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Gli Azzurri, le Azzurre, l’azzurro: dal colore dei Savoia a quello del doping
di , numero 52, dicembre 2021, Note e Riflessioni, DOI

Gli Azzurri, le Azzurre, l’azzurro: dal colore dei Savoia a quello del doping
Come citare questo articolo:
Angela Zangaro, Gli Azzurri, le Azzurre, l’azzurro: dal colore dei Savoia a quello del doping, «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 52, no. 19, dicembre 2021, doi:10.48276/issn.2280-8833.9715



«Ti vedo stanca, hai le borse sotto gli occhi Come ti trovi a Berlino Est?1»

Gli ultimi successi degli atleti Azzurri hanno risollevato il morale dei nostri connazionali stremati da una sconfitta ben più dura, quella imposta dal Covid-19.
Aver portato a casa la coppa degli Europei ha fatto sì che gli italiani scendessero per le strade e nelle piazze per far sentire i loro clacson e le loro urla di gioia fino all’alba, dando però l’impressione che tutto ciò fosse la metafora di una vittoria più nascosta o semplicemente la scelta arbitraria di mettere fine ad un incubo, illudendosi che i nostri calciatori avessero sconfitto non solo la squadra avversaria ma anche il virus.
Le vittorie sportive infatti non sono mai fini a se stesse, così come non lo è lo sport in generale, che da sempre è molto di più di quello che appare e non coinvolge solo chi lo pratica: è un ecosistema che vive all’interno del nostro pianeta.
Se si pensa alle donne di Sparta che al contrario delle attuali donne afghane potevano fare sport, passando per il calcio durante il Regime usato per la sua propaganda, si deduce che non si tratti solo di giochi, allenamenti e tifoserie ma anche di economia, politica e psicologia. È proprio il caso di pensare alla biopolitica di Foucault.
Almeno due palestre su cinque riportano il frammento di una delle frasi più celebri e più travisate di Giovenale: mens sana in corpore sano, che sembra affermare che una mente è sana quando lo è anche il corpo. In realtà Giovenale scrive: orandum est ut sit mens sana in corpore sano, cioè l’invito a fare pregando una sola richiesta agli dèi, quella di ricevere una mente sana e un corpo sano.
Probabilmente già allora si fiutava quanto potesse essere dannoso lo sport nel momento in cui avrebbe scavalcato la semplice e sana attività sportiva per essere finalizzato all’edonismo, per esempio, come avveniva nel mondo greco, o a qualcosa di ancora più dannoso.
Nel 2009 viene pubblicato il poema epico-narrativo di Vincenzo Frungillo Ogni cinque bracciate, che due anni prima fu finalista con Ogni cinque bracciate. Un estratto del premio Antonio Delfini di Modena.
Il testo si presenta al lettore esattamente vent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, una delle poche volte in cui al termine “caduta” si dà un’accezione positiva: se non fosse che allo sgretolamento del muro si affianca nella realtà quello del corpo originario delle protagoniste del testo.
Tutto nel poemetto vive in modo parallelo a qualcos’altro, un insieme di ingranaggi e calcoli perfetti, quasi danteschi, in cui è il numero cinque a dominare.
Il poema epico-narrativo2 è scritto in ottave seguendo uno schema rigido, quasi per trasmettere al lettore la tesi che per qualcuno non ci sarà via d’uscita3.
Infatti, in ottave chiuse come lo spazio della piscina, leggiamo le storie delle nuotatrici dell’Ex Repubblica Democratica Tedesca che nel 1980, alle Olimpiadi di Mosca, portarono al Paese numerose vittorie seguendo lo stesso ritmo testuale che ci ha accompagnato nelle vicende di Orlando4, in cui si incatenavano pezzi di storia, vita dei personaggi e amori, proprio come accade in questo poema.
La relazione tra lo scheletro del testo e i contenuti traspare nella struttura composta da cinque canti che contengono cinque sequenze. Ogni sequenza, a sua volta, ha cinque ottave e se interrompiamo, grazie allo spazio bianco, la lettura, riusciamo ad immaginare in quella pausa una bracciata e alla fine di ogni sequenza, quindi, un respiro, il limite, il record.
Un respiro dall’acqua, un respiro dalla vita della quale le giovani atlete avevano perso il controllo, un respiro dalla storia, un respiro da un corpo che il doping stava trasformando.
Quattro nuotatrici per quattro stili che al lettore vengono presentate come Ute, Karla, Renate e Lampe, l’orgoglio o l’oggetto della propaganda comunista.

Ute della DDR campionessa olimpica, «così veloce quando nuota in piscina! che, nonostante la tremenda fatica, ogni cinque bracciate respira».

