Un viaggio, una meta, una ripartenza: una città come Bologna è anche questo. Forse è soprattutto questo, sia per chi ci vive che per chi la visita. Ogni volta si scopre qualche cosa di nuovo, spinti da quella curiosità che muove ogni percorso di vita. Dal centro alle porte cittadine fino alle zone al di fuori, al di là, oltre. Dopo una prima escursione all’interno di un centro eccentrico, dopo una seconda lungo la soglia esotica delle porte e dei giardini, se ne fa possibile anche un’altra per cogliere una delle tante dimensioni di questa nostra sfuggente città che mi piace definire estatica, quasi fosse una visione che dal qui e ora porta al verde dei colli tutt’intorno e all’azzurro pallido d’un cielo che sovrasta ogni realtà, attraversando pezzi d’an... continua a leggere
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Nelle Myricae di Pascoli la poesia, seppur per frammenti e illuminazioni, diviene programmaticamente indefinibile punto d’incontro tra realtà sensibile e realtà ultrasensibile, si fa dimensione d’interscambio tra ciò che non è più e ciò che mai più sarà, è invisibile linea che separa e insieme unisce l’inafferrabile unità del tutto. Il poeta, postosi sulla soglia dell’essere già dal titolo, tocca guarda ascolta quanto ad altri è precluso, rimodulando nel suo canto immagini di un mondo ormai trapassato, che parla una lingua arcana e immortale, lingua non tanto a un livello pregrammaticale, secondo la ben nota definizione di Contini, bensì prenatale e ancestrale, iscritta nel cuore delle cose, simile alla circolarità cantata nella quarta ecloga... continua a leggere
tag: leopardi, letteratura, Pascoli, poesia
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Alla pubblicazione di una nuova raccolta poetica, oggi più che mai, si riaccende l’interrogativo sull’utilità – non voglio dire necessità – di fare versi, di strutturarli organicamente in una sequenza di senso compiuto e di proporli a un lettore: la dimensione lirica è una ricerca, uno scandaglio all’interno prima ancora che all’esterno di sé, la ricerca di un dialogo nell’epoca del solipsismo disperato, in un momento storico in cui le parole sono divenute quasi inutili frammenti del divenire incessante della realtà. Se la poesia aiuta a vivere (o a non morire), se l’espressione assoluta ha per sua natura il superamento dell’hic et nunc, del transeunte che ci confina nella dura materia di tutti i giorni, se l’arte spezza le catene verso un’altra dimensione, allora si può e si deve affermare risolutamente che il nuovo libro di Sebastiano Fusco assolve al compito che si è prefisso.
Per addentrarsi un poco, ma senza il rischio di... continua a leggere
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Quando, per il 20 dicembre 2016, sono stato invitato a presentare alla Casa della conoscenza il volume 130 anni a Casalecchio. Caffè Margherita, di cui qui tenterò – in modo del tutto personale – di parlare, ho pensato a lungo al motivo vero per cui da circa un decennio ho preso a frequentare quel bar, così particolare com’è sotto il portico di Palazzo Quadri, all’angolo delle vie Porrettana e Marconi, a due passi dal Reno, dove spesso la vita sembra soffermarsi un po’a riflettere su se stessa per poi procedere inesorabile senza sosta. Ho pensato, dicevo, ho ripensato, e non ho trovato parole migliori per esprimere quel che provo nel recarmi là se non il famoso verso di Carducci: «un desiderio vano de la bellezza antica» (Nella piazza di san Petronio, 20). Tutto tra quelle quattro mura racconta qualche cosa, un aneddoto, un personaggio, una storia, e così lo vivo quale un luogo della memoria, anche della mia personale memoria, un luo... continua a leggere
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Un ampio canzoniere accolto tra due ali di esiguo peso, ma dall’inequivocabile significato di soglie, una d’ingresso e una di uscita: l’autore ha scelto di collocare la propria collezione poetica in una coppa di massime e aforismi, di adagiarla tra frantumati cristalli di prosa.
