Bibliomanie

Recensione di Francesco Roat, Senza più io né mio. La mistica di Margherita Porete, presentazione di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2024
di , numero 58, dicembre 2024, Letture e Recensioni, DOI

Recensione di Francesco Roat, Senza più io né mio. La mistica di Margherita Porete, presentazione di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2024
Come citare questo articolo:
Claudio Tugnoli, Recensione di Francesco Roat, Senza più io né mio. La mistica di Margherita Porete, presentazione di Marco Vannini, Le Lettere, Firenze 2024, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 24, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12064

Sappiamo molto poco di Margherita Porete, bruciata sul rogo in Place de Grève, a Parigi nel 1310 in quanto eretica; con lei fu arsa anche la versione originale della sua opera: Specchio delle anime semplici. Non sappiamo neppure come abbia vissuto il supplizio che le fu inflitto. Roat suppone che abbia affrontato con dignità il passaggio dalla vita alla morte, quella dignità con cui aveva affrontato il processo, respingendo con fermezza l’esortazione a ritrattare il contenuto del libro e ad abiurare alla propria concezione. Sarebbe interessante capire se l’accusa di eresia fosse fondata, oppure se essa non debba ascriversi all’intolleranza totalitaria che per secoli ha acceso roghi senza pietà. Il concetto di libertà religiosa, libertà di coscienza, di pensiero e di espressione, sostenuto con argomenti difficilmente confutabili da Spinoza nel suo Trattato teologico-politico, si sarebbe affermato in Occidente molti secoli dopo e con fatica. Oggi il totalitarismo, che si pensava sconfitto definitivamente, è riapparso avanzando pretese di legittimazione e di riconoscimento su scala globale. D’altra parte qualsiasi società si è sempre fondata sulla distinzione tra noi e loro, tra autoctoni e stranieri, tra maggioranza e minoranze. Se alla distinzione si aggiungeva la separazione, allora intervenivano diverse forme di repressione ed espulsione, che colpivano i cosiddetti “eretici”. L’etimo del termine eresia rinvia infatti alla decisione di seguire liberamente una propria strada, di adottare una personale interpretazione delle Scritture. L’eretico mette in discussione l’idea che la verità sia quella decisa e imposta dall’autorità politica, la quale avverte il dissenso come una minaccia mortale e dunque cercherà di combatterlo sopprimendo i dissidenti man mano che si rendono visibili.
Lo Specchio delle anime semplici è un testo di altissimo quoziente spirituale e teologico, che aveva bisogno di un esegeta competente come Francesco Roat, il quale ha dedicato studi di notevole profondità e acume ad alcune figure della mistica occidentale (La pienezza del vuoto. Tracce mistiche negli scritti di Robert Walser, 2012; Il cantore folle. Hölderlin e le poesie della torre, 2016; Religiosità in Nietzsche. Il vangelo di Zarathustra, 2017; Beatitudine. Angelus Silesius e Il pellegrino cherubico, 2019; Nulla volere, sapere, avere. I sermoni di Meister Eckhart, 2022). Umiltà e carità sono le caratteristiche di cui ciascun essere umano dovrebbe dar prova, riflettendo sul monito di Gn 3,19 e sull’insegnamento di Gesù (imparate da me, che sono mite e umile di cuore: Mt 11,29). Ma condursi secondo il principio dell’umiltà significa mettere in secondo piano la ragione umana – la prepotenza della logica – e affidarsi alla fede in Dio, intesa non come adesione ai dogmi della religione e accettazione senza riserve di tutto ciò che sopraggiunge lungo il cammino. Affidarsi a Dio in umiltà significa accettare che sia fatta la volontà di Dio e dunque accogliere qualsiasi evento in quanto espressione del volere divino. L’Anima che si conduce secondo umiltà tuttavia non è sottomessa a nient’altro che alla volontà di Dio: e qui sta tutta la sua libertà. L’Anima è libera dai mercanteggiamenti e compromessi mondani, non è corrotta dall’illusione di beni effimeri, ma soprattutto è libera dalla propria volontà, se lo Spirito la guida. L’affrancamento da pretese, brame, aspirazioni, avversioni, attaccamenti corrisponde al distacco di Dio stesso. Roat riprende un passo di Meister Eckhart, per il quale il distacco spirituale dal mondo è il requisito per entrare nella dimensione mistica: il mistico «distaccato e libero da ogni mercanteggiamento in tutte le sue opere, non va in cerca del proprio bene, nel medesimo modo nel quale Dio è distaccato in ogni sua opera e libero, e non va in cerca del proprio bene» (p. 25). 
