«La definizione di povero e del suo stato non può dunque che essere molto larga. Il povero è colui che in modo permanente o temporaneo si trova in una condizione di debolezza, di dipendenza, di umiliazione, contraddistinta dalla mancanza – diversa a seconda delle epoche e della società – degli strumenti di potenza e di considerazione sociale: denaro, relazioni personali, capacità di influenza, potere, cultura, qualificazione tecnica, alti natali, vigore fisico, intelligenza, libertà e dignità personali. Il povero vive alla giornata e non ha alcuna possibilità di sollevarsi senza l’aiuto di altri. In questa definizione vivono tutti i frustrati, tutti i rifiutati, tutti gli asociali, tutti gli emarginati. Questa definizione non è specifica di un periodo, di un’area geografica, di un ambiente e non esclude nemmeno coloro che per ideale ascetico o mistico hanno abbandonato il mondo o per dedizione hanno scelto di vivere poveri in mezzo ... continua a leggere
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Quando uscì Opinioni di un clown (Ansichten eines Clowns), nel 1963, il mondo sembrava non essere pronto a recepirlo correttamente, e men che meno pareva esserlo la Repubblica Federale Tedesca, la quale fiduciosamente ancora si affidava al carisma del proprio cancelliere, Konrad Adenauer, e ai valori propagandati dal partito di cui egli era stato fondatore, l’Unione cristiano-democratica (CDU). Per le sue accuse dirette, il romanzo destò accese polemiche e dure reazioni soprattutto nell’ambiente cattolico di governo e, ben presto, da caso letterario divenne anche un caso politico. La sentenza di condanna di Böll non ammetteva attenuanti e colpiva al cuore una società che rischiava di sacrificare al demone del benessere la propria coscienza civile e, forse, il proprio senso dell’esistenza. La denuncia di fariseismo che egli riversò sul clericalismo politico del proprio paese presentì l’imminenza di una vera e propria rivoluzione sociale: ... continua a leggere
tag: Böll, Yourcenar
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Un ampio canzoniere accolto tra due ali di esiguo peso, ma dall’inequivocabile significato di soglie, una d’ingresso e una di uscita: l’autore ha scelto di collocare la propria collezione poetica in una coppa di massime e aforismi, di adagiarla tra frantumati cristalli di prosa.
In apertura sono Cocci fra terra e cielo, citazioni tratte da molti maestri di morale e utili strumenti per il viaggio. Sono inevitabili, bisogna camminarci sopra prima di entrare, e restarne feriti. Uno per tutti, l’ultimo (il 66, numero che pone più di un quesito), che fa compiere infine, col dolce tocco autoritario della firma di Ceronetti, il lancio nel canzoniere: «La poesia ripara gli errori della Ragione, riempie i vuoti dei sensi, toglie il “velo di Maya” dai nostri occhi. È la vera Conoscenza».
E se all’inizio sono cocci, alla fine ecco alcune schegge firmate dall’autore, il fragile artigiano, che nelle prime compie, sc... continua a leggere
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In un recente intervento, un caro amico, suffragato dal Grande Dizionario della Lingua Italiana e da una solida conoscenza del latino, richiamava l’attenzione sul fatto che il sostantivo grazia (ma altrettanto bene garbo o eleganza) costituisse per i nostri antenati e in effetti costituisca ancora oggi un sinonimo di decenza e rinvii, pertanto, al campo semantico della bellezza non come mero concetto estetico, bensì estetico e morale contemporaneamente. Lo conferma, tra gli altri, il Lexicon del Forcellini, il quale, alla voce decens, sostiene che il termine certamente ha tra i suoi significati quello di grazia (saepe refertur ad pulchritudinem), e tuttavia non in quanto semplice bellezza esteriore (differt tamen a formoso), ma come quella forma di bellezza che, in un certo grado, partecipa anche della virtù e della dignità (Est enim decens pulcher cum honestate et dignitate quadam, decorus).
