Tra eroismo calcistico, identità e comunità. Maradona, Napoli e il tifo partenopeo
Luca Bifulco, Tra eroismo calcistico, identità e comunità. Maradona, Napoli e il tifo partenopeo, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 1, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9514
1. Introduzione
Quando parliamo di eroismo calcistico facciamo riferimento a calciatori che, in virtù di una particolare eccellenza sportiva e di risultati non comuni, riescono a innescare nei loro tifosi rilevanti e permanenti gratificazioni emotive legate alla condivisione simbolica della gioia e della fierezza che vittorie e meriti sul campo possono suscitare1.
Simile forma di benessere psicologico si fonda su un meccanismo detto BIRGing – basking in reflected glory – il crogiolarsi della gloria riflessa2, che porta a identificarsi nei successi dei campioni e delle squadre in cui ci si riconosce3.
Su questo legame emozionale di fondo possono innestarsi in maniera plastica molteplici forme di identificazione, territoriale, nazionale, etnica, di genere o connesse a significati più individuali.
Alla base di questi processi risiede la natura rituale del calcio. Le partite sono, infatti, dei rituali sociali4 che alimentano l’appartenenza, la solidarietà e l’identità sociale di chi sente di partecipare a un destino comunitario, di chi condivide felicità e sofferenza attorno alla dedizione per i propri beniamini. Ed è proprio in virtù di questa dimensione rituale che si solidificano la coesione del gruppo e gli obblighi morali connessi, che si sprigiona quell’energia emozionale diffusa – legata anche all’insita componente drammaturgica dell’evento sportivo – e che si animano quei simboli collettivi d’appartenenza: una bandiera, uno stemma, lo stesso eroe calcistico.
Su simili fondamenta si attiva la partecipazione a un “gruppo psicologico”5, concreto in termini di implicazioni identitarie ed emotive, efficace in termini di unità spirituale, benché sorretto – nelle sue tinte comunitarie – da un senso di accordo immaginato.
Naturalmente, se ogni forma di attaccamento dei fan per un atleta o una squadra prevede una qualche condivisione di valori, qualità e senso di appartenenza, quando questa connessione rimane duratura, si radica solidamente nei processi della memoria collettiva, rappresenta un continuo punto di riferimento simbolico per una comunità, ecco che possiamo ragionare in modo pieno della presenza di una componente eroica, seppur declinata in senso sportivo.
Ora, a Napoli, per i tifosi della squadra locale, Diego Armando Maradona possiede un valore identitario di particolare solidità, che ancora oggi si mantiene costante, nonostante siano passati tanti anni dal periodo in cui il calciatore argentino si poneva come l’artefice principale dei successi sportivi della squadra partenopea.
La recente morte del fuoriclasse sudamericano, avvenuta il 25 novembre 2020, oltre ad aver innescato un’ampia elaborazione collettiva del lutto – facilitata, almeno nei suoi aspetti comunicativi di superficie, dai nuovi media – ha fornito un nuovo impulso, qualora ce ne fosse stato bisogno, alla celebrazione di un campione sentito come ineludibile centro d’attenzione dei processi di identificazione condivisa.
Il senso di devozione della tifoseria partenopea ha assunto un fremito ulteriore, ma da tanto tempo ormai esso poggia su robuste fondamenta identitarie. La configurazione di siffatte radici dell’identità, solidificatesi negli anni, è l’oggetto di questo lavoro.
2. Maradona per i tifosi napoletani: aspetti identitari
Le riflessioni che seguono nei prossimi due paragrafi sono il frutto di una ricerca sviluppata qualche anno fa attraverso un’indagine di campo6. Sono state condotte interviste qualitative a due generazioni di tifosi napoletani – quelli che hanno visto Maradona dal vivo e quelli che invece hanno potuto viverne le gesta e l’impatto solo attraverso svariate narrazioni o rappresentazioni mediali. L’obiettivo dell’indagine è stato quello di comprendere i meccanismi e i significati più rilevanti dell’identificazione dei tifosi nei confronti del pibe de oro, cercando altresì di valutare l’efficacia della trasmissione memoriale tra le generazioni e la consistenza nel tempo della figura del calciatore argentino come simbolo comunitario.
Maradona è riconosciuto da tutti i tifosi napoletani come il protagonista inconfutabile della vittoria di scudetti, coppe nazionali e internazionali, in un settennato che ha accolto una densità di affermazioni calcistiche inedita e mai rivissuta dal club napoletano.
Non è casuale, allora, se una comunità di tifosi ha trovato nei suoi meriti calcistici un terreno d’identificazione efficace dove alimentare orgoglio e autostima individuale e collettiva.
Nei discorsi della generazione che ha vissuto dal vivo quei successi sportivi, Maradona presenta tratti di unicità e perfezione calcistica ineguagliabile7. In effetti, risulta molto gratificante pensare e poter sostenere pubblicamente di avere avuto in squadra il calciatore considerato il più forte di sempre, che ha condiviso la sorte e la gloria del club e della città. Una narrazione idealizzata, evidentemente, ma psicologicamente sentita ed efficace, secondo cui il miglior giocatore del mondo viene a Napoli per caricarsi sulle spalle un destino collettivo e donare a un comunità calcistica e cittadina i successi desiderati da lungo tempo.