Chi pratica la carità in senso proprio e radicale non ha cura di sé, non avendo nulla di proprio e adoperandosi per gli altri senza chiedere alcuna ricompensa. L’Anima che si affida completamente alla volontà di Dio vive nella pace incorruttibile, nessuno può toglierle nulla, dato che non possiede nulla. La rinuncia alla volontà propria implica persino la rinuncia dell’Anima a intraprendere un percorso di avvicinamento a gradi spirituali sempre più elevati, che sarebbe espressione di «mera brama egoica, pura filautia o amore eccessivo di sé» (p. 28). L’Anima che abbia realizzato il distacco radicale, l’Anima alla quale non è possibile insegnare nulla, alla quale nulla si può togliere o dare sentendosi del tutto assimilata a Dio stesso, senza mediazione alcuna, non doveva essere fraintesa quasi che mettesse da parte come irrilevante o superfluo ogni elemento di mediazione ecclesiastica e la stessa Scrittura?
La rinuncia alla volontà propria comporta l’abbandono di ogni attesa, da parte della Carità, di qualsiasi ricompensa, terrena o ultraterrena. E Roat con l’acribia dello studioso di lunga memoria riprende Eckhart su questo punto di convergenza con la Porete: «Se cerchi Dio e lo cerchi per il tuo proprio utile o per la tua beatitudine, invero non stai cercando Dio» (p. 35). Il distacco dell’Anima dal mondo mentre si avvia a indiarsi ha come conseguenza il totale disinteresse e svalutazione delle virtù tradizionali, le quali mantengono l’attaccamento al proprio io, nella vana pretesa di poterle vantare come premi a se stesse. La pratica delle virtù dovrà essere intesa come non strumentale, priva di scopo utilitaristico o egocentrico, come sarebbe l’aspirazione a progredire nella reputazione. D’altra parte, se il distacco è totale, non contano più nulla la reputazione, la ricchezza o la povertà, l’essere amati oppure odiati, la dannazione eterna o la beatitudine eterna. L’Anima che sotto la guida dello Spirito ha raggiunto di distacco perfetto, è Amore divino e tutt’uno con Dio stesso; essa così scavalca ogni forma di mediazione, controllo, verifica, istituzione e giustificazione da parte di questo mondo, finalmente smascherati come irrisori e inutili. Né va dimenticato che la Ragione esprime l’impegno a raggiungere per gradi la verità mediante l’argomentazione logica in ogni sua forma. E che cos’è l’argomentazione se non una mediazione che permette di distinguere il vero dal falso e di asseverare enunciati che si è obbligati a riconoscere come indubitabilmente veri? E se respingiamo la logica, come fa ogni mistico, avremo annullato i presupposti per riconoscere gli opposti: sapere/ignoranza, volontà/noluntas, ricchezza/povertà, vero/falso. Al mistico non importa nulla di non sapere, convinto di possedere la vera conoscenza. 
Che ne sarà dell’Anima dopo la morte? La morte della volontà (mors mystica) implica l’impossibilità di ritrovare l’Anima, dopo che si è unita a Dio, «non sussistendo più quale monade isolata ma facendo ormai parte della Totalità, dell’Uno» (p. 45). Con riferimento all’antica sapienza indiana, Roat spiega che la vera Realtà secondo la Porete va colta «oltre ogni distinzione/separazione: fra uno e due, spirito e mondo materiale, anima e Dio, singolarità e molteplicità, soggetto e oggetto» (p. 47). Il rapporto con il Divino, se inteso come oltre ogni distinzione e separazione, esclude necessariamente la pretesa che Dio risponda alle richieste e agli interrogativi dell’implorante. E anzi se la mia volontà si è completamente e sinceramente arresa alla volontà di Dio, la preghiera non ha più ragion d’essere. Che cosa deve chiedere un’Anima già pienamente completa in Dio, un’Anima per la quale il solo bene è l’Amore divino e che è perfettamente consapevole del proprio nulla? Un passo riportato da Roat illustra in sintesi efficace teologia, ontologia e antropologia di Margherita Porete: «Fintanto che io non voglio niente, dice quest’Anima, io sono sola in lui (Dio) senza me stessa, e del tutto libera, e quando voglio qualcosa, dice lei, io sono con me, e così ho perduto la libertà. Ma quando non voglio niente, e ho perduto tutto all’infuori del mio volere, allora non ho bisogno di niente; esser libera è la mia condizione» (p. 65).