Nella storia della cultura italiana è forse Il Cortegiano (1528) c... continua a leggere
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Il 13 novembre 1872, come d’abitudine ormai da qualche mese, Giovanni Verga scrive all’amico Capuana, divenuto frattanto sindaco di Mineo, e gli annuncia la sua imminente partenza per il capoluogo lombardo: «Mio caro Luigi, lunedì prossimo probabilmente partirò per Milano». Né, al solito, perde l’occasione di sollecitare dal suo corrispondente, ben più inserito, eventuali raccomandazioni, seppur in modi garbati e manierosi e non senza promettere in cambio premurosi servizi: «Se in qualche cosa potrei esserti utile a Firenze o a Milano, scrivimi, sicuro di farmi un piacere. Se sei nel caso di presentarmi per lettera a qualche editore o direttore di giornale l’avrei assai caro e se per mezzo tuo potessi ottenere un’occupazione modestissima in qualche giornale te ne sarei assai grato». Giacché, poi, una strategia promette maggiori garanzie di successo se impiegata contemporaneamente su due fronti, il catanese suggerisce la stessa cortesia anche al vecch... continua a leggere
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«Non ci possono essere persone, né libere volontà, dove si può vivere senza imparare come si sta al mondo – come si deve stare al mondo»
Roberta De Monticelli
«Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet».
(Non cedere al male, ma affrontalo con più coraggio di quanto la Fortuna consenta)
Virgilio, Eneide, VI, 95-96
L’uomo contemporaneo, qualora davvero intenda affrontare il disagio che lo travaglia per liberarsene, deve anzitutto rimpossessarsi del concetto di ascesi, nel suo significato autentico, e quindi attuarlo nella propria esistenza. Il termine, al contrario di quanto sembrerebbe suggerire la sua degenerata accezione corrente, non pertiene alla dimensione del disinteresse, della rinuncia o di un apatico, quando non snobistico, distacco. Tutt’altro. Se interpretato nel suo senso originario, cioè greco, esso configura u... continua a leggere
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Lo Zeitgeist della nostra civiltà, distratta e consumistica, coniugato magari con scaltre strategie divulgative, come quella intrapresa all’inizio del decennio passato da Lou Marinoff, da un po’ sta suggerendo agli editori la necessità di liofilizzare i grandi pensatori del passato, condensandone la sostanza nella dimensione contenuta ed economicamente allettante del tascabile. Sembra davvero finito il tempo della filosofia, in quanto lento e disciplinato esercizio di perfezionamento intellettuale, e sembra invece giunto il tempo della consulenza filosofica, in quanto cura dell’inquietudine dominante attraverso la somministrazione guidata e omeopatica di concetti ansiolitici. Il che spiegherebbe il recente florilegio di riassunti, sintesi e snelli centoni – dalla collana breviari della Bompiani alle Pillole della Rizzoli – e parrebbe altresì rendere conto dell’operazione Parva Philosofica attuata dallo stampatore ETS.
Eppure, se appena si scorre il... continua a leggere
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Tutto sommato non è trascorso troppo tempo da quando uno storico di inusitata sensibilità come Carlo Ginzburg, in parte introducendo e in parte giustificando la propria ricerca, ricordava che, quanto alla questione della stregoneria, «quello che ancora nel 1967 K. Thomas poteva a buon diritto definire “un argomento che la maggior parte degli storici considera periferico, per non dire bizzarro”, è diventato, nel frattempo, un tema storiografico più che rispettabile, coltivato anche da studiosi poco amanti delle eccentricità». Un ragionamento non troppo dissimile, mutatis mutandis, potrebbe essere svolto intorno alla narrativa horror
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La figura sull’estrema sinistra che, ostentando con nonchalance un evidente mancinismo, impugna una lunga bacchetta e illustra la stanza a tre notabili ospiti, abbigliati alla spagnola (copricapo piumato, gorgiera, mantellina, farsetto rigido, correggia con sciabola d’ordinanza, calzabraca e pianelle di cuoio), non può essere che il naturalista napoletano Ferrante Imperato. Dell’ampia sala si scorgono tre pareti, due delle quali ingombrate da pesanti scaffalature modanate e una, quella di fondo, parzialmente libera, seppur interrotta da un finestrone centrale a bovindo. Il soffitto poi