In Maradona si proietta il ricordo di un momento vincente che unisce i tifosi e irrobustisce il senso di identità collettiva in virtù di un’idea di affermazione a discapito delle alterità considerate di fondamentale rilevanza, ovvero soprattutto i rivali storici sul campo, così come le realtà nazionali ricche e potenti sul piano economico e politico.
Maradona rappresenta, dunque, un simbolo d’appartenenza per la comunità8, un collante sociale che si regge sulla condivisione della passione, della gioia e della partecipazione vicaria alla sua gloria e maestria calcistica, oltre che sulle forme di conflitto ideale utili a forgiare l’identità e la solidarietà interna al gruppo.
Il suo nome è spesso presente nelle conversazioni dei tifosi, nella loro attività online e nelle svariate modalità di rappresentazione concreta della loro appartenenza. Immagini di Maradona sono diffuse sui profili dei social network, sulle t-shirt indossate, sui tatuaggi ostentati dai fan, e su ogni possibile modalità di espressione di una connessione con il campione calcistico che, a sua volta, diventa emblema capace di cementare, in virtù di una propagata effervescenza collettiva, il legame comunitario del tifo napoletano.
Parliamo di una comunità che sovente abbina alla passione per il calcio anche un corposo orgoglio territoriale, che si connota anche di una qualche forma di vanità. Molti tifosi sovente associano l’importanza che Maradona ha avuto per il club calcistico con la sua rilevanza positiva per l’intera città di Napoli. Non è raro, per questi tifosi, pensare che il fuoriclasse argentino abbia donato alla cittadinanza l’opportunità di uno scatto d’orgoglio a dispetto delle diverse e palpabili difficoltà socio-economiche che attanagliano il capoluogo campano.
Non a caso, molteplici tifosi partenopei percepiscono spesso un forte nesso simbolico tra l’identità territoriale-cittadina e quella calcistica. Si scorge una fusione di destino figurata tra le due realtà. I motivi sono molteplici. Non è secondario, ad esempio, il fatto che Napoli sia una delle poche grandi città italiane ad avere una sola compagine nei campionati di vertice nazionali. Ugualmente degno di nota è il fatto che la stessa parola, “Napoli”, venga usata per nominare tanto la città quanto il club calcistico, così come “napoletano” indica tanto il cittadino quanto il tifoso. Si tratta, in entrambi i casi, specie se valutati congiuntamente, di un fenomeno non molto diffuso, almeno nelle squadre d’élite del calcio italiano. A ciò si aggiunge quel corposo senso di solidità, distinzione e fierezza identitaria assecondato e incoraggiato, almeno nel ’900, dalla straordinaria diffusione, riconoscibilità e apprezzamento dei prodotti culturali in lingua napoletana, in ambito musicale, letterario, teatrale o cinematografico.
Dunque, sebbene i tifosi riconoscano la specificità dell’ambito calcistico, la dimensione sportiva è da loro percepita come confluente con un livello d’appartenenza e di fusione emotiva più esteso. È per questo che l’arrivo di Maradona era atteso negli anni ’80 – ed è spesso ancora così esperito in chi ha goduto di persona delle sue vittorie calcistiche – come quello di chi avrebbe preso per mano il destino collettivo, rovesciando le abituali gerarchie sportive e socio-economiche, nello specifico contrastando efficacemente la disuguaglianza economica e di potere che favorisce il tracotante Nord del paese.
Le ambizioni, la cognizione, le inclinazioni, le sorti di Napoli e del campione argentino si conglobano allora in una rappresentazione indivisibile e ben raccordata.
Non a caso, la retorica con cui spesso i tifosi arricchiscono la loro rappresentazione della rilevanza di Maradona nella storia del club calcistico e della città è sempre stata contrassegnata dalla formula e dall’idea fissa del riscatto, della rivincita, della riabilitazione. Dimensioni considerate nel loro aspetto sportivo, ma anche sociale, dal momento che si dipanano – è vero – sostanzialmente in un campo di calcio, ma si estendono anche nello spazio di contesa territoriale.
Certo, parliamo di un piano simbolico, in cui si consolida una simile ideale rivalsa, che può assumere toni e contenuti differenti a seconda delle diverse sensibilità: redenzione rispetto ai problemi cittadini; lotta contro i poteri calcistici; rovesciamento dei rapporti di forza sociali e calcistici, all’insegna di una rivincita delle istanze meridionali.
La valenza simbolica del pibe de oro assorbe e consente, così, di sprigionare l’orgoglio incorporato nel trionfo e nel senso di riscossa, per vittorie che hanno permesso di trascendere una storia avara di successi sportivi e di ricompense sociali.
La consapevolezza concettuale di questa condizione si associa inevitabilmente ad una forte energia emozionale che alimenta un’identità unificante e la rappresentazione compiaciuta del sé individuale e dell’appartenenza condivisa. La fierezza rinfocolata si pone, allora, come fondamentale ingrediente identitario, rafforza la solidarietà e il senso comunitario, arricchendo il benessere della partecipazione comune al gruppo di tifosi e cittadini napoletani.