In apertura sono Cocci fra terra e cielo, citazioni tratte da molti maestri di morale e utili strumenti per il viaggio. Sono inevitabili, bisogna camminarci sopra prima di entrare, e restarne feriti. Uno per tutti, l’ultimo (il 66, numero che pone più di un quesito), che fa compiere infine, col dolce tocco autoritario della firma di Ceronetti, il lancio nel canzoniere: «La poesia ripara gli errori della Ragione, riempie i vuoti dei sensi, toglie il “velo di Maya” dai nostri occhi. È la vera Conoscenza».
E se all’inizio sono cocci, alla fine ecco alcune schegge firmate dall’autore, il fragile artigiano, che nelle prime compie, sc... continua a leggere
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Da un po’ di tempo, ormai, da un paio d’anni direi, se la memoria non m’inganna, ho cominciato a scrivere soltanto sonetti dallo schema originario, con le rime alternate nella fronte e nella sirma. Se sia un bene o un male, questo davvero non lo so capire, e francamente m’interessa il giusto. Vorrei solo sapere perché per molti, oggi, il sonetto sia avvertito come un gioco dilettantesco e obsoleto, come un assurdo retaggio del passato. Lo strappo forte delle avanguardie non ha fatto altro che ridurre i versi a briciole, più o meno corpose, di parole. Io, purtroppo, non mi ritrovo che nel verso misurato, nello schema tornito e cesellato, e questo perché è una scelta di assoluta libertà, perché nessuna tradizione me lo impone più, perché in fondo sono convinto che la regola sia la mia unica libertà, che mi oppone al mondo del caos e del disordine. Ecco, allora, che la regola, la norma, il canone sono il mio tratto distintivo, il mio stile, la mia riconos... continua a leggere
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Leggendo e rileggendo questa silloge poetica di Sebastiano Fusco, si ha l’impressione d’immergersi in un’atmosfera rarefatta, d’inoltrarsi per un sentiero solitario e fresco, di percorrere una via secondaria, capace però di portare alla scoperta di un tesoro, inestimabile quanto obliato. Sorge, così, un microcosmo luminoso e immediato, fatto – essenzialmente – d’immagini quotidiane e genuine, una ricerca ponderata di “piccole cose”, da tenere fra le dita come fiori variopinti dopo una passeggiata primaverile, una parola piana e (talvolta) consolatrice, colma d’affetti buoni e di malcelata nostalgia, una collana di perle iridescenti e insolite.
Un vero cammeo queste Meditate emozioni che Sebastiano Fusco raccoglie nel volume. Tra questi versi brevi si avverte bene, credo, il desiderio di rifuggire dalle forme lunghe della poesia italiana, di abbandonare – seppure in apparenza – le strutture poetiche e retoriche più complesse in favore di ... continua a leggere
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La canzone leggera italiana contemporanea, dai suoi esordi con Nel blu dipinto di blu di Modugno-Migliacci (1958) alla sua evoluzione nel corso degli ultimi decenni, va riconosciuto come un genere musicale a sé stante. In particolare, un brano di Minellono-Hoffman-Farina, portato al successo da Al Bano e Romina Power nel 1985, il cui titolo è Grazie, rappresenta al meglio questa dimensione, da un lato per la vibrante melodia e i contenuti toccanti, dall’altro per la metrica del testo
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Tra le tante canzoni del sessantunesimo Festival di Sanremo, una in particolare s’impone per il testo, ed è Amanda è libera di Al Bano Carrisi, scritta insieme con Fabrizio Berlincioni e Alterisio Paoletti. E s’impone tanto per il contenuto, che affronta una tematica di bruciante attualità, vale a dire la vita e la morte di una ragazza di strada, la ventottenne nigeriana Doris Iuta, quanto per il fatto che lo schema metrico utilizzato è quello dell’ode-canzonetta o, se si tenta un’interpretazione più ardita, dell’asclepiadeo minore di stampo carducciano. L’impegno etico-civile, quindi, sembra coniugarsi, come è giusto che sia, a una ricerca d’ordine, nel caos multiforme che regna in questo tumultuoso inizio di terzo millennio
