in Iran.
Alla critica femminista non-bianca proposta da Satrapi si aggiunge un elemento fondamentale nella discussione di questi temi: il concetto di intersezionalità. Questo approccio permette di analizzare come le diverse oppressioni – di genere, razza, e classe – si sovrappongano, influenzando profondamente l’esperienza delle donne, soprattutto nel contesto della diaspora e della cultura islamica. Satrapi utilizza l’intersezionalità per evidenziare la complessità delle identità che si intrecciano nella sua narrazione. La capacità dell’autrice di affrontare in modo schierato e deciso le dinamiche politiche e sociali del suo paese è senz’altro favorita dall’educazione medio-borghese ricevuta durante l’infanzia e l’adolescenza. Provenendo da una famiglia benestante, ha avuto il privilegio di un’istruzione che le ha permesso di sviluppare una mentalità critica. I suoi genitori le hanno garantito la possibilità di studiare in Europa, proteggendola così dai pericoli della guerra; allo stesso tempo, però, scelgono di restare in Iran, impegnandosi attivamente nei movimenti di contestazione e resistenza contro il regime. Questo contesto non è trascurabile nella formazione del punto di vista di Satrapi, al quale si aggiunge successivamente la sua esperienza tra Iran, Austria e Francia. Gli anni vissuti tra culture diverse le permettono di esaminare le dinamiche di potere e le disuguaglianze di genere.
Dunque, alle categorie di religione ed etnia si aggiunge quindi quella di genere, un ulteriore fattore che rende la sua battaglia personale ancora più ardua. Marji è una donna musulmana in esilio, costretta a districarsi in un ambiente europeo carico di preconcetti e stereotipi, rafforzati dall’orientalismo descritto da Said. Si trova, quindi, a dover fare i conti con il peso delle aspettative culturali e delle narrazioni occidentali. La sua lotta contro un regime patriarcale e paternalista, intriso di misoginia mascherata da pretesti religiosi – che derivano dalle scuole di pensiero islamiche e dalle reinterpretazione dei canoni del Corano – è ulteriormente intensificata da una profonda nostalgia per la terra e l’identità culturale persiana a cui Satrapi è particolarmente legata e dalla quale, a seguito dell’imposizione del regime, viene strappata con forza, aumentando il senso di perdita e di resistenza nella sua narrazione.
La sovrapposizione di questi elementi, unita al concetto di intersezionalità, chiarisce perché Satrapi rifiuti una connotazione di femminismo esclusivamente bianco. Secondo l’autrice, infatti:
These sick feminists, they believe that since they have shown their legs and their breasts, they are very free. The idea that they look down at these women just because they‘re putting a veil on their head, it is just too much, and I didn‘t want to participate in that at all18.
3. Narrazione: tra graphic novel e memoir
La tradizione della graphic novel è strettamente legata all’Europa, in particolare alla cultura francese della bande-dessinée19; l’autore Andrea Plazzi ne ripercorre le origini nel suo articolo Il fantasma del fumetto20, sottolineando come il termine venga impiegato per marcare una differenza con il fumetto americano ed erigere queste opere – più “romanzi” che “fumetti” – a rispettabili generi letterari ed editoriali21.
Il mondo di cui parla Satrapi è una memoria condivisa che trova la propria fisicità nella sua arte rappresentativa. L’uso e l’impiego di uno stile grafico è travolgente, e serve Satrapi nel proprio obiettivo di rompere gli schemi e mostrare la realtà: la sua voce si accosta a delle immagini forti, che urlano assieme a lei. Non è comune che un progetto che impiega il medium della graphic novel per parlare di attualità raggiunga questo enorme successo; in questo Persepolis è preceduta solo dall’opera Maus22, graphic novel dello statunitense Art Spiegelman che racconta gli orrori dell’Olocausto.
Il medium sembra trova la sua fortuna quando viene associato a contenuti più intellettuali ed impegnativi, che si scostano dalla leggerezza spesso associata ai comics americani. Satrapi, consapevolmente o meno, si colloca con Persepolis tra i pionieri di questo genere, trasformando il racconto fumettistico in un mezzo attivo di una profonda narrazione autobiografica. L’impatto significativo dell’opera deriva dall’accostamento quasi antitetico di questo genere grafico a temi di guerra, identità e femminismo. Assieme all’opera di Spiegelman si dimostrano esempi rari che, tuttavia, riflettono la necessità di trovare nuovi strumenti per essere accessibili ad un pubblico ampio.
