Recensione di Guglielmo Manitta, Storia e origini della fotografia. Dalla camera oscura alle conseguenze dell’annuncio di Daguerre (1500-1839), Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2024, pp. 378
Claudio Tugnoli, Recensione di Guglielmo Manitta, Storia e origini della fotografia. Dalla camera oscura alle conseguenze dell’annuncio di Daguerre (1500-1839), Il Convivio Editore, Castiglione di Sicilia (CT) 2024, pp. 378, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 23, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12060
Guglielmo Manitta è uno studioso di storia della scienza al quale, nonostante la giovane età, vanno riconosciute una competenza e un’esperienza di prim’ordine rispetto agli argomenti affrontati nelle precedenti pubblicazioni apparse presso Il Convivio Editore: L’eruzione dell’Etna del 1879 problema dell’Italia unita (2016); Orazio Silvestri e la vulcanologia dell’Etna e delle Isole Eolie (2017); curatela dell’album fotografico inedito di Orazio Silvestri e Tommaso Tagliarini, Etna. Eruzione e terremoti del maggio-giugno 1879 (2017). L’eruzione di Vulcano del 1888-1890 nelle Isole Eolie. Il carteggio inedito tra il Governo Crispi e la commissione scientifica (Silvestri, Mercalli, Grablovitz) (2018); Raffaele Vittorio Matteucci. Un vulcanologo marchigiano sul Vesuvio (1862-1909) (2023).
Il volume Storia e origini della fotografia è una ricerca originale e rigorosamente documentata su di un tema centrale della civiltà contemporanea, detta anche civiltà dell’immagine. La riproduzione dell’immagine dell’uomo e della realtà in tutte le sue molteplici prospettive è un’esperienza originaria dell’uomo, dallo specchio alla fotografia e al cinema. La differenza tra l’immagine speculare e quella fotografica è sostanziale, giacché nella prima il rispecchiamento è destinato a svanire al pari dell’ombra se l’oggetto esce dal campo, mentre nella seconda sopravvive per un tempo che dipende dalla durata del supporto sul quale è depositata l’immagine fotografica. Forse l’aspirazione a realizzare un’immagine stabile esprime la volontà di fermare il flusso del divenire senza tregua della vita conferendo lo status di permanenza rassicurante ai momenti, alle persone e alle circostanze di particolare rilevanza. E da questo punto di vista la fotografia ha un suo precedente nella pittura, in particolare nel ritratto. Plinio il Vecchio enuncia il mito dell’origine del ritratto, dal quale si evince l’anelito a trasformare l’impermanenza in permanenza: «Butade Sicionio, vasaio, per primo trovò l’arte di foggiare ritratti in argilla, e questo a Corinto, per merito della figlia che, presa d’amore per un giovane, dovendo quello andare via, tratteggiò i contorni della sua ombra, proiettata sulla parete dal lume di una lanterna; su queste linee il padre impresse l’argilla riproducendone il volto; fattolo seccare con gli altri oggetti di terracotta, lo mise in forno e tramandano che fu conservato nel Ninfeo finché Mummio non distrusse Corinto»1.
Ma oltre a pittura e scultura, la stessa scrittura obbedisce a questa esigenza costitutiva dell’essere umano, nell’intento di fare del transeunte qualcosa che si avvicina all’immortalità. I nostri pensieri, se non avessimo la possibilità di fissarli per iscritto, svanirebbero a causa della fragilità della memoria; e i discorsi come potrebbero essere ricordati e apprezzati dalle generazioni successive se non fossero stati riprodotti in modo tale da poter essere riascoltati in qualsiasi momento? Tutti gli apparati tecnologici apparsi lungo la storia dell’umanità si sono proposti in varie forme come strumenti di riproduzione di immagini riferite a un altro tempo. Cinema e video sono andati oltre, prolungando l’era della riproducibilità tecnica (per ricordare l’espressione di Walter Benjamin) di segmenti del divenire stesso, fino a scavalcare il crinale tra mera riproduzione e invenzione/falsificazione. Ma la manipolazione delle immagini ha una lunga storia, intrinseca all’ineludibile propensione degli esseri umani a mentire alterando il passato in armonia con i propri scopi o interessi, mediante la selezione o la soppressione di immagini e documenti da parte dei vincitori o semplicemente dei sopravvissuti.