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La pubblicazione de I sommersi e i salvati (1986) precedette di appena un anno il suicidio dell’autore. Dopo un quarantennio dalla scrittura di Se questo è un uomo, Primo Levi tornò alla sua esperienza della deportazione e dell’internamento nel Lager di Auschwitz III-Monowitz, per lasciare ai posteri un saggio che rappresentasse insieme il suo testamento spirituale e una delle più lucide e inquietanti analisi antropologiche dell’uomo contemporaneo
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«La definizione di povero e del suo stato non può dunque che essere molto larga. Il povero è colui che in modo permanente o temporaneo si trova in una condizione di debolezza, di dipendenza, di umiliazione, contraddistinta dalla mancanza – diversa a seconda delle epoche e della società – degli strumenti di potenza e di considerazione sociale: denaro, relazioni personali, capacità di influenza, potere, cultura, qualificazione tecnica, alti natali, vigore fisico, intelligenza, libertà e dignità personali. Il povero vive alla giornata e non ha alcuna possibilità di sollevarsi senza l’aiuto di altri. In questa definizione vivono tutti i frustrati, tutti i rifiutati, tutti gli asociali, tutti gli emarginati
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La natura chimerica della scrittura biografica agisce su diversi livelli. L’ermeneutica del vissuto di un uomo, quando è tentata da un occhio esterno (magari lontano nello spazio e nel tempo), per il fatto stesso che questo ne abbia sussunto l’esemplarità di fondo, trasforma lo scrittore in un agiografo e l’individuo studiato in un personaggio, la cui tipicità soffoca quell’anelito di imprevedibilità che costituisce il cuore di ogni esistenza. Del resto l’approccio stesso dell’autore ai dati biografici non è mai, alla lettera, immediato, ma
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L’aneddotica relativa alla biografia di Kafka racconta come questi avesse fatto ridere tutti i suoi amici leggendo loro, per la prima volta, il capitolo iniziale del Processo. Nondimeno l’acquisizione della comicità dell’arte kafkiana da parte dei suoi esegeti è stata lenta e piena di riserve. Eppure è così. Lo spazio della narrazione kafkiana è lo spazio di una barzelletta vista dall’interno, è lo spazio privo di dimensioni da cui è preclusa ogni possibilità di distacco. E senza prospettiva la comicità si trasforma nell’orrore dell’insensatezza
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Quello di “metaletterario” è un concetto critico abbastanza recente, dato che (come gli analoghi “metateatrale”, “metapoetico” e “metafilmico”) deriva dall’espressione “metalinguistico”, a sua volta introdotta a metà degli anni ’30 dai teorici che si muovevano tra la Scuola logica polacca (Alfred Tarski) e il Circolo di Vienna (Rudolf Carnap), e recepita poi dal movimento strutturalista (Roman Jakobson). Giusta la sua etimologia, la nozione evidentemente rimanda a un tipo di letteratura che assume se stessa come oggetto della propria riflessione, quindi a una letteratura autoreferenziale. Ovvero, in un testo letterario si ha una funzione metaletteraria ogniqualvolta l’autore, anziché raccontarci qualcosa attraverso la scrittura, trasforma quest’ultima da mezzo a fine e si preoccupa di interrogarne le dinamiche più o meno profonde
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In Adriano Marchetti, l’annosa frequentazione della letteratura francese pare prediligere quei luoghi di essa in cui gli istituti che la costituiscono – e in primis la lingua – generano e insieme patiscono l’urgenza di ridefinirsi, in un incontenibile empito di fondazione e di liquidazione. Gli autori del suo canone (Maurice de Guérin, Arthur Rimbaud, René Char, Max Loreau, Simone Weil, ma anche figure ibride, tra scrittura creativa e scrittura critica, come Jean Paulhan o Suzanne Lilar) lo dimostrano: l’audacia espressiva e sperimentativa, la fulminea simultaneità dell’evocazione, il superamento della distinzione tra denotazione e connotazione, «la materialità del testo, sonora e scritturale» come invenzione del «processo della propria formazione» sono i caratteri che sembrano orientarne la scelte ermeneutiche