Tramite un’ibridazione di generi e media, Satrapi si propone di fornire una visione più sfumata e complessa della cultura iraniana, svincolandosi dalla rappresentazione occidentale ma anche da quella nazionale e integralista; infatti, presenta la diversità di personaggi ed esperienze che vivono in un paese a lungo considerato monolitico, impiegando un medium, come quello della grafica, comprensibile a livello internazionale. Temi come il femminismo, l’identità, l’esilio e il cosmopolitismo, diventano temi avvicinabili attraverso una forma di narrazione, artistica e contenutistica, unica nel suo genere.
Nel suo lavoro, Satrapi utilizza un linguaggio semplice, diretto, attraverso immagini caratterizzate da linee spesse ma efficienti. Il lavoro artistico dell’autrice è tutt’altro che banale; Satrapi riesce ad unire una tradizione occidentale ben precisa, ad un tipo di rappresentazione iconografica legata alla cultura persiana, quale la pittura miniaturista, alla quale si rifà per l’impiego di una simbologia che richiama e recupera le figure chiave della tradizione rappresentativa, rielaborandole all’interno del proprio lavoro.
Ci si trova, così, davanti ad un intreccio di elementi visivi e contenutistici che si aggrappano alle tradizioni visive, letterarie, culturali che provengono dai diversi mondi che Satrapi tocca con mano durante la sua vita. L’autrice riesce anche a portare avanti una rivendicazione che si articola attraverso spazi e tematiche differenti; da una parte si lega a personaggi importanti del mondo iraniano e della cultura persiana, come la figura di Gordafarid, la saggia e coraggiosa eroina dell’opera epica persiana Shāhnāmeh23 (“Il Libro dei Re” o “L’Epopea dei Re”), tracciando un parallelismo visivo con il personaggio di Marji24. Dall’altra parte, questa rivendicazione di personaggi dell’epica aiuta a focalizzare il suo obiettivo di abbattimento delle restrittive norme religiose e politiche di genere. Attraverso la mescolanza di iconografie e culture diverse, Satrapi sfida e supera un’immagine tradizionale, sia nei temi che nelle rappresentazioni stesse.
Inoltre, la grande capacità di Satrapi sta nel parlare con il pubblico e renderlo un partecipante attivo nella decodificazione dell’arte e della narrazione; all’interno dei diversi livelli di lettura, il pubblico individua e sviscera una complessità non solo autobiografica, ma anche strettamente collegata alla rappresentazione culturale del paese. L’Iran che Satrapi narra attraverso la sua opera è un paese dalle innumerevoli sfaccettature e da una storia culturale inestinguibile con la rivoluzione; non si può disegnare sotto il filtro dell’orientalismo proveniente dall’influenza occidentale, e nemmeno si può esaurire all’interno di un discorso nazionalista e integralista.
Multimediale e transnazionale, abbattendo i limiti di un genere letterario attraverso la combinazione di elementi che propone, ma anche della cornice orientalistica o fondamentalista creata sull’Iran attraverso un’ottica globale e intersezionale, si può parlare dell’opera di Satrapi come un esempio di cosmopolitismo.
Conclusione
Alla fine, Marji arriva a nascondere la propria nazionalità durante il suo soggiorno viennese, fingendosi francese. Dopo un lungo periodo di difficoltà economiche e mediche in Austria, decide di tornare in Iran; qui, riemerge il disagio del doversi riadattare al proprio paese. Successivamente, dopo una laurea e un matrimonio che finisce in divorzio, parte nuovamente, questa volta con la consapevolezza di un’adulta che sceglie di andarsene; si trasferisce a Parigi, dove risiede tuttora.
