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I fari di Livorno e di Palermo nelle “istantanee” seicentesche di un cavaliere di Santo Stefano
di , numero 58, dicembre 2024, Note e Riflessioni, DOI

I fari di Livorno e di Palermo nelle “istantanee” seicentesche di un cavaliere di Santo Stefano
Come citare questo articolo:
Anna Agostini, I fari di Livorno e di Palermo nelle “istantanee” seicentesche di un cavaliere di Santo Stefano, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 13, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12049

All’imbocco sud del porto di Livorno è ubicato un faro che per fondazione risulta essere uno dei più antichi d’Italia. Andato completamente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, lo vediamo adesso in una ricostruzione deglia anni Cinquanta del Novecento1.
Il Fanale dei Pisani o Fanale Maggiore fu costruito dalla Repubblica di Pisa in sostituzione di quello posto alle secche della Meloria, abbattuto dai genovesi durante l’omonima battaglia nel 1284.
L’impianto originale, eretto tra il 1303 e il 1305 da Giovanni Pisano era considerato nel XIV secolo una opera architettonica di notevole valore citata anche da Petrarca e da Dante per la sua funzione ma anche per la sua stabilità2.
In epoca moderna il faro fu oggetto di una ricostruzione nel 1584 per volere di Francesco I de Medici che fece collocare alla base un lazzaretto.
Del periodo mediceo esiste una interessantissima documentazione iconografica di Ignazio Fabroni ( Pistoia 1642-1693)3, rampollo di una nobile famiglia pistoiese e cavaliere al servizio dell’Ordine di Santo Stefano che, attraverso una narrazione per immagini, ci ha lasciato una ricchissima testimonianza della vita che si svolgeva a bordo delle galere, ma anche interessanti notizie sulle imprese militari dell’ordine militare cavalleresco istituito da Cosimo I nel 1561 e inedite descrizioni dei porti e delle isole del Mediterraneo.
Si tratta di vedute ed impressioni delineate su taccuini o su carte volanti, durante il tempo che la vita militare lasciava libero, nelle ore di ozio o nelle attese nei porti per le quarantene e solo successivamente riunite, e completate. Gli 842 disegni realizzati dal Fabroni ci sono pervenuti disposti in un unico codice legato in pergamena, recante il titolo Album di ricordi di viaggi e di navigazioni sopra le galere toscane dall’anno 1664 all’anno 1687 del cavaliere Ignazio Fabroni, conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze4.
Ignazio annotava e disegnava per sottrarsi al tedio delle monotone giornate di navigazione, per fissare il ricordo delle avventure più suggestive avvenute durante le sue peregrinazioni sulle galere, non si prefiggeva scopi letterari né intendimenti d’arte, il suo era solo un bisogno istintivo una gioia dello spirito e solo in seguito raccolse i suoi schizzi forse per mostrarli ai parenti ed agli amici che frequentavano la sua casa.
L’Album nasce come un documento privato, non è una fonte ufficiale, l’autore è interessato unicamente a restituire un’immagine il più possibile fedele alla realtà, la stessa “istantanea” che appariva ai suoi occhi di osservatore. Usava la carta e la matita come noi useremo un apparecchio fotografico, con il tentativo di mantenere traccia di ciò che più ci ha colpito.
Le immagini che ritraggono il fanale labronico fanno parte di una serie di disegni dedicati ad illustrare Livorno, intorno al 1670, quando la città era divenuta la base navale della Toscana medicea e uno scalo marittimo di grande importanza economica.
Livorno era il porto dove i cavalieri di Santo Stefano si riunivano per gli imbarchi e dove spesso al ritorno dai viaggi sostavano per la quarantena.
Tra i disegni, tratteggiati durante le lunghe e noiose attese in mare per ottenere la pratica di entrata, il più grande è la «Veduta del porto di Livorno tirata sul fanale5
La città, vista dal mare, è resa di profilo in un dettagliatissimo disegno delineato a matita e penna con tocchi di acquarello nel 1673. Livorno è ritratta nella piena prosperità commerciale ed economica nel periodo in cui si avviava verso il conseguimento del porto franco, ottenuto pochi anni dopo. La floridezza economica è percepibile attraverso la resa del porto con gli alberi di navi di varie dimensioni e tipologie: galere, vascelli, brigantini battenti anche bandiere straniere. L’oculata politica granducale aveva infatti favorito un grande afflusso di imbarcazioni inglesi tanto da far divenire il porto toscano la base primaria nel Mediterraneo del traffico mercantile anglosassone.
Ignazio, ben consapevole dell’importanza del fanale per il porto, non avendo potuto evidenziare la sua funzione nel grande quadro d’insieme, dedica ad esso un disegno specifico che lo mostra nel dettaglio.