È evidente che questa rappresentazione, vissuta e sentita autentica dai tifosi, è idealizzata, colma di toni simbolici eccedenti, anche se solida e radicata. Vale la pena ribadirne l’immagine centrale: Maradona è la guida che offre a una comunità territoriale e sportiva i successi agognati, superando ostacoli improbi, fornendo materiale per opporsi alle tribolazioni cittadine e ai luoghi comuni che avvolgono la napoletanità.
Non solo, come il leader carismatico weberiano che si fa carico di una missione a vantaggio collettivo, con impeto rivoluzionario e di stravolgimento dell’ordine esistente, egli dona alla comunità – segnata da amarezze storiche e da un alone di disfatta – una mentalità vincente.
Maradona, inoltre, in quanto portavoce degli standard riconosciuti e apprezzati dalla sua comunità, viene percepito come colui che ha vinto con caratteristiche attraverso cui si può rispecchiare la descrizione tipica della napoletanità, e con cui sovente gli stessi napoletani non disdegnano autorappresentarsi. Vale a dire la genialità anarchica, l’indole ribelle, la refrattarietà a una disciplina rigorosa e inderogabile, la passionalità, quel po’ di spavalderia e impertinenza, l’origine umile e la capacità di riscattarla in virtù delle proprie capacità, la destrezza, la disponibilità nei confronti dei sodali, finanche quel tocco di impulsività.
Non a caso, quasi a segnare anche un singolare nesso tra alcuni elementi della cultura popolare argentina e di quella napoletana, nelle rappresentazioni maradoniane di molti tifosi l’immaginario del “pibe” trova una facile traduzione nella figura dello scugnizzo – il ragazzo di strada che resiste a condizioni di vita proibitive magari in virtù di espedienti – a cui spesso il calciatore è simbolicamente associato.
In più, come accennato in precedenza, nella raffigurazione elaborata da buona parte del tifo partenopeo Maradona assume le caratteristiche di chi lotta contro i poteri costituiti, decostruisce il sistema, incentiva e consente il raggiungimento di nuovi scenari.
Per tutti questi motivi, Maradona per il tifo napoletano si pone come specchio identitario, proiezione delle qualità idealizzate e considerate fondanti della comunità, con cui condivide caratteristiche, trionfi, grandezza, ma anche eventuali difficoltà e cadute calcistiche.
Tutto ciò non significa semplicisticamente che il fuoriclasse argentino sia stato in genere considerato un modello comportamentale nella vita quotidiana. I suoi sbagli biografici, la sua condotta non sempre impeccabile – dalla tossicodipendenza agli appetiti sessuali o al suo comportamento per anni poco lodevole nei confronti del figlio naturale – non lo rendono un esempio e un richiamo educativo. Questi aspetti non vengono ignorati o dimenticati dalla maggior parte dei fan partenopei. Al massimo, per mantenere una coerenza sul piano della gratificazione nel rapporto col proprio campione sportivo, sono consapevolmente accantonati e, da un certo punto di vista, resi inoffensivi da un punto di vista identitario.
D’altronde, tutti i gruppi costruiscono socialmente la propria moralità, l’idea di quanto è giusto e quanto è sbagliato, che costituisce una forte motivazione per i suoi membri9. Simile costruzione di ideali morali rappresenta una modalità sempre arbitraria di definizione di un ordine simbolico e valoriale dotato di apparente coerenza. Così, rispetto a Maradona, la comunità di tifosi seleziona e predilige gli aspetti utili ad un’identificazione soddisfacente, alimentata dalla gioia delle vittorie sportive, che diventano i fattori determinanti dell’auto-rappresentazione collettiva. Non parliamo di tratti luminosi in ogni aspetto, ma di caratteristiche in cui ci si rispecchia e che vengono valutate in modo potenzialmente favorevole.
Come dicevamo, difetti ed errori più gravi non sono negati, ma vengono relegati in una zona esterna a questa rappresentazione. Qualche volta, tutt’al più, c’è una certa clemenza o la colpevolizzazione di cause esterne, come amicizie inadeguate o momenti di scoraggiamento, ma difficilmente una vera e propria accondiscendenza. In tutti questi casi, si tratta di meccanismi cognitivi attraverso cui si tiene a bada l’eventuale dissonanza rispetto ai fattori appropriati della propria identificazione.
D’altronde, la rilevanza del campione argentino in termini di autostima, orgoglio, rispetto di sé, senso di affermazione condivisa – che abbiamo più volte constatato – porta a una simile separazione del giudizio sulla vita privata rispetto a quello sulla dimensione calcistica, garantendo la permanenza duratura di un atteggiamento di riconoscenza e devozione da parte dei tifosi napoletani.
In fin dei conti, Maradona è fonte di ispirazione ideale anziché modello educativo. Per chi si riconosce in lui, incorpora e rende concreta e visibile l’idea della rivincita, dell’opposizione al potere, del gesto sportivo vivace, gaio e inverosimile, della gloria a cui si è ammessi comunitariamente a partecipare10. Egli, infine, si presenta come vettore di diverse forme di compensazione. Il suo status di calciatore straordinario, le sue vittorie – che i tifosi sentono proprie – lo rendono un supporto emotivo che può infondere entusiasmo e fiducia. Allo stesso modo, per i fan azzurri, l’epoca di successi che egli ha generato assume una funzione compensativa di fronte a un presente sportivo più avaro di affermazioni significative.
