Bibliomanie

L’insonnia dello spirito: Emil Cioran e Petre ȚuȚea. Intervista a Ionut Marius Chelariu
di , numero doppio 46/47, luglio 2018/giugno 2019, Letture e Recensioni,

<em>L’insonnia dello spirito</em>: Emil Cioran e Petre ȚuȚea. Intervista a Ionut Marius Chelariu
Come citare questo articolo:
Giusy Capone, L’insonnia dello spirito: Emil Cioran e Petre ȚuȚea. Intervista a Ionut Marius Chelariu, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 47, no. 17, luglio 2018/giugno 2019

Cioran è un autore molto conosciuto in Italia. È considerato uno dei maggiori intellettuali del Novecento e uno dei maggiori prosatori in lingua francese, pur essendo di origine rumena. Di Petre Țuțea, invece, non ci sono testimonianze dirette. Potrebbe inquadrare la sua figura e spiegarci perché è così importante per la cultura rumena?

In effetti, Cioran è conosciuto in Italia quasi come in Romania, o in Francia. Petre Țuțea (1902-1991), invece, suo amico sin dagli anni giovanili, è ancora troppo poco noto al di fuori dei confini della Romania. Bisogna pur dire che anche in Romania si è iniziato a conoscerlo solo dopo la fine del regime comunista, quindi a cominciare dal 1990. Per taluni aspetti, la vita di questo pensatore resta tuttora sconosciuta e non abbiamo una biografia esaustiva. Saggista, economista, politico e pensatore cristiano, Țuțea fece parte di quella generazione di menti brillanti della Romania interbellica, che comprendeva anche Eliade, Cioran, Noica e molti altri. Mircea Eliade, famoso storico delle religioni, lo considerava «il più grande annotatore della Romania», era estremamente intelligente, agile, carismatico e di grande fascino nella conversazione cosa che spinse il filosofo Constantin Noica ad affermare, all’inizio degli anni Sessanta, che «quando scrive perde il proprio fascino». Infondeva il proprio carisma non attraverso la scrittura, ma con il suo modo di parlare. Dopo i 13 anni passati nelle prigioni comuniste, essendo stato condannato ingiustamente «per le sue idee», Țuțea abbraccia la fede cristiana e dedicherà la propria vita a due cose: a Dio e al popolo rumeno. Țuțea può essere considerato l’icona più rappresentativa della cultura rumena, dopo il regime comunista: incarnava il sentimento di sacrificio e di libertà. Quando gli veniva chiesto cosa facesse nella vita rispondeva che il suo mestiere era quello di essere rumeno.

Cioran e Țuțea, come ben dimostra il carteggio intitolato L’insonnia dello spirito (Milano-Udine, Mimesis, 2019), sono stati molto amici durante gli anni Trenta e hanno mantenuto questo loro rapporto sino alla fine della loro vita, pur essendo molto lontani, l’uno a Parigi, l’altro in Romania. Cosa li accomunava da un punto di vista spirituale? Su cosa era fondata la loro amicizia?

Innanzitutto entrambi sono stati figli di sacerdoti ortodossi. Conoscevano bene la Bibbia, erano appassionati di filosofia, della ricerca e della conversazione. La loro amicizia inizia a Bucarest durante gli anni Trenta e continua fino agli ultimi anni della loro vita. Tra i due pensatori c’è grande stima e ammirazione. Il carteggio recentemente tradotto in italiano mostra non soltanto il livello intelletuale dei due interlocutori, ma anche la loro grande umanità. Țuțea era per Cioran «l’amico geniale», «l’uomo più straordinario che abbia mai conosciuto», «l’unico genio che ho conosciuto». Dall’altro lato, abbiamo la testimonianza della sincera lealtà di Țuțea. Quando gli fu chiesto di attaccare Cioran per iscritto, cosa che avrebbe condotto al suo rilascio dalle prigioni comuniste, disse: «Preferisco morire in carcere, piuttosto che attaccare un amico sacro e illustre!». Da una prospettiva spirituale ciò che accomuna i due amici è un senso metafisico delle cose molto sviluppato, la capacità di non arrendersi dinanzi alle “situazioni-limite” della vita, ma di andare oltre.

