Martedì, 24 agosto 2004, ore 11.15
, Yale University, Presidente della Dante Society of America, Professore emerito dell’Università di Bologna, Presidente IBC Emilia-Romagna
, poeta e scrittore: Quando si ha che fare con due grandi autori, due grandi classici, in questo caso, come Dante e Petrarca, ci si accorge che il problema non è tanto che, da molti anni, da molti secoli, si parla di loro, ma è che da molti anni e da molti secoli loro parlano di noi. E quindi, l’attenzione alla loro opera, è un modo con cui uno presta attenzione a se stesso. Il classico è tale, infatti, perché continua a dire qualcosa di vivo alla mia vita.
Abbiamo voluto soffermarci, in questa edizione del Meeting, su questi due autori, in particolare su Dante e su Petrarca, non solo per la ricorrenza che molti voi sanno, del settecentesimo di Pet... continua a leggere
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Più volte ho ragionato sul problema di come fosse nato in me il gusto dell’insegnare. E dicevo – ma è sempre difficile congetturare su se stessi – che forse molto nacque da uno stato di necessità.
Avevo frequentato l’università solo per due anni, tra il 1941 e il 1943: invece, il ’44 e la prima metà del ’45 furono assorbiti, quasi ingoiati, da altre avventure e da altre ragioni, lontane da quelle universitarie. Mi trovai a essere uno degli insegnanti di cui il Comune di Bologna si serviva per tappare i buchi delle assenze improvvise in questa o in quella scuola. Ed ero una specie di maestro picaresco, che si spostava qua e là, nei vari luoghi della città, usando naturalmente il tramvai, mentre all’università andavo soltanto di pomeriggio, salvo i rari casi in cui le supplenze riguardavano corsi pomeridiani.
Durante quegli anni feci esperienza di molti ragazzi e di molte classi. Il primo problema che si presentava era che succedeva ... continua a leggere
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Per quanto la conversione costituisca un fatto determinante, capitale, nel destino di uno scrittore e di un uomo, Manzoni non amava parlarne. Restano solo poche allusioni: una, ellittica, a san Paolo, e alcuni racconti riferiti, ma probabilmente degni di fede, su ciò che accadde in quel famoso 2 aprile 1810, quando Manzoni con la giovane moglie, Enrichetta, si trovò a Parigi, nel pieno dei festeggiamenti per le nozze di Napoleone. Si sa che a un certo punto, nella confusione generale, la moglie svenne, e i due restarono divisi. E finalmente Manzoni si ritrovò nella chiesa vicina di San Rocco, con una sorta di nuova epifania.
È probabile che in tutto questo pesi l’umiltà dello scrittore: vi sono pagine straordinarie, nelle Osservazioni sulla morale cattolica, intorno alla modestia e all’umiltà. All’uso della parola «io», Manzoni preferiva il «noi». Non aveva neppure l’inclinazione straordinaria di Newman, a cui pure può essere avvicinato, nelle ... continua a leggere
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Per quanto la conversione costituisca un fatto determinante, capitale, nel destino di uno scrittore e di un uomo, Manzoni non amava parlarne. Restano solo poche allusioni: una, ellittica, a san Paolo, e alcuni racconti riferiti, ma probabilmente degni di fede, su ciò che accadde in quel famoso 2 aprile 1810, quando Manzoni con la giovane moglie, Enrichetta, si trovò a Parigi, nel pieno dei festeggiamenti per le nozze di Napoleone. Si sa che a un certo punto, nella confusione generale, la moglie svenne, e i due restarono divisi. E finalmente Manzoni si ritrovò nella chiesa vicina di San Rocco, con una sorta di nuova epifania
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Alta età” è una bella definizione. Bella e piena… anche vera certamente, però a me fa venire le vertigini… le vertigini del tempo, le vertigini dell’altezza eccetera… come essere già seduti sopra una nube. Per mio uso preferisco “età grande”, “l’età grande”, con la convinzione di riferirmi al sentimento più emiliano
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Tra latino e francese, la speculazione medievale e la meditazione umanistica si uniscono con nuovi accenti, che sono quelli di un Cinquecento drammatico e conflittuale, segnato da condanne ed esilii. Nell’ambito di una grande tradizione tematica in cui si configura l’esperienza più intensa dell’inquietum cor cristiano, spicca per molte ragioni, ora più ora meno evidenti, la severa figura di Giovanni Calvino, con la lucidità tagliente ed infuocata dei suoi trattati e dei suoi commenti. Nella spiritualità inquieta ed agonistica del riformatore, l’ansia della salvazione si fonde con la rude certezza di una fede inconcussa, anche quando vi si insinua, per dirla con Jean Delumeau, una nevrosi ossessiva e collettiva da senso di colpa, il cupo sentimento dell’abbandono, della solitudine senza riscatto. E tuttavia non viene neppure meno il mondo degli affetti, il conforto di un calore umano, biblico e insieme moderno.
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