Ignazio Fabroni, Fanale di Livorno, Ms 199, c. 84r

Come risulta dall’immagine, delineata a penna e sanguigna, il faro era formato da due torri merlate sovrapposte con base a tronco di cono. La base inferiore aveva un diamentro maggiore ed era costruita su un basamento poligonale a tredici lati. In alto sopra la torre è visibile la lanterna mentre in basso si notano costruzioni fatte edificare nel 1574 e che ancora nel periodo nel quale Ignazio delinea la veduta, tra 1670-73 circa, erano adibite a lazzaretto.
Una ulteriore veduta del fanale è quella che il Fabroni chiama «Vista del Fanale di Livorno»6 e che è delineata dal molo.

Ignazio Fabroni, Vista del Fanale di Livorno dal molo, Ms 199, c. 157r.


Questo disegno permette di analizzare l’esatta posizione del faro nel porto mediceo. L’edificio è contrassegnato dalla lettera C mentre dietro in lontananza la lettera A indica Portoferraio sulla costa elbana e l’isola di Capraia con la lettera B.
Il disegno mostra una bella veduta del porto labronico con l’apertura sullo specchio d’acqua fino alle isole dell’arcipelago toscano e permette anche al Fabroni di ritagliare uno spazio per ritrarre un gruppo di schiavi appoggiati o seduti lungo il molo in atteggiamento di riposo. L’attenzione agli schiavi sia sulle galere che a terra è un tema assai frequente nelle immagini del nostro cavaliere che sia nella grafica che nei commenti che accompagnano i sui lavori mostra sempre un animo aperto e tollerante, un atteggiamento privo di pregiudizi religiosi o sociali.
Nei suoi disegni è attento a descrivere il ruolo delle ciurme sulle navi, ma documenta anche la loro condizione umana: il loro particolare modo di vestire, le loro acconciature, e talvolta sembra quasi fare delle analisi psicologiche cercando, attraverso il segno, di penetrare nel loro animo.
Ignazio fu un cavaliere al servizio del suo granduca per mare e per terra ma anche viaggiatore curioso dotato di un una mentalità moderna e raffinata; scorrendo il suo Album possiamo ripercorrere le vicende della marina stefanina per un periodo di oltre venti anni.
L’attività ordinaria della marina granducale era quella di effettuare ogni anno da maggio a settembre viaggi di corso per combattere e catturare le navi pirate barbaresche che scorazzavano nel mare Medirerraneo attaccando il traffico mercantile e saccheggiando le località poste sulle coste e nelle isole.  A tale attività si alternavano navigazioni per accompagnare ambasciatori, dignitari e gli stessi granduchi in missioni diplomatiche e viaggi a carattere prettamente commerciale in modo particolare nell’ambito del trasporto delle sete verso la Sicilia.
Nei disegni del Fabroni esiste un nucleo abbastanza nutrito di immagini riferite alle città della costa siciliana, Messina, Milazzo, Trapani e Palermo.
Tra le “istantanee” fissate dal mare una è dedicata alla «Molo con sua Fortezza e Lanterna della Città di Palermo»7.

Ignazio Fabroni, Molo, Fortezza e Lanterna di Palermo, Ms 199, c. 64 r.


Il disegno delineato a penna e tratti di sanguigna non è datato ma fa parte di una serie di immagini riferibili al 1670.
L’immagine è una veduta complessiva della fortezza e della lanterna del nuovo molo della città siciliana edificato tra il 1567 e il 1590 in sostituzione del vecchio porto che era ormai insufficiente ad ospitare le navi mercantili e che necessitava di nuove opere di difesa.
Questo ingrandimento dell’area portuale a seguito di danneggiamenti per mareggiate fu oggetto di ricostruzioni nel 1622. Il molo fu protetto da una fortezza che inglobava i resti di una antica tonnara e della chiesetta di S. Giorgio e alla sua estremita aveva il faro che era stato edificato intorno al 1593.
Come si vede dal disegno il fanale era formato da una struttura cilindrica sopra una base fortificata che lo rendeva inespugnabile da eventuali attacchi provenienti da mare. La lanterna era posta all’estremità della struttura interamente percorsa al suo interno da una scala a chiocciola.

Note

  1. Sulla storia del fanale di Livorno si rimanda a: Dario Matteoni, Le città nella storia d’Italia. Livorno, Roma-Bari, Laterza, 1988 (2. Ed.), pp.12-13. ; Giuseppe Piombanti, Guida storica e artistica della città e dei dintorni di Livorno, Bologna, Forni, 1981, pp. 378-380.
  2. Si veda ad esempio in: Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, Canto V, vv. 14-15.
  3. Per la biografia e l’opera di Ignazio Fabroni si veda lo studio monografico, Anna Agostini, Istantanee dal Seicento. L’album di disegni del cavaliere pistoiese Ignazio Fabroni, Polistampa, Firenze, 2017.
  4. BNCF ( Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), Rossi Cassigoli, Ms 199.
  5. Ibidem, c. 91r.
  6. Ibidem, c. 157r.
  7. Ibidem, c. 64 r.

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