Per tutto il tempo, la vita di Satrapi si muove di pari passo con gli avvenimenti politico-sociali del contesto iraniano; diventa impossibile leggere dei suoi spostamenti e delle sue riflessioni, persino all’estero, senza rivolgere uno sguardo al susseguirsi delle vicende in Medio Oriente. Il legame è forte; la sua autobiografia diventa una storia del proprio Paese. Allo stesso tempo, la bravura di Satrapi risiede nel rendere condivisibile una narrazione biografica, senza sfociare nell’universalismo; il suo racconto, sebbene offra degli spunti per una riflessione collettiva, rimane profondamente suo, personale e autentico.
Persepolis è, inoltre, un’opera contemporanea. La condizione delle donne nei Paesi islamici è ancora tema di dibattito all’interno dei movimenti femministi, ma anche il motore di contestazioni popolari e ribellioni interne. Anche il rapporto tra Oriente ed Occidente rimane una conversazione più attuale che mai, con un riguardo particolare ai conflitti e alle questioni che si stanno ancora oggi dispiegando – a vent’anni di distanza dall’uscita del libro – in Medio Oriente.
L’autrice stessa, nell’introduzione al suo lavoro, scrive:
This is why writing Persepolis was so important to me. I believe that an entire nation should not be judged by the wrongdoings of a few extremists. I also don’t want those Iranians who lost their lives in prisons defending freedom, who died in the war against Iraq, who suffered under various repressive regimes, or who were forced to leave their families and fee their homeland to be forgotten. One can forgive but one should never forget25
Persepolis non è solo un memoir, ma un manifesto di resistenza e un invito a riconsiderare le categorie con cui definiamo il femminismo, l’identità e la libertà, rendendolo un punto di riferimento nella letteratura e nella cultura visuale contemporanea. Come fa notare Malek26, sebbene il tentativo di rendere l’opera una “traduzione culturale” dell’Iran indirizzato alle comunità non-iraniane, alla fine si rivolge anche agli iraniani in diaspora, colmando un divario generazionale.
Grazie alla potenza evocativa della sua narrazione e alla capacità di fondere il personale con il politico, Satrapi ci ricorda che il racconto di una vita può diventare il racconto di una lotta universale, risuonando con forza anche oltre le barriere culturali.
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Note
- Persepolis viene originariamente pubblicato, in francese, dalla casa editrice L’Association, in quattro volumi, tra il 2000 e il 2003. La versione inglese, pubblicata negli Stati Uniti dalla Pantheon Books e nel Regno Unito dalla Jonathan Cape, divideranno l’opera in due: Persepolis 1: The Story of a Childhood e Persepolis 2: The Story of a Return, pubblicati rispettivamente nel 2003 e nel 2004.
- V. Said, E. W., Orientalism, Pantheon Books, New York City, 1978; trad. it., Stefano Galli, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, 2001, pp. 37-97.
- Cfr. Leservot, T., “Occidentalism: Rewriting the West in Marjane Satrapi’s “Persépolis”” in French Forum, Vol. 36, No. 1 (Winter 2011) pp. 115-130.
- Grazie ad una produzione franco-statunitense, nel 2007 Persepolis diventa un film con l’omonimo titolo, presentato nello stesso anno al Festival del cinema di Cannes, dove vince il Premio della Giuria.
- V. Foucault, M., Surveiller et punir: Naissance de la prison, Parigi, Gallimard, 1975; trad. it. Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, A. Tarchetti, Torino, Einaudi, 2014, pp. 147-153.
- Leservot, op. cit., 124-126.
- Sono molte le scene contraddittorie che emergono dal racconto della fase viennese dell’autrice; il contatto con questo gruppo bohémien di giovani austriaci ridimensiona la sua percezione dell’Occidente, portando alla luce le parabole ipocrite che vengono fuori dai loro discorsi. V. Satrapi, M., The complete Persepolis, Pantheon Books, New York, 2007, pp. 165-166.
- Malek, A., “Memoir as Iranian Exile Cultural Production: A Case Study of Marjane Satrapi’s Persepolis Series” in Iranian Studies, V. 39, No. 3, September 2006, p. 353-380. Viene riportata, a proposito, la citazione del filosofo indiano-statunitense Homi Bhabha: «This third space displaces the histories that constitute it, and sets up new structures of authority, new political initiatives, which are inadequately understood through received wisdom», p. 357.