3. La trasmissione memoriale e le nuove generazioni di tifosi napoletani
Le nuove generazioni di tifosi partenopei, quelle nate dopo l’arrivo di Maradona a Napoli, conoscono il campione argentino in primo luogo per i racconti di chi ha vissuto direttamente l’epoca dei suoi successi partenopei. Questi tifosi più giovani, naturalmente, hanno potuto apprezzare il suo talento calcistico e rivivere i momenti più importanti della sua carriera anche attraverso le immagini televisive o quelle recuperabili facilmente dalla rete.
Pur all’interno di un ambiente mediatizzato orientato al consumo, molti di questi racconti audiovisivi sul pibe de oro, ricchi di tinte epiche e toni enfatici, connotano la ricezione e l’interpretazione delle sue imprese calcistiche, fornendo quel sostrato emozionale utile a conservare la persistenza del calciatore nella memoria comunitaria.
La sostanza delle idee con cui le generazioni più recenti di tifosi azzurri percepiscono il fenomeno maradoniano, almeno nei contenuti centrali, non si discosta da quello di chi ha assaporato il calciatore sudamericano dal vivo: la rilevanza per un senso di riscatto e redenzione sportiva e cittadina; il suo stile di gioco e il suo modo d’essere, geniale, poco disciplinato, irriducibile, disponibile, smaliziato, perspicace, furbetto, che ne fanno uno specchio dell’auto-rappresentazione della napoletanità; il suo carisma, la sua indole orientata alla leadership, la sua volontà inesorabile e la propensione a vincere e a condurre la propria squadra alla vittoria; la non accettazione automatica dei suoi sbagli biografici – pur nel riconoscimento di attenuanti come le difficoltà esistenziali e il rapporto faticoso con la città – che comunque non implica la negazione del suo status di idolo sportivo e basilare riferimento identitario.
Il fatto che questi giovani tifosi facciano propria la sostanza viva dei contenuti della trasmissione orale di memorie ed emozioni da parte delle generazioni più vecchie evidenzia come Maradona sia ormai centro effettivo del ricordo e dell’identità collettiva accreditata, che si traduce in un’icona oggetto di devozione diffusa.
Ciò vuol dire che i meccanismi di trasmissione della memoria hanno qui avuto un’efficacia riconoscibile. Il pibe de oro mantiene infatti a Napoli lo status di simbolo e portavoce identitario, volano del prestigio collettivo e della partecipazione traslata a successi comunitari, benché non vissuti direttamente da tutti e figli di un’epoca passata.
Naturalmente, non mancano delle differenze nel modo in cui le nuove generazioni di tifosi napoletani si rapportano al fuoriclasse argentino. C’è, ad esempio, un riferimento prevalente all’abilità tecnica e ai risultati conseguiti dal giocatore, con ragionamenti presenti ma un po’ meno ampi sul suo influsso socio-culturale. Il tono emotivo delle espressioni è sovente più contenuto, anche se non assente, e il linguaggio più essenziale e sintetico, a volte più impersonale.
A tal proposito, è molto più frequente riferirsi a Maradona e al suo Napoli in terza persona, anche per esprimere la rilevanza extra-calcistica del loro impatto e la rivincita simbolica nei confronti del Nord. Si tratta di questioni comunque ancora molto sentite, anche se per raccontarle non si fa molto uso del “Noi”, che è invece molto diffuso, se non egemone, nei racconti della generazioni più anziane.
È evidente che non è del tutto assente il linguaggio in prima persona, dal momento che comunque tutti i tifosi più giovani individuano in Maradona il simbolo di un’identità collettiva e di una comunità a cui si partecipa convintamente, riconoscendo in lui il protagonista dei successi e gloria collegiale, fonte di orgoglio duraturo.
Ad ogni modo, se è vero che queste formule linguistiche, un po’ più distaccate, sono normali per chi non ha vissuto direttamente – o con piena consapevolezza – quei momenti, è altrettanto vero che le nuove generazioni di tifosi continuano a considerare Maradona il centro di una storia, di un’identità e di una memoria condivisa in cui si riconoscono in modo significativo.
Sembra di essere al cospetto, con i dovuti e imprescindibili distinguo, della trasformazione weberiana dell’autorità carismatica come qualità travolgente ma temporanea – almeno dalla prospettiva di una comunità – in una realtà strutturata, solida, costante. Il processo che abbiamo di fronte, insomma, è quello secondo cui un evento eccezionale e dirompente, che incorpora nel leader – a cui si riconosce un carisma, e quindi qualità uniche e straordinarie – la missione di redenzione collettiva, per mantenere nel tempo la sua efficacia e forza come principio fondativo dell’identità collettiva deve ora trovare una configurazione nuova.
