«Una guerra disperata»: Voci e testimonianze dalla campagna di Sicilia del 1943
Francesco Pellegrini, «Una guerra disperata»: Voci e testimonianze dalla campagna di Sicilia del 1943, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 58, no. 11, dicembre 2024, doi:10.48276/issn.2280-8833.12354
«Una guerra disperata di uomini inermi (o quasi) contro giganti rivestiti d’acciaio; di sole baionette (o quasi) contro cannoni, carri armati, mitragliamenti aerei, fuoco di artiglierie navali».
La Campagna d’Africa trova così il suo tragico epilogo in Sicilia; con altri morti, altri feriti, altri individui delusi e mortificati. E altri prigionieri, altri “paisà” da esibire nei cinegiornali alleati. Tutto ciò nonostante il sacrificio di tanti soldati, gli innumerevoli atti di valore, la disperata volontà di non cedere anche di fronte a prospettive di sicura sconfitta»1.
Gen. Manlio Siddi
Lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la successiva campagna militare hanno lasciato una traccia indelebile nella storia d’Italia, con ricadute belliche, politiche e sociali di enorme rilevanza per le vicende future italiane e internazionali. La caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 e la conseguente rottura dell’alleanza con la Germania di Adolf Hitler, ufficializzata con l’Armistizio proclamato dalle forze Alleate l’8 settembre, sono strettamente legate agli eventi siciliani.
In questo saggio verranno analizzati alcuni controversi aspetti della campagna di Sicilia attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti. Particolare attenzione verrà dedicata alla condizione psicologica delle truppe, al rapporto tra militari e popolazione civile e alle attività di intelligence Alleate, utilizzando le preziose fonti documentarie emerse negli ultimi decenni.
Le fonti della campagna di Sicilia
Come rilevato dal generale Ottavio Zoppi nella sua introduzione al fondamentale volume Lo sbarco e la difesa della Sicilia, redatto dal Capo di stato maggiore della 6ª Armata2, generale Emilio Faldella, nel corso degli anni «la battaglia di Sicilia rimase ignorata persino nelle sue linee generali e nelle più salienti vicende, nelle quali si alternarono felici interventi di comandanti, fulgidi eroismi individuali e collettivi ed identificate, inspiegabili ombre»3.
Per diverso tempo mancò, infatti, una documentazione che permettesse allo storico di ricostruire compiutamente le tormentate e complesse vicende della Sicilia dalla prospettiva dei soldati italiani. La produzione scritta dei militari reduci della battaglia siciliana era ridotta a pochi memoriali redatti come autodifesa per salvare il “proprio onore” in risposta alle feroci polemiche post-belliche. Per quanto il carattere di questi scritti sia talvolta apologetico, essi offrono, tuttora, preziosi retroscena, notizie di prima mano e spunti di interesse. Oltre al già citato lavoro del generale Faldella4, si segnala per importanza storiografica il volume vergato dal colonnello della divisione Livorno, Dante Ugo Leonardi5, Luglio 1943 in Sicilia, incentrato sulle operazioni militari nella piana di Gela. Dal punto di vista documentario, Sandro Attanasio riscontrò una certa difficoltà ad accedere ai fondi legati alla campagna di Sicilia. Secondo quanto testimoniato dall’autore del saggio Sicilia senza Italia, ancora nel 1976, «presso gli archivi, le biblioteche, i pubblici uffici, di quei terribili giorni erano rimasti ben pochi documenti, quasi tutto era andato distrutto, disperso nella bufera che travolse l’Italia. All’Ufficio storico dello Stato maggiore la documentazione relativa allo sbarco in Sicilia era quasi inesistente. Mancavano perfino i diari storici delle unità impegnate nella campagna e nessuna pubblicazione ufficiale era stata dedicata alla campagna di Sicilia»6.
Oltre agli atti del «processo Trizzino» del 19537, nel corso del quale fu trattato in maniera approfondita il contegno dell’ammiraglio Leonardi nel corso degli avvenimenti che portarono al controverso abbandono della piazzaforte di Augusta, gli storici poterono, col tempo, disporre di numerosi documenti provenienti dall’Archivio dell’Esercito, tra i quali di notevole importanza si rivelarono i diari storici e le relazioni dei comandanti delle unità impegnate nella difesa dell’isola. Si aggiunsero poi le carte prodotte dalle Commissioni di inchiesta speciale della Marina (in particolare per quanto concerne gli avvenimenti legati alle cadute delle piazze di Pantelleria, Lampedusa ed Augusta) e la Collection of Italian Military Records, 1935-1943, una raccolta di documenti militari italiani acquisita dagli Alleati nel dopoguerra e successivamente riprodotta su 514 microfilm e restituita, in copia, all’Italia8. Tutte queste carte permisero allo storico militare Alberto Santoni di pubblicare, nel 1983, il primo lavoro organico e scientifico sul tema, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio — settembre 1943) un’opera fondamentale per conoscere le vicende della campagna di Sicilia da un punto di vista tecnico – operativo.
Nuovi documenti, nuove sfide
Fortunatamente negli ultimi anni si sono aggiunte numerose e preziose fonti che potrebbero offrire ulteriori e inedite prospettive nello studio dello sbarco in Sicilia e della relativa campagna militare.
Dal 1984 l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano raccoglie e conserva circa trenta diari redatti da militari italiani impegnati in Sicilia. Si tratta di fonti in grado di integrare la documentazione tradizionale e offrire, allo stesso tempo, preziosi e inediti tasselli di vita quotidiana del soldato italiano.
Nel 1996 l’Archivio di stato britannico mise a disposizione del pubblico le trascrizioni delle intercettazioni dei prigionieri italiani nelle mani degli alleati9. Una documentazione unica nel suo genere, sia per la qualità dei contenuti, che per la quantità di materiale, e che offre una chiave di lettura inedita sulla campagna di Sicilia e, nel contempo, apre uno squarcio del tutto nuovo sulla mentalità e sulla percezione della guerra da parte dei militari italiani con un evidente valore storico: gli eventi narrati nelle conversazioni accadevano allora, in tempo reale, o erano avvenuti da pochissimo tempo e gli intercettati avevano la memoria ancora viva e non condizionata dagli eventi successivi: l’immediatezza di queste testimonianze ha grande importanza, perché scevra da pregiudizi, autocritiche, aggiustamenti che a volte inficiano tanta memorialistica «a posteriori».
