Alessandro Berselli, Cattivo
Mauro Conti, Alessandro Berselli, Cattivo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 21, no. 13, aprile/giungo 2010
Una delle caratteristiche principali della letteratura, ricordava un maestro indimenticato di Estetica come Luciano Anceschi, è quella di saper riflettere su se stessa, sui propri indirizzi e di ingenerare insomma un mondo che si apre alla specularità conoscitiva autoreferente, mentre al contempo si porta con l’immaginazione all’interno della storia e della vicenda romanzesca.
Leggendo il nuovo romanzo di Alessandro Berselli, Cattivo, sembra che questo aspetto, potremmo dire meta-letterario, abbia altrettanta valenza di quello prettamente narrativo. Un po’ come uno Lawrence Sterne, però senza ironia (ma dov’è finita l’ironia, oggi?), Berselli, che è autore colto e dallo stile sorvegliatissimo, ama identificarsi coi suoi personaggi, ama dissolversi nella loro angoscia in una cupidigia che sembrerebbe non ammettere redenzione, ma allo stesso tempo ama guardarli dall’esterno, rifletterli, seguire le loro tracce sulle soglie della letteratura, strizzando l’occhio alla tradizione, alle modalità dell’estetica moderna, al cinema. Il risultato è uno stile estremamente lucido e misurato, visivo, razionale, da figlio del secolo dei Lumi potremmo dire, se non fosse che qui la ragione positiva e produttrice del migliore dei mondi possibili si trova come sublimata dall’erompere oscuro dell’odio e di un sentimento di solitudine e di alienazione.
Il protagonista è il giovane Luca Parmeggiani. Frequenta il Liceo Linguistico, fa la quarta e legge fumetti. Inoltre suona in un gruppo e, tra una canna e l’altra, ascolta musica Heavy Metal. Con le ragazze i rapporti sono abbastanza strumentali. Ama Marina che però ama un altro, ma questo è un particolare che non gli impedisce di avere altre relazioni. Ribelle nato, Luca dichiara di odiare le spiegazioni di ogni genere, ed appassionarsi fin dall’inizio al suo diario di bordo è facile perché esso rappresenta il prototipo, il modello dichiarato dei comportamenti di molti degli adolescenti che si incontrano tutti i giorni per le vie di una città, a scuola, con le loro angosce e con le loro fragilità, con le loro effimere illusioni, con la loro incrollabile energia.
In fuga da un ambiente famigliare allucinante, Luca insegue il suo sogno, quello di diventare una star, una celebrità della chitarra, ma ciò lo porta a macchiarsi di una colpa, grave, gravissima, orribile da cui strenuamente cercherà di affrancarsi in un percorso che è al contempo un duro tragitto di liberazione, di redenzione, come di riflessione autobiografica sui significati di un esistenza gettata in un mondo caotico, ormai invecchiato dentro rituali egoistici, un mondo che ripete meccanicamente giochi individuali e collettivi privi di senso.
I referenti culturali e stilistici di questo bel romanzo breve, che, per altro, Berselli svolge da autore navigato –i nostri complimenti- sono diversi, ma in primo luogo occorre menzionare un’opera cinematografica come Paranoid Park di Gus Van Sant, per quell’improvviso e immotivato emergere dell’orrore nell’esistenza leggera e apparentemente spensierata di un adolescente nel momento della crescita.
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