Su La stanza dei libri di Giampiero Mughini
Stefano Chemelli, Su La stanza dei libri di Giampiero Mughini, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 42, no. 4, luglio/dicembre 2016
Fra gli autori italiani forse non troppo considerati per l’eccentricità palese, bruciata platealmente attraverso il mezzo televisivo in luoghi diversi e molteplici, abita senza dubbio Giampiero Mughini (1941-).
Catanese d’origine ma romano di formazione, Mughini ha scritto alcuni libri importanti per la documentazione offerta, la capacità di sintesi, la chiarezza dei temi trattati. Egli è poi un collezionista, un uomo di libri, dannatamente preciso e pignolo, tignoso ma generoso.
Il futurismo, certi libri d’arte del novecento, un gusto certamente internazionale, in particolare francese, non ha penalizzato l’interesse deciso verso l’editoria nazionale della quale è uno dei conoscitori più attendibili. Nel recente testo pubblicato da Bompiani, La stanza dei libri, dà respiro con la passionalità esigente dell’amateur ad alcuni temi che si pongono a difesa di questo mondo di carta a fronte dell’immaterialità della comunicazione digitale.
Mughini lo fa raccontando, da par suo, di certi traslochi quasi leggendari, tirando in ballo altri illustri bibliomani da cinquantamila libri in su: libri, beninteso, posseduti più che letti, custoditi nella testimonianza di vite attraversate più da pagine che da persone, o sicuramente in questo ordine d’importanza. In realtà, i libri di Mughini sono fittissimi di esperienze, di contatti, di aperture inaspettate, perché se è vero che i libri portano ad altri libri, fondamentale poi diventa il confronto, il dialogo, la comunicazione, il tramando verso coloro che seguiranno, ammesso e non concesso che ciò sia possibile e praticabile in tempi ove il libro per le giovani generazioni non è poi così familiare nemmeno nell’uso scolastico.
Eppure questo siciliano trapiantato a Roma che ha saputo vivere diverse vite, utilizzando la televisione con la confidenza esplosiva dello strepito eclatante nasconde in realtà un raffinato bibliofilo che aveva percorso un itinerario molto personale tutto interno alla sinistra e aveva proprio grazie alla curiosità del bibliomane scoperto anche in età matura i tesori e le collaborazioni, le amicizie e le criticità, le zone grigie e le evidenti complicità di un mondo culturale che dai trenta del novecento ma anche prima aveva intessuto una nazione sino a tempi molto più dilatati.
Lo aveva fatto non solo ripercorrendo alcuni nodi storici del terrorismo italiano ma soprattutto sondando il terreno culturale di quella Italia di regime nella quale fecondavano e avrebbero fecondato in seguito gran parte delle intelligenze italiane a venire a piena maturazione nel dopoguerra.
Chi legge con attenzione un libro come In via della Mercede c’era un razzista, un testo peraltro di difficile reperibilità, si accorge non solo della straordinaria opera di documentazione faticosamente sintetizzata in un testo denso ma accessibile alla lettura, ma come una personalità discutibilissima quale non può che essere quella di Interlandi solo qui trova il dovuto approfondimento.
Approfondimento che mette in risalto come, attorno al pianeta Interlandi, gravitassero professionalità e scrittori dei venti e dei trenta e che in pieno antisemitismo italiano post 1938 fu qualche voce futurista che si levò in direzione opposta. Il libro sopra Interlandi che Sciascia non arrivò a scrivere lo scrisse Mughini nel 1991. Nelle biblioteche del Trentino, quel libro tuttavia non esiste. E quanto è invece importante per capire la cultura romana e nazionale di almeno trent’anni…
Un altro testo che si potrebbe sottovalutare dal titolo leggero e sorridente (Come erano belle le ragazze di via Margutta) rivela invece una insospettabile profondità nell’analizzare il costume e lo spirito soprattutto degli anni cinquanta ma non solo, molto più naturalmente del film di Camerini (Via Margutta).
A una seconda rilettura può riservare molte sorprese il quadro animatissimo che sfila sotto gli occhi di chi ha qualche rudimento ma non piena contezza di un quadro intriso di artisti, attori, comparse, autorità riconosciute della vita sociale, culturale, relazionale di comunità certamente ristrette ma dialoganti molto più di quelle attuali.