Nel dicembre del 2002 i figli di Mario Alicicco, colonnello dell’esercito in servizio presso il Primo aiutante di campo di Umberto di Savoia, hanno versato all’ Archivio Centrale dello Stato le cosiddette «Carte Alicicco». Si tratta di documenti provenienti dalla serie degli archivi militari della Segreteria particolare del duce, continuamente e personalmente aggiornati (fino al 24 luglio) da Benito Mussolini. Il fascicolo «Sicilia 1943», il più ricco e articolato del fondo, fu utilizzato dal Capo del Governo per redigere il delicato capitolo dedicato ai combattimenti in Sicilia, allora in pieno svolgimento, della relazione introduttiva al Gran Consiglio durante la «fatale» seduta del 24 luglio 194310.
Infine, nel 2014, l’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito ha avviato l’inventariazione e il riordino della serie «Sicilia» presente nel Fondo M-9 A.U.S.S.M.E., Commissione per l’interrogatorio degli ufficiali reduci dalla prigionia di guerra. I 6900 fascicoli, oggi disponibili, comprendono i verbali di interrogatorio e le relazioni degli ufficiali italiani catturati dagli Alleati in Sicilia11.
Le interpretazioni della campagna di Sicilia
La campagna di Sicilia è stata spesso vittima di interpretazioni arbitrarie e di luoghi comuni difficili da sfatare. In particolare, per quanto concerne il contegno dei militari italiani, accusati a più riprese da parte dell’opinione pubblica, internazionale e italiana, di non essersi sostanzialmente battuti.
Significative, a questo proposito, sono le parole del generale Zoppi: «La battaglia di Sicilia del 1943 è la meno nota e fu la più calunniata; perché, essendo stata l’ultima, venne sommersa dagli avvenimenti politici che presero nome dal 25 luglio e dall’8 settembre dello stesso anno»12.
Le prime avvisaglie di questo clima si possono scorgere fin dalla sera del 10 luglio 1943, nelle ore immediatamente successive allo sbarco. A seguito delle comunicazioni radiotelegrafate dal colonnello Wilhelm Schmalz13 ad Adolf Hitler concernenti i fatti di Augusta e giunte a Mussolini attraverso l’addetto militare a Roma Enno Emil Von Rintelen, iniziarono a circolare a Roma voci estremamente critiche nei confronti dei militari italiani. Particolarmente colpiti da queste notizie, ancora frammentarie e incerte, furono coloro che, per fanatismo, ingenuità o mancanza di una conoscenza reale della situazione bellica, si erano forse illusi di poter respingere fermamente l’invasione alleata.
Fu così che il gerarca più filo-tedesco del fascismo, Roberto Farinacci, lanciò dalle pagine di Regime Fascista, a partire dal 15 luglio, accuse durissime al comandante delle forze armate italiane in Sicilia Alfredo Guzzoni14.
La notte del Gran consiglio del 24 luglio Mussolini dedicò alla campagna di Sicilia un’ampia disamina dai toni particolarmente severi. Era influenzato dalle cattive notizie ricevute dai tedeschi e da alcuni articoli della stampa nemica, una fonte a cui prestava sempre molta attenzione.
Una volta deposto, il duce arriverà a definire l’invasione delle truppe alleate in Sicilia la causa scatenante degli eventi successivi e riverserà queste riflessioni nei «Pensieri pontini» vergati dopo il fermo, la destituzione e il soggiorno coatto a Ponza: «Gli avvenimenti militari e lo sfacelo del regime stanno nel rapporto di causa ed effetto. È chiaro che oggi non mi troverei su questa isola, se il 10 luglio gli anglosassoni avessero subìta una Dieppe in grande stile nella baia di Gela».15
Durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana, le polemiche e le critiche al contegno delle truppe italiane ripresero con vemenza, raggiungendo l’acme con l’arresto del comandante della 6ª Armata generale Alfredo Guzzoni da parte delle autorità di Salò, cui seguì la liberazione per intercessione del Feldmaresciallo Kesselring.
Dopo la guerra, uomini vicini ad ambienti neofascisti, desiderosi di riabilitare il passato regime agli occhi dell’opinione pubblica, continuarono ad occultare le gravissime responsabilità politiche e militari che gravavano su un regime colpevole di aver mandato in guerra un esercito nettamente inferiore per mezzi e possibilità ai suoi avversari. Per giustificare la sconfitta delle armi italiane, insinuarono la motivazione infamante e offensiva di intelligenza col nemico da parre dei vertici delle forze armate, in particolare della Regia Marina. Tra questi autori ebbe un ruolo di primo piano Antonino Trizzino, che nel 1952 pubblicò il controverso volume Navi e Poltrone16.
Per quanto riguarda nello specifico la campagna di Sicilia, le accuse dei critici si concentravano, ancora una volta, su singoli deplorevoli episodi. In particolare, il precipitoso abbandono della piazzaforte di Augusta, seguito dalla fuga degli uomini preposti alla sua difesa. Con evidente generalizzazione, la condotta censurabile di questi reparti veniva estesa al comportamento di tutte le altre unità impegnate nella campagna. Allo stesso tempo, la pubblicista angloamericana tendeva a sottovalutare e talvolta persino a ignorare l’apporto delle forze italiane quasi che la battaglia di Sicilia fosse stata una contesa esclusiva tra Alleati e tedeschi.
Influenzata da questo clima, l’opinione pubblica italiana si convinse, col tempo, che le truppe italiane in Sicilia non si fossero battute e, desiderose di astenersi dalla lotta, si fossero sbandate in massa senza opporre resistenza, anticipando quanto sarebbe accaduto dopo l’8 settembre.
Questa visione parziale non tiene conto che la maggioranza dei militari italiani, nonostante l’enorme inferiorità rispetto al nemico in termini di armamento, forze corazzate e aeree, elementi decisivi per il successo in una guerra moderna, fece il proprio dovere fino all’ultimo, come dimostrano le migliaia di caduti durante quella campagna, la maggior parte dei quali fu dimenticata da chi sopravvisse. Nonostante una lotta impari che per gli italiani fu spesso «carne contro acciaio», le truppe dell’Asse costrinsero gli Alleati ad affrontare duri combattimenti e a completare la conquista della Sicilia in trentotto giorni. Come ricordato dal generale Faldella, la Polonia fu annientata in ventinove giorni, mentre la Francia alzò bandiera bianca in appena quaranta giorni.
