Il fascino leggendario dei fari: di lago, di mare e dipinti
Maria Teresa Martini, Il fascino leggendario dei fari: di lago, di mare e dipinti, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 21, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12067
La redazione di Bibliomanie si è attivata per salvare la memoria e le tracce dei fari, della cultura che ci hanno trasmesso, delle vicende umane che li hanno coinvolti e delle varie interpretazioni simboliche.
Abito sul Garda, dove frequento due vecchie “conoscenze”.
Il faro di Riva del Garda
Sto parlando del Trampolino: Faro o lanterna che domina la Spiaggia degli olivi, progettato e realizzato da Giancarlo Maroni, l’ architetto che ha curato tutta la ristrutturazione del Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera, secondo le precise indicazioni di Gabriele D’Annunzio, che diceva «Chiedo a te l’ossatura architettonica, ma mi riserbo l’addobbo… Desidero di inventare i luoghi dove vivo».
Il Maroni compiva diversi interventi presso Riva del Garda, proprio su sollecitazione del poeta, per due progetti legati al rinnovamento turistico: la creazione dello stabilimento balneare detto Spiaggia degli Olivi, e la partecipazione alle scelte progettuali della centrale idroelettrica del Ponale.
Le architetture magistrali alla Spiaggia degli Olivi, inaugurate il 3 giugno 1934, ebbero grande successo presso le autorità e gli organi di stampa. Si presentava come un’architettura ideale, ispirata alla scenografia metafisica di De Chirico, con forme riprese dal mondo classico, quali i porticati ad arco, intorno all’edificio dalla forma ellittica ed il trampolino-faro, modernista, novecentista, ma in dialogo con l’immagine dell’antica torre Apponale. l pilastri squadrati rimandano alla struttura delle limonaie, che da secoli circondano il Garda Bresciano, l’uso dell’arco a tutto sesto ricorda l’architettura rinascimentale del territorio. Il complesso della Spiaggia degli Olivi celebrava la nuova Riva, diversa ma non contrapposta alla Riva antica. Era il 1929, l’anno della Grande crisi mondiale, quando Giancarlo Maroni, si propose di realizzare per Riva del Garda, un lido marino, che venne inaugurato proprio da Gabriele D’Annunzio nel 1934.
D’Annunzio nel ’28 aveva fondato a Riva del Garda un circolo velico e inaugurato la Fraglia della Vela ancora oggi attiva con Regate veliche di successo, i corsi per adulti e giovanissimi. Nel secondo novecento le strutture erano luogo di eventi serali e icona della vita mondana, con la presenza di gruppi rock e jazz nazionali, atleti e volti noti dello spettacolo.
Nel 2003 il complesso veniva chiuso per una ristrutturazione che si è conclusa con l’inaugurazione del marzo 2020, e l’affidamento a Fierecongressi-Riva del Garda.
Dopo il consolidamento della torretta, del molo, della piscina interna della Fraglia, il faro, già trampolino, della Spiaggia Olivi riaccendeva le luci, grazie ad una lampada led di 100 watt, che ancora oggi proietta un cono di luce di 9 miglia, inviando fasci luminosi sul Golfo Gardesano. Ritrovata la sua identità, celebra il proprio valore: gioiello di Art Decò e dell’arte razionalista lacustre.
Il faro di Desenzano
Al faro si arriva con una bella camminata sul molo, gustando il panorama su tutto il Garda, partendo dal porto nuovo o dal poco più lontano pittoresco porticciolo vecchio, davanti a palazzo Todeschini.
Successore dei bracieri romani, (nella cittadina c’è una bella villa tardo-antica con splendidi mosaici pavimentali datati alla metà del IV secolo, che arrivava fino ad un proprio porticciolo), dell’ illuminazioni a olio d’oliva, data la ricchezza di ulivi nel territorio, poi con lanterna illuminata a gas, fino all’ elettricità, Sentinella che ascende alle nuvole della costa rivolto a tutto l’orizzonte gardesano.