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Chi volesse ripercorrere, pur sinteticamente, le vicende dell’architettura e dell’urbanistica italiane durante il ventennio fascista, trarrebbe di certo utili spunti dalle polemiche sull’“arte di Stato”, riconsiderando i significati attribuiti da architetti e critici ai termini “classico”, “moderno”, “razionale”, che divengono qui assai sfuocati nell’intenzionalità, sovente dettata da un quadro oltremodo articolato, nonché denso di forti, talora stridenti giustapposizioni
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Nell’esporre e definire il suo canone, Dante definisce Orazio poeta principalmente satirico: «Quelli è Omero poeta sovrano; / l’altro è Orazio satiro che vene; / Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano» (Inf. IV 88-90). Eppure, io ho sempre preferito l’Orazio lirico, il sommo autore delle Odi, l’autore di una poesia che, come la famosa goccia, scava il sasso, penetra, plasma e ridetermina il nostro modo di vedere, considerare e agire il mondo. E certo quella di Orazio è una poesia molto consapevole del suo ruolo, intellettuale e sociale, che è poi il ruolo della letteratura. L’aurea mediocritas, in fondo, è lo strumento, l'imprescindibile methodus, per raggiungere tutti gli uomini, al di là di linguaggi iperspecialistici e tecnocratici, al di là di lingue volutamente oscure e impenetrabili, salvo che agli iniziati
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Il positivismo rappresenta, secondo diversi autorevoli studiosi, un tentativo di rispondere alla gravissima crisi che colpì e funestò la politica, la società e la cultura europee dopo la Rivoluzione francese. Esso si pone, da un lato, come una critica radicale della cultura della Restaurazione, dall’altro come la ricerca di un ordine politico basato sull’innovazione tecnico-scientifica e capace, nel contempo, di assicurare il progresso e l’ordine sociali. Tale orientamento speculativo e ideologico costituisce perciò l’aspirazione a una pur graduale laicizzazione della società
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Anche se la quaestio è sin troppo vexata, in una canzone di quelle che siamo abituati ormai ad ascoltare per radio (e taciamo, volutamente, tutti gli altri supporti tecnologici, la cui attualità non si riesce mai a definire) non possiamo che chiederci se nasca prima il testo o la musica. Se facessimo un minimo di etimologia, intuiremmo subito che musica è parola legata a Musa, cioè alla dea metonimia della poesia: può, allora, esistere un testo poetico svincolato dalla musica?
Della musica antica non ci resta nulla, e noi leggiamo i testi poetici della lirica e dell’epica come se fossero stati scritti senza il supporto musicale. Ma come lavoravano i poeti greci e latini? Non lo sappiamo pienamente. E nel Medioevo che succedeva? È innegabile: nella communis opinio il poeta, chiuso nel suo universo di nuvole, ricerca con gli occhi persi nel vuoto una parola che non trova. Ma succede così veramente?
C’è qualche musicista che abbia musicato la poesia it... continua a leggere
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In quel tempo, il caso volle che io scoprissi un libercolo, edito dalla Sansoni nel 1939, intitolato Storia romana in versi. Aprii il volumetto, in verità sdrucito e mal messo, e iniziai a leggere… lessi tanto, lessi molto, ed era così piacevole che quel libretto me lo portai a casa e l’ho ancora nella mia libreria, tutto rilegato in color verde, come la famosa tendina della libreria di Stardi del libro Cuore
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Valla, sta’ attento che, a sfidare tutti/ A duello, tu non muoia incautamente/ E non ti faccia favola del volgo./ Senza vergogna i sommi sacerdoti/ Inchiodarono il re degli dèi in croce,/ durante il suo soggiorno sulla terra;/ forse perdonerà un Valla, se gli offri/ motivo, chi preparò l’uccisione/ per Cristo?
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Il timore di apparire un po’ irriverente, o inadeguato, nel paragonare il ritrovamento di un nuovo frammento di Saffo al figliuol prodigo della nota parabola evangelica (Lc 15, 11‑32), è innegabile: ce l’ho, e come!