Prima dello sbarco
Nel corso della riunione del 1° giugno 1943, con lucido e spietato realismo, il generale Mario Roatta, comandante delle forze armate in Sicilia comunicò a Mussolini notizie allarmanti circa la situazione militare sull’isola, precisando che la possibilità di bloccare gli Alleati sarebbe dipesa esclusivamente dalla capacità di respingere l’invasione del nemico al momento dello sbarco, puntando sulla qualità del sistema di difesa17.
Questa condizione era, tuttavia, irrealizzabile, poiché chi attacca può scegliere il luogo a lui più congeniale per sbarcare e concentrare le proprie forze, mentre il difensore è costretto a disperdere le proprie unità per coprire tutta l’estensione delle coste. Come rilevato dal generale Faldella, per sperare di opporsi con successo ad uno sbarco di queste dimensioni sarebbe stato necessario poter contare «sulle spiagge scelte dal nemico per sbarcare forze almeno pari, per entità e qualità; creare un sistema fortificato continuo, solido, profondo, simile ad una «Maginot» costiera18; avere numerose divisioni corazzate e motorizzate da impiegare in azioni controffensive; adottare un sistema misto di fortificazioni costiere e di unità di manovra»19.
Condizioni ormai impossibili da realizzare per l’Italia in quel periodo difficile. Le risorse migliori che l’apparato bellico e industriale poteva offrire erano state esaurite dalle precedenti campagne, in particolare in Nord Africa e Unione Sovietica. Gli uomini più addestrati ed esperti erano caduti in battaglia o erano stati fatti prigionieri. Le unità corazzate erano sempre più scarse, così come l’aviazione. La Marina era paralizzata nei porti dalla cronica mancanza di nafta, accentuata dalla distanza delle basi settentrionali dai porti siciliani e dall’impossibilità di ottenere una protezione aerea sufficiente. L’Italia aveva già perso molti dei suoi soldati più esperti e meglio addestrati, caduti in battaglia o fatti prigionieri. Le truppe rimaste erano spesso composte da giovani poco addestrati o da veterani stanchi, preoccupati per la sorte delle loro famiglie e demoralizzati per i continui e spesso incontrastati bombardamenti nemici. L’equipaggiamento era spesso inadeguato e obsoleto, e mancavano le risorse per addestrare e rifornire adeguatamente i soldati.
La consapevolezza della gravità della situazione portò Roatta a concludere che «contro un’azione di sbarco in grande stile, noi possiamo fare solo una onorevole resistenza, ma non abbiamo la possibilità di ricacciare l’avversario»20. E all’ammiraglio Pietro Barone, comandante militare marittimo della Sicilia, un Roatta ormai in procinto di abbandonare il comando nelle mani del generale Guzzoni il 30 maggio, aggiunse: «Sono contento di andar via prima di assistere alla vergogna dello sbarco alleato in Sicilia»21.
Gli Alleati erano, dunque, in procinto di invadere il territorio metropolitano e l’Italia precipitava verso la disfatta. Nonostante ciò, i vertici politico-istituzionali italiani, non tenendo conto delle capacità logistiche e operative nemiche, speravano ancora che lo sbarco nemico potesse fallire. Il 17 giugno, a sole tre settimane dall’invasione, il nunzio apostolico Francesco Borgongini Duca riportò le parole del re d’Italia, Vittorio Emanuele III, il quale sottolineava le difficoltà che gli Alleati avrebbero affrontato in caso di sbarco in Sicilia: «Sua Maestà non crede facile uno sbarco in Sicilia: ci vogliono almeno 200.000 uomini e circa 600 navi di tonnellaggio che non esistono»22.
Anche Mussolini sembrava illudersi sulla possibilità di una resistenza efficace. Davanti al direttorio del Partito nazionale fascista il 24 giugno, il duce pronunciò un discorso totalmente scollegato alla realtà:
Il popolo italiano è ormai convinto che è questione di vita o di morte. Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare, sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del “bagnasciuga”, la linea della sabbia, dove l’acqua finisce e comincia la terra. Se per avventura dovessero penetrare, bisogna che le forze di riserva, che ci sono, si precipitino sugli sbarcati, annientandoli sino all’ultimo uomo. Di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra patria, ma l’hanno occupato rimanendo per sempre in una posizione orizzontale, non verticale23.
Nel formulare questo discorso, Mussolini aveva chiaramente fini propagandistici. Le sue parole, ricche di enfasi e retorica bellicistica, non tenevano conto della gravità della situazione.
Quanto questa retorica fosse distante dalla realtà sul campo emerge chiaramente dalla testimonianza del sottotenente Chailly che, proprio in quei giorni, annotava nel suo diario: «Da tre giorni calma quasi assoluta. Solo un allarmetto breve ogni notte. Perché? Perché la Tunisia è caduta. Abbiamo perso ancora una grande battaglia. Ed il nemico probabilmente starà riorganizzandosi. Se attacca quaggiù come molti temono, sarò in primissima linea, e forse non tornerò più perché ho solo due mitragliatrici dell’altra guerra e 25 fucili con pochi caricatori. Ed i nemici sbarcano con i carri armati, mortai, cannoncini. Abbiamo avute circolari precise circa i loro metodi di sbarco. E’ la carne contro il ferro»24.
A reggere il primo urto della più grande operazione di sbarco mai vista fino a quel momento (285 navi da guerra, due portaerei e 2.775 unità con a bordo otto divisioni di centosessantamila uomini e 600 carrarmati25) sarebbero stati gli uomini delle sei divisioni costiere italiane. Soldati con armamento antiquato, reclutati localmente, di età media elevata, poco addestrati e senza possibilità di essere autotrasportati per mancanza di mezzi motorizzati. Questi uomini erano sparpagliati su 1.039 chilometri di costa (36 uomini per chilometro), dotati di pochissimi pezzi anticarro e scarse batterie di artiglieria26.
Ancora, la notte dell’attacco anglo-americano alla Sicilia, Mussolini confidò alla moglie: «Rachele, gli anglo-americani sono sbarcati in Sicilia. Sono convinto che i nostri resisteranno, e poi anche i tedeschi mandano rinforzi. Dobbiamo aver fiducia».
Crisi di morale delle truppe italiane
Il peso delle continue sconfitte, degli incessanti bombardamenti, della stanchezza dovuta al lungo conflitto e della carenza di materie prime, mezzi corazzati, velivoli e rifornimenti influiva notevolmente sul morale dell’esercito italiano. Il generale Guzzoni, in un drammatico rapporto, descrisse la situazione psicologica delle truppe italiane prima dello sbarco come «rassegnata, agnostica, priva di volontà»27.
