La bestia ha occhi di velluto, iridi grandi, pupille vibranti, lo sguardo luminoso avvolge con dolcezza. Ho seguito gli occhi della bestia dal Ghana a un mare sconosciuto. Rive affollate, macerie, dolori e grida erano ovunque, da una città si alzavano due grandi case costruite come bottiglie rovesciate, vicino a queste, l'ultimo piano di una torre altissima ruotava su se stesso, un miracolo per me, ma tutto questo lo vedevo già vecchio, logoro e devastato da una recente rivoluzione. Eravamo a Tripoli, per una donna africana ero già alle soglie della vecchiaia, perciò di quel lungo viaggio avevo subito una stanchezza al limite della rinuncia, ma accanto a me ritrovavo nei momenti più disperati gli occhi di velluto, ed allora, paura e fame li sentivo svanire, dissolti dal suo sguardo.
Trascorsi con lui alcuni giorni, rimarranno i più felici della mia vita. Oggi guardo un domani vuoto e buio, ho sempre freddo e attorno a me parlano una lingua sconosciuta.
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Ho letto molte opere di Umberto Eco, diversi saggi e tutti i romanzi, di questi ultimi prediligo Il nome della rosa, Baudolino e L'isola del giorno prima. Opere che univano all'importanza storica eleganza di linguaggio e perfetta struttura narrativa. A queste consolidate qualità dell'autore, si imponeva il forte protagonismo della genialità, una prerogativa, poco o tanto, sempre presente sia nei saggi che nei romanzi, che si è a mio parere diluita nel Cimitero di Praga, fino a estinguersi del tutto nell'ultimo romanzo, Numero Zero, su cui vorrei esprimermi.
Un giudizio severo il mio, forse anche troppo, e per meglio rafforzarne l'impulsività riporto il commento che mi è …. quando sono arrivata all'ultima pagina e chiuso il libro: “Poteva fare a meno di scriverlo!”
Dopo di che mi frullarono per la testa due osservazioni, riguardanti sia autori celebrati che recensori (a... continua a leggere
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Tra le espressioni culturali e artistiche più frequentate, due di queste vengono interpretate da personaggi sconosciuti, la cui esistenza è comunemente trascurata dai dibattiti televisivi più populistici ai salotti letterari di appartata selettività. Il loro valore, la capacità professionale non viene mai discussa, elogiata, criticata, nel bene e nel male, un vuoto di attenzione anomalo in una società dove ormai ogni dettaglio dello spettacolo esige il proprio spazio di luce nella ribalta.
Chi sono? Sono i doppiatori e i traduttori, traghettatori della parola, evocatori delle nostre emozioni.
Personaggi invisibili, nascosti dai clamori dello schermo e da quella inspiegabile invisibilità della prima pagina di un libro, riportante il nome del traduttore, che viene d'abitudine trascurata dal lettore.
Ma proprio a loro, a questi oscuri interpreti, invisibili quanto determinanti, dobbiamo in gran parte l'attrattiva del grande schermo e l'intensità e... continua a leggere
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