Le nuotatrici erano solo delle anime azzurre, azzurre come l’acqua, come le pareti della piscina, come le pillole che ingoiavano tutti i giorni, per far salire il loro Paese sul podio del mondo dopo che qualcuno aveva deciso a tavolino, conscio delle conseguenze, di trasfigurarle per sempre.
Il quinto personaggio è il cattivo, il dottor Starkino. Quando il lettore avrà imparato a conoscerlo, capirà che il suo nome, che richiama l’aggettivo Stark, forte, nasconde uno stridente gioco di parole.

L’azzurro delle pillole al mattino Nel bagno di luci dello spogliatoio, prende la parola il dott. Starkino […] «Voi siete anime azzurre, bambine, ricordate queste parole mentre nuotate, voi siete delle piccole, grandi, eroine, voi siete il modello della specie, ricordate, il coagulo opportuno delle piastrine, voi siete la nostra punta di diamante. Contro la tecnologia del mondo capitalista trionferà in voi la scienza d’un paese comunista!»

Nel 1989 la Germania che tanto aveva acclamato le nuotatrici con le medaglie al collo ora quasi non le riconosce.
Il rapporto tra atleti e “pubblico” è molto fragile, proprio come gli atleti stessi. Immagino la sensazione di stabilità precaria che ha fin dall’inizio una data di scadenza. La terra trema costantemente, prima per il fremito dei tifosi, poi perché il mito si sgretola e anche quando nel migliore dei casi si resta nella memoria, si passa comunque oltre, ad un altro campione.
Sono diversi gli episodi spiacevoli, al termine di periodi davvero emozionanti, che testimoniano come il rapporto tra tifosi e atleti possa essere talvolta difficile. Perfino Maradona, El Pibe de Oro, fu fischiato e andò via da solo dall’Italia. Ci si illude di avere nei propri muscoli un potere, che in realtà è dettato da un altro potere.
L’atleta, un contenitore di valore ma completamente vuoto, ne esce sconfitto, nonostante le vittorie. Che paradosso terribile.
Ute, Lampe, Karla e Renate erano effettivamente morte pur rimanendo in vita, come delle farfalle diventate bruchi, il contrario di quello che accade in un bozzolo.
Una metamorfosi non voluta, penso a Gregor Samsa, che coincide con la metamorfosi dell’intera Germania fatta di dolore, di sacrifici, di debiti pagati da chi non c’entrava nulla, da chi desiderava solo cambiare vita, figli di genitori che avevano conosciuto l’orrore della Guerra.

[…] ma ogni sorriso, improvviso, così bello, strappa il filo, è un volo puro: una carrellata di volti gioiosi regala al mondo le anime azzurre ognuna in fuga sul proprio sfondo.

È facile in situazioni di buio pesto lasciarsi attrarre da luci ingannevoli e artificiali come quelle del successo, ma non sempre si è coscienti di quello che intercorre tra il buio e la luce; ancora di più si ignora il ritorno del buio che vuole saldare il conto.

«Con tutto il peso della gloria sulle nostre braccia la pienezza, vedete, già ci minaccia».

Cosa si dirà di corpi così mascolinizzati?

-«è una donna, è un uomo, è un essere umano?»

Quello che resta…

[…] È ch’io non ho più un nome, sono Ute, Lampe, Karla, Renate sono la Storia di tutte le storie mai nate.

Vincenzo Frungillo è nato a Napoli, dove ha studiato filosofia. Tra i luoghi in cui ha vissuto ricordiamo la Germania e il capoluogo lombardo. Dal 2002 vengono pubblicati i suoi testi poetici, gli scritti in prosa, quelli di drammaturgia teatrale e i saggi.
Con il suo poemetto riesce non solo a far conoscere il falso mito delle nuotatrici della Germania Est, ma anche a dare voce alle donne che sono state prima oppresse poi annientate dal corpo delle atlete: donne che hanno perso il respiro, ma fuori dall’acqua.

Note

  1. Franco Battiato, Alexander Platz. per spiegare al lettore in che città e in che periodo storico siamo, sia per la storia della protagonista della canzone, sia perché Vincenzo Frungillo scrive alla fine del poemetto di essere stato proprio nei pressi di Alexanderplatz, negli uffici della Bstu, per cercare le immagini delle protagoniste.
  2. Nella prefazione Elio Pagliarani argomenta la scelta di questa definizione..
  3. A tal proposito Milo De Angelis nella postfazione parla di “indizi funesti” che l’autore distribuisce al lettore.
  4. La correlazione è nella prefazione di Pagliarani.

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