La presa di coscienza dell’enorme superiorità di mezzi del nemico trasmise un comprensibile e inevitabile sentimento di abbandono, inferiorità e di inutilità del sacrificio.
Come ebbe a scrivere il generale Zoppi, «la battaglia per la Sicilia, malgrado la più ferma volontà e la capacità dei comandanti e l’eroismo dei soldati, era perduta in partenza per l’incolmabile nostra inferiorità di mezzi»28.
A preoccupare i soldati italiani, oltre alla forza del nemico, erano questioni materiali e pratiche come la carenza di vestiario, di viveri e in particolare di acqua che, a causa delle difficoltà logistiche nella distribuzione giungeva spesso in ritardo ai reparti. Un problema già sperimentato a Pantelleria e che aveva contribuito, in quel caso, a spingere l’ammiraglio Pavesi ad accettare l’intimazione di resa di Eisenhower.
In questo contesto di disgregazione, emersero fenomeni di banditismo che complicarono ulteriormente la già precaria situazione delle truppe, come raccontato da Domenico Bussolaro nel suo diario: «Gli sciacalli si diedero a razziare per ogni dove. Essendoci una notte scontrati con due di questi, carichi di roba (la sospingevano su un carretto), credendo che volessimo affrontarli, ci bersagliarono a colpi di lupara, fortunatamente andati a vuoto. Non sapendo quanti fossero e temendo qualche agguato alle spalle, ci eclissammo per vicoli, orti e prati»29.
Significative alcune righe del rapporto per il duce redatto dal funzionario del Minculpop Annibale Scicluna Sorge, reduce da un viaggio in Sicilia compiuto nella prima metà di luglio. Parole che testimoniano lo stato di assoluta impreparazione delle forze armate italiane alla vigilia dello sbarco30:
Difficoltà di collegamenti, spesso per mancanza di fili telefonici e di locomozione, difficoltà di trasporto per le truppe, mancanza di benzina o di mezzi di ricambio per gli automezzi, lentezza burocratica, equipaggiamento inadeguato del soldato (in tenuta invernale, mentre giacciono nei magazzini gli equipaggiamenti coloniali), rancio spesso immangiabile e tante altre cose ancora. Qualche esempio: un gruppo di artiglieria dislocato a Palermo riceve l’ordine il 1° luglio di spostarsi a Messina. Lo spostamento non può effettuarsi che l’8 luglio perché la benzina manca. Delle batterie attendono da mesi i pezzi che non sono ancora arrivati. Soldati di artiglieria, privi ancora dei loro cannoni, vengono distribuite 40 cartucce e due bombe a mano, e dislocati in maniera da essere impiegati come truppa di prima linea. Sovente in qualche zona manca l’acqua, ancor più sovente il pane. Molti ufficiali non hanno ancora ricevuto la rivoltella e così via.
Di queste difficoltà, troviamo diretta testimonianza nelle dichiarazioni, nei documenti e nei diari dei militari impegnati in combattimento. Ad esempio, Manlio Siddi, all’epoca sottotenente di artiglieria del I gruppo del 28º reggimento d’artiglieria della divisione «Livorno», afferma:
I viveri purtroppo scarseggiavano. Il pasto del soldato consisteva per tutta la settimana nel cosiddetto “carne-brodo” e due pagnotte. La carne era un pezzo di “vaccina” tagliata a caso dai cucinieri; per cui poteva capitare qualsiasi parte, dal pezzo di mammella alla pelle. La domenica, quando andava bene, veniva servita la pasta. Eravamo talmente poveri che si sfruttava ogni avanzo. Per la pulizia degli scarponi, ad esempio, si doveva riciclare il grasso che i cucinieri “schiumavano” dal brodo!31.
Giuseppe De Carli, capitano dei bersaglieri e medaglia di bronzo al valor militare, ferito in combattimento e poi catturato dagli Alleati evidenzia la qualità e la quantità dei viveri a disposizione delle forze angloamericane:
Da sabato 14 agosto mangiamo riforniti dagli americani. Abbiamo una razione di sei scatolette al giorno: tre di carne e verdure, tre biscotti con cacao, surrogato di caffè, limonina in polvere e caramelle. Vitto ottimo, abbondantissimo. Per noi italiani perfino troppo concentrato e nutriente, date le precedenti nostre abitudini moderate e frugali.
Domenica di Ferragosto: vogliono in più aggiungere minestra di brodo di carne, una fetta di lesso e un uovo con mezzo sfilatino di pane. Una vera abbondanza di festa!32
Anche il generale Faldella sottolinea le gravissime problematiche logistiche e le difficoltà nel rifornire un’isola sempre più scollegata dalla madre patria a causa delle continue incursioni aeree nemiche: «Il vestiario della truppa era in pessime condizioni. Alcuni reparti erano costretti a non fare esercitazioni per non consumare le scarpe. C’erano bensì in magazzino 30.000 paia di scarpe, ma tutti di numeri eccessivamente grandi e quindi inservibili. Un carico di 75.000 paia di scarpe era andato perduto, probabilmente con la nave che lo trasportava. Altri rifornimenti ansiosamente attesi giacevano nei vagoni fermi sulla ferrovia calabra»33.
Il Capo di stato maggiore delle forze armate in Sicilia si sofferma anche sulle gravi difficoltà incontrate nell’addestramento delle truppe, molte delle quali erano prive di esperienza di combattimento:
L’addestramento specifico delle divisioni in Sicilia non poteva essere in tutto soddisfacente. Fatta eccezione della div. «Livorno» che aveva effettuato una speciale preparazione, quando era destinata all’operazione contro Malta, le altre divisioni possedevano un grado di addestramento normale. La loro attività addestrativa era stata limitata dalla deficienza di scarpe, di carburante, di munizioni e dall’impiego in lavori di rafforzamento34.