L’idea della noluntas come distruzione dell’io è l’idea centrale della visione mistica, da Plotino a Simone Weil. Coloro che mantengono l’attaccamento al proprio io sperando e desiderando, sono morti spiritualmente. «La morte rispetto allo spirito, commenta Roat, ci mostra l’insignificanza di ogni asserto dottrinale, comporta la scomparsa di ogni supponenza intellettuale rispetto a quel mistero che è consuetudine chiamare Dio; così l’anima che ha fatto propria tale estinzione, grazie a essa perviene alla povertà decantata da Eckhart: quella tipica del mistico che “nulla sa” e niente vuole sapere dell’ambito divino. Deve infatti perire/scomparire ogni anelito: sia esso rispetto alla salvezza dell’anima, che all’ottenimento di qualsivoglia stato paradisiaco o liberatorio. Pure la ricerca/sete di Dio ha da venir meno» (p. 78). Lo stesso Eckhart non avrebbe chiesto a Dio di liberarlo da Dio? E Angelus Silesius non avrebbe inteso il distacco come rinuncia anche a Dio?
Il capitolo 92 dello Specchio delle anime semplici spiega come «l’Anima si libera di Dio, di sé medesima e del suo prossimo», una innegabile presa di distanza dall’ortodossia della religione cristiana (secondo la concezione dell’epoca), che certamente aggiungeva ulteriori “motivazioni” rispetto al giudizio di condanna di Margherita Porete in quanto eretica. Vale la pena riportare il giudizio di Marco Vannini, commentato dallo stesso Roat, in rapporto al significato del proposito di liberarsi di Dio: «Abbandonare Dio per Dio: questo uno dei motivi più forti della spiritualità di Margherita, come di quella eckhartiana. Significa lasciare il Dio determinato nei modi, definito sulla base dei nostri desideri, dei nostri bisogni, delle nostre volizioni (infatti la liberazione da Dio è in stretto rapporto con quella da noi stessi e dal nostro prossimo, che è termine dei nostri legami), perché, nel vuoto così fatto, possa prendere posto la vita stessa della Divinità senza modo, nella quale tutto, assolutamente tutto, è accolto in pace infinita» (p. 98). In ogni caso si cercherebbe invano di fissare una teoria del mistico, il quale è interessato unicamente alla liberazione dal proprio ego e a vivere l’esperienza dell’Unità tra io e Dio – l’Unità che paradossalmente è chiamata a unificare la stessa dualità che pure deve presupporre e “guarire”.
Margherita Porete descrive sette gradi dell’ascesi mistica. Il settimo grado non è raggiungibile in vita. Nel sesto stato secondo la Porete, «l’Anima non si vede affatto» e non vede nemmeno Dio, ma «Dio si vede in lei». Il seguito è una prova lampante dell’inadeguatezza del principio di non contraddizione rispetto al discorso mistico: «Lei non vede niente che esista, fuorché Dio stesso, che è, e in cui ogni cosa è; e ciò che è, è Dio stesso; e perciò lei non vede se non lei stessa, poiché chi vede ciò che è, non vede fuorché Dio stesso, che si vede in questa stessa Anima, nella propria maestà divina». Roat ci ricorda che Eckhart ha espresso un convincimento analogo nel Sermone 12: «L’occhio con il quale vedo Dio è lo stesso occhio con cui Dio mi vede; il mio occhio e l’occhio di Dio non son che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza e un solo amore» (p. 142). Il tentativo di enunciare mediante il linguaggio il superamento della separazione nell’Unità non può riuscire senza contraddizioni e apparenti nonsense, in virtù dei limiti che il linguaggio oppone alla comunicazione dell’esperienza mistica, la quale contraddice il fondamento stesso di ogni discorso.

Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2024 Claudio Tugnoli