Insomma, quella capacità di infondere entusiasmo alla comunità che ha preso parte direttamente all’eccezionalità della sua guida, ha tratto giovamento dalla sua grandezza e gloria trovando in lui una matrice per puntellare la propria appartenenza, deve dar vita a qualcosa di diverso, al dogma, alla dottrina, alla tradizione vincolante e ineccepibile. Certo, ciò vuol dire perdere una porzione dell’eccitazione della prima ora, quella che ha innervato la dirompenza degli eventi, ma anche acquisire una permanenza e una struttura stabile.
Naturalmente, i fattori emozionali non scompaiono. Maradona mantiene il suo status di centro simbolico, rituale ed emozionale per i tifosi contemporanei del Napoli, anche per i più giovani. È celebrato nei cori della tifoseria, nelle narrazioni dei fan, nelle loro conversazioni, ed è tuttora una figura diffusa ovunque, in modo pervasivo, nella città e nei suoi dintorni. A maggior ragione dopo la sua morte. Non a caso, murales e raffigurazioni che ritraggono il calciatore si sono moltiplicati a dismisura nei mesi che hanno seguito il suo decesso.
Tutto ciò rinvigorisce con ricchi toni emotivi l’appartenenza, l’identità e il senso delle relazioni sociali all’interno della comunità del tifo. Ancora oggi, per altro, vedere le immagini delle sue giocate, dei suoi goal, dei suoi allenamenti dona gioia estetica e piacere partecipativo ai supporter napoletani d’ogni età.
Oltre l’entusiasmo dei primi fan e proseliti, dunque, siamo nella fase in cui il pibe de oro è inconfutabilmente simbolo canonizzato, icona tradizionale, che rappresenta convenzionalmente e irrevocabilmente una comunità calcistico-territoriale, che è termine di paragone universale e trascendente dell’eccellenza calcistica e non, misura – per scarto, naturalmente, essendo ineguagliabile – della bravura di un calciatore, della magnificenza di una squadra, della positività di un campionato.
Ciò testimonia la ricerca costante, da parte della sua comunità di riferimento, di eredi individuali e collettivi che possano scoprirsi degni di rilevare il suo testimone e di rappresentarlo terrenamente in una nuova fase storica.
L’apparente depotenziamento eccitativo dell’immagine del fuoriclasse argentino – in termini di espressione esplicita della passione – rappresenta, dunque, un passaggio obbligato nella definizione di una “struttura connettiva”11 solida per una comunità calcistica e cittadina. In quanto elemento costitutivo dell’identità collettiva duratura si tratta, allora, di un punto di forza decisivo.
Parliamo, a tal proposito, di una memoria riorganizzata di continuo, attualizzata costantemente, ma piena di significati e cornici sociali di senso costruiti e tramandati efficacemente12. Una memoria che dispensa un ordine di significati anche al presente, che funge da collante sociale per individui e generazioni, all’interno di un’area condivisa di esperienza, orientamento valoriale e simbolico, nel bene o nel male.
4. Italia-Argentina 4-5. Conflitti identitari, tra nazione e appartenenza locale
Durante gli anni in cui Maradona ha giocato a Napoli, l’identificazione tra i napoletani e il calciatore argentino arriva al suo apice drammaturgico nella finale del Campionato Mondiale disputato in Italia nel 1990. Il 3 luglio, infatti, Italia e Argentina si giocano l’accesso alla finale del torneo. Teatro dello scontro sarà proprio lo stadio San Paolo di Napoli13.
La fusione tra i tifosi napoletani e il pibe de oro deve affrontare una dura prova, mentre si mette in scena in modo esplicito il rapporto complesso, in alcuni casi anche conflittuale, tra l’appartenenza nazionale e una dimensione identitaria più locale. La controversia tra questi due ambiti identitari, allora come oggi piuttosto intensa, acquisisce in quei giorni particolare vigore pubblico.
Non a caso, all’interno del dibattito mediatico dell’epoca uno dei temi ricorrenti, accanto alle valutazioni di tipo tecnico, è il rapporto tra Napoli e Maradona. Il tifo napoletano sarà dalla parte dell’Italia o preferirà schierarsi con il campione argentino? Ci si domanda insistentemente, dunque, se e in che misura i napoletani si allontaneranno dal senso di appartenenza nazionale, un’impostazione reputata sostanzialmente in modo unanime come automatica. I napoletani marcheranno questa divergenza dal sostegno alla nazionalità, condizione considerata da gran parte della stampa come quella legittima e connaturata, o si allineeranno al supporto per il proprio paese?
In fondo, l’identità nazionale, rimarca Michael Billig14, è sostanzialmente un sostrato ideologico, un “dato per scontato” che caratterizza particolarmente l’era moderna e che si radica nel senso comune.
In fin dei conti, è difficile, se non impossibile, riuscire a fornire una spiegazione esaustiva del senso di appartenenza nei confronti di una nazione, tanto da svelare irrimediabilmente la sua energica componente arbitraria: fanno fede i confini territoriali? Eppure essi sono sempre definiti storicamente; gli elementi culturali? Ma, a ben pensarci, non è semplice indicare in che misura ciò che accomuna, in termini di stili culturali, i popoli delle città mediterranee – Marsiglia, Barcellona, Napoli, Palermo, ecc. – sia maggiormente difforme rispetto al legame tra un siciliano e un sudtirolese; la lingua? Anche qui, considerando l’enorme varietà, l’effettivo utilizzo, l’arbitrarietà dello standard nazionale, le cose sembrano complicarsi.
