Franco Frabboni, Un ministro senza idee, senza rossori, senza sogni
Giovanni Ghiselli, Franco Frabboni, Un ministro senza idee, senza rossori, senza sogni, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 28, no. 12, gennaio/marzo 2012
Franco Frabboni, pedagogista di rinomanza internazionale, ha presentato poche settimane fa il suo ultimo libro: Un ministro senza idee, senza rossori, senza sogni, edito da Pensa Multimedia. Il sottotitolo suggerisce che il volume raccoglie “una cascata di Editoriali anti/Gelmini” usciti “sull’Unità Emilia Romagna”. Nella filigrana del testo, si scorge la conoscenza sicura di testi fondanti la scienza pedagogica, di cui l’autore è esperto e interprete tra i più preparati in Italia, e non solo in Italia.
Chi scrive queste righe non è uno specialista della materia, ma ha riconosciuto uno dei suoi maestri nel campo della didattica del greco e del latino in Edgar Morin, che a sua volta utilizza Montaigne nell’affermare che «una testa ben fatta è una testa atta a organizzare le conoscenze così da evitare la loro sterile accumulazione». Aggiungo, da antichista, che “intelligenza” in greco si dice synesis, cioè la capacità di mettere insieme fatti anche lontani e di individuarne i nessi. Viceversa, quella che non sa connettere nulla con nulla è una testa intronata tra spazi ventosi. E qui utilizzo T. S. Eliot, che è stato anche un eccellente classicista.
Frabboni dunque rifiuta con sdegno la didattica propugnata dalla Gelmini, quella tesa all’accumulo di nozioni da verificare con test fatti di quiz adatti a scimmie addestrate più che a giovani, esseri umani dotati di cervello e pure di cuore. L’autore infatti auspica una educazione che formi non solo “teste ben fatte” ma anche “cuori solidali”. E indica la via per la quale si può raggiungere questa meta: «Traguardo possibile tramite l’interdisciplinarietà, la ricerca e la creatività (che abitano nei laboratori e negli atelier), nonché tramite “tempi” destinati al dialogo, all’amicizia, alla cooperazione che nobilitano la scuola a vivaio di relazioni umane» (p. 23).
L’uso efficace della interdisciplinarietà richiede docenti a loro volta solidamente formati, e personalmente dotati di forti interessi, di viva curiosità, di tante letture apprese, e della capacità di comunicarle in maniera viva ai ragazzi. Questi si appassionano allo studio quando capiscono con l’intelligenza, e sentono con il cuore, che la cultura potenzia la loro natura, che lo studio è funzionale alla vita, alla loro vita. Che amore per la cultura è amore per l’umanità.
In questi ultimi anni la pubblicità degli speculatori, la chiacchiera degli imbonitori e degli imbecilli, le menzogne dei profittatori, hanno usurpato il posto di una scuola educativa, e i ragazzi, privati del necessario nutrimento spirituale, si sono disgustati, rassegnati, esasperati, o addirittura disperati. Oppure sono diventati complici egoisti del sistema. La Cultura è stata penalizzata in tutti i modi. Nonostante ciò, i giovani migliori ne sentono l’esigenza.
In settembre ho partecipato attivamente al “festivalfilosofia” di Modena, e, per ben tre giorni, ho visto le piazze del capoluogo emiliano, nonché quelle di Carpi e di Sassuolo, gremite di persone attente e motivate. Spente le luci della ribalta, numerosi colleghi e studenti mi hanno fatto richiesta di materiale, interdisciplinare appunto, nella fattispecie relativo alla filosofia presocratica con le sue riproposte da parte della tragedia greca e dei filosofi moderni. Un’attenzione certamente non minore hanno avuto gli altri relatori con argomenti non meno impegnativi e, se vogliamo, fuori moda, anzi contrari alla moda. Uno degli autori più raccontati e applauditi è stato Spinoza, presentato esemplarmente da Remo Bodei.
Abbiamo tenuto lezione, fatto scuola nelle piazze, a un popolo desideroso e felice di apprendere. Credo si sentissero stimolati all’intelligenza e alla solidarietà.
Concludo citando alcune “parole sante” dell’aureo libretto di Frabboni: «Poche righe per ricordare che la scuola è oggi l’ultima “trincea” a difesa della cultura. E che la palude dell’ignoranza – il pensiero coccodè – è di scena in un mondo vuoto di intelligenze, di solidarietà, di utopie. I suoi terreni melmosi sono presidiati dalle multinazionali medianiche, che li usano per catramare la mente e il cuore dei loro utenti. Parliamo della tritura informativa dei telegiornali, mai avvolta da idee; parliamo dei quiz serali che spacciano la memoria per cultura» (p. 63).
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