Il saggio di Guglielmo Manitta parte da un’annotazione di M. Rizzardi che risale alla fine dell’800: «È generale il vezzo, in caso di scoperte importanti, di rivangare nel passato, di scavare dichiarazioni o esperienze o idee antiche per dimostrare che il germe dell’invenzione preesisteva al tale ed al tale altro dotto. Non c’è progresso nelle scienze che si sottragga a tale ossessione». L’autore si dichiara animato dalla stessa ossessione, «poiché tenta di individuare il primo germe dell’invenzione fotografica e ripercorrere quel filo storico che lo collega all’entrata ufficiale in scena nel 1839» (p. 7). La fotografia è un’invenzione o una scoperta? Secondo l’autore «queste due dimensioni coesistono e si completano a vicenda. La fotografia è il frutto dell’invenzione di un dispositivo realizzato dall’uomo, la camera oscura, e della scoperta di sostanze fotosensibili che permettono di catturare e fissare la luce e tramutarla in immagine. L’invenzione designa, infatti, un progetto e un piano di lavoro, la scoperta implica invece la comprensione di qualcosa naturalmente preesistente ma fino ad allora sconosciuto, perciò non sarebbe azzardato sostenere che la fotografia sia allo stesso tempo un’invenzione e una scoperta, proprio per il fatto che si fonda sulla camera oscura e su un materiale fotosensibile» (p. 10). Nel suo saggio Manitta fa riferimento alla fotografia come invenzione, poiché considera predominante l’apporto dell’umano ingegno nella creazione di questa tecnica rivoluzionaria, che oggi passa inosservata, ma che in realtà segna una cesura nettissima nella storia della civiltà occidentale. E non è la sola rivoluzione scientifica dell’Occidente europeo che, dal Seicento in poi, si è diffusa a livello planetario diventando patrimonio comune dell’umanità.
Il volume si divide in due parti, che affrontano l’età prefotografica e quella fotografica. L’età prefotografica è a sua volta suddivisa in due parti: «Una prima in cui gli esperimenti non mirano alla realizzazione di immagini; una seconda che inizia quando l’uomo si pone l’obiettivo di realizzare immagini fotografiche» (p. 9). La prima parte si compone dei seguenti capitoli: I) Le origini della camera oscura e il principio della proiezione delle immagini; II) I materiali fotosensibili dall’alchimia al metodo scientifico; III) Le prime impronte su supporto fotosensibile: lo Scotophorus di Schulze; IV) Gli studi sulla fotosintesi intorno alla metà del XVIII secolo; V) I continui progressi nella fotochimica da Scheele all’alba dell’Ottocento; VI) Le immagini alterabili di Thomas Wedgwood e la collaborazione con H. Davy; VII) Ultime scoperte prefotografiche: dai colori di Seebeck agli alogeni dell’argento. La seconda parte comprende i seguenti capitoli: VIII) Nicéphore Niépce dalle prime immagini fotografiche alla collaborazione con Daguerre; IX) Hercule Florence pioniere isolato della “photographie”; X) Louis Daguerre verso l’annuncio del Daguerreotype (1833-1839); XI) L’attacco dell’inglese Talbot e la difesa francese; XII) Pionieri della fotografia e rivendicazioni incrociate a partire dalla prima metà del 1839; XIII) Un dono al “mondo intero”: le istruzioni del dagherrotipo; XIV) Pionieri della fotografia in Francia negli ultimi mesi del 1839; XV) Ripercussioni mondiali: dalla “Dagherrotipomania” ai nuovi esperimenti del 1839 e oltre; XVI) L’eco dell’invenzione in Italia: notizie, bizzarre rivendicazioni e primi fotografi.
Il volume, come è testimoniato dalla bibliografia e dall’indice dei nomi e delle cose notevoli, è il risultato dello studio di un numero elevatissimo di fonti primarie, quali documenti a stampa, manoscritti e immagini fotografiche. Le citazioni sono riportate in lingua originale con accanto la traduzione italiana. Inoltre il lettore può approfondire visivamente documenti fotografici di particolare interesse per i primi passi della fotografia. Insomma il saggio possiede tutte le caratteristiche e i requisiti di un’opera di elevato livello scientifico.
Note
- Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, V, Mineralogia e storia dell’arte, traduzione e note di A. Corso, R. Mugellesi, G. Rosati, Einaudi Editore, Torino 1988, libro XXXV, 11-12, pp. 303-305.
Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2024 Claudio Tugnoli