Eppure nel nostro linguaggio, nelle nostre abitudini familiari, sui giornali, nei discorsi politici, il senso della nazionalità è potenziato e inconfutabile: il mondo viene concepito e illustrato come naturalmente diviso in Stati-nazione, che esprimono in modo implicito la sovranità dei popoli e una loro predefinita unità interna.
Quella di nazione è allora, in fondo, un’idea, una comunità astratta, che trascura le anche corpose diversità tra i connazionali e crea un senso di unità psicologica, fondato su miti originari, sulla compartecipazione ideale a un destino condiviso e altre simbologie di appartenenza – la patria, il sangue, la nascita. Niente di sconveniente e spiacevole, ma pur sempre una costruzione, che a dispetto delle evidenti fondamenta socio-storiche vuole presentarsi come naturale, universale e inappellabile.
Non ci facciamo caso, ma lo Stato-nazione, come cellula fondativa del panorama politico e culturale planetario o dei legami collettivi (sociali, economici, di fedeltà, ecc.), si propone in modo sotteso e implicito come orizzonte assodato.
Per Billig sono molto efficaci, in tal senso, le “bandiere non sventolate”, ovvero tutte quelle pratiche discorsive che richiamano alla mente in modo continuo e sottinteso la persistenza e incontestabilità della connaturata appartenenza nazionale – dal “noi” o “qui” detti da un politico che indica il proprio paese all’articolazione e divisione delle pagine dei giornali in questioni interne/nazionali ed estere.
Un Campionato del Mondo di calcio, con il suo impianto rituale e la sua cerimonialità, rende poi visibili in modo altamente drammaturgico e alimenta in modo emozionalmente pregno l’appartenenza e l’identità nazionale.
Non a caso, una comunità nazionale ascolta il proprio inno, si stringe attorno ai suoi rappresentanti mentre sono impegnati in un conflitto traslato, quello che si svolge sul campo di calcio, mettendo idealmente al servizio dell’appartenenza nazionale qualità come il senso di lealtà, lo spirito di abnegazione, la cooperazione, il coraggio e così via15.
Quando all’ideologia dell’appartenenza nazionale se ne contrappone un’altra che, invece, sostiene una dimensione più locale, con la sua fierezza vigorosa e a volte piena di accenti vanitosi, il primato della nazione, generalmente dato per scontato, appare messo in discussione. È altamente verosimile, allora, che una simile tensione conflittuale generi animosità.
È esattamente ciò che accade in occasione della semifinale del 3 luglio 1990, quando l’egemonia del territorio nazionale (l’Italia) su quello locale (Napoli) sembra sotto attacco e meno scontata, diventando invece problematica – ma anche giornalisticamente attraente.
Specie nei giorni che precedono la partita, tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio, la controversia tra l’identità italiana e quella partenopea assume ribalta pubblica. Sulla stampa si cerca di predire, valutare, giudicare il comportamento del pubblico napoletano allo stadio San Paolo.
Non bisogna dimenticare che, alla vigilia della partita, Maradona con indubbia furbizia e abilità dialettica cerca di scuotere il tifo napoletano e di destabilizzare il clima che avvolge l’Italia, creando sacche di nervosismo. Il pibe de oro ricorda pubblicamente l’ostilità che spesso accoglie i fan partenopei negli stadi italiani, rimarcando il proprio biasimo per il trattamento irriguardoso che aveva accompagnato le partite dell’Argentina durante il Mondiale. La squadra sudamericana, infatti, era stata oggetto di continuo dileggio e di oltraggi al proprio inno nazionale, fin dalla partita d’esordio, disputata l’8 giugno a Milano, e poi in tutte le città in cui aveva giocato.
Non è difficile supporre che i fischi fossero diretti a Maradona, che in Italia in quei giorni non era particolarmente amato, anche a causa del suo carattere e dei suoi atteggiamenti non sempre morigerati. D’altronde, oltre ad essere poco gradito, egli era sicuramente molto temuto come avversario. Non è semplice sapere – anche se non lo si può scartare a priori – se l’ostilità fosse indirettamente riversata anche sul Napoli, sgradito vincitore del campionato italiano appena concluso.
È innegabile, comunque, che a essere oltraggiato era il simbolo, non semplicemente calcistico, in cui la comunità di tifosi napoletani si riconosceva, allora come oggi.
Un’analisi del dibattito che ha accompagnato in quei giorni Italia-Argentina sulla stampa italiana, da me svolto qualche anno fa e qui di seguito sintetizzato nei suoi punti principali16, ha evidenziato la differenza tra la prospettiva e l’impianto di idee presenti sui quotidiani nazionali e le argomentazioni espresse all’epoca da giornalisti partenopei o pubblicate su giornali orientati in prevalenza verso un target campano-napoletano.