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LEOPARDI: Tranquilla; perito perfino l’inganno estremo, nulla è più in grado di ferirmi. Nessuna cosa vale ormai i moti del mio stanco cuore. Rimugino su quando l’infelicità mi occupava per intero, e sapevo dall’oggi ciò che mi aspettava domani. L’infelicità mi riempiva talmente che non avevo voglia d’altro. A distanza di tempo, da quando essa mi lasciò di colpo, avverto un vuoto, e non ho più difese contro me stesso. Questa superficie di marmo che sono diventato mi disgusta; nondimeno mi ha donato un metodo. «Fuori dal metodo un pessimista può soffrire quanto vuole, ma non diviene pessimista per questo. Lo diviene in virtù del metodo. Così il pessimista può rivolgersi con diritto agli sventurati huius mundi habitatores solo se e in quanto s’è messo tra parentesi nel metodo. Anzi, egli può arrivare a dire: “il compito del pessimista è quello di indagare la verità definitiva”, e può aggiungere che di verità definitiva si può p... continua a leggere
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Discorde dai proclami dei filosofi “di professione”, ora impegnati a protrarre la tradizionale dicotomia fra epicureismo e stoicismo, ora intenti a emancipare «la ragion pratica» dalla pretesa, ad essa congenita, di sottostare ai condizionamenti dell’esperienza, per farne un sistema rigoroso, quando non l’oggetto di una scienza fondamentale; discorde, dunque, da questa sorta di presunzione speculativa, la voce del moralista ricorda piuttosto – variatis variandis – quella dell’epigrammista Marziale, laddove
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Se il nostro Settecento filosofico e letterario fu in genere caratterizzato da certo moderatismo e fu come rattenuto dall’autorevolezza del retaggio tradizionale, dalla mancanza di una proposta sociale moderna e, anzi, da un’eccessiva prossimità ideologica con il potere, tra le sue non numerosissime innovazioni culturali si può sicuramente includere, e come degno di nota, l’apporto intellettuale di alcuni riformatori meridionali, vissuti nel clima arretrato e conservatore del regno borbonico, tra Carlo III e Ferdinando IV
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Il pensiero è per la vita la più formidabile delle zavorre. Si può farne un vanto, certo, ma è pur sempre l’orgoglio meschino dell’animale da soma. Sforzarsi di disciplinare l’intelligenza, dopo averne assecondato i sintomi fino a farla conclamare, è come schermare una fiamma viva con fogli di cartone. Né il pentimento serve a redimersi
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Il complesso di seriorità del nostro tempo si manifesta anzitutto come perdita di ingenuità (e ingenuitas, giusta l’etimo, è anche sempre “libertà”), il che vale tanto su un piano generale, nel senso che una ragione postkantiana non può che essere una ragione critica, ovvero conscia dei propri limiti gnoseologici, sia su un piano particolare, nel senso che lo sviluppo delle scienze moderne è avvenuto essenzialmente attraverso un processo di settorializzazione e di specializzazione dei saperi, ovvero tramite il disvelamento di metodologie specifiche per ogni disciplina. Il beneficio dell’ovvietà ormai non si concede nemmeno più alla conoscenza “amatoriale”
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A distanza di anni o, meglio, di secoli, i prodotti dello spirito umano concedono l’illusione di lasciarsi allogare in categorie latamente comprensive e di rifluire docilmente nelle classi tassonomiche richieste da qualsivoglia processo di canonizzazione. Criteri di semplificazione, approssimazione, schematizzazione paiono allora costruire la sostanza stessa del comprendere (cum prehendere) umano, che poi non è altro che lo sforzo di trarre relazioni di senso nell’apparente disordine delle cose; al punto che non è chiaro se l’urgenza di catalogazione, anziché rispondere alla struttura dell’essere, non rimandi piuttosto a un qualche difetto della nostra complessione gnoseologica. Come che sia