Durante l’estate del 1943, il distacco dal regime fascista da parte della Sicilia divenne particolarmente profondo. La situazione sociale ed economica dell’isola presentava gravissime difficoltà. La fame, la sete e un crescente sentimento di rassegnazione e fatalismo riguardo una guerra ormai considerata persa, insieme alle difficoltà di rifornimento e all’incapacità di contrastare le incursioni aeree nemiche, dominavano le preoccupazioni dei soldati e dei civili. La Sicilia si sentiva abbandonata dalla madrepatria e vedeva nell’arrivo degli Alleati una liberazione dalle privazioni e dai continui bombardamenti piuttosto che un’invasione nemica. Uno stato di profondo disagio, ben testimoniato da una lettera del 23 maggio inviata da Edda Ciano al padre Benito Mussolini35:
Caro papà, sono arrivata da due giorni a Palermo e lo spettacolo di desolazione è piuttosto forte. La città vicina al porto è praticamente a terra e anche parte delle vie principali è semi-distrutta. Il terrore è dipinto su tutte le faccie (sic). A mezzogiorno quei pochi che da Monreale scendono in città, si riprecipitano verso la collina.
Dalle 2 in poi la città è deserta salvo per i militari e pochi civili. E parliamo un poco dei civili. A parte i morti, ci sono i feriti e tutti quelli che hanno perso assolutamente tutto. Vivono lungo i margini della strada o dentro le grotte, sotto le rocce muoiono di fame e di freddo. Letteralmente e sai che io non esagero… il problema dell’alimentazione diventa sempre più grave; dopo l’ultima incursione del 9 maggio, la popolazione è rimasta sei giorni senza pane un po’ perché colpiti i depositi, molto perché non uno dei 300 forni di Palermo ha funzionato. Nessuno ha pensato a farli riaprire d’autorità. Manca l’acqua da circa un mese, i telefoni non vanno, la luce c’è quando c’è. Per fartela breve questa gente non ha la pasta dal mese di marzo o d’aprile… Qui i civili si sentono abbandonati e lo dicono. Per ora non si ribellano ma mi dice la fiduciaria Monroy che se non si provvede a far dare pane e pasta, c’è da aspettarsi qualsiasi cosa. La popolazione civile da cinque mesi non vede la carne. Qui oltre al disordine e il bombardamento, c’è la fame vera, cronica, da mesi.
È ancora il funzionario fascista Scicluna Sorge, a fornire, nel suo rapporto destinato a Mussolini, una descrizione accurata dello stato di disorientamento e di crisi morale delle truppe italiane in Sicilia nel luglio ‘43.
Attraverso questa testimonianza, così cruda e dettagliata, Scicluna dipinge un quadro desolante di civili e militari sfiniti, disillusi e disperati, abbandonati a sé stessi e sempre più ostili al regime fascista. Colpisce in particolare la descrizione del caos creatosi nelle stazioni ferroviarie, con i pochi treni ancora funzionanti presi d’assalto in una atmosfera di sempre più aperto disprezzo per la guerra e per il fascismo, ritenuto il verso responsabile della catastrofe in atto.
Lo spettacolo nella stazione di Scilla e in quella di Bagnara era quanto di più penoso. Folle di civili e folle di militari prendeva di assalto i treni di passaggieri e le tradotte.
Marinai, avieri, soldati, chi proveniente da Augusta chi da Catania, chi da Riposto, chi da Messina, pur sfiniti dalla fame e dalla stanchezza, si sbracciavano, gridavano imprecavano. Frasi ostili al Regime e alla guerra. Il Regime dopo aver voluto la guerra e la sua continuazione non era stato capace neppure di difendere la Sicilia. Dicevano che tutto era finito che in pochi giorni, abbandonata la Sicilia, l’Italia avrebbe dovuto capitolare. Dicevano che il nemico stava per attaccare anche la Calabria. Che loro, che tutti erano stanchi di combattere inermi e affamati, senza scarpe e senza mezzi adeguati un nemico che dimostrava di possedere mezzi così superiori e schiaccianti. Atmosfera di disfatta […] Per la maggioranza degli ufficiali la Sicilia era finita e con essa in breve termine l’Italia. Non si poteva continuare la guerra con tanta disparità di mezzi, con tanta disorganizzazione militare e civile. La Sicilia era stata la suprema prova. Questa prova era fallita. Bisognava quindi uscirne in un modo in un altro36.
Tracce di attività di intelligence Alleata nelle testimonianze italiane
In tale contesto, non sorprende che l’attività di intelligence dell’OSS (Office of Strategie Services) trovò in Sicilia terreno fertile nell’estate del 1943. Il servizio segreto americano sperimentò sotto la guida di Biagio Massimo Corvo37, prima e durante la campagna di Sicilia, una serie di tecniche di intelligence e di guerra psicologica al fine di ottenere informazioni in preparazione dello sbarco.
Il controspionaggio militare italiano era consapevole che il nemico potesse utilizzare i propri uomini sul territorio nazionale. Ne troviamo una diretta testimonianza nel diario del sottotenente Casolari: «Il Comando ci informa che la notte del sette debbono sbarcare dei fuoriusciti con delle barche da pesca. Con Furieri ci dividiamo il settore di sorveglianza»38.
Manlio Siddi accenna invece a strani avvenimenti verificatisi nei mesi precedenti lo sbarco, che avrebbero indotto il giovane sottotenente di artiglieria ad attribuirne la responsabilità ad agenti nemici:
Arrivammo in Sicilia nel dicembre 1942 e fummo attendati per mesi nei pressi della cittadina di San Cataldo (CL). Di notte si vedevano spesso piccole luci, provenienti dai vigneti e uliveti circostanti, accendersi e spegnersi come delle segnalazioni. Incuriosito da questi movimenti, una notte, presi il goniometro e lo puntai su una di quelle luci per ritrovare, il giorno successivo, il punto esatto di provenienza. Ma, al mattino, individuai semplicemente un olivo. Si trattava chiaramente di agenti del Servizio Segreto nemico che comunicavano tra loro mediante segnalazioni luminose39.
Ad aggravare la situazione contribuiva l’intensa attività di propaganda e guerra psicologica delle forze anglo-americane. Attraverso l’uso di volantini lanciati dagli aeroplani o distribuiti da agenti infiltrati, essi incitavano le forze di difesa ad arrendersi. In uno di questi volantini era scritto: «Perché morire per Hitler? La Germania combatterà… fino all’ultimo italiano… nessuno ti ha chiesto se volevi questa guerra, ma ti hanno mandato a morire. Ti hanno detto: credere, obbedire, combattere. Perché? Per chi? Per quanto?»40. Questa propaganda si rivelò particolarmente efficace sia sui civili che sui soldati, in particolare di origine siciliana.
Le testimonianze evidenziano il progressivo deterioramento del rapporto tra militari e popolazione civile siciliana. I bombardamenti alleati, la fame e le privazioni avevano creato un clima di ostilità verso il regime e di rassegnata attesa dell’invasione nemica.