- Ibid., pp. 353-380.
- Traducibile con «liminalità». V. Naficy, H., The Making of Exile Cultures: Iranian Television in Los Angeles, p. 8 in Malek, op. cit., p. 355.
- Ibid., p. 356.
- V. Morrow, C., “Feminist Neoimperialism in Marjane Satrapi’s Persepolis” in Unveiling desire. Fallen Women in Literature, Culture, and Films of the East, edit. da Das, D., e Morrow, C., Rutgers University Press, 2018, pp. 23-40. L’autrice parla di “femminismo neoimperialista” come un atteggiamento del movimento femminista di riconoscere nell’Islam la sola caratteristica dell’oppressione della donna, giustificando, in questo modo, le azioni occidentali. Scrive Morrow: «In short, feminist neoimperialism genders the false dichotomy between West and East that, as Ward Said famously argues in Orientalism, depicts the East as the inferior Other in relation to the “superior” Western Self», p. 26.
- V. Ostby, M., “Graphics and Global Dissent: Marjane Satrapi’s Persepolis, Persian Miniatures, and the Multifaceted Power of Comic Protest”, in PMLA , Cambridge University Press, May 2017, Vol. 132, No. 3, pp. 558-579.
- K., Liyana, Alagesan, M., “Unveiling Voices and Empowering Narratives: A Comprehensive Exploration of Islamic Feminism in Marjane Satrapi’s Persepolis”, in World journal of English language, 2024-05, Vol.14 (5), p.132-145.
- Ivi, p. 139.
- V. Laignel Sauvage, R., “16 septembre 2022 : la révolte des Iraniennes après la mort de Mahsa Amini” in L’INA éclaire l’actu, Institut national de l’audiovisuel | INA, consultata il 5/11/2024.
- Donna, vita, libertà. Avere vent’anni in Iran e morire per i diritti delle donne viene pubblicato nel 2023, ed è a cura della stessa Marjane Satrapi. Trad. ita. di Lara Pollero, Rizzoli Lizard, 2023.
- Alagesan, op. cit., p. 133.
- Ostby, op. cit., p. 570.
- Plazzi, A., “Il fantasma del fumetto” in Il Mulino, Fascicolo 2, marzo-aprile 2009, pp. 331-336.
- Ibid., p. 333.
- Maus, di Art Spiegelman, fu originariamente pubblicata a puntate dalla rivista di fumetti statunitense RAW, tra il 1980 e il 1991, e poi raccolta in due albi, pubblicati nel 1986 e nello stesso 1991. Racconto semi-biografico sull’esperienza del padre dell’autore nel campo di concentramento di Auschwitz, è l’unica opera di questo genere a rientrare, ancora nel 2023, nella categoria Special Awards and Citations del Premio Pulitzer.
- Il Libro dei Re è un’opera poetica del poeta persiano Firdusi risalente al 1000 d.C. Costituisce l’epica nazionale dei paesi di lingua persiana e della Grande Persia, ed è considerata l’opera letteraria definitiva dell’identità culturale etno-nazionale dell’Iran. V. Wikipedia, l’enciclopedia libera , consultato il 22/10/2024.
- Nella sua analisi, Ostby scrive: «Many Shahnāmeh Persian miniatures contain expressive or empowering images of female or gender-ambiguous figures who render the epic’s male warrior-heroes transixed, spell- bound, or otherwise momentarily powerless». Spesso, la figura di Gordafarid viene messa sullo stesso livello della controparte maschile, e ciò la rende, agli occhi di Marji, un esempio da seguire. La fantasia indossata nel disegno dell’eroina a cavallo è la stessa che viene usata, successivamente, per la piccola Satrapi. Ostby aggiunge: «As even the censor understands, “a Gord Afarid in a chador”—one whose hair is the object of allure and seduction, whose unveiling will invite enemy invasion and whose concealment will reinforce patriarchal seclusion rather than invoke the powers of gender deconstruction and even gender ambiguity to defend the homeland—“is no longer a Gord Afarid”(Persepolis 2 177)», p. 569.
- Satrapi, Persepolis 1, introduzione.
- Malek, op. cit., p. 380.
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