L’intero dibattito pubblico di quel periodo è caratterizzato da due considerazioni che hanno contrassegnato implicitamente quasi tutti gli interventi: in primo luogo, il confronto messo in scena è quello tra l’Italia e Maradona – più che quello contro l’Argentina – e, naturalmente, il pibe de oro è stabilmente e automaticamente associato a Napoli; il sostrato ideologico dell’appartenenza nazionale, il dato per scontato che vuole mostrarsi come la condizione naturale, è ora costretto a confrontarsi con la forza ideologica dell’identità locale, che è oggetto di maggiore o minore indulgenza, disponibilità, tolleranza in relazione al vigore con cui essa esprime la sua consonanza o difformità rispetto al primato indiscusso della nazione.
La stampa a dimensione nazionale narra un tifo napoletano che si si muove tra la lealtà nei confronti dell’appartenenza nazionale, considerata il dato di fatto naturale, e una sempre possibile deviazione e slealtà. È frequente l’uso del verbo “tradire”, anche se solo per indicare qualcosa da evitare o un comportamento scorretto scongiurato. Si esplicita la presenza di una “parte giusta”, rinnegabile solo in virtù di un atto blasfemo.
Certo, in qualche modo, si ammette la plausibilità del legame identitario che i napoletani avvertono nei confronti del proprio territorio. Tuttavia, si sostiene che questo sentimento rischia di portare inquietudine e un po’ di smarrimento, anche per il tifoso che comunque rientra nei retti binari del supporto alla nazionale, e nel peggiore dei casi a forme nette di tradimento e opportunismo, incentivati da loschi “arruffapopoli” guidati da malevolo tornaconto.
Spesso dagli articoli emerge un processo tacito ai tifosi napoletani. Giornalisti e opinionisti spaziano dal fermo verdetto al paternalismo tollerante per il tifoso che partecipa all’impostazione nazionale, quella prioritaria e inconfutabile.
I giornali che si rivolgono a un lettore campano o napoletano, invece, così come i giornalisti e gli opinionisti partenopei che scrivono sulla stampa a vocazione nazionale, mostrano un approccio differente. Sembra presente l’urgenza di ribadire in modo chiaro l’adesione e il rispetto del pubblico partenopeo all’identità nazionale e alla sua essenza in qualche modo connaturata. Naturalmente non si disconosce la presenza di una corposa appartenenza più locale, a cui il rapporto così speciale con Maradona dà risalto e sostegno.
I discorsi si mantengono tra una linea difensiva e una risoluta rivendicazione. Degno di nota il fatto che nelle argomentazioni proposte la fiera appartenenza partenopea non viene diluita semplicemente nella dimensione nazionale, ma spesso la affianca e vi interagisce in modo caratteristico. Se si cede, da un certo punto di vista, alla priorità dell’impostazione nazionale, lo si fa consciamente, e con orgoglio autocompiaciuto, come per una concessione fatta per dovere di lealtà, ma sempre con la volontà di marcare una chiara distinzione.
Fosse anche in modo traslato e implicito, sovente si afferma con punte di fierezza che si fa il tifo per l’Italia, e d’altronde ci si sente partecipi delle sorti della comunità nazionale, in modo appassionato ma particolarmente maturo. Ciò perché – si sostiene – alla napoletanità vanno associati tratti distintivi che esprimono serietà e sincero senso di integrità. Simili aspetti – di cui spesso si rimarca la singolarità e la loro mancanza negli altri contesti italiani – impongono lealtà alla propria nazione, ma anche il rispetto di tutti i paesi stranieri, Argentina compresa, a cui non ci si sogna minimamente di indirizzare offese e atteggiamenti irriguardosi.
Non manca, in vari articoli, la denuncia anche forte delle disuguaglianze socio-economiche e delle discriminazioni che caratterizzano il rapporto tra il Nord e il Sud Italia.
In fin dei conti, nella stampa locale o negli scritti di giornalisti partenopei, siamo di fronte al tentativo di tracciare una singolare sintesi tra il senso di unità nazionale e l’evidenziazione di un incontrovertibile particolarismo identitario, capace anche di generare conflittualità, benché superabili, tanto nell’animo del tifoso quanto nel dibattito pubblico. Nel cuore emotivo del ragionamento si mantiene vivo l’orgoglio identitario, con il suo manifesto portato retorico, e sovente anche un’implicita volontà di rivincita e redenzione. Sarebbe a dire tutto il portato di idee e sentimenti che Maradona ha contribuito a rinvigorire e che mantiene una sua preminenza anche quando confluisce, come nel caso di una competizione come il Campionato Mondiale, nel paradigma dell’appartenenza nazionale.
5. Per concludere
Nelle pagine precedenti sono state delineate le caratteristiche principali del legame tra Napoli, il suo tifo e Maradona, un idolo calcistico che ha promosso un solido sentimento collettivo contrassegnato da un consistente e fragoroso riconoscimento identitario.