Dal carteggio emerge chiaramente una diversità di posizione in merito alla questione religiosa. Cioran scettico e non credente, Țuțea invece fervente cristiano ortodosso. Come interpreta questo diverso atteggiamento?

La questione religiosa è indubbiamente al centro della riflessione dei due pensatori rumeni. Si tratta di due atteggiamenti diversi perché abbiamo due esperienze diverse. In Cioran non abbiamo un ateismo radicale ma uno scetticismo religioso, ed è proprio lo scetticismo l’aspetto che più amava dei filosofi che aveva assiduamente frequentato, come ad esempio Pascal. Nell’orizzonte spirituale cioraniano Dio è continuamente presente, in un modo o nell’altro. Il Dio di Cioran è impersonale, non è quello della fede religiosa, perché non si rivela in nessuna religione, ma solamente all’essere umano nella sua solitudine. Ciò significa che per lo scetticismo religioso di Cioran Dio resta un problema aperto e un pensiero ossessivo. È interessante qui ricordare il fatto che anche molti filosofi, dichiaratamente atei, sono sempre rimasti vincolati alla problematica religiosa. Tra i più radicali, ricordo Feuerbach e Nietzsche. Pur avendo negato Dio, non sono mai riusciti a prescindere da Dio. Si tratta quindi di un fatto che, oggettivamente, più che a favore dell’ateismo e del nichilismo sembra a favore di Dio. Per Cioran, «l’unica via della conoscenza di sé passa attraverso Dio». Queste parole che leggiamo in Lacrime e santi ci fanno pensare a quelle di Țuțea che aveva abbracciato la fede in Dio durante la detenzione: «Ho realizzato che senza Dio non è possibile conoscere il senso dell’esistenza umana e universale». Naturalmente Țuțea fa riferimento al Dio della fede cristiana, alla rivelazione biblica, a un rapporto personale con Dio nella preghiera. La differenza tra i due pensatori è che Țuțea incarna lo spirito di chi ha trovato Dio, mentre per Cioran la questione Dio resta aperta.



Direi che ciascuna traduzione letteraria è intrinsecamente un’esperienza attraverso la quale il traduttore deve confrontarsi con il pensiero, lo stile e l’universo linguistico dell’autore. Personalmente mi ha aiutato molto la ricerca di dottorato in filosofia, riguardante la vita e l’opera di Cioran. Non si tratta meramente di dire le stesse cose in un’altra lingua, d’altronde le traduzioni letterali non farebbero altro che svigorire il significato delle parole. Bisogna essere fedeli alla lettera e allo stesso tempo sapere che soltanto lo spirito vivifica il testo. Praticamente succede che la dedizione alla lettera costringe ad essere creativi.

Sempre per i tipi di Mimesis, Lei ha tradotto il volume dal titolo Tra inquietudine e fede, il carteggio tra Cioran e il musicologo rumeno George Bălan. A suo avviso, quanto sono importanti questi epistolari per comprendere l’opera di Cioran?

I due carteggi ci svelano maggiormente l’uomo Cioran, rendendolo ancora più autentico. In virtù di questa considerazione, il lettore e lo studioso possono avvicinarsi maggiormente all’opera cioraniana e addentrarsi nello sviluppo del suo pensiero. Percorrendo lo scambio di lettere possiamo avvertire come gli interlocutori, nonostante le differenze di pensiero, raccontino se stessi. Si confidano idee, sentimenti, opinioni, e, in definitiva, non fanno altro che filosofare. Si tratta di un dipinto variegato in cui si intrecciano frammenti di autobiografia, suggerimenti di natura linguistica, consigli per la vita quotidiana e per la vita spirituale, pensieri sulla fede e sulla musica, sulla vita e sulla morte. Ci sono riferimenti nelle lettere che fanno pensare alle letture cioraniane, sempre vissute con una forte intensità esistenziale. Non deve stupire che nell’intimità della comunicazione epistolare la questione religiosa cioraniana viene quasi sempre in superficie. Sono lettere che non hanno un carattere occasionale, esse si estendono per un periodo abbastanza lungo, sono particolarmente connesse alla vita intima, spirituale e quotidiana di Cioran. Pertanto sono strettamente legate alle opere letterarie pubblicate, da tutti considerati capolavori della filosofia e della letteratura.

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