A questo proposito, sono interessanti alcune informazioni tratte dal rapporto inviato al Ministero della Guerra da Carlo Casolari, sottotenente di artiglieria della 44ª batteria pesante campale della 202ª Divisione costiera di stanza a Sciacca, che testimoniano la calorosa accoglienza riservata dai siciliani agli americani:
Durante la permanenza in Sicilia ebbi l’impressione, dai frequenti contatti con i Siciliani, che l’occupazione anglo-americana fosse attesa da gran parte della popolazione. Infatti, in alcuni paesi al centro dell’Isola, come Polizzi Generosa, gli americani furono accolti con battimani e, mi dissero, con fiori;
In altri paesi della costa settentrionale, in provincia di Messina, vidi persino esporre in diverse case la bandiera americana e quella inglese41.
La disperazione e la fame portarono alcuni civili a commettere atti di sabotaggio e saccheggio. A Messina, il 16 luglio, la popolazione assaltò «la quasi totalità dei negozi e magazzini privati e militari», costringendo i Carabinieri a «intervenire energicamente, facendo uso delle armi contro cinque saccheggiatori e procedendo […] all’arresto di 263 persone, tra cui 16 militi della Milamrt, 5 militari di truppa e 9 marinai»42. Inoltre, le difficili condizioni materiali e psicologiche della popolazione si riflettevano, inevitabilmente, sul comportamento dei militari che, frequentemente, durante la prima fase della campagna, abbandonarono i reparti43 come attesta il diario di guerra del XII C.A.
Il comando FF.AA. Sicilia trasmette copia del bando n°. 3 riguardante il contegno da tenersi dalla popolazione.
Detto bando viene trasmesso alle unità dipendenti.
Il comando Div. «Aosta» informa che continuano le assenze arbitrarie di militari appartenenti a distretti del territorio occupato dal nemico e che la popolazione civile sobilla detti militari.
Informa che provvederà esemplarmente in merito.
Si richiede al suddetto comando di specificare il numero dei militari disertati.
Notizie confermate anche dal telegramma del comandante delle forze armate della Sicilia Guzzoni, del 17 luglio, diretto al Comando Supremo: «Atteggiamento popolazione/:/ Il problema dei militari siciliani si aggrava sempre più et assume proporzioni enormi//poiché ai soldati che vestono abiti civili e raggiungono le famiglie si aggiungono i siciliani provenienti dal continente con lo specioso pretesto di venire a combattere e che, appena sbarcati, accorrono alle loro famiglie»44.
Allo stesso tempo, i comandi Alleati impiegavano sul campo «fuoriusciti» ostili alla dittatura ed italo-americani di origine siciliana, padroni della lingua e conoscitori del territorio e delle usanze del luogo. Talvolta, essi incontravano la protezione della popolazione. Particolarmente diffusi erano, infatti, i casi di parentela diretta tra civili e militari italoamericani.
Tale percezione è confermata anche da De Carli che, nel suo diario, annota: «Molti di questi americani sono figli di italiani di Sicilia, di Calabria, di Napoli, di Roma. Nati in America dove i genitori o i nonni emigrarono. Parlano benissimo l’italiano sono cattolici e molti soldati hanno voluto entrare in chiesa dove si sono fermate lungo a pregare e la popolazione civile viene trattata con ogni riguardo».
Il sottotenente Casolari rivela nel suo diario di aver rinvenuto per strada un lasciapassare americano, una traccia della febbricitante attività di intelligence alleata, volta a disgregare i reparti italiani, favorendo le diserzioni dei soldati siciliani in cambio di un pronto ritorno a casa45:
Palermo, Sicily.
The bearer of the pass…is a soldier of the Italian Army and has been released by the Counter Intelligence Corps and is permitted to return to his home in…Sicily
D.R. Russel
2nd Lit. Aus
Co, Cio Section
3nd Inf Div.
28 July 1943
Casolari conclude con una punta di amarezza: «Ecco, dunque, la prova di un doppio gioco sopra le nostre teste».
Il diario del XIIº corpo di armata, predisposto alla difesa della Sicilia occidentale, ci offre numerose testimonianze dirette di azioni di intelligence nemica46: Ad esempio, alla data dell’11 luglio, riporta: «Il Comandante l’aeroporto di Castelvetrano comunica di avere ricevuto ordine per radio di far cessare lo stato di allarme e chiede conferma. Si avverte che il radiogramma è apocrifo e si mettono in guardia tutti i dipendenti reparti circa eventuali marconigrammi falsi»47.
In altri casi gli Alleati, attraverso la diffusione di ordini apocrifi ad opera di spie o di «elementi traditori» ottenevano il risultato di gettare nel caos le truppe italiane.
Ciò è confermato dalle gravi notizie riportate alla data del 14 luglio: «Ore 22,30 – Il comando FF.AA. Sicilia informa che staffette motociclisti percorrono il fronte comunicando alle truppe ordini di ripiegamento; avverte che si tratta di elementi traditori che mirano a disgregare reparti e che si devono mettere al muro. Analoga comunicazione viene fatta dal comando di C.A. a tutte le unità dipendenti»48.
Conclusioni
«È la lotta fra chi è armato di lancia contro chi ha solo una baionetta; fra chi può attingere indisturbato a rifornimenti praticamente illimitati accumulati sull’altra sponda e chi non ha speranza di ripianare le perdite»49, recita il promemoria del 14 luglio 1943 presente tra le carte personali di Mussolini. Questa frase racchiude forse più di ogni altra il senso della tragedia umana e militare che travolse le forze armate italiane in Sicilia nell’estate del 1943.
Nonostante una narrazione spesso severa e, in alcuni casi, denigratoria, influenzata dal contesto politico e ideologico del momento, gli atti di valore e di eroismo dei militari italiani impegnati in Sicilia furono numerosi. Questo è attestato dalle onorificenze al valore militare, concesse con particolare severità nel caso della campagna di Sicilia, e dai racconti dei reduci di guerra. Tuttavia, i nomi delle migliaia di militari caduti nell’ultimo e fatale scontro con gli anglo-americani sono stati in gran parte consegnati all’oblio dall’opinione pubblica. Non deve essere dimenticato che in poco più di un mese, l’Italia perse sul campo di battaglia, nell’ultimo disperato scontro con gli anglo-americani, 4.678 morti, 36.072 dispersi, 32.500 feriti e 116.861 prigionieri, secondo le cifre ufficiali50.