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Catullo, per tutti, ormai… per molti o per qualcuno, diciamo pure così, se è vero che non si può né si deve dare proprio nulla per scontato; Catullo, insomma, è il poeta dei basia, di quei “baci” che sono la più alta manifestazione di affetto, di complicità e di comunione che l’uomo è in grado di riservare al suo simile. Tant’è vero che lascia sgomenti come con un bacio Giuda tradisca il Maestro, l’Amico: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?»
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Annibal Caro nasce nel 1507 a Civitanova Marche, e riceve i primi rudimenti da un modesto maestro di grammatica, che tuttavia semina nell’allievo l’amore appassionato per le lettere: a testimoniare il suo precoce impegno ci restano i versi latini, ancora acerbi e scolastici, indirizzati al suo precettore. Sul versante della letteratura volgare, il gusto del giovane Caro è ancora immaturo e disordinato
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In questo primo volume della collana Abissi, labirinti e metamorfosi, fondata e diretta da Keir Elam e Davide Monda, Anna Maranini – studiosa apprezzata a livello internazionale che, da tempo, indaga la civiltà dell’Umanesimo neolatino – conduce una disamina accurata e puntuale della poesia emblematica d’amore che, nel Rinascimento, fiorisce come prodotto maturo della sensibilità europea: «nella tradizione dell’Occidente la metafora del vedere le parole ha di fatto indicato una nuova Gestalt di apprensione, una reazione di simultaneità che ha luogo nello spazio concettuale della dianoia»
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Se è da considerare vera l’affermazione per cui l’autore classico è quello che parla e scrive per noi, ricerchiamo pure quei fondamenti che ci costituiscono ab origine e ci identificano, facciamo pure un tuffo nel passato, secondo quanto scrive Gilda Tentorio nell’Introduzione al volumetto con gli scritti plutarchei sui Consigli d’amore, e troveremo «lo sguardo di un autore antico attento alle iridescenze della passione che si riverberano sulla vita»
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Novis te cantabo chordis,
O novelletum quod ludis
In solitudine cordis.
Esto sertis implicata,
O femina delicata
Per quam solvuntur peccata!
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Quando frequentavo ancora l’ultimo anno di liceo, preso da non so che demone, mi venne l’uzzolo di tradurre Saffo: un pensiero folle, una passione insana, quella per la resa e la riscrittura di testi antichi che non mi riesce di guarire e che, anzi, ha contagiato testi che antichi non sono, ma scritti sempre in lingua latina o greca. Mi misi lì, meo Marte, a compulsare il mio Rocci, con quelle tre macchioline che la mia stilografica gli ha lasciato di fianco schizzando il suo inchiostro una mattina che avevo una versione in classe.
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Occorre essere stringati, andare subito al punto che – ahimè – troppe volte è dolente, per non essere tacciati di prolissa vacuità o vacua prolissità. La sintesi è dote di pochi. Teocrito, dunque. Molto di più non è che se ne sappia. O, meglio, non quanto se ne vorrebbe sapere: il naufragio della letteratura classica, soprattutto greca, è uno strazio annoso: generazioni e generazioni si sono interrogate diciamo pure sul nulla. Del resto, per colpa di Manzoni, Carneade è passato alla storia come uno sconosciuto, ed era provetto filosofo, di cui si sa, si sa anche parecchio. Ma, come dice Cicerone ad Attico, de hoc alias.
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Che bisogno ha il Leopardi di dire, a un certo punto de L’infinito e precisamente al v. 4, che sta seduto (o che si siede)? Mi pare di averlo compreso la prima volta che sono stato sul famoso «ermo colle» di Recanati. Quell’occasione mi resta fissa nell’animo, mentre ravviso ogni luogo e ogni gesto; mi resta addosso come quell’inafferrabile gerundio, «sedendo». Un «sedendo» preceduto, per altro, dal «ma» avversativo: prima, forse, il poeta non era seduto? Io credo di sì.
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