Turismo come scienza comparatistica. Una rapsodia ponderata
Piero Piergiovanni, Turismo come scienza comparatistica. Una rapsodia ponderata, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 41, no. 6, gennaio/giugno 2016
Un amico fraterno mi ha chiesto, mesi or sono, di stendere qualche pagina circa il “turismo pensato” – relata refero. Così, ho riflettuto su ciò che, ogni giorno, decine di sedicenti esperti dichiarano in tal senso, e ho infine ritenuto di addentrarmi nel milieu del “turismo scientifico” che, di là da talune illustri (e illustrate) rappresentazioni, non mi sembra de facto adeguatamente frequentato.
Sono persuaso che – oggi forse più che mai – lo scienziato del settore dovrebbe essere uno studioso provvisto di forma mentis interdisciplinare e comparatistica, il quale, pur coltivando intensamente il suo microcosmo d’elezione, sappia poi espandere il proprio “campo di attenzione” alla globalità delle discipline effettivamente correlate all’oggetto delle sue ricerche.
Ho sempre creduto inoltre che, nei sondaggi introduttivi e nelle esplorazioni di fenomeni nuovi, sia compito dell’autentico scienziato introdurre idee originali, a prescindere da qualsivoglia controllo successivo, pronto a giudicarle – magari a giusto titolo – velleitarie o scevre di un reale fondamento epistemico.
Questa sorta di azzardo è lecito pure per un “tecnico del turismo” che aspiri ad effettuare un excursus nelle aree sconfinate delle “scienze della natura e dello spirito” (Dilthey), onde verificare, fra il resto, quali di esse potrebbero arricchire e/o potenziare lo studio scientifico del suo vario e vasto settore: in tal maniera si opera, d’altronde, nei Paesi che reputiamo generalmente più avanzati.
Non sembra sempre vero il contrario: un matematico, un giurista, un sociologo o un etnologo, in una parola, non possono applicare a cuor leggero le loro regole o le loro linee-guida negli ambiti labirintici e “liquidi” del turismo.
Non tutti i professionisti del turismo, tuttavia, sono in grado d’intavolare un “discorso scientifico” con tanti altri studiosi, perché non tutti sono esperti scientificamente solidi e, dunque, attendibili: in verità, quelli che ci sono – specie in Italia – sono ancora (relativamente) pochi.
E allora? Chi formerà i nuovi specialisti del “turismo scientifico”? Si formeranno autonomamente, oppure dovranno rivolgersi a studiosi di altre branche dei saperi?
Ancora, sarebbe più vantaggioso che, ad esempio, un filologo cominciasse a spigolare nel territorio del turismo, oppure che un esperto di scienze turistiche provvisto di un’autentica attitudine alla ricerca cominciasse a sperimentare sul campo – da solo o con un’équipe di colleghi di qualità – e che poi chiedesse una sorta di verifica delle idee raccolte al sociologo, allo storiografo, all’economista, al giurista, all’etnologo e così via, stimolando nella mente di tali studiosi, che magari non ci avevano pensato, considerazioni davvero utili e innovative per un miglioramento sostanziale della materia?
Se è vero che il turismo è scienza composita e, per più versi, imprendibile, esso rimane comunque, oggettivamente, un fatto sociale, culturale, economico di primaria rilevanza, in special modo nell’Italia del 2016. Intendenti pauca. E perché mai – viene naturale domandarsi – tanti e tanti studiosi “togati” dei più differenti settori della cultura non se ne sono accorti – o hanno fatto mostra di non accorgersene – sino ad oggi? Fortunatamente, questa scarsa attenzione va gradualmente diradandosi, se non altro perché il fenomeno turistico è oggigiorno a tal segno rilevante che nessun cittadino europeo degno di questo nome dovrebbe più ignorarlo.
Come che sia, gli specialisti del campo più scaltriti e avvertiti non cessano di offrire agli studiosi di altre discipline – talora, a onor del vero, senza accorgersene – numerosi stimoli che, fino a ieri, sembravano distanti anni-luce dal turismo, e che oggi, viceversa, appaiono oltremodo vicini ad esso; resta a ogni modo sorprendente, ribadisco, che nessuno ne abbia preso adeguatamente coscienza nei decenni passati e, soprattutto, che nessuno ne abbia trattato in termini epistemologicamente persuasivi.
Ma al momento, a parlar schietto, tutto è ancora in fieri: si cercano perlopiù nuove teorie dei giochi strategici per gli eventi turistici, intesi anzitutto come fatti economici, tanto da interessare in primis i cultori di “economia matematica”.
In conclusione vorrei sottolineare che, quantunque il turismo non sia – secondo i pareri attualmente più accreditati – una scienza a sé, bensì uno studio squisitamente interdisciplinare, una “scienza sussidiaria” che si avvale dell’apporto di una moltitudine tuttora indefinita di branche dello scibile, è tuttavia opportuno non stancarsi d’indagare questi territori dove, sino ad oggi, nessuno (presumibilmente) ha scavato con quel rigoroso, instancabile approccio scientifico che, per chiunque operi consapevolmente nel settore, è oramai divenuto una necessità anche esistenziale, partendo di solito dalle aule degli Istituti Tecnici e Professionali e quindi proiettandosi nei dedali della ricerca più strutturata e avanzata.
A coloro che condividono queste posizioni e queste speranze, magari anche impegnandosi quotidianamente in tale direzione, invio il più fervido, sincero augurio di buon lavoro.
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