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La modernità si apre con un colpo di scena. Come nella commedia classica un’agnizione cambia le carte in tavola, ma, diversamente che in quella, dove era funzionale a ristabilire lo status quo ante, adesso essa definisce una situazione dagli effetti imprevedibili e potenzialmente drammatici: l’artista e il suo lettore borghese sono fratelli (Ipocrita lettore, mio simile, fratello). La diagnosi spazza via quasi un secolo di idealismo romantico
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Vorrei partire da un’occupatio (da una qualche parte bisogna pur partire) e anticipare la probabile osservazione che il lettore ci muoverà dopo aver scorso il seguente saggio: considerando le finalità della rivista in cui esso appare, non sarebbe stato più adeguato chiamarla Bibliophilie? Probabilmente è così, ma l’arbitrio dei fondatori fu una felix culpa, giacché – oltre all’ovvio riferimento platonico – consentì loro una interferenza linguistica tra il francese e l’italiano che nel secondo caso sarebbe stata semplicemente preclusa
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Che il Paradiso si costituisca come cantica della luce è un tale truismo da non abbisognare ulteriori dimostrazioni; anzi si può senz’altro affermare che l’ultimo viaggio di Dante rappresenti un itinerarium come praeparatio ad contemplationem lucem Dei
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Un uomo che attraversi la geografia instabile delle humanae litterae senza un metodo è un uomo che rischia di perdersi, ma il metodo non è l’uomo
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Non è facile recensire l’opera di un amico; ma è anche più difficile tributarle l’obiettività che reclamano nel medesimo tempo il suo valore e l’autentica umiltà del suo cólto autore, soprattutto quando a quest’ultimo vi leghi un debito di riconoscenza oltre che una profonda sintonia spirituale
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Ormai venti anni fa George Steiner auspicava «una società, una politica del primario che privilegi le percezioni immediate dei testi, delle opere d’arte e dei componimenti musicali. Il suo scopo è una forma di educazione, una definizione di valori che rimanga incontaminata, per quanto sia possibile, da ‘metatesti’
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Sono note le riserve espresse in generale sul ’500 e in particolare sul Castiglione da parte di Francesco de Sanctis, il quale – all’incrocio degli assi risorgimentale e romantico – scorgeva nella letteratura del XVI secolo un pericoloso scollamento tra la perfezione della forma e la sterilità del pensiero
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Nell’ambito di una disciplina non di rado capricciosa, qual è la critica letteraria, mi sia concesso l’arbitrio (del resto non solo mio) di definire una categoria classificatoria e interpretativa al contempo: quella dei “poeti giovani”. Giovani perché venuti meno prematuramente alla scrittura per scelta, è il caso di Rimbaud, o per necessità, come Catullo, Villon e, appunto, Maurice de Guérin (1810-1839).
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Il pensiero della modernità è un pensiero scisso, disavvezzo ad ogni approccio olistico; la frantumazione sta alla base dell’avanzamento tecnologico moderno, così come del moderno smarrimento antropologico
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La Storia dell’antisemitismo di Léon Poliakov, nell’edizione italiana più recente (Firenze 1990), si articola in quattro volumi per un complesso di circa millecinquecento pagine a stampa e analizza un segmento cronologico che dai tempi di Cristo si estende fino al fatidico 1933, anno della salita al potere in Germania di Adolf Hitler
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Circa un ventennio fa James Hillman, scrivendo Re-visione della psicologia, sosteneva che «parlando di Dei come siamo venuti facendo in tutto questo libro, potremmo dare l’impressione di non saper più distinguere tra religione e psicologia. Poiché il movimento della nostra psicologizzazione archetipica è sempre diretto verso i miti e gli Dei
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Un vecchio adagio sostiene che una donna, per essere considerata la metà di un uomo, deve valerne il doppio, soggiungendo tuttavia che, per fortuna, la cosa è estremamente facile.