Gente al Baubuino è il titolo di un libro di Ugo Moretti che fece scalpore anche all’estero tra quelli citati da Mughini (che dona una bibliografia ricca di potenziali percorsi individualizzati a seconda dei molteplici interessi), e le voci che intessono la trama di questo viaggio sono spesso dimenticate persino dagli addetti ai lavori che le hanno in qualche modo vissute.
Il libro, l’arte, l’evento si confondeva con la vita rutilante impastata di una crescita economica vera, tangibile, senza storytelling immaginari e infondati. Pure questo libro che è del 2003 si segnala per una originalità di fondo: non avere pregiudizi; in questo senso è indicativo il fatto che Mughini sfata e dispone in modo piano una miriade di personaggi che sono alla fine persone protagoniste del costume molte volte a loro insaputa. Certo le ragazze di via Margutta erano davvero belle ma fu lo spirito del tempo a renderle indimenticabili oppure fatalmente irraggiungibili o all’opposto non così memorabili come sembravano allora.
Palma Bucarelli ed Elsa de’ Giorgi appartenevano di sicuro al primo gruppo, per citare due primedonne. Già Elsa Martinelli apparteneva ad altra cerchia, come molte altre delle stelline che Mughini infilza da par suo. Non sarebbe sconsigliabile per chi vuole approfondire i luoghi, le situazioni degli ambienti di questo reticolo topografico prendere visione dei libri di Salvatore Negro dedicati a Roma, senza dimenticare L’Orologio di Carlo Levi, che per altro è un libro tra i più cari per Roma, mentre lettura nutriente è Roma 1943 di Paolo Monelli nella princeps edita da Migliaresi nel giugno 1945, una sorta di ripresa quasi in diretta della storia da un punto di vista autorevole, circoscritta e preziosa.
Il valore della carta propugna Mughini. Il significato di ciò che sopra vi era impresso. Anche nei quotidiani, nei periodici, oggi destinati a un ridimensionamento comunque irreversibile, nella Stanza dei libri si scrive anche di questo, della violenza dei settanta, delle pagine che grondano sangue, di quel periodo della storia italiana tra il 1969 e il 1980 contraddistinto da dodicimilaseicentonovanta attentati politici e anche qui le piste bibliografiche e vitali si sprecano alla lettera.
Una terza parte è dedicata a un affresco bibliografico offerto dai futuristi: alle loro utopie, alle loro pubblicazioni, ai rivoli di una ricerca folle e ribelle, una vera prefazione a un catalogo che introduce al mondo editoriale e relazionale di uno dei fenomeni più interessanti e curiosi della cultura nazionale con respiro europeo. L’occasione di un itinerario caleidoscopico nella nevrosi del collezionismo che conduce per definizione al movimento inquieto e alla scoperta per poi passare a una ampia messe di segnalazioni, consigli, contatti, indirizzi.
Qualche libro bellissimo e inusueto è il pretesto per scrivere di Richard Prince, Anselm Kiefer, Robert Frank, Richard Hamilton, Hugo Pratt, Gianni Bertini, della rivista Suck, di Carlo Cremaschi e Giuliano Della Casa, di Azzedine Alaïa, di Maria Grazia Chinese, di Damien Hirst, di graphic novel pornochic, di Gilbert e George, ma anche di molto altro: ciò rende un’idea piuttosto chiara della varietà degli interessi, delle suggestioni, della varietà espressiva e ricettiva di un outsider orgoglioso, a tal punto di chiudere con una parte sportiva che rivela la passione finita nella sconfitta: la mancata riuscita dell’autore ai nazionali giovanili di ginnastica in un esercizio alla sbarra. Dopo tanti punti forti l’ammissione di una lacerante umiliazione, un rimpianto mai risanato, che riemerge alla visione del campione olimpico Cassina e di un ispirato pezzo che celebra la riuscita di un campione, di uno sport amato profondamente, qualcosa che rimane attraverso il tempo, e che Panorama non pubblicò grazie ad un vicedirettore imbecille. L’Italia peggiore sembra, alla fine, fare capolino. Ma la Stanza dei libri è ricca di speranze, allusioni benevole, di alacre ottimismo.
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