Il faro di Desenzano è stato punto di riferimento per molte imbarcazioni quando ancora a petrolio rischiarava le acque della costa ed era gestito da un addetto che abitava nelle vicinanze. Il borgo di Desenzano, durante il Medioevo, era conteso tra i Visconti, i Malatesta e gli Scaligeri, nel Quattrocento passava sotto la giurisdizione veneziana, diventando uno fra i più importanti mercati di granaglie dell’Italia settentrionale. Sotto la Repubblica di Venezia, l’antico porticciolo veniva ampliato e arricchito da nuove costruzioni, come Palazzo Todeschini, dal nome dell’architetto bresciano, Giulio Todeschini, che lo elevò nel 1580 circa, e che mantiene ancora la configurazione del ‘500. Il porto era il punto di arrivo di merce preziosa: olio, tessuti, agrumi, vini provenienti dalla parte settentrionale del lago e punto di partenza di cereali, olive, vini ecc…
Venezia, per proteggere tali merci aveva realizzato dei sistemi di illuminazione notturna, forse semplici bracieri, diventati fanali a olio. Amo ricordare che sia i bracieri a Desenzano che quelli di Nago e Torbole, nel 1439 sono stati testimoni dell’epica impresa dei Veneziani che trasportarono la loro flotta dall’Adige al Garda attraverso l’antica strada romana. Venticinque grosse barche, due galee, sei fregate, battenti bandiera della Serenissima, scendevano a liberare Brescia dall’assedio dei Visconti che controllavano in quegli anni la parte sud del lago di Garda. Risalito il fiume Adige, superata Mori grazie ad una strada in travi di legno appositamente costruita da un grande numero di uomini coadiuvati da ben 2000 buoi, valicato Passo San Giovanni, la flotta venne fatta scendere dalla ripida discesa che da Nago porta a Torbole, tramite grosse funi e a… “vele spiegate” a mo’ di freno. Grazie a queste imbarcazioni i veneziani riuscirono a vincere la battaglia contro i Visconti. Battaglia lacustre immortalata dal Tintoretto al Palazzo Ducale di Venezia, nelle pareti dell’aula del Senato.
I documenti di secoli dopo citano che, a partire dal 1843, alcuni fanali a petrolio erano affidati alla cura di un addetto pagato dal Comune, che provvedeva ad accenderli, tenendo conto anche delle fasi lunari.
Dal 1806 era iniziata la costruzione del molo e del faro in stile nordico, a cui seguiva nel 1880 la costruzione della diga foranea con un nuovo faro dotato di una lanterna rinnovata. Conclusasi entro il secolo consentiva al porto di Desenzano, nel 1894 la classificazione di marittimo, e unico tra i lacuali, grazie alla ristrutturazione, ai lavori di consolidamento, alla costruzione della torretta del faro, nata ancora dall’assembramento di pietre rustiche, sassi legate con malta.
Per questo nuovo faro posto all’imboccatura del porto, veniva assunta come personale più qualificato la coppia Flaminio Scarpa con la moglie Angela, che si stabilìva a Desenzano in uno stabile sul lungo lago, nei pressi dell’attuale caserma della Finanza. Finalmente la sera del 16 luglio 1895 si accendeva il nuovo fanale sul porto, nello stupore generale. Resterà in funzione fino al 1903, quando veniva adottata l’ illuminazione elettrica, con una lampada da 50 candele. Nel Novecento, il traffico lacustre veniva sostituito dai trasporti su ferrovia e su gomma, perdeva progressivamente la sua importanza strategica per il commercio, a questo punto diventava un punto di riferimento per il turismo, e per gemma il suo faro. Dal molo e dalla torretta-intorno alla lanterna si possono raggiungere con lo sguardo Sirmione, la costa veronese e quella bresciana del Garda. La vista spazia intorno al Golfo, da Rivoltella fino alla lunga penisola di Sirmione, con il Castello degli Scaligeri che si impone a distanza e disvela Peschiera, Lazise, Malcesine, Bardolino. Verso ovest dalla Rocca di Manerba a Gardone, Salò e Gargnano, emergono Padenghe e Moniga del Garda. Un’emozione unica sia quando il cielo azzurro intenso si riflette nella acque dalle mille sfumature di blu, sia nelle giornate di nebbia, quando la foschia a livello dell’acqua sembra perpetrare qualche leggenda intorno ad una penisola galleggiante. E le leggende lacustri sono molte.
La lanterna di Genova.
Quando ero studentessa delle medie, la zia Evarista mi ha portato dalla sua nipote Giulia a Genova. Vorrei trasmettervi lo stupore nell’arrivare alla stazione, mentre guardavo verso il Porto, già dai finestrini del treno, scorgere sul promontorio di Capo di Faro,la Lanterna, altissima. (75m.) Venivo dal Villaggio Caproni che non aveva neanche un campanile. La Lanterna si presentava come una vecchia Signora, dalla lunga storia e mi provocava una letizia infantile per la sorpresa. Nata come torre di guardia nel tempo era divenuta anche faro, sulla sommità si bruciavano fascine per segnalare ai naviganti i pericoli per l’accesso al porto. Nel 1326 veniva installata la prima lanterna ad olio di oliva, la sua luce era concentrata in un fascio che si estendeva per chilometri. Nella sommità della torre nel 1340 era stato dipinto lo stemma del comune di Genova, e da allora è rimasta il simbolo della città.
La rappresentazione di una prima Lanterna risale al 1371, sulla copertina di un registro dell’autorità marittima. L’attuale costruzione risale al 1543. Dopo essere stata prigione nel secoli precedenti, e nel Cinquecento parte della fortezza della Briglia, che i genovesi, insorti contro i francesi, bombardarono, danneggiando persino la Lanterna, la ridussero a “mezza torre”, per poi ricostruirla, con nuove merlature. Nei secoli successivi la potenza del faro aumentava notevolmente, grazie all’ introduzione di moderni sistemi ottici, e a quella di nuovi combustibili: dal gas di acetilene, al petrolio pressurizzato, fino all’elettrificazione del 1936. Aumentava anche il numero di trasporti e le imprese passavano dai velieri, alle navi a motore, ai portacontainer, ai panfili e alle navi veloci da crociera.
Adolescente la immaginavo intrepida superare le guerre tra guelfi e ghibellini, e che persino Brusichello mentre redigeva Il Milione di Marco Polo, guidato dai suoi racconti, potesse intravederla o sognarla dalle prigioni di San Giorgio. Pensavo a Colombo che la salutava alla partenza per la Spagna e per l’avventura di nuovi mondi.
Dopo le lotte coi Francesi del ‘600 e del ‘700, i pittori hanno cercato di coglierne la presenza alla partenza dei mille illuminata dalla luna, i fotografi quella della navi delle guerre mondiali, e nelle notti oscure nel secondo‘900, rivelare ancora, ai naviganti l’accesso al porto della città. Nel 1771 la torre era stata incatenata a mezzo di chiavarde e di tiranti ancora visibili, poi dotata di impianto parafulmine e consolidata alla fine del Settecento, alla base della prima torre. Il Regno Sabaudo riuscirà a imbrigliarla. Oggi ha il ruolo di aerofaro per l’Aeroporto Cristoforo Colombo. Ed io ho conservato per 60 anni, nonostante 10 traslochi, copia della lanterna contenente fiammiferi, acquistata nel primo viaggio.
Il faro di Trieste
Nel 2023 sono tornata a Trieste, dopo averla visitata in gita scolastica alle medie, e sono stata accolto dal Faro della Vittoria.
Posto sul colle di Gretta, al largo della Strada del Friuli, maestoso per chi giunge dal mare, domina il panorama, con i suoi 70 m. di altezza, ad eguagliare la Lanterna.
Interessante scoprire che l’idea di innalzare un monumento alla Vittoria era sorta proprio dopo la disfatta di Caporetto, e confermato dopo le successive battaglie dell’Isonzo e del Piave. Progettato per essere costruito sulla costa dell’Istria, vicino a Pola, venne poi deciso fosse più adatta la sede di Trieste, sulle solide fondamenta ottocentesche dell’ ex forte austriaco Kressich.
L’inizio dei lavori è del 1923 su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam, che l’ aveva disegnato dopo la fine della guerra 15/18; l’ inaugurazione avvenne nel 1927, alla presenza del re Vittorio Emanuele III.
Da allora celebra con ardimento ed alcune perplessità la vittoria italiana. Posto sulle pietre del Carso e dell’Istria commemora i caduti della prima guerra mondiale e stringe il cuore a chi si avvicina oggi per ricordarli e medita sul tanto sangue versato.
Anche a Trieste, dopo il restauro, il faro è stato riaperto alle visite turistiche dal maggio 1986, con notevole successo.
Naturalmente i fari italiani sono diversi e numerosi, affascinanti, intriganti, ho accennato solo ai quattro a cui sono legata e che al tempo stesso consentono al lettore di ripercorrere attraverso la loro storia, le tappe della più vasta storia italiana.
I fari hanno attratto, nei secoli, scrittori e pittori che ho avuto l’occasione di ammirare nei percorsi espositivi di questi ultimi anni.
Fari nell’arte: il faro come luogo dell’anima
Per gli artisti i fari sono figure amiche in cui identificarsi, compagni di viaggio, come lo è il mare, a partire dal mosaico col faro d’Alessandria, nella Basilica di San Marco, a Venezia, (Marco in viaggio verso Alessandria, 1503-1515) dedicato alla partenza di Marco e alle pacate attività sulla barca e al porto che fervono intorno a lui.
Nei dipinti di fari in epoche più vicine si può procedere dal senso di arcano di Salvator Rosa, al realismo di Constable, ai tocchi impressionisti di Signac e di Seurat. Ippolito Caffi dipinge il faro di Santa Lucia a Napoli nelle tinte rosacee del tramonto, in dialogo con il faro-at-the-hospice di Claude-Monet avvolto da variazioni grigio azzurre, che si riflettono dalle nuvole all’acqua del golfo e poi sulle vele e le altre imbarcazioni, con frammenti chiari.
Nel nostro Novecento Giorgio De Chirico pone il faro in un interno metafisico, sopra una roccaforte di mattoni molto robusta, circondato da cornici sovrapposte, mentre sta per essere colpito da un turbinio di flutti con creste schiumose e tempeste della volta celeste, mentre Carlo Carrà dipinge il faro, come fosse un silos agricolo, posto a difesa del campo, del colonnato, fino alla linea verde del mare. Indimenticabili le opere di William Turner, viste a Venezia, nella mostra presso il museo Correr, nel 2005.
Il faro di Bell Roch sul mare agitato di Turner si erge luminoso su un mare in burrasca, avvolto da onde gigantesche, nuvoloni neri su cui prorompono sfavillii improvvisi, le pennellate salgono dal cielo livido, investendo il faro che regge, ascendono, colore dopo colore verso un cielo dalle tonalità calde e dorate.
Turner si dimostra ancora una volta il mago della luce, con la quale esprime energie primordiali: acqua, aria, terra, fuoco. Negli oli, spesso mutuati dalla tecnica dell’acquarello, elabora disegni dal vivo, poi cielo e mare diventano un vortice di Energia come poesia del Sublime. Non pone figure, ma vele percosse da ondate gigantesche.
Per un faro visto dalla spiaggia, Turner usa altri timbri, la tempesta è già lontana ed ha perso il suo livore in un chiarore quieto, grigio e rosato. Il faro è metallico, mentre la spiaggia è vissuta da pescatori intorno alle vele a riva. La distesa del mare è di un chiarore intenso come fosse solo la spuma delle onde ancora agitate ed il faro è la frontiera tra civiltà e natura; luogo evocativo e seducente al di qua di un mare oscuro. Incastrato tra la linea verticale e l’immensità orizzontale, evoca il fascino leggendario dei fari che guidano le navi in porto attraversi i pericoli.
Arrivati al ‘900, riconosciamo insuperato maestro delle atmosfere solitarie dei fari fra l’oceano e le distese sabbiose Edward Hopper. Con la magia di delicati acquerelli degli anni ’30, dipinti durante le estati trascorse nel Massachusetts, nel Maine, a Truro, raffigura dune di sabbia arse dal sole, immortala fari bianchi e rossi, svettanti sui blu del cielo e del mare. Evoca storie sospese, personaggi estranei a se stessi e ai vicini. In Cape Cod Sunset dipinge una casa isolata, al tramonto, sembra in attesa di un evento… ma quale? Light at Two Lights è potente nell’immaginario di chi ama la solitudine.
Sono quadri calmi, silenti, luminosi. Tutto sembra essersi fermato, le atmosfere nell’ aria e dell’acqua sono sospese, nonostante intorno a Hopper gravitino due guerre mondiali, la tragedia di Hiroshima e le stragi in Estremo Oriente. Così in Lighthouse Hill scendono, dopo distese campestri verde e marroni, le ombre violacee della sera verso la casa e il faro isolato. In the long leg cielo e mare sfumano uno nell’altro immersi nel color glicine mentre la vela di una barca ondeggia come fosse una calla, di fronte ad un faro basso a piramide squadrata, in linea con tre abitazioni bianche dal tetto scuro.
Come era diverso Rocks and Houses, Ognunquit, del 1914, dove su un tetto circondato da altri tetti, era posta una lampada faro, in un insieme quasi confuso, con rimandi cupi sfumanti al violaceo. Ha posto persino una croce in lontananza, quasi a far memoria di storie terribili diffuse dai marinai della zona. Un quadro severo come il disegno del ’27, Light at Two Lights dove il faro domina arcigno la collina per proteggere la casa (o è la casa che vuol difendere il faro?) Tema ripreso ne la collina del faro, dove scendono le ombre più tarde della sera quasi plumbee, si rabbuia un cielo turchese e diventa color titanio, sul terreno scuro segnato da una sottile traccia di verde marino. La mattina dopo la stessa postazione o altra analoga, in uno dei due fari, è dipinta luminosissima.
Coast Guard Stationdel ’27, acquarello di bianchi e di grigi, dedicato ad una costruzione con otto finestre che forse si illumineranno, come nelle case terra e cielo avranno riverberi gialli sulle persiane e sempre nessuno intorno. Un mondo disabitato anche in Higland Light del ’30, dove sono aumentati i tetti e i comignoli, che circondano il faroin una dolce atmosfera rarefatta.
Spesso i suoi scorci sono inondati di una luce che immortala oggetti, stazioni, ponti, come in Pont Royal, fino a Queensborough Bridgeo Gloucester Harbor, impregnati di atmosfere sospese e viaggi vissuti e/o forse solo immaginati.
Mi è stato possibile ammirare l’artista nella mostra allestita a Palazzo Fava a Bologna nel marzo-luglio 2016, curata da Barbara Haskell in collaborazione con Luca Beatrice. Nella primavera 2024 ho potuto vedere il film documentario della Nexo Digital (con Radiocapital e Sky arte), Hopper. Una storia d’amore americano.
Potremo ammirare le opere degli artisti citati in questo saggio nella prossima mostra
Confini. Da Turner a Monet a Hopper. Canto con variazioni, a cura di Marco Goldin, (da ottobre 2025 ad aprile 2026), evento di punta per “GO! 2025 Nova Gorica – Gorizia, European Capital of Culture”, negli spazi totalmente rinnovati dell’Esedra di Levante di Villa Manin, a Passariano di Codroipo (Udine).
Come lo sguardo di Polifemo sul mare, per alcuni artisti i fari sono in grado di lanciare una propria voce-urlo, profonda nella nebbia, per fermare i nubifragi.
Ancora oggi hanno una forza evocatrice straordinaria, propria dell’ ultimo baluardo di pietra in un universo liquido che invia imperturbabili fasci di luce a vegliare sulle flotte.
La tecnologia li sta sostituendo, eppure i fari diventano sempre più trame dolorose di racconti di tempeste e di relitti.
Bibliografia
Jazmina Barrera, Quaderno dei fari, La nuova frontiera ed., 2021
Luca Bergamin, Andar per fari, Il Mulino ed 2023
Beatrice Haskell e Luca Beatrice, Edward Hopper, Catalogo mostra Bologna, Palazzo Fava, Skira ed, 2016
Charles Paolini, I Guardiani dei fari – 13 storie attraverso 20 secoli, Magenes ed 2021
David Ross, Fari i guardiani del mare, Dix ed, 2020
Claudio Visentin, Luci Sul Mare. Viaggio tra i fari della Scozia sino alle isole Orcadi e Shetland, Ediciclo ed, 2022
Ian Warrell, Turner and Venice, Catalogo Mostra, Museo Correr, Electa –Mondadori ed, 2004
Filmografia
Phil Grabsky, Hopper, an american Love Story, 2022. Trailer:
Hopper – Una storia d’amore americana I Trailer Ufficiale HD
Mike Leigh, Mr Turner, 2014. Trailer:
Turner Trailer Ufficiale Italiano (2015) – Mike Leigh Movie HD
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