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Valentino ha comperato una clessidra e ora, attento, la osserva sul tavolo davanti a sé. La sabbia è ferma, tutta ammonticchiata nella metà inferiore
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Ci sono libri di migliaia di pagine (una decina dei quali basterebbe a colmare un ripiano di una libreria) che si ha l’impressione siano famosi più per il loro peso che per il loro valore, ovvero per le loro potenzialità conoscitive. Ci sono invece libri come questo, di poche pagine, capaci però di farci dono delle verità di cui necessitiamo, in maniera semplice e diretta
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Nella sua classificazione degli organismi Carlo Linneo non esaurì la casistica degli animali di cui gli uomini hanno parlato nei loro libri. Ne era ben consapevole Jorge Luis Borges, visto che nel 1957 pubblicò in collaborazione con Margarita Guerrero il Manuale di zoologia fantastica, opera che mirava a colmare le lacune della tassonomia ufficiale, fornendo una descrizione di quegli esseri che dalla notte dei tempi popolano la letteratura mondiale, nonostante non abbiano acquisito diritto di cittadinanza nella scienza della modernità. Del resto, non ci si poteva aspettare troppo da una civiltà che prima si è costretta sul letto di Procuste della prova sperimentale e poi è sprofondata nella nevrosi collettiva per grave carenza di sogni.
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Il tasso di convenzionalità della letteratura greco-romana era molto più elevato del nostro, giacché mancava il concetto di opera d’arte come “opera di genio”. In fondo già Platone (Ione) aveva pronunciato una condanna definitiva contro l’enthousiasmós (i latini avrebbero detto raptus mentis, Bruno eroico furore)
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Il gene fatale entrò nel DNA della mia famiglia in un’afosa notte di un secolo fa, allorché la mia bisavola donò il suo fiore più prezioso all’uomo che l’aveva poc’anzi sedotta dal proscenio del teatro di paese. Ignorava tuttavia che da quel palcoscenico egli non sarebbe più sceso, se non per acconciare barba e capelli nella sua bottega scalcinata, ogniqualvolta almeno i fumi dell’alcool gli avessero consentito di distinguere questa da quelli.
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Un noto adagio, non esente da certo malevolo snobismo, sostiene che la difficoltà di scrivere un bestseller consista nell’indovinare il cattivo gusto della gente comune. Né il tanto abusato rapporto inversamente proporzionale tra la quantità degli estimatori e la qualità del prodotto è privo di fondamento. Per quanto concerne l’esperienza estetica, poi, da quando l’arte ha perduto la propria ovvietà (per dirla con Adorno), parrebbe degno di credito solo ciò che è capace di épater les bourgeois, soddisfacendo per converso la schifiltosità di conventicole ristrette ed esclusive.
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Da decenni, oramai, Noam Chomsky associa all’attività di linguista quella di politologo, costituendo una delle voci critiche che con più vigore e lucidità hanno denunciato i fini imperialistici sottesi alla tattica geopolitica degli Stati Uniti.
America: il nuovo tiranno raccoglie i dialoghi occorsi fra il docente del Massachusetts Institute of Technology ed un intervistatore davvero d’eccezione, David Barsamian, fondatore di «Alternative Radio» nonché autore d’importanti saggi di politica internazionale.
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Oggi, l’invadenza del pensiero debole e il relativismo – forma politically correct di tolleranza del pensiero – confermano sul piano estetico il classico adagio de gustibus non disputandum est, che poi declinano in senso etico come de moribus non disputandum est; ma è accettabile che si spingano a sostenere che de modis sciendi non disputandum est?
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Ad un’analisi superficiale, i due testi annoverano non pochi elementi di convergenza; entrambi, ad esempio, furono pubblicati nel 1939. Da un punto di vista strutturale e metrico, poi, si potrebbe procedere da un livello macroscopico, rilevando un’uguale bipartizione strofica organizzata su unità costitutive contenute
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Gli sfregi di Napoli, antologia di testi digiacomiani (narrativi, giornalistici e poetici), si aggiunge idealmente al volume Salvatore di Giacomo, Poesie, pubblicato per i tipi di Rizzoli e curato con la solita acribia da Davide Monda, e fa del 2005 un anno straordinario per un autore che, al di fuori della cultura ufficiale napoletana, non ha mai attinto ad un largo bacino d’utenza nazionale, ma che l’attaccamento e la circospetta fedeltà dei propri lettori hanno da subito indicato come una perla letteraria, preziosa proprio perché res paucis.
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