L’affetto per il fuoriclasse argentino va, evidentemente, oltre il capoluogo campano e le sue propaggini in Italia e non solo. Il pibe de oro è, infatti, oggetto di una devozione altrettanto forte in Argentina, dove è a tutti gli effetti un’icona nazionale e si presenta come protagonista della cultura popolare novecentesca del paese. Altrove il calciatore ha assunto lo status di ambasciatore simbolico – magari presunto più che reale, evidentemente – della voce popolare, dell’affrancamento sociale, dell’opposizione al potere17. Ciò al di là delle molteplici e complesse contraddizioni che hanno caratterizzato il suo personaggio – e senza negare il fatto che Maradona non è per forza universalmente amato.
Ad ogni modo, come si accennava in sede introduttiva, la sua morte sembra avere provocato – almeno nelle collettività che si identificano in lui – una diffusa esperienza della perdita e del cordoglio condiviso, benché vissuta sulla base di una ritualità funeraria al più mediatizzata. Una dimensione di partecipazione collegiale, magari indiretta, ad un lutto fusionale e comunitario. Questo forte abbraccio di commiato, per esprimersi con tale intensità, non poteva non innestarsi su sostegni identitari già ampiamente radicati. E non poteva non alimentarsi di una sostanza ideale, finanche mitizzata.
Quest’aura mitica, che ha spesso accompagnato il calciatore e la sua narrazione in vita, è possibile che ora riesca a liberarsi della mondanità e della contaminazione della realtà terrena, per diventare storia esemplare – non priva di aporie – in cui molte comunità potranno trovare un’ispirazione forse più ampia, nel bene o nel male.
Note
- Cfr. Luca Bifulco e Francesco Pirone, A tutto campo. Il calcio da una prospettiva sociologica, Napoli, Guida, 2014, pp. 36-53; Luca Bifulco e Mario Tirino, The Sports Hero in the Social Imaginary. Identity, Community, Ritual and Myth, in “IM@GO”, 11, 2018.
- Robert B. Cialdini, Richard J. Borden, Avril Thorne, Marcus Randall Walker, Stephen Freeman e Lloyd Reynolds Sloan, Basking in Reflected Glory: Three (Football) Field Studies, in “Journal of Personality and Social Psychology”, 34, 3, 1976, pp. 366-375.
- Altri meccanismi psico-sociali operano per assorbire eventuali delusioni. Cfr. Daniel L. Wann, Sport Psychology, Upper Saddle River, Prentice Hall.
- Cfr. Randall Collins, Interaction Ritual Chains, Princeton, Princeton University Press, 2004; Id., L’intelligenza sociologica. Un’introduzione alla sociologia non-ovvia, S. Maria C.V., Ipermedium libri, 2008.
- Cfr. John C. Turner, Social Identification and Psychological Group Formation, in Henri Tajfel (a cura di), The Social Dimension. European Developments in Social Psychology, Cambridge, Cambridge University Press, 1984.
- Cfr. Luca Bifulco, Essenza e routinizzazione di un eroe. Maradona per due generazioni di tifosi napoletani, in Luca Bifulco e Vittorio Dini (a cura di), Maradona. Sociologia di un mito globale, S. Maria C.V., Ipermedium libri, 2014; Id., Maradona, un héroe deportivo. Tre estudios sociólogicos de Italia, Buenos Aires, Ediciones Godot, 2020.
- Su questo aspetto dell’eroismo sportive cfr. Stanley H. Teitelbaum, Sports Heroes, Fallen Idols. How Star Athletes Pursue Self-Destructive Paths and Jeopardize Their Careers, Lincoln & London, University of Nebraska Press, 2005.
- Cfr. Émile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Roma, Meltemi, 2005; Randall Collins, Interaction Ritual Chains, cit.; Id., L’intelligenza sociologica. Un’introduzione alla sociologia non-ovvia, cit.
- Randall Collins, L’intelligenza sociologica. Un’introduzione alla sociologia non-ovvia, cit.
- Cfr. anche Pablo Alabarces, Maradona: mito popular, símbolo peronista, voz plebeya, in “Papeles del CEIC”, 249, 1, 2021, pp. 1-11.
- Jan Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi, 1997.
- Cfr. Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, Milano, Unicopli, 2001; Id., I quadri sociali della memoria, Napoli, Ipermedium libri, 1997.
- Che non a caso oggi si chiama Stadio Diego Armando Maradona.
- Michael Billig, Banal Nationalism, London, Sage Publications, 1995.
- Cfr. John Hargreaves, Freedom for Catalonia?: Catalan Nationalism, Spanish Identity and the Barcelona Olympic Games, Cambridge, Cambridge University Press, 2003.
- I contenuti analitici sul dibattito giornalistico dell’epoca presenti in questo paragrafo prendono spunto dal mio studio: Luca Bifulco, Italia-Argentina e oltre. Identità nazionale, appartenenze locali e calcio come spettacolo e consumo, in Nicola Porro, Stefano Martelli e Giovanna Russo (a cura di), Il Mondiale delle meraviglie. Calcio, media e società da “Italia ‘90” a oggi, Milano, Franco Angeli, 2016.
- Cfr. Pablo Alabarces, Maradona: mito popular, símbolo peronista, voz plebeya, cit.
tag: calcio, eroe sportivo, identità, Maradona, memoria
Questo articolo è distribuito con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International. Copyright (c) 2021 Luca Bifulco