Gli eventi militari accaduti in Sicilia nell’estate del 1943 presentano ancora diverse incognite e zone d’ombra. Lo sbandamento di alcune unità e l’abbandono dei posti di combattimento da parte di ufficiali, soldati, camicie nere siciliane, gerarchi e podestà anticiparono, per certi versi, quel clima da «tutti a casa» che si sarebbe verificato su più larga scala a seguito dell’annuncio dell’armistizio l’8 settembre 1943. Solo attraverso uno studio rigoroso e severo delle fonti disponibili, scevro da pregiudizi ideologici, si potrà fare maggiore chiarezza sui gravi episodi di cedimento e diserzione che macchiarono la reputazione delle forze armate italiane impegnate in Sicilia.
Allo stato attuale della ricerca possiamo senz’altro affermare che la qualità della reazione italiana non fu uniforme ma «a macchia di leopardo». Ad esempio, la risposta delle divisioni costiere fu, talvolta, eroica, come nel caso della 206ª Divisione Costiera del Generale Achille d’Havet, citata nel bollettino di guerra numero 1.143 del 12 luglio 1943 «per la magnifica difesa delle posizioni ad essa affidate» anche se senza alcuna speranza di successo. Non pochi militari appartenenti a questa unità, caduti sotto il fuoco dei grossi calibri della marina Alleata, furono considerati dispersi poiché i corpi erano stati letteralmente smembrati e polverizzati. Anche la 207ª Divisione Costiera fu citata nel bollettino di guerra per aver mantenuto ad oltranza i propri capisaldi dopo essere stata accerchiata e superata dal nemico. Allo stesso modo, nella pianura di Gela, la Divisione Livorno condusse un coraggioso contrattacco che per poco non respinse gli americani verso il mare ma che comportò la distruzione dell’unità italiana e la perdita di 214 ufficiali e 7.000 tra sottufficiali e soldati51. Anche ad Agrigento e nella pianura di Catania, lungo la linea di resistenza sul fiume Simeto, gli italiani combatterono con grande coraggio. Tuttavia, in altri casi risulta difficile parlare di resistenza. Non pochi presidi, al primo segnale di investimento da parte del nemico, si ritirarono senza sparare un colpo. Ciò accadde in particolare nei settori operativi della Sicilia nord-occidentale, più isolati dai comandi superiori e maggiormente esposti all’influenza disgregatrice della popolazione civile che, talvolta, collaborò attivamente con le forze americane, ad esempio attraverso atti di sabotaggio alle linee di comunicazione.
Note
- P. L. Villari, I militari italiani e la difesa della Sicilia, Ibn, 2010, cit. p. 9.
- Si tratta della grande unità delle Forze Armate italiane chiamata a difendere la Sicilia. Essa si suddivideva in due corpi d’armata: il XII Corpo d’Armata, incaricato della difesa della parte occidentale dell’isola, e il XVI Corpo d’Armata, responsabile della difesa della parte orientale. Il XII Corpo d’Armata comprendeva le divisioni «Assietta» e «Aosta», mentre il XVI Corpo d’Armata includeva le divisioni «Livorno» e «Napoli». A queste si aggiungevano le sei divisioni costiere (206ª, 207ª, 208ª, 213ª, 214ª e 215ª), incaricate della difesa delle coste dell’isola, e la Divisione «Sizilien», una divisione di fanteria motorizzata tedesca. Inoltre, la difesa dell’isola era supportata dalla Divisione corazzata tedesca «Hermann Göring». Altre unità locali e reparti minori completavano lo schieramento difensivo.
- E. Faldella, Lo sbarco e la difesa della Sicilia, L’Aniene Editore, Roma 1956 cit., p. 7.
- E. Faldella, Lo sbarco e la difesa della Sicilia, L’Aniene Editore, Roma 1956.
- U. Leonardi, Luglio 1943 in Sicilia, Società tipografica modenese, Modena 1947.
- S. Attanasio, Sicilia senza Italia – Luglio-agosto 1943, Mursia, Milano 1976, p. 5.
- Il fascicolo processuale risale al 1953 ed è attribuito all’imputato Trizzino Antonio con l’accusa di vilipendio alle FFAA e diffamazione. È conservato presso l’Archivio di stato di Milano.
- Maggiori informazioni riguardo a questa collezione di documenti sono disponibili nella guida preparata dai National Archives di Washington Collection of Italian Military Records, 1935-1943, National Archives, 1967.
- Le autorità Alleate intercettarono le conversazioni di migliaia di prigionieri di guerra dell’Asse internati nei campi allestiti nella tenuta londinese di Trent Park e a Fort Hunt nei pressi di Washington. Tra queste intercettazioni figurano anche quelle relative ai prigionieri italiani e tedeschi catturati in Sicilia. Sul tema delle intercettazioni cfr. Osti Guerrazzi, Noi non sappiamo odiare. L’esercito italiano tra fascismo e democrazia, Utet, 2010 e Sönke Neitzel, Soldaten. Combattere uccidere morire. Le intercettazioni dei militari tedeschi prigionieri degli Alleati, Garzanti, 2012.
- Sulle carte Alicicco cfr. Andriola F., 2003, Le “carte segrete” di Mussolini: l’altra faccia dell’Asse, in «Nuova storia contemporanea», 7, 2, pp. 21-82.
- La Commissione per l’interrogatorio degli Ufficiali reduci da prigionia di guerra, costituita il 1° gennaio 1944, ebbe il compito di verificare il comportamento tenuto dai militari italiani, sia durante le fasi di cattura da parte del nemico, che durante la prigionia. Per maggiori informazioni sul fondo cfr. Andrea Crescenzi, Fondo M-9 Serie Sicilia (Pantelleria, Lampedusa, Egadi e Calabria) Inventario, Ministero della Difesa, 2019.
- Generale O. Zoppi, introduzione a Lo sbarco e la difesa della Sicilia di E. Faldella.
- Wilhelm Schmalz, ufficiale tedesco delle truppe paracadutiste della Luftwaffe (Fallschirmjäger). Schmalz giocò un ruolo importante nelle operazioni militari in Sicilia nel 1943. Egli comandava il «Kampfgruppe Schmalz», un gruppo da battaglia composto da unità di paracadutisti e altre forze tedesche, incaricato della difesa della Sicilia orientale contro le forze alleate. Schmalz ebbe l’ordine di ricongiungersi alle unità italiane per difendere Augusta contro le forze alleate che stavano avanzando rapidamente verso nord. Nonostante la resistenza iniziale, le forze di Schmalz dovettero affrontare una pressione crescente e furono costrette a ritirarsi. Le comunicazioni radiotelegrafiche inviate da Schmalz a Hitler riguardanti la situazione ad Augusta, alimentarono le critiche nei confronti dei militari italiani, sostanzialmente accusati di non aver opposto una resistenza adeguata all’invasione Alleata. Queste critiche furono poi amplificate dalla propaganda fascista e contribuirono a creare un clima di sfiducia nei confronti delle forze armate italiane.
- R. Mangiameli, Sicilia 1943: immagini e rappresentazioni di una sconfitta tra politica, storiografia e mercato, Viella Roma 2015, pp. 85-108.
- Pensieri pontini e sardi (1943) in B. Mussolini, Opera omnia, XXXIV a cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1961, cit. p. 286.
- A. Trizzino, Navi e Poltrone. Milano Longanesi, 1952.
- Stato maggiore dell’esercito (Sme), Ufficio storico, 1985, Verbali delle riunioni tenute dal Capo di SM Generale. Raccolta di documenti della Seconda guerra mondiale, vol. IV (1° gennaio 1943 – 7 settembre 1943), a cura di A. Biagini e F. Frattolillo, Roma, SME. cit., p. 122.
- Tuttavia, come sottolineato dal Faldella, il 6 giugno 1944 gli Alleati sbarcarono vittoriosamente in Normandia dove esisteva il ben più possente e temuto «Vallo atlantico» di Hitler.
- Faldella, p. 28.
- Stato maggiore dell’Esercito, p. 122.
- Corriere della Sera, Malta e Augusta si annullavano a vicenda, 1953.
- Secrétairerie d’etat de Sa Sainteté, Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 7, Le Saint Siège et la guerre mondiale, novembre 1942 – décembre 1943, a cura di P. Blet, R. A. Graham, A. Martini, B. Schneider, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1973, cit., pp. 433-434.
- B. Mussolini, Opera omnia, XXXI, Dal discorso al Direttorio nazionale del P.N.F. del 3 gennaio 1942 alla liberazione di Mussolini (4 gennaio 1942-12 settembre 1943), a cura di E. e D. Susmel, La Fenice, Firenze 1960 cit., p.196.
- Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, Giancarlo Chailly, La mia naja durante la guerra 1940 -1945. VI libro “Diario di guerra” 24/12/42 – 9/4/43, cit., p.156.
- S. W. Mitcham, F.Von Stauffenberg, The Battle of Sicily: How the Allies Lost Their Chance for Total Victory, Mechanicsburg, PA: Stackpole Books 2007, p. 63.
- D. Anfora, La battaglia degli Iblei. 9-16 luglio 1943, 2016, p.18.
- F. Pellegrini, L’ultima seduta del Gran consiglio del fascismo, Clueb, Bologna 2021, cit., p. 49.
- Faldella, cit., p.9.
- Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, Domenico Bussolaro, Lo sbarco degli alleati in Sicilia (1943), cit., p. 14.
- Archivio centrale dello Stato, Archivi di famiglie e persone, Alicicco Mario, b. 1 – f. 9.
- Villari, cit., p.54.
- G. De Carli, E. Cattaneo, Io, militare italiano nel conflitto mondiale, Edizioni Ares, Milano 2017, cit., p. 39.
- Faldella, cit., pp 40-41.
- Ivi, cit., p.61.
- R. De Felice, Mussolini l’alleato, I. L’Italia in guerra 1940-1943, 2. Crisi e agonia del regime, Torino, Einaudi 1990, cit., p. 1150.
- Archivio centrale dello Stato, Archivi di famiglie e persone, Alicicco Mario, b. 1 – f. 9.
- Biagio Massimo Corvo, conosciuto come Max, fu un ufficiale dei servizi segreti americani (OSS). Nato in Sicilia ad Augusta nel 1920, emigrò negli Stati Uniti nel 1929 con la sua famiglia, a causa di alcuni contrasti politici del padre con il regime fascista. Nel 1942, Max si arruolò nell’esercito americano e, grazie alle sue capacità e alla sua conoscenza dell’Italia, venne trasferito all’OSS. Il suo lavoro nel raccogliere informazioni e nel reclutare personale di origine italiana si rivelerà utile per il successo delle operazioni Alleate. Per approfondire la figura di Corvo e il ruolo dell’OSS in Sicilia cfr: M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani: 1942-1945 (Gorizia: Libreria Editrice Goriziana, 2006) e G. Casarrubea, M.J. Cereghino, Operazione Husky. Guerra psicologica e intelligence nei documenti segreti inglesi e americani (Milano: Bompiani, 2013).
- P. Casolari, L’ anima muore di sera, Irradiazioni, 2006, cit., p. 97
- Villari, cit., p. 24.
- G. Zingali, L’invasione della Sicilia (1943). Avvenimenti militari e responsabilità politiche, Catania, Crisafulli. 1962, cit., p. 105.
- P. Casolari, L’ anima muore di sera, Irradiazioni, 2006, cit., p. 97.
- Archivio centrale dello Stato, Archivi di famiglie e persone, Alicicco Mario, b. 1 – f. 9.
- Sulla difficile situazione bellica italiana pesava anche la decisione di affidare la difesa dell’isola a soldati in gran parte siciliani. L’idea di un’armata territoriale era stata sostenuta dal generale Roatta che riteneva i soldati reclutati su base locale in grado di combattere con maggiore ardore. Al contrario, la possibilità di rifugiarsi nelle proprie abitazioni si sarebbe rivelata per molti di loro un incentivo decisivo ad abbandonare la lotta.
- Telegramma Guzzoni, 18 luglio 1943, Archivio centrale dello Stato, Archivi di famiglie e persone, Alicicco Mario, b. 1 – f. 9.
- Casolari, cit., p. 89.
- A.U.S.E. cartella 2011, Diario Storico Militare del XII Corpo d’Armata.
- Ibidem, giorno 11 luglio, cit., p. 21.
- Ibidem, giorno 14 luglio cit., p.2.
- Promemoria non firmato, 14 luglio 1943, Archivio centrale dello Stato, Archivi di famiglie e persone, Alicicco Mario, b. 1 – f. 9.
- A. Santoni, Le operazioni in Sicilia e in Calabria (luglio — settembre 1943), Ufficio Storico SME, Roma 1989.
